«Quando fu il giorno della Calabria, Dio era probabilmente in un momento di grazia e non si risparmiò nel riempirla di doni». Così scriveva il poeta e saggista Leonida Repaci circa un secolo fa, elencando destinazioni e tesori che oggi però sarebbero annoverate nel più classico dei grand tour della Regione, salvo poi scoprire che molti altri sono quelli che si possono trovare lungo itinerari fuori rotta.
Un altro autore, Corrado Alvaro, sintetizzava così l’amore per la sua terra: «Conoscevo la Calabria che si percorreva a piedi o sul mulo, impervia, per cui era un mistero quello che si trovava dall’altra parte delle sue montagne o nei suoi altopiani solenni. Ora la si può percorrere in lungo e in largo con strade fra le più belle d’Italia. Ho ritrovato la mia terra più bella di quanto non sospettassi io stesso, coi suoi altopiani interni che paiono d’una contrada boreale d’Europa, e la sua vecchia consunta sponda greca dello Ionio…».
Stretta fra Tirreno e Ionio, la Calabria si protende nel Mediterraneo con il suo volto corrugato di cime tanto aspre da prenderne il nome, Aspromonte, mostrando una natura più di montagna che di mare, come rivelano le quattro aree protette interne, tre parchi nazionali e un parco regionale. Ma poi sulla costa si apre in dolcissime spiagge, baie scavate nella roccia, grotte marine e alte scogliere, alternanza mai banale che continua per 780 km, in un periplo di struggente bellezza plasmata dal vento e dalle onde, e che nonostante le molte strutture turistiche, permane nel suo essere autenticamente selvaggia. Si passa così da località ormai note ai più a tratti di costa disabitata, luoghi inafferrabili se non in barca, per lo più sorvegliati da antiche torri e fortezze che tanta parte hanno avuto in un lontano passato.
Rileggendo la sua storia, questo fu il primo territorio dell’intera penisola a essere battezzato Italia, nome dato dagli antichi greci all’istmo di Catanzaro, che all’epoca era sotto il dominio di Italo, re degli enotri. Se nell’VIII secolo a.C. furono i Greci a colonizzarla, fondando fiorenti città e porti commerciali di cui si conserva memoria in alcune comunità grecaniche all’estrema punta della penisola, oltre che in innumerevoli siti archeologici, è con l’eredità bizantina che si è plasmato il volto della Calabria, rimasta per ben cinque secoli sotto il dominio di Bisanzio, come ancora oggi racconta soprattutto il versante ionico, su cui poi si sono di volta in volta innestate influenze normanne, angioine, francesi.
Ad accomunare ogni angolo di questo “caos calmo” c’è un’eredità culturale importante ancora oggi assai viva, grazie a rituali, misteri, danze propiziatorie, maschere apotropaiche ed esoteriche che miscelano con sapienza elementi di ellenica memoria, ancestrali religioni, pagane prima e cristiane poi, in una rappresentazione della vita che ha sempre un che di teatrale. Si veda ad esempio il complesso rito della Settimana Santa, con le scene della Passione di Cristo che riempiono le vie dei borghi di lamenti strazianti, canti malinconici e funzioni liturgiche dal grande pathos. Una teatralità che si tinge quasi dei toni dell’esorcismo, stemperandosi infine in balli e canti gioiosi, ebbri di profumi di cibi e vini di carattere.
Sacro e profano a confronto, dunque, nelle tradizioni ma anche nelle architetture di ogni derivazione ed epoca di cui è disseminato tutto il territorio. Si vedano per esempio le decine di chiese, abbazie, santuari ed eremi che dalla costa risalgono verso l’entroterra, facendo di piccoli borghi di poche centinaia di abitanti una meta di pellegrinaggio, cui fanno da contraltare edifici militari, austeri e imponenti nei loro torrioni, ieri temibili avamposti bellici contro il nemico, oggi straordinari belvedere da conquistare.
Se non fosse per il contesto naturalistico e il paesaggio in generale, certo si potrebbe pensare di essere nelle vicinanze di Roma, perché le Terme Romane di Acconia a Curinga sono uno degli esempi meglio conservati dei complessi termali dell’Antica Roma. Invece, siamo nella provincia di Catanzaro, e ciò che rimane oggi è parte di una grande villa monumentale della fine del III-IV secolo d.C., nota anche come Tempio di Castore e Polluce. A rendere significativo il sito archeologico è la conservazione della struttura integra fino quasi alla volta, e la presenza di un bel calidarium, un sorta di sauna ante litteram.
Il Gigante di Curinga. Una definizione che rende giustizia alla maestosità di questo platano orientale dell’Armenia, che nella sua base larga più di 3 metri può accogliere fino a una decina di persone, e con una circonferenza di 14,75 metri e un’altezza di 31,5, risulta il platano più imponente dell’Italia. Un altro dei suoi record è la longevità, poiché un’antica leggenda narra essere stato piantato più di mille anni fa da un monaco basiliano, sulle sponde di un ruscello nelle vicinanze dell’Eremo di Sant’Elia.
Insieme alla Cattedrale, o Basilica di Santa Maria Assunta, la Chiesa di San Francesco d’Assisi di Gerace è stata dichiarata “bene architettonico” di interesse nazionale e rappresenta un importante edificio in stile gotico non solo del reggino, ma della Calabria tutta. Situata sulla “piazza delle tre chiese” del borgo medioevale, dietro a una facciata piuttosto spoglia nasconde interni ricchi di opere di grande valore. A cominciare dall’altare maggiore seicentesco, in marmi policromi intarsiati, uno dei migliori documenti del Barocco in Calabria. Sempre in marmi policromi è anche l’arco trionfale, opera barocca del frate Bonaventura Perna, nativo del luogo. Si devono invece a ritrovamenti più recenti una serie di antichissimi sarcofagi, disposti lungo le navate laterali.
L’8 settembre 2018, la Cattedrale di Gerace, detta anche Basilica di Santa Maria Assunta, è stata nominata Basilica Minore, ma già prima era evidente all’occhio la sua importanza. Architettonicamente, per esempio, è fra le più imponenti e belle costruzioni di epoca normanna della Calabria – di cui è considerata un autentico modello -, nonché la più ampia chiesa romanica dell’Italia Meridionale, tanto da essere stata dichiarata “bene di interesse nazionale”. Lo stile composito assomma elementi decorativi e strutturali di varie epoche, in particolare bizantino-romanico-normanne. Iniziata nel 1045 su una preesistente struttura sacra dedicata all’Ajia Kiriaki (Santa Ciriaca), fu consacrata nel 1222. Fra le curiosità che si possono notare c’è quella delle due absidi poste l’una accanto all’altra, simmetria dovuta a due eventi sismici che costrinsero gli ingegneri a rivederne l’impianto. Sulla pianta a croce latina si innestano tre grandi navate separate da due file di dieci colonne, scanalate o lisce, tutte diverse fra loro perché recuperate da ville antiche situate lungo la costa. Stessa origine hanno anche le 26 colonne che scandiscono lo spazio della cripta di epoca normanna, a croce greca. La discesa alla cripta consente di scoprire anche altri due gioielli: la Cappella della Madonna dell’Itria, con uno splendido pavimento in maioliche geracesi, e la Cappella di San Giuseppe, che ospita il Museo Diocesano del Tesoro della Cattedrale.
Gerhard Rohlfs è lo studioso tedesco che, fin dal 1924, sostenne l’origine magnogreca della lingua locale di Bova, in provincia di Reggio Calabria. A lui e alla sua opera di fine ricercatore è dedicato il Museo della Lingua Greco-Calabra Gerhard Rohlfs che oggi fa da principale attrazione nel borgo reggino. Nato grazie alla sinergia fra Parco Nazionale d’Aspromonte ed enti pubblici territoriali per la valorizzazione e la tutela del patrimonio culturale della minoranza storico-linguistica dei Greci di Calabria, il museo porta alla ribalta una realtà poco nota ma di grande spessore culturale, attraverso opere e progetti creati ad hoc.
Nominato dal Ministero per il Turismo “Comune gioiello d’Italia” e parte dei “Borghi più belli d’Italia”, Bova è inoltre animato da numerosi eventi, che in autunno culminano nelle Giornate Fai della “Giudecca di Bova”.
Sono ben tre le esposizioni che compongono il Polo Museale di Cirò, attrazione culturale sui generis nel panorama turistico della provincia di Crotone. Questa la sequenza dei temi trattati: si comincia dalle sale dedicate a Luigi Lilio, con la riproduzione dei documenti che ricostruiscono la riforma del Calendario Gregoriano, affiancati da una mostra permanente multimediale incentrata sull’astronomia antica. Il percorso prosegue virando sul tema dell’alchimia e sulla figura di Giano Lacinio, alchimista francescano orgoglio di Cirò, dove nacque nel Cinquecento. Altra mostra permanente e altra virata varcando la soglia del Museo del Vino e della Società Contadina, dove macchinari d’epoca e beni e arredi della civiltà contadina raccontano di come si vinificava e si viveva un tempo nel territorio di Cirò.
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