Avatours / types of tourists: Turista Culturale
Ponte “San Francesco di Paola” – Ponte di Calatrava
Con il nome di Ponte San Francesco di Paola si identificano due strutture sul Sud Italia: il celebre “ponte girevole” che dal 1887 è simbolo di Taranto, e dal 26 gennaio 2018 , il cosiddetto Ponte di Calatrava a Cosenza. Un’opera, quest’ultima, che ha contribuito a riqualificare il quartiere di Gergeri, una delle “porte” di accesso al centro storico cittadino, ridisegnandone il profilo grazie alla presenza degli immancabili stralli bianco candido che sono ormai il marchio di fabbrica dell’architetto spagnolo naturalizzato svizzero Santiago Calatrava.
Un progetto complesso, durato quasi una ventina d’anni, che però oggi regala a Cosenza un podio, poiché con i suoi 104 metri di altezza rappresenta il secondo ponte strallato più alto d’Europa. Quanto ai numeri, ecco gli altri che identificano quest’imponente opera ingegneristica in acciaio e cemento: 103 metri di lunghezza, 24 di larghezza, 800 tonnellate di peso per il pilone centrale, 52 metri di lunghezza per l’antenna inclinata di 52 gradi da cui si dipartono gli stralli.
Santuario Santa Maria delle Armi
Il 25 aprile, a Cerchiara di Calabria, borgo alle pendici del monte Sellaro, a 1015 metri di quota, oltre alla “Liberazione” si festeggia la Madonna delle Armi, figura legata alla presenza del Santuario di Santa Maria delle Armi, complesso monumentale di origine medievale con vista sulla pianura di Sibari e sul golfo di Taranto. La processione in onore della Madonna delle Armi, detta anche “Dei vinticinche”, si snoda lungo i sentieri montuosi tenendo come punto di partenza e ritorno proprio il Santuario. Il 25 aprile, numerosi devoti sostano nei boschi che circondano l’edificio, danzando al suono di caratteristici strumenti.
La nascita del Santuario in questo luogo è connessa all’antica leggenda della Sacra Pietra. Si narra che nel 1450 alcuni cacciatori di Rossano videro una cerva infilarsi in una piccola grotta del monte Sellaro. Nel tentativo di catturarla, i cacciatori la seguirono nella grotta ma al suo posto trovarono due icone lignee raffiguranti i Santi evangelisti. Prese le tavolette, le portarono in paese, ma qui le tavolette sparirono ripetutamente per essere poi ritrovate nella grotta. Si decise quindi di edificare una piccola cappella che le custodisse. Durante i lavori, un fabbro ruppe una pietra ovale che a suo parere disturbava la costruzione della cappella. La pietra si aprì in due, e da un lato apparve l’immagine della Madonna con il Bambino e dall’altra San Giovanni Battista. La prima è custodita gelosamente ancora in una cappella con marmi policromi all’interno della chiesa, l’altra fu trafugata e, secondo una tradizione, trasportata a Malta.
Castello Federiciano – Castrum Petrae Roseti
Iniziamo dalla “chicca”. Sulla terrazza più alta della torre templare-normanna del Castello di Roseto Capo Spulico, in provincia di Cosenza, affaccia un’esclusiva Suite Imperiale, corrispondente all’antica Stanza del Sole, dotata di tutto ciò che si conviene a una moderna dimora da re, ossia jacuzzi, aria condizionata, frigo bar e terrazzino privato con vista panoramica su Capo Spulico. La suite si affitta ed è solo uno degli spazi di cui si può usufruire in questo antico maniero che tanta parte ha avuto nella storia locale. Prima di ripercorrerne le lunghe vicende, va detto che a circa 1 km di distanza si trova lo stabilimento balneare il “Cala Castello”, che da quasi 30 anni offre un’oasi verde di quasi 5 ettari di prato, palme e tamerici. Qui ci si può anche rilassare al bar dello stabilimento, oppure, per chi vuole provare la cucina calabrese, si fa ritorno al Castello, dove nelle antiche scuderie è ricavato il ristorante “La Corte di Federico II”.
Il Castello di Roseto Capo Spulico sorge circa mille anni fa sui resti di un monastero, per opera dei Normanni. A quel tempo il castello segna il confine tra i possedimenti di Roberto il Guiscardo e il fratello Ruggero II (1105-1154), padre di Costanza d’Altavilla, erede del Regno di Sicilia e madre di Federico II Hoheustaufen (1194-1250). Nel 1229 è già Tempio dell’Ordine e pertanto viene requisito ai Cavalieri Templari da Federico II, che con questo gesto vuole punirli per il loro tradimento durante la VI crociata in Terra Santa, avvenuta l’anno prima. Il Castello pare sia stato un luogo speciale per il Barbarossa, che lo restaura, riadattandolo a fortilizio militare, per poi lasciare in eredità “il territorio di Porta Roseti al figlio naturale Manfredi, mentre tutti i castelli e soprattutto il “templare Petrae Roseti” ai figli legittimi i quali saranno anche Re di Gerusalemme”.
Oggi, grazie a un lungo e meticoloso restauro, il Castello di Roseto di Capo Spulico è uno dei maggiori esempi di architettura federiciana di derivazione templare. Durante la visita si possono notare anche dettagli curiosi, come gli stemmi alchemico-templari, la “Rosa”, e i “Gigli” posti a decoro del cortile interno cinto da belle mura merlate. Per non scordare che il “Castrum Petrae Roseti” era ed è ancora un Tempio dell’Ordine.
Museo della Liquirizia Giorgio Amarelli
Tutto ha inizio con i covoni di radici pronte per essere lavate. Poi entrano in scena i macchinari per l’estrazione della preziosa materia prima, poi gli antichi cuocitori dove si addensa la pasta nera e infine le trafile in bronzo che la lavorano e tagliano. Il Museo della Liquirizia “Giorgio Amarelli” a Rossano, in provincia di Cosenza, è un’occasione unica per ripercorrere storia, usi e tradizioni di un territorio che deve tanto a questa eccellenza che da sempre cresce spontanea sulla costa ionica della Calabria, e da sempre è sfruttata dall’industria dolciaria e perciò è motore dell’economia locale. In particolare, a Rossano tale commercio è legato alla saga degli Amarelli, famiglia la cui storia si fa risalire intorno all’anno Mille, ai tempi delle Crociate, e che nei secoli si è distinta per l’impegno intellettuale e nell’agricoltura. Attrezzi per la raccolta e la lavorazione, oggetti quotidiani e splendidi abiti antichi arricchiscono il Museo della Liquirizia “Giorgio Amarelli”, che comprende il grande spazio del “Concio”, risalente al 1731, sul cui fumaiolo sono riportate le iniziali del Barone Nicola Amarelli. Nel 2001, in virtù del grande numero di visitatori, il Museo della Liquirizia ha vinto il premio Guggenheim Impresa & Cultura, e nel 2004, è stato realizzato un francobollo della serie filatelica italiana “Il patrimonio artistico e culturale italiano”.
Al termine del percorso, si può fare sosta nel Liquorice Shop e nel Museum Cafè, per una pausa corroborante, ovviamente a base di prodotti in cui la liquerizia è protagonista, dal classico bastoncino di legno grezzo alle liquirizie pure o con menta e anice. Nel Museo si trova anche l’Auditorium “Alessandro Amarelli”, parte integrante del complesso di fine Settecento e cuore pulsante della vita culturale di Rossano.
Pistoia Sotterranea
Tutto ha avuto inizio con le reliquie di San Jacopo. Nel corso del Medioevo, lungo il torrente Brana di Pistoia, correva una sorta di “cintura sanitaria” su cui si affacciavano gli Hospitales, luoghi di cura e accoglienza per malati che, nel disperato tentativo di salvarsi, inviavano dei pellegrini a Santiago di Compostela. Al ritorno, tali emissari dovevano consegnare ai malati una conchiglia salvifica. Mangiando la “capesanta”, l’infermo poteva così espiare tutte le sue colpe e sperare in una pronta guarigione. Ecco, questo antefatto va tenuto presente quando ci si appresta a percorrere i quasi 800 metri dell’itinerario ipogeo più lungo della Toscana. Pistoia Sotterranea, si chiama così, ripercorre passo a passo il tragitto che veniva fatto da malati e pellegrini, all’epoca detto Iter Compostellanun. Fra gli hospitales c’è anche l’Ospedale del Ceppo, primo esempio di struttura ipogea che nel corso dei secoli diede il via alla fusione di tutte le strutture architettoniche poste lungo il torrente. L’Iter di Pistoia Sotterranea è oggi accessibile esclusivamente attraverso visita guidata ed è aperto anche ai disabili con rampe di accesso e un sistema sperimentale a tappe di pannelli in braille con schemi della planimetria del sotterraneo per i non vedenti.
Integrato nel percorso c’è il Museo Pistoia Sotterranea, la cui visita prende avvio dall’anfiteatro anatomico più piccolo al mondo, il luogo in cui gli studenti di medicina assistevano alle lezioni analizzando un corpo posto al centro della stanza. Fra le curiosità da scoprire ci sono poi i cosiddetti butti, aperture sulle volte dove un tempo venivano gettate le ceramiche ormai rotte o altro genere di rifiuti, il mulino e il frantoio, ma anche il ponte Romano, l’Ospedale delle Monache Francescane di Santa Maria Nuova, il Convento delle Oblate e alcuni tratti delle antiche mura “comunali”. Altri punti di interesse sono Il Ponticello dell’Ospedale di Sant’Jacopo e Lorenzo, i lavatoi di San Lorenzo e la ferriera Beccaccini realizzata dalla Famiglia Beccaccini.
Castello di Sant’Andrea Apostolo dello Ionio
Fra i borghi della Riviera degli Angeli da non perdere c’è anche Sant’Andrea Apostolo dello Ionio, sorto a cavallo dell’anno Mille per via di un’incursione saracena lungo la costa che costrinse la popolazione greco-bizantina della zona a insediarsi qui. A cambiare le sorti della sua storia, così come di tutta la Calabria, furono due fattori: l’arrivo dei dominatori Normanni nel 1044, e la fondazione della Grancia della Certosa di San Bruno, nelle vicine Serre di San Bruno, che aveva come compito quello di governare le terre annesse alla Certosa per la produzione di derrate agricole per i monaci e non solo.
Nonostante vari passaggi di mano, dall’Ordine dei Certosini ai Cistercensi e viceversa, per quasi 800 anni la zona godette di una certa prosperità, così come testimonia anche ciò che rimane del Castello di Sant’Andrea Apostolo dello Ionio. Edificato nel 1532 dal feudatario Toraldo di Ravaschiera su commissione dall’imperatore Carlo V, nel ‘700 passò in mano alla dinastia dei Borbone, e poi nell’800 ai francesi, che presero possesso di tutto il territorio di Sant’Andrea. A prendere la scena fu infine la famiglia Scoppa, che fece costruire un palazzo nobiliare oggi dimora delle Suore Riparatrici.
Montepaone sinonimo di vacanza
Fra le spiagge libere più belle della costa jonica calabrese c’è anche quella del borgo di Montepaone. Protetta dal Golfo di Squillace, è un perfetto approdo per vacanze all’insegna del relax, ma lo fu anche militarmente per Annibale, che da queste parti affrontò una delle battaglie più sanguinose della seconda guerra punica contro l’esercito romano, episodio ricordato dalla presenza della cosiddetta Colonna d’Annibale lungo la Statale 106 che costeggia il litorale.
Il toponimo del borgo ricorda con ogni probabilità le sue origini, “Mons Pavonis”, il Monte del Pavone, in quanto un tempo questa doveva essere una zona dedita all’allevamento dei variopinti uccelli. A oggi, il paese assomma echi del periodo della dominazione normanna e poi di quella francese, che frazionò il territorio in feudi e baronie, così come artigianato, cucina locale e manifestazioni folcloristiche rimandano a un lontano passato che trasmette ancora tutto il suo fascino. Prova ne sono le botteghe del centro storico di impronta medievale, dove si possono trovare telai in funzione da generazioni, intenti a filare la seta prodotta localmente da oltre settecento anni.
Chiesa Santa Maria del Casale
La location non è di quelle dove ci si aspetterebbe di trovare un capolavoro architettonico, eppure, vicino all’aeroporto di Brindisi, ecco la Chiesa di Santa Maria del Casale, splendido esempio di stile romanico-gotico del XIII secolo: fuori una facciata in conci di carparo e pietra bianca, dentro un ciclo di affreschi di epoca bizantina rinvenuti solo il secolo scorso sotto uno strato di calcina. Il risultato è un edificio che dal 1875 è Monumento Nazionale, in cui si leggono tutti gli elementi di passaggio fra romanico e gotico. L’interno è a croce latina, con navata e transetto con copertura a capriate, mentre il coro dietro l’altare maggiore ha una volta a crociera. Interessante anche il ciclo di affreschi, fra cui spicca il Giudizio Universale eseguito da Rinaldo da Taranto ai primi del XIV secolo.
Bronzi di Riace
16 Agosto 1972. A 200 metri dalla costa di Riace Marina, lido fra i più selvaggi del reggino, ad appena 8 metri di profondità, un appassionato subacqueo rinviene sul fondale di sabbia due statue bronzee in perfetto stato di conservazione, subito nominate Bronzi di Riace. Molte le ipotesi fatte attorno a quelle che sono ancora oggi considerate tra le testimonianze più significative dell’arte greca classica: con ogni probabilità risalenti alla metà del V secolo a.C. e realizzate dallo stesso artista, si pensa che siano state gettate in mare durante una burrasca per alleggerire la nave che li trasportava o che l’imbarcazione stessa fosse affondata con le statue.
Alte 1,98 e 1,97 metri e pesanti 160 kg, raffigurano due uomini nudi, un oplita (Bronzo A) e un re guerriero (Bronzo B), con barba e capelli ricci, il braccio sinistro piegato, e il destro disteso lungo il fianco. Ambedue indossavano un elmo, impugnavano una lancia o una spada nella mano destra e reggevano uno scudo con il braccio sinistro, elementi smontati al momento dell’imbarco per permettere di adagiare sulla schiena le statue e facilitarne il trasporto.
Eseguite ad Argo, nel Peloponneso, circa 2500 anni fa, sono state restaurate per la prima volta negli anni 1975-80 a Firenze, e sono oggi esposte al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, di cui sono diventate simbolo, così come della Calabria stessa.