Dal 2002, il Monastero di San Benedetto in Valledacqua ospita una comunità di Monache Camaldolesi. Annesse al monastero ci sono 38 camere, dove ci si può immergere nella realtà della liturgia guidata dalla Congregazione Benedettina Camaldolese, in silenzio, preghiera e contemplazione di quanto Madre Natura ha regalato a questo fortunato lembo di terra situato fra il Parco Nazionale dei Monti Sibillini e il Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga.
Il Monastero di San Benedetto in Valledacqua, Comune di Acquasanta, provincia di Ascoli Piceno, risale al 970 d.C. e nasce dai resti dell’antica Abbazia fondata alla fine del X secolo dai monaci di Farfa, di cui si conservano ancora splendidi affreschi. Il luogo è una tappa d’obbligo lungo il cosiddetto GABA – Il Grande Anello dei Borghi Ascolani, un itinerario di trekking di 100 km che tocca piccoli borghi, eremi e castelli ai piedi del gruppo montuoso del Ceresa e dei Monti Gemelli.
Le origini etrusche del borgo di Artimino e del suo territorio si ricompongono nei mille frammenti e reperti conservati nelle teche del Museo Archeologico locale, istituito nel 1981 grazie alla sinergia del Comune di Carmignano e della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana. Inizialmente allestito nei sotterranei della Villa Medicea “La Ferdinanda” – simbolo di questo piccolo borgo in provincia di Prato, oggi nel listing del Patrimonio dell’Unesco – dal 2011 ha sede negli ambienti delle ex-tinaie nel Centro Storico di Artimino, con ingresso da Piazza S.Carlo. L’intitolazione a “Francesco Nicosia” è un omaggio all’archeologo e già soprintendente delle lunghe campagne di scavo portate avanti per qualche decennio nel territorio del Comune di Carmignano.
Dal 2013, l’allure da prestigiosa dimora rinascimentale di Villa Medicea “La Ferdinanda”, detta anche “dei Cento Camini”, è tutelata come Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Un passo importante e dovuto per proteggere quando conservato in cinque secoli di storia, nonostante le mille spoliazioni conseguite a vari eventi e alle proprietà succedute al suo fondatore. Fu il Granduca Ferdinando I de ‘Medici a volere una dimora di campagna ad Artimino, o meglio un casino di caccia che fosse anche un luogo dedicato all’otium, alle arti e alla poesia. Nonostante le dimensioni ragguardevoli e il progetto non certo semplice di Bernando Buontalenti, la costruzione fu portata a termine in soli 4 anni, dal 1596 al 1600.
Il borgo di Artimino, frazione di Carmignano, si scorge in cima a un poggio di fronte al parterre della Villa Medicea, belvedere naturale sui colli e sui vigneti del Montalbano, oggi parte dell’azienda vitivinicola Tenuta Artimino. Oggi la dimora è location di eventi, matrimoni e visite guidate a richiesta, che comprendono anche la bella loggia e la deliziosa cappella decorata da affreschi, realizzati da Domenico Cresti detto il Passignano e da Bernardino Poccetti. Splendida anche la scalinata a coda di rondine che dalla Loggia dei Paradisi conduce al giardino: benché le due rampe laterali risalgano agli anni Trenta, si devono sempre al Buontalenti. L’architetto Lusini, chiamato per tale modifica dall’allora proprietaria Contessa Maraini, pare infatti che ne abbia attinto l’impianto dai disegni originali firmati dal “collega” Maestro del Rinascimento.
Nel Medioevo, al centro della triangolazione di potere fra Firenze, Prato e Pistoia, c’è Carmignano, con il suo Castello detto “Rocca”, che in un documento datato all’anno 998, Ottone III di Sassonia concede al vescovo di Pistoia. Fra alterne vicende, in un susseguirsi di colpi di scena, assedi e battaglie, il borgo passa nel tempo sotto il potere di Prato, e tutt’oggi fa parte della sua provincia.
Carmignano vale la sosta già per il bel paesaggio che circonda l’abitato, intessuto di filari di vite e ulivi, e per la Chiesa di San Michele dove è custodita la famosa “Visitazione” di Jacopo Carucci, detto il Pontormo. Da qui si diparte il percorso pedonale che conduce fino al Castello, belvedere naturale sulla valle del Montalbano. Tracce delle mura medievali segnano il crinale della collina, lungo il quale si riconosce il Campano, antica struttura che custodiva la cella campanaria e l’orologio, mentre in cima al poggio sorge un torrione medievale, chiamato il Maschio della Rocca.
Località Comune di Marradi. Diocesi di Faenza-Modigliana. Anno di consacrazione 1053. Stile architettonico romanico. L’Eremo di Gamogna è una di quelle mete capaci di arricchire un viaggio, grazie alle sue atmosfere mistiche, ai suoi silenzi, alla natura rigogliosa dell’Appennino Tosco-Romagnolo che lo avvolge. Gli annali raccontano di quando San Pier Damiani lo fondò dedicandolo a San Barnaba, per accogliere i monaci Camaldolesi della vicina Badia di Acereta, detta anche Badia della Valle. Di quell’epoca rimangono il chiostro, le celle, il forno, gli essiccatoi e la stalla, ambienti che rimangono a memoria delle molte attività che permettevano alla comunità monastica di essere autosufficiente. Ad oggi, le medesime celle sono abitate dalle Monache dell’Ordine Fraternità Monastiche di Gerusalemme, grazie alle quali il complesso dell’Eremo di Gamogna è visitabile e fruibile come luogo di preghiera.
Poesia, pittura e scultura insieme in memoria di Dino Campana. L’ambizioso progetto nasce nel 1998 in seno al Centro Studi Campaniani “Enrico Consolini” di Marradi in collaborazione con l’Associazione culturale “Galleria 360°” di Montevecchio Emilia. Scopo dell’iniziativa, rendere omaggio all’opera del poeta Dino Carlo Giuseppe Campana – nato nel Comune in provincia di Firenze nel 1885 e morto a Scandicci nel 1932 -, autore di quello che è considerato un vero capolavoro della letteratura italiana del Novecento, “I Canti Orfici”. Nei suoi versi, definiti dai critici frutto di un visionario, Pier Paolo Pasolini, grande cultore di Campana, intravvide una precisa “cultura pittorica”, con chiari riferimenti al linguaggio cubista e al futurismo. Da qui, ecco appunto l’idea di creare il Museo di arte contemporanea “Artisti per Dino Campana”, cui hanno contribuito pittori e scultori del nostro tempo donando 57 lavori. In parallelo, negli stessi spazi del Centro Studi Campaniani, si può ammirare anche la Mostra Permanente Francesco Galeotti, pittore nativo anch’egli di Marradi, definito“il contadino”per il suo stile naif, vissuto fra il 1920 e il 2011 nelle stesse terre di Campana.
Vino e carni pregiate. Il Chianti a tavola si può riassumere così, in questi due elementi base che danno l’ossatura a una cultura del buon cibo e del buon bere radicata in questo territorio alle porte di Firenze. E a Greve in Chianti c’è una famiglia che si intende di entrambe le materie, tanto da averne fatto da generazioni il proprio mestiere. Sulla piazza principale del borgo, Piazza Matteotti, affacciano l’Antica Macelleria Falorni e da qualche tempo il Falorni Bistrò, mentre su Piazza delle Cantine c’è l’Enoteca Falorni. Era dunque pensabile che prima o poi, questa dinastia di macellai e “vignaioli” creasse anche un luogo per promuovere la cultura enogastronomica del Chianti. Ci hanno pensato Lorenzo e Stefano Bencistà Falorni, cui si deve la realizzazione del Museo del Vino, situato su un atro “salotto” di Greve, Piazza Nino Tirinnanzi. Qui, reperti, documenti e attrezzi da lavoro raccontano gli ultimi due secoli di storia dell’enocoltura locale, che tanta parte ha avuto nella storia del Chianti e nel più recente sviluppo come travel destination.
L’Abbazia di San Michele Arcangelo a Passignano è un viaggio a se stante, una di quelle escursioni che potrebbero durare un’ora come una giornata o una settimana. Perché chi arriva sul posto, in questo angolo di paradiso in terra adibito non a caso a luogo dell’anima, ne coglie subito la complessità, architettonica, artistica e ambientale. In primis c’è la millenaria abbazia vallombrosana che nel XVI secolo vide insegnare qui persino Galileo Galilei, c’è la Chiesa del Cinquecento a croce latina con un magnifico coro monastico e pitture di grandi artisti dell’epoca, e c’è tutt’attorno l’Area Naturalistica Protetta di Badia a Passignano. Quest’ultima in particolare deve le sue origini all’azione riformatrice del monastero, che già in epoca medievale spinse sulle coltivazioni arborate, di vite e olivicoltura. Nell’insieme, appunto, Badia a Passignano è una meta che invita al soggiorno chi è in cerca di relax, di silenzi carichi di significato, di contatto con la natura e con gente che sa cosa vuol dire essere custodi di preziosi lasciti del passato.
Una delle frazioni di Barberino Tavarnelle è il piccolo borgo di San Donato in Poggio, fra gli innumerevoli luoghi da scoprire nella bella campagna della provincia fiorentina. L’abitato è racchiuso ancora oggi da una cortina di mura altomedievali cui si accede da Porta Senese e Porta Fiorentina. Lungo la cinta difensiva spicca la mole di alcuni bastioni, fra cui quella del cosiddetto Torrino e della Torre Campanaria del XII secolo, fra le case-torri meglio conservate. Il tour storico-architettonico tocca poi Piazza Malaspina, Palazzo Malaspina ex Palazzo Ticci, la bella Chiesa di Santa Maria della Neve, in austero stile gotico, e Palazzo Pretorio. Appena fuori dal borgo, la sosta da fare è presso la Pieve di San Donato in Poggio, in puro romanico fiorentino, menzionata già in una pergamena del 989.
Nel piccolo Antiquarium nei pressi della Pieve di Sant’Appiano, frazione del Comune di Barberino Tavarnelle, è custodita una“babele” di reperti archeologici. Cultura etrusca, greca, ellenistica, romana, protoromana, medievale e rinascimentale si assommano l’una all’altra, nelle teche che mostrano urne funerarie in alabastro, ceramiche attiche a figure rosse, cippi funerari, sculture e oggetti di culto pagano e cristiano. Insomma, un melting pot che attraversa quasi tremila anni di storia, prendendo il via da due tombe etrusche dell’VIII secolo a.C. Se già l’Antiquarium è un motivo di visita, a ciò si aggiunga l’indiscussa bellezza del contesto naturalistico e della Pieve di Sant’Appiano, che nell’atmosfera mistica della cripta conserva le spoglie del Santo. Non solo. Percorrendo il viale di cipressi che accompagna fino in cima al poggio, scorrono accanto le rovine di un edificio ottagonale, del chiostro, della canonica e di alcuni annessi ormai abbandonati, oltre i quali la vista si apre su un paesaggio da cartolina che sa di Toscana.