Ciascuna delle venti cappelle del Sacro Monte di Orta raffigura un episodio della vita di San Francesco, una particolarità che lo rende unico, poiché in genere a essere rappresentata è la vita di Cristo o della Madonna. Realizzato sul modello del vicino Sacro Monte di Varallo, noto come la “Gerusalemme della Valsesia”, sorge al centro della penisola di Orta San Giulio, sulla riva orientale del Lago d’Orta, in provincia di Novara, e presenta un itinerario a spirale che, di passo in passo, illustra vari stili architettonici e decorativi, in un excursus storico-artistico che va dal tardo Rinascimento al Barocco.
Un progetto imponente che vide la collaborazione di numerosi grandi artisti dell’epoca, quali Cristoforo Prestinari, Dionigi Bussola, i Fiammenghini, i fratelli Righi e molti altri, tanto che, insieme agli altri sei Sacri Monti del Piemonte (oltre a Varallo, Belmonte, Crea, Domodossola, Ghiffa, Oropa) e ai due della Lombardia (Ossuccio e Varese), dal 2003 è inserito nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’UNESCO.
La ventesima e ultima cappella regala un’altra particolarità: l’edificio è una chiesa di epoca proto-romanica, rifatta nel Seicento ispirandosi alla Basilica Inferiore di Assisi. Un ultimo estremo omaggio al Santo Patrono d’Italia.
C’è un cavo d’acciaio lungo 1.550 metri che collega Castelmezzano e Pietrapertosa, due fra i “Borghi più belli d’Italia” situati nel potentino e abbarbicati sulle cime delle cosiddette Dolomiti Lucane. Una linea sospesa nel vuoto, per un viaggio di andata e ritorno che regala tre chilometri di ricchi di emozioni. Dal 2008 a oggi, l’esperienza del Volo dell’Angelo è una delle più gettonate della Basilicata, che in questo angolo di natura selvaggia ha trovato la sua nuova espressione offrendo appunto l’occasione di tuffarsi nel vuoto, in tutta sicurezza e con l’ausilio di personale preparato.
Tre, due, uno e si parte, planando con le braccia aperte verso l’altro versante della montagna. Si può spiccare il volo indifferentemente dai due borghi: Pietrapertosa, che con i suoi 1088 metri è il paese più alto della Regione, o Castelmezzano, dove si arriva attraversando una gola impressionante e poi una galleria scavata nella roccia. Qui attorno, il costone della montagna mostra anche altri dettagli spettacolari: la Gradinata Normanna, con 54 scalini scolpiti a modi scala in una guglia dolomitica per raggiungere un belvedere sulla Valle del Basento; e una serie di rocce plasmate da vento e acqua che hanno preso la sagoma di “becco della civetta”, “bocca del leone”, “incudine”, “aquila reale”, formando una sorta di galleria d’arte firmata da Madre Natura.
Formatesi 15 milioni di anni fa in fondo al mare, le arenarie delle Dolomiti Lucane rappresentano una delle zone più belle dell’entroterra lucano, da scoprire anche con due itinerari per appassionati di trekking e scalata, la Via Ferrata Salemm e la Via Ferrata Marcinosa, collegate a loro volta da un Ponte Nepalese lungo 72 metri e sospeso a circa 35 metri dal suolo. Altro ricordo da brivido da portare a casa.
Si chiama Castel Sant’Angelo, ma non si trova a Roma, davanti alla Basilica di San Pietro, bensì a Taranto, affacciato sui due mari, all’ingresso del borgo antico della città. Impossibile non rimanere affascinati dalla mole imponente di questa fortezza, nel cui impianto architettonico si possono riconoscere elementi di epoca greca, bizantina, normanno-svevo-angioina. Il primo nucleo risale al 780, a quando cioè i Bizantini decisero che era il momento di dotare la “città dei due mari” di un sistema difensivo contro le continue incursioni dei Saraceni e della Repubblica della Serenissima. Sorsero così alte torri e strette, dalle quali si combatteva con lance, frecce, pietre e olio bollente. Fu poi fra il 1487 e il 1492 che, mentre Cristoforo Colombo era intento alle sue esplorazioni, qui a Taranto Ferdinando I Re di Napoli incaricava il celebre architetto militare Francesco di Giorgio Martini di rivederne l’impianto, perfezionando le dotazioni di bordo anti incursioni nemiche. Nacque così il Castello Aragonese di Taranto, nella foggia in cui ancora oggi lo conosciamo e possiamo scoprirlo, partecipando alle visite guidate gratuite che tutti i giorni, festivi inclusi, sono organizzate dalla Marina Militare, che lo rende accessibile con visite guidate gratuite tutti i giorni, festivi inclusi.
Immersa nell’incantevole scenario dell’invaso di Conza, sul corso del fiume Ofanto, si estende un gioiello naturalistico: l’Oasi del Lago di Conza. Questa oasi costituisce l’area umida più estesa della Campania e si sviluppa nelle aree a valle della diga. Posizionata lungo l’asse Ofanto-Sele, che si snoda dal nord-est al sud-ovest, riveste un ruolo cruciale nella rotta migratoria tra il Mar Tirreno e l’Adriatico. In collaborazione con l’Oasi WWF di Persano l’Oasi del Lago di Conza è un rifugio prezioso per molte specie ornitiche in cerca di riposo e ristoro.
Questa area riveste importanza a livello nazionale e internazionale grazie alla sua ricca avifauna. Durante le migrazioni tra l’Europa e l’Africa, numerose specie trovano rifugio qui, rendendo l’area un autentico paradiso per gli appassionati di birdwatching e per gli studiosi che desiderano approfondire le migrazioni degli uccelli.
L’Oasi offre molteplici opportunità per esplorare e apprendere. Le scolaresche possono beneficiare di una sala conferenze, un laboratorio di educazione ambientale e un’aula all’aperto. Un sentiero appositamente attrezzato con capanni di osservazione e pannelli didattici offre la possibilità di avvicinarsi alla natura e all’avifauna in modo responsabile.
Inoltre, per coloro che desiderano immergersi ancora di più nell’esperienza, è possibile pernottare presso la foresteria dell’Oasi.
Inaugurato nel 2004 con 81 boutique, ampliato nel 2008 e ancora nel 2010 fino a raggiungere gli attuali 150 negozi su oltre 34 mila metri quadrati di superficie, Vicolungo the Style Outlets è stato da subito un successo, aggiudicandosi il premio come Best European Outlet.
Situato alle porte di Novara, lungo la direttiva Torino-Milano, è uno dei villaggi oulet appartenenti al gruppo immobiliare spagnolo Neinver, noto per la vendita di marchi specializzati nello sport e nell’abbigliamento e attrezzature da montagna, ma anche per griffe quali Armani, Cavalli Class, Calvin Klein, Missoni, Trussardi Jeans, ecc.
Sulle Colline Novaresi si sviluppano i 240 ettari del Golf Club Bogogno, disegnato nel 1997 dall’architetto americano Robert Von Hagge.
Due i percorsi da campionato da 18 buche ciascuno, per un 72 Par da affrontare con un handicap adeguato. Infatti, dal 2006 Bogogno è una delle sedi ufficiali, unica per l’Italia, della European Tour Qualifying School, un evento che richiama i migliori giocatori professionisti e non da tutto il mondo.
Il calendario del Golf Club di Bogogno annovera anche una dozzina di gare di rilievo, tra cui PGA Tour, Senior PGA Tour, PGA European Tour, Open nazionali e internazionali di golf e campionati internazionali dilettanti.
Se Torino ha la Mole Antonelliana, Novara ha la cupola antonelliana. Entrambe queste opere piemontesi si devono infatti alla medesima mano, quella di Alessandro Antonelli, che fra il 1841 e il 1878 a Novara edificò appunto la cupola della Basilica di San Gaudenzio, andando a completare l’edificio eretto nell’arco di quasi un secolo, fra il 1577 e il 1659, su progetto dell’architetto Pellegrino Pellegrini, detto Tibaldi, cui nel 1786 si aggiunse il campanile opera di Benedetto Alfieri.
Con una sola navata e pianta a croce latina, la chiesa ha struttura tardo-rinascimentale e possiede numerose opere d’arte, tra cui un’antica cattedra vescovile e un’urna d’argento con i resti del patrono, San Gaudenzio.
Ma torniamo alla cupola, simbolo di Novara. Completamente realizzata in muratura, misura 121 metri di altezza e ha un diametro alla base di 31 metri. Retta da quattro coppie di grandi archi, presenta una struttura piuttosto complessa, costituita da corone concentriche di pilastri in muratura di mattoni, che a loro volta reggono le cupole interne in successione. Infine, al culmine della volta è posta una statua in bronzo ricoperta in lamine d’oro del Cristo Salvatore, opera di Pietro Zucchi datata al 1873.
Per ammirare da vicino tutti i minuziosi dettagli decorativi, accedendo da via Bescapè si può prendere l’ascensore posto all’interno del campanile e salire fino alla Sala del Compasso situata ad oltre 24 metri di altezza. In alternativa, c’è il museo interattivo “Viva la cupola”, con video esplicativi che illustrano la storia del monumento e due cubi di vetro che consentono di effettuare una visita virtuale della stessa dando una prospettiva nuova dell’edificio e della città.
Dal 1975 a oggi, il Museo del Tessuto di Prato ha cambiato più volte sede, fino ad approdare definitivamente nel 2003 nell’ex cimatoria Campolmi, monumento di archeologia industriale tessile del XIX e XX secolo acquistato e restaurato dal Comune per essere riconvertito da polo produttivo a importante polo culturale della città. Costituito dal Museo del Tessuto e dalla Biblioteca Comunale Lazzerini, deve la sua fondazione all’opera di Loriano Bertini, imprenditore tessile e collezionista di arti applicate che una cinquantina di anni fa intuì la necessità di creare un luogo deputato a tramandare la storia della lunga tradizione tessile di Prato e provincia.
Il Museo del Tessuto a Prato ebbe come prima sede l’Istituto Tecnico Industriale Tullio Buzzi, dove confluì l’importante nucleo di tessuti antichi donati dal Bertini, per poi essere trasferito nel 1997 nel Palazzo Comunale. La successiva collocazione del Museo presso la ex fabbrica Campolmi conferisce un importante valore aggiunto alle collezioni, che hanno finalmente trovato la giusta corrispondenza fra contenuto e contenitore.
In un pittoresco contesto ai piedi del crinale del Partenio, sorge uno dei santuari più venerati d’Italia: il Santuario di Montevergine. Fondato nel 1118 da San Guglielmo da Vercelli, questo luogo di culto ha subito varie ristrutturazioni nel corso del tempo, assumendo oggi un’imponente e austera bellezza. La struttura comprende due chiese adiacenti, la Vecchia e la Nuova, oltre al monastero, la foresteria, il campanile, la cripta e gli spazi di servizio.
Un capitolo significativo nella storia del santuario è legato al XII secolo, quando Carlo II d’Angiò, prigioniero degli Aragonesi in Sicilia, fece erigere una cappella per adempiere a un voto. Questa cappella venne decorata dall’artista Montano d’Arezzo, il cui lavoro culminò nell’icona della Maestà di Montevergine, realizzata tra il 1296 e il 1297 e nota come Mamma Schiavona.
Nel 1712 la Madonna di Montevergine ricevette l’incoronazione solenne decretata dal Capitolo Vaticano. La chiesa Vecchia, già ornata da stucchi dorati e dettagli in bronzo dorato, fu ulteriormente abbellita e le tele, i lampadari d’argento e opere d’arte come le sei tele raffiguranti i Misteri della Vergine di Ludovico Mazzanti arricchiscono ancora oggi l’interno della chiesa.
Per far fronte all’ingente afflusso di fedeli nella seconda metà del secolo scorso, venne costruita la Chiesa Nuova, opera dell’architetto romano Florestano Di Fausto. Inaugurata nel 1961, questa chiesa si distingue per un imponente campanile alto 47 metri.
All’interno del complesso abbaziale, si trova il Museo Abbaziale, allestito durante l’ultimo Giubileo. Suddiviso in quattro sezioni tematiche, il museo ospita una pinacoteca, una ricca collezione di paramenti sacri e oggetti liturgici, un mostra di presepi napoletani e da tutto il mondo e la stanza della pietra conosciuta come “impronta della Madonna”, meta dei pellegrinaggi a Montevergine.
All’interno del complesso abbaziale presente anche un’ erboristeria che offre una vasta gamma di prodotti artigianali, tra cui erbe, tisane, liquori, miele, birre, cioccolato e dolciumi, prodotti dai padri benedettini di Montevergine e da altri monasteri.
Ogni anno, il Santuario di Montevergine accoglie circa un milione e mezzo di pellegrini provenienti da tutto il meridione d’Italia.
In una Regione come il Lazio traboccante di istituzioni museali, essere annoverati fra le raccolte più antiche non è cosa da poco. Il Museo Civico di Rieti nasce infatti nel 1865, quando in seguito all’esproprio dei beni degli enti ecclesiastici e delle chiese chiuse al culto, venne creata una prima Quadreria Civica di Rieti, che già allora vantava opere di Zanino di Pietro, Luca di Tommè e Antoniazzo Romano. Un “prodromo” che non ha mai smesso di arricchirsi, grazie a donazioni di privati, soprattutto appassionati cultori di antichità romane, e acquisizioni pubbliche. Due le aree espositive, la Sezione Storico-Artistica e la Sezione Archeologica, dove sono raccolti materiali di scavo e di spoglio della città e del territorio suddivisi in sale a tema: La vita, la morte, la religione, Monete e sculture, Rieti dall’età romana al medioevo, Le necropoli e così via. Nel 2007 il museo ha aperto anche l’Ala dei Sabini, con reperti di età protostorica e romana della Sabina reatina e sale quali Le ville del territorio Sabino e I centri urbani della Sabina.