Chiesa di Santa Maria della Misericordia a Piè D’Agello

Il prospetto alle spalle della Chiesa di Santa Maria della Misericordia a Piè D’Agello è quello delle verdi colline nei dintorni di Amandola, borgo medievale del fermano conosciuto come la “Regina dei Sibillini”. Pace e silenzio sono la nota distintiva di un luogo votato alla protezione dei fedeli contro le avversità, così come racconta la dedicazione alla Madonna della Misericordia o del Soccorso. Dal 1403 in poi, questa piccola chiesa di campagna in laterizi è stata la tappa di pellegrini e credenti, ma anche di un certo numero di artisti che ne hanno arricchito gli ambienti con opere pittoriche e non solo. Oggi, dei molteplici adattamenti rimane ciò che è riemerso sotto gli strati di calce durante un restauro relativamente recente, effettuato nel 1973. Motivazioni votive emergono nelle diverse figurazioni di santi che affollano le pareti del santuario, esperienze artistiche provinciali eseguite da artisti “minori” di maestranze umbro-marchigiane della seconda metà del ‘400, con risultati per lo più di gusto tardogotico.

Teatro La Fenice di Amandola

Fra i vari esempi di teatri marchigiani ricavati nei palazzi comunali, uno dei più sorprendenti e antichi è quello del Teatro La Fenice di Amandola. Alcuni documenti datati al 1588 attestano infatti che in quell’anno vi si svolte la prima rappresentazione di S. Caterina. Ciò che si può ammirare ancora oggi è frutto di alcuni interventi successivi, che hanno convogliato nel piccolo borgo fermano le “lezioni” architettoniche dei grandi teatri italiani di ‘700 e ‘800, con l’adozione di una pianta ellittica e tre ordini di palchi sovrastati dal loggione a galleria con arcate definite da ringhiere a piastrini. Stucchi raffiguranti festoni, putti e medaglioni in stile neoclassico con contaminazioni liberty decorano invece la volta in prossimità del proscenio, in parte restaurati dal 1991 in poi. Chiuso per una trentina di anni a partire dal 1958 , il Teatro La Fenice di Amaldola vive oggi un’intensa vita culturale e d’estate fa da fulcro al Festival Ars Amando, evento itinerante nelle piazze e nei teatri del comune proponendo vari spettacoli.

Museo Antropogeografico

Visitare il Museo Antropogeografico di Amandola significa immergersi nel mondo delle tradizioni, dei costumi e dei lavori che venivano svolti sui Monti Sibillini. Plastici, spazi interattivi e un repertorio di oltre 300 fotografie lasciano intuire la complessità sociale del territorio ma anche la ricchezza floro-faunistica d’insieme. Il “paesaggio della diversità biologica” alterna le formazioni geologiche, le associazioni vegetali, le presenze faunistiche, lasciando poi spazio al “paesaggio umano” e ai segni lasciati sull’ambiente dal lavoro degli uomini e dai loro insediamenti, dall’età romana al monachesimo, fino ai modelli contemporanei.

Nella sezione del Museo Antropogeografico di Amandola dedicata al “paesaggio e alla sua rappresentazione” si passa invece a come il mito, il cinema e le arti in genere hanno saputo trasmettere le mille sfaccettature della zona dei Monti Sibillini, mentre nell’area intitolata al “paesaggio del futuro”, ci si addentra nei nuovi scenari e nei progetti di sviluppo del Parco Nazionale dei Monti Sibillini.

Per scoprire ciò che ha causato in queste zone un evento tragico come quello del terremoto bisogna salire al terzo piano della Ex Collegiata, dove si trova il Deposito permanente di Opere d’Arte. Si tratta di una raccolta di opere salvate dalle numerose chiese danneggiate dal sisma ad Amandola e dintorni. Accanto all’esposizione in collaborazione con l’Università degli studi di Camerino e l’Università degli studi di Urbino, è stato approntato un laboratorio di restauro, dove è possibile seguire passo dopo passo il recupero di un importante patrimonio storico-artistico.

Abbazia SS. Ruffino e Vitale di Amandola

In un paesaggio incontaminato che guarda sui Monti Sibillini, si colloca l’Abbazia benedettina dei Santi Ruffino e Vitale, fra i numerosi gioielli architettonici del borgo medievale di Amandola, nel fermano. Lo stile romanico riporta alla seconda metà del XI secolo, e ai numerosi passaggi di proprietà documentati sin dal 1267, anno in cui i Signori di Monte Pasillo, pur di mantenere i diritti sul monastero e i suoi terreni, vendettero al Comune di Amandola il castello, il Monte di Marnacchia e le 180 famiglie che vi risiedevano, cosa che poi si ripeté dieci anni dopo con un’altra famiglia, i Signori De Smerillo.
Le tre navate dell’abbazia, in semplice pietra, conducono fino alla cripta, che ne ha cinque di navate, e dietro l’altare custodisce il vero tesoro, le reliquie di San Ruffino martire. Da ammirare sono anche due affreschi di stile tardo medioevale: la Vergine in trono con il Bambino e la Madonna col Bambino che porge a San Ruffino martire un ramoscello.

Per secoli, l’Abbazia ha esercitato un forte impulso su tutto il contesto sociale, sia dal punto di vista religioso che economico, fino a quando, dopo anni di abbandono e molteplici ricostruzioni, non è stata restaurata insieme all’adiacente monastero, e ora è pronta ad accogliere credenti e visitatori.

Museo Civico e Pinacoteca Crociani

Il Museo Civico e Pinacoteca Crociani di Montepulciano, in provincia di Siena, ha più di un secolo di vita, trascorso in due diverse sedi: la prima, quella tenuta dall’anno di fondazione, il 1905, al 1957, nel Palazzo Comunale del borgo medievale, la seconda in una location di nobili origini, Palazzzo Neri Orselli. L’attuale percorso espositivo, rinnovato e ampliato nel 2000, si divide in tre sezioni: una ricca raccolta di dipinti di scuola senese e fiorentina datati dal XIII al XVIII secolo, una archeologica con reperti di quattro necropoli scoperte in località Acquaviva nel 1979, e una storico-documentaria che guida alla scoperta del territorio e dei suoi monumenti attraverso documenti, reperti e opere di vario genere.

Torrione del Podestà Amandola

Fra le tante case-torri e campanili del borgo marchigiano di Amandola, in provincia di Fermo, spicca il Torrione del Podestà, in cima al poggio di Castel Leone, l’antica Platea Comunis oggi nota come Piazza Alta, là dove si concentravano edifici civili e religiosi, in una sorta di Agorà medievale. Il suo aspetto lineare e compatto non lascia trasparire i numerosi interventi, datati al 1352, al 1518 e al 1547, anno in cui il Torrione del Podestà venne completamente ricostruito. Ultimo tassello ad arrivare fu, nel ‘700, il grande orologio al centro della facciata, proveniente dal campanile della Chiesa di S. Francesco.

Borgo di Montelparo

Le tracce di una necropoli romana in contrada Celestrana non sono i più antichi nel territorio di Montelparo, nel fermano. Prima dei Romani, dall’VIII secolo a.C. in poi, lo avevano colonizzato i Piceni, ma secondo alcuni studiosi è ai Longobardi che si deve il toponimo, derivato da Elprando o Eliprando, condottiero longobardo che nell’alto medioevo costruì qui un castello. Di quel periodo si vedono ancora le tracce di tre cerchie murarie, dei bastioni difensivi e di quattro porte, che hanno custodito per secoli tesori come la Chiesa e il Convento di Sant’Agostino, la Chiesa di San Gregorio Magno, datata al 1615, e Palazzo Agostiniano, sede del Museo di Arte Sacra e della Mostra permanente “Gli antichi mestieri ambulanti”. L’esposizione contempla oltre quaranta biciclette, tutte perfettamente funzionanti, realizzate e adattate agli inizi del Novecento per diventare veri e propri strumenti per attività lavorative ambulanti.

Parlando di tradizioni, non si può non fare riferimento al ricco calendario di eventi che ripropone di anno in anno importanti momenti di aggregazione sociale, incentrati ora sull’enogastronomia ora sul credo religioso. Si vedano a gennaio la Festa di S. Antonio con degustazione tradizionale del baccalà, ad aprile la Rappresentazione in costume della “Via Crucis” per le vie del centro storico, a luglio la Festa di San Paolino e ritrovo degli ex-montelparesi e la Manifestazione il “Chiostro D’Oro”, rassegna di teatro dialettale, ad agosto la Sagra della polenta sulla spianatora, a settembre la Festa di Santa Maria in Camurano con la sfilata delle canastrelle e del pesce fritto, e la Festa di San Michele Arcangelo, e infine a novembre la Festa dell’Anziano e dei Combattenti e Reduci.

Santuario della Madonna dell’Ambro

L’Eremo di San Leonardo, le Cascate Nascoste, le sorgenti del fiume Tenna e le Gole dell’Infernaccio. A questi già validi spunti di viaggio che fanno di Montefortino, nel fermano, una meta fra le più gettonate del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, si aggiunge il Santuario Madonna dell’Ambro, dopo Loreto uno dei santuari delle Marche più antichi e più visitati. La sua origine ha per così dire una natura miracolosa: intorno all’anno Mille, la Madonna apparve più volte a una bambina di nome Santina, sordomuta, che in seguito a questi episodi recuperò l’uso della parola. Ciò fece diventare il luogo una meta di pellegrinaggio, che nel 1037 portò a una prima costruzione, voluta dai feudatari del luogo, legati alla vicina Abbazia Benedettina di S.Anastasio. Rivisto più volte nei secoli, oggi il Santuario della Madonna dell’Ambro è noto come “la piccola Lourdes dei Sibillini” per la sua somiglianza con il celebre luogo santo di Francia. Durante la visita vale la pena soffermarsi presso la vecchia cappella, parte dell’edificio più antico, tappezzata da centinaia di foto di “graziati” dalla Madonna.

Pinacoteca Civica F. Duranti – Museo d’Arte Sacra – Museo Faunistico dei Monti Sibillini

Seppur in tono enfatico, la definizione di “piccola Louvre” mette in luce l’importanza della Pinacoteca civica di Montefortino, raccolta di grandissimo valore storico-artistico creata dal collezionista Fortunato Duranti e poi da lui donata al Comune fermano. Statue, arredi, quadri e sculture sono frutto di una vita trascorsa fra viaggi e incontri importanti, che fecero del Duranti una figura quasi emblematica e d’avanguardia alla fine del Settecento, quando da pittore qual era iniziò a collezionare dipinti di grandi artisti dal XV secolo in poi. Oggi, al primo piano è allestito il Museo della fauna dei Monti Sibillini, al secondo la Pinacoteca Duranti e al terzo è collocato il Museo dell’Arte Sacra.

Museo Archeologico Nazionale del Melfese “Massimo Pallottino”

Il “contenitore” è di per sé motivo di visita. Parliamo del Castello federiciano di Melfi, nella campagna del potentino, e in più, al suo interno ecco un plus che soddisfa gli appassionati di archeologia. All’interno dell’imponente maniero si trova infatti il Museo Archeologico Nazionale del Melfese “Massimo Pallottino”, che custodisce l’importante documentazione archeologica rinvenuta nel comprensorio del Vulture-Melfese. Corredi funerari, raffinate ceramiche daunie a decorazione geometrica, armature in bronzo, preziosi ornamenti in argento, oro e ambra, vasi in bronzo di produzione sia greca che etrusca: sono centinaia solo i reperti preistorici, cui si vanno ad aggiungere quelli della sezione classica, incentrata su materiali datati al IV-III secolo a.C. Qui nelle teche trovano posto ceramiche magno-greche a figure rosse e monumentali vasi a decorazione policroma con figure applicate, per lo più rinvenuti a Lavello nel sito dell’antica Forentum. La sequenza cronologica porta infine al periodo romano, dove spicca un eccezionale sarcofago in marmo del II secolo d.C. con decorazione a rilievo, di probabile manifattura asiatica.

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