Nuraghe Cuccurada

Mogoro è un borgo dell’oristanese noto per la produzione di ottimi vini e tessuti artigianali, oltre che per la natura rigogliosa e selvaggia che lo circonda. Qui, immerso nella macchia mediterranea si trova il Parco Archeologico di Cuccurada, arroccato sullo sperone roccioso noto come Sa Struvina: la vista spazia dalla valle del rio Mogoro al mare della Costa Verde, attraverso Campidano e i monti Arci, Arcuentu e Linas. Un panorama che apre il cuore e predispone alla scoperta delle vestigia antiche riportate alla luce grazie a una dozzina di campagne di scavo tuttora in corso: una muraglia megalitica, una struttura ciclopica a pianta ellittica, un nuraghe dalla struttura complessa e inconsueta e i resti di capanne nuragiche sovrapposte a un più antico insediamento eneolitico, risalente cioè alla seconda metà del III millennio a.C.. A fare di Cuccurada un sito “speciale” è proprio la sovrapposizione di varie culture in un lasso di tempo amplissimo che parte dalla cosiddetta cultura di San Michele di Ozieri, datata al Neolitico finale (3200-2800 a.C.).

Un cosiddetto protonuraghe del XX-XIV a.C., ossia l’edificio primitivo “a corridoio”, fa da base al nuraghe con la funzione di fortezza, inglobato poi in una sorta di bastione con quattro torri perimetrali, raccordate da mura rettilinee che chiudono un vasto cortile interno. Gli scavi effettuati nel cortine hanno svelato un unicum in tutta la Sardegna: la presenza di capanne all’interno delle mura, coeve di quelle extra perimetrali, risalenti forse al Bronzo finale, ma costruite su strutture precedenti utilizzando conci del nuraghe stesso. Risale invece alla fine del III millennio a.C. la poderosa muraglia megalitica che circonda tutto il sito. La visita del Parco Archeologico di Cuccurada trova la sua estensione nel Museo Archeologico di Cagliari, allestito nel seicentesco Convento del Carmine di Mogoro: qui sono infatti conservati i molti reperti rinvenuti durante gli scavi, quali
scodelle, ciotole e tegami, reperti litici, fusaiole per la filatura, e un piccolo ‘bottone’ in bronzo, raffigurante una dinamica scena di caccia.

Fondazione Museo Pino Pasquali

Nell’ex mattatoio comunale di Polignano a Mare, una struttura con un’invidiabile posizione a strapiombo sulla scogliera, l’artista barese Pino Pascali sognava di farci la sua casa ideale. In effetti, anche se postumo, oggi è come se quel sogno avesse preso concretezza, perché dal 1998 ospita il Museo Pino Pascali, dal 2010 trasformato in Fondazione.

Una realtà nata grazie all’importante lascito di opere e cimeli della famiglia dell’artista, e al sostegno della Regione Puglia e del Comune di Polignano a Mare. Pino Pascali è stato a tutti gli effetti uno dei più importanti esponenti dell’Arte italiana e non solo che ha segnato gli Anni Sessanta, scomparso prematuramente a soli 33 anni a Roma.

La Fondazione offre oggi anche uno sguardo allargato sull’arte pugliese, dando spazio ad altri autori, vincitori del Premio Pino Pascali, e organizzando periodicamente mostre temporanee di livello internazionale. Questo format così aperto e globale ha permesso a questa realtà “di provincia” di mettersi in luce e farsi conoscere per gli alti standard museali, tanto da aver conquistato, nel 2013, il Primo Premio come Miglior Fondazione d’Arte Contemporanea d’Italia.

Centro per la Conservazione dell’Arredo Sacro e del Costume Religioso

Al civico 30 di Via della Sassetta a Castagneto Carducci, in provincia di Livorno, si trova la Chiesa della Madonna del Carmine, al cui interno è allestito il Centro per la Conservazione dell’Arredo Sacro e del Costume Religioso. Precisamente, il piccolo museo è ricavato nella Cappella della Madonna delle Rose, un tempo sede della Confraternita del Carmine, fino a quando nel 1785, il Granduca di Toscana Leopoldo II non decise di sopprimere tutte le confraternite laiche.

Acquistata dalla famiglia Milanta, la cappella fu donata nel 1884 alla Misericordia, e ad oggi raccoglie arredi liturgici e paramenti sacri di varie chiese della zona e della nobile famiglia della Gherardesca. La collezione è talmente ricca che l’esposizione cambia ogni tre anni, a rotazione, con cicli legati alle feste in onore del SS. Crocifisso.

Parrocchia di San Lorenzo Martire

Se Abbateggio, in provincia di Pescara, è fra i “Borghi più belli d’Italia” lo si deve anche alla Chiesa di San Lorenzo Martire, che nella sua semplicità sa trasmettere un senso di composta eleganza. Con la sua facciata in muratura di pietrame affiancata dalla torre dell’orologio e divisa in due livelli con paraste tuscaniche, trabeazione intermedia e timpano triangolare, accoglie i visitatori con un ben portale in pietra che apre su un impianto interno ad aula con loggia per la cantoria, altari laterali e abside semicircolare, con copertura a volta a botte lunettata e semicatino absidale. Lo stile tardobarocco ottocentesco connota lo spazio, ornato da stucchi e cartigli, mentre gli altari sono in muratura con ordine architettonico e timpani di forme diverse con decorazioni in stucco, cartigli e figure a rilievo, come le superfici delle volte.

Necropoli di Filigosa

Il Marghine è un’area della Sardegna Centro-Settentrionale che poco ha a che fare con l’isola dal mare cristallino e dei resort extralusso. E’ una zona dove si va per scoprire autenticità, atmosfere antiche, natura selvaggia e persino una civiltà che ha avuto origine e sviluppo esclusivamente nei dintorni di Macomer. Si tratta delle cultura neololitica denominata Filigosa-Abealzu, attiva nei sito del Nuraghe Ruiu e della Nacropoli di Filigosa, in uso dalla metà del III millennio agli inizi del II millennio a.C.. Quest’ultima comprende quattro tombe, tre delle quali scavate ai piedi dell’altura, la quarta in posizione sopraelevata. Lunghi corridoi introducono alle sepolture, disposte sul crinale naturale della collina. Al centro della camera sepolcrale si trova un focolare circolare, probabile segno per accompagnare il defunto nel regno dei morti.

Borgo di Crecchio

Sulle colline della provincia di Chieti si trova il piccolo borgo medievale di Crecchio, un condensato di arte e storia, che si ha occasione di riassaporare nel corso dell’evento estivo “a cena con i bizantini”, festa che attraverso costumi e danze dell’epoca e prodotti tipici del paese rievoca la presenza bizantina in Abruzzo. Fra i piatti cult dell’evento ma anche delle osterie locali, maccheroni alla chitarra, fiadoni e agnello alla bizantina. La visita del borgo è un alternarsi di architetture e atmosfere medievali e bizantine, che vanno da quelle militaresche del Castello Ducale a quelle mistiche della Chiesa di Santa Maria da Piedi, della Chiesa del Santissimo Salvatore del Santuario di Santa Elisabetta. Il consiglio è di dedicare il giusto tempo in particolare al Museo dell’Abruzzo Bizantino ed Altomedievale ricavato all’interno del Castello Ducale, il cui nucleo originario è costituito dalla torre “dell’ulivo“ in stile duecentesco.

Complesso Archeologico di Tamuli

Lungo la Strada per Santulussurgiu, in direzione Macomer, ci si imbatte nel Complesso Archeologico di Tamuli, uno dei più importanti del nuorese. La sua rilevanza dipende in particolare da tre Tombe di Giganti, cui si aggiungono un nuraghe e un villaggio.
Della tomba I si noti soprattutto l’ampia esedra semicircolare che lungo il perimetro ha un sedile formato da 27 blocchi di basalto, e che introduce a un ambiente lungo 14,40 metri e largo 7. Il corpo tombale della tomba II è invece di 11,40 metri, cui si accede tramite un corridoio di 8,20 metri. Della tomba III rimangono pochi resti, mentre a poca distanza si erge il nuraghe, di tipo complesso, costituito da un mastio e da un bastione bilobato addossato sulla fronte, che racchiudeva probabilmente due torri e le cui dimensioni sono 16,30 metri per 12,50, con un’altezza di 2,15 metri. Villaggio e fonte nuragica chiudono la visita del sito.

Nuraghe Santa Barbara

L’era cosiddetta dei metalli, compresa fra il 3000 e il 1100 a.C., è una di quelle meglio rappresentate dai numerosi nuraghe diffusi un po’ in tutta la Sardegna, in particolare nel nuorese, nella zona di Macomer e Villanova. Qui si trova per esempio il Nuraghe di Santa Barbara, del tipo “a tancato”. La torre centrale è a pianta circolare, vi si accede attraverso un corridoio con scala elicoidale e nicchia. Ha pianta circolare del diametro di circa 7 metri anche la camera “a tholos” e presenta in cima alla parete il vano di una scala sussidiaria che conduce sopra al corridoio d’ingresso. L’intricato sistema di condotti è fra le caratteristiche più originali di questa costruzione, che poi nel tempo fu appunto trasformato nel tipo “a tancato”, con l’aggiunta di un secondo edificio di dimensioni inferiori che insieme forma un cortile.

Sito Archeologico Nuraghe Nolza

L’ultima fase dell’Età dei Metalli, identificabile con quella del Bronzo Medio, ha visto crescere numericamente la presenza dei nuraghe nel nuorese. A Meana Sardo si visita il Sito Archeologico Nuraghe Nolza, i cui recenti scavi hanno portato alla luce diversi ambienti interni del monumento, che regala anche una bella visuale d’insieme dei dintorni grazie a una scala che porta nella parte superiore. Molti i reperti ritrovati, soprattutto in ceramica, come ciotole, scodelle e grandi tegami, in trachite e granito o in ossidiana, come pestelli ed elementi di falcetto a forma di semiluna. Tante le ossa di animali, spesso impiegate come utensili o monili decorativi.

Villaggio Nuragico Sa Sedda ‘E SO S Carros”

Supramonte è la zona calcarea della Valle di Lanaitto che fa da sfondo al villaggio nuragico noto come Sa Sedda e Sos Carros, nel Comune di Oliena, nel nuorese, a circa 300 metri sul livello del mare. Letteralmente, Sos Carros vuol dire ”il punto di passaggio dei carri”, e l’epoca di realizzazione del villaggio-santuario è compresa fra il XII e il IX secolo a.C., periodo detto anche Età Nuragica in cui in tutta l’isola era assai diffuso il culto delle acque. Qui sono infatti ancora ben visibili edifici funzionali alla captazione e canalizzazione delle acque, oltre che da vari ambienti di servizio, come “templi a pozzo” e “rotonde con bacile”. Sos Carros presenta una struttura abbastanza complessa: il sito è caratterizzato da capanne a pianta circolare e ovale e da un edificio/insula dal perimetro esterno sub-circolare con funzione di spazio di culto o per il deposito/stoccaggio di prodotti metallici, con un cortile centrale, anch’esso a pianta circolare, in cui è contenuta la vasca di contenimento dell’acqua. Nell’insieme, risultava un’insula separata dal resto del villaggio da un muro esterno ciclopico.
La stanza detta “rotonda con bacile”, del diametro di 2,5 metri e con un alzato massimo di 1,80 , è definita “fonte” e presenta un effetto cromatico bicolore grazie a blocchi squadrati di calcare bianco alternati a blocchi di basalto scuro. Modanature, sedili, stipiti lavorati e soprattutto un pavimento rifinito da minuziosi decori fanno capire la cura e l‘attenzione ai dettagli in uno spazio dove tutto converge al centro, verso il bacile di 70 cm di diametro decorato da sette teste di muflone scolpite.

Il santuario di Sa Sedda de Sos Carros aveva inoltre funzione di centro di fusione e lavorazione dei metalli, come si evince dal ritrovamento di una cospicua quantità di oggetti in metallo, prevalentemente di bronzo, quali frammenti di asce, puntali di lance e di frecce, picconi, anse di bacili, fibule, oltre ad oggetti di particolare pregio quali navicelle di varia tipologia e una brocca askoide a doppio collo.

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