Teatro alla Scala

Il Teatro alla Scala di Milano, fortemente voluto dall’Imperatrice Maria Teresa d’Austria, fu inaugurato il 3 agosto 1778, come da progetto dell’architetto Giuseppe Piermarini. Il nome del teatro è un omaggio alla chiesa di Santa Maria alla Scala, il luogo dove fu edificato.

Questo prestigioso palcoscenico ha visto la rappresentazione di alcune delle opere più celebri dell’Ottocento, tra cui la “Norma” di Bellini, l'”Otello” e il “Falstaff” di Verdi, “La Gioconda” di Ponchielli, il “Mefistofele” di Boito e la “Turandot” di Puccini.

Il Teatro alla Scala è stato il palcoscenico di esibizioni straordinarie di artisti di fama mondiale, tra cui le voci indimenticabili di Maria Callas, Luciano Pavarotti e Placido Domingo e i balletti di Leonide Massine, George Balanchine, Rudolf Nureyev e Carla Fracci.

Dal 1951, la Stagione della Scala si apre il 7 dicembre, giorno di Sant’Ambrogio, patrono del capoluogo, e questa tradizione è rimasta intatta. Se siete appassionati di opera o balletto, una serata alla Scala durante il vostro soggiorno a Milano si rivelerà un’esperienza indimenticabile.

Ricetto di Candelo

Ricetto, da “receptum”, rifugio. Tale l’origine del nome, che sta a indicare un rifugio fortificato protetto da mura a difesa di beni quali cereali, cibo in generale, acqua e vino. Diffuso in passato in Piemonte, dove ne sono presenti ancora oltre duecento, e in alcune zone dell’Europa centrale, il Ricetto trova uno dei suoi esempi meglio conservati a Candelo, in provincia di Biella, dal 2002 inserito fra i Borghi più belli d’Italia.

Vi si accede tramite un’unica torre-porta, protetta da due ponti levatoi, uno pedonale e uno per i carri, e da un fossato (interrato nell’800), che correva lungo tutti i 467 metri di lunghezza della cinta muraria. Quattro le torri angolari – di forma circolare, aperte verso l’interno, eccetto una di forma quadrangolare a rinforzo. Il Ricetto di Candelo presenta cinque rue, dal francese “vie”, disposte a formare altrettanti isolati, divisi in lunghezza da strettissime riane di circa 70 cm di larghezza, con la funzione di barriere anti propagazione degli incendi. Gli edifici sono invece detti cellule, sono privi di fondamenta e sono costituiti da vani sovrapposti, non comunicanti tra loro: il vino al piano terra, le granaglie al piano superiore.

Caratteristica unica del Ricetto è la presenza di circa 200 cantine tutte simili tra loro per struttura e dimensioni. Chi volesse immergersi nell’atmosfera di un tempo, può optare per il ristorante ricavato in una di queste cantine, dove si può anche ammirare un gigantesco torchio a vite del Settecento, un tempo cuore di una sorta di grande cooperativa vitivinicola.

La particolarità di Candelo è che nei secoli è stato sfruttato nei modi più disparati, passando da borgo dedito alla produzione tessile a teatro fino a set di produzioni televisive. A testimoniare questo suo ricco passato ci sono oggi alcune botteghe d’arte, il Centro documentazione dei Ricetti in Europa, il Piccolo Museo delle cose di Cucina e Pasticceria, e l’Ecomuseo della Vitivinicoltura.

Chi sceglie Candelo come meta per una gita fuori porta non potrà fare a meno di notare lo splendido contesto naturalistico in cui si trova calato, con le Prealpi biellesi da un lato e la Riserva Naturale della Baraggia dall’altro. Ricco anche il calendario delle manifestazioni ed eventi, fra cui Candelo in Fiore.

Palazzo Belmonte Riso

Palermo e i suoi molti principi. Si potrebbe scrivere un libro intero su questo argomento e sui palazzi aristocratici che affollano il Centro Storico del capoluogo siciliano. Fra i più splendenti c’è Palazzo Belmonte Riso, eco del potere economico dei Principi Ventimiglia di Belmonte. Costruito alla fine del Settecento, è un interessante esempio di residenza privata nobiliare, mix fra magnificenza tardo barocca e rigore neoclassico, dal 1986 di proprietà della Regione Sicilia. Grazie a una lunga opera di restauro, il palazzo è dal 2005 sede di “Riso, Museo d’Arte Contemporanea della Sicilia” che punta alla promozione dei giovani artisti e, insieme alla Cappella dell’Incoronazione e all’Albergo delle Povere, mette a disposizione della comunità uno spazio unico nel suo genere per mostre temporanee, spettacoli, concerti, rappresentazioni teatrali.

Presso Museo Riso si trova inoltre lo Sportello per l’Arte Contemporanea della Sicilia, S.A.C.S. archivio cartaceo e digitale degli artisti siciliani che rende fruibile a chiunque quanto le nuove generazioni di creativi locali stanno portando avanti in questi anni. A garanzia di questo ambizioso progetto sono stati anche costituiti il Comitato Valutazione Mostre – formato da Valeria Patrizia Li Vigni, Bruno Corà, Thierry Dufrêne, José Jiménez e Werner Meyer – e il Comitato Tecnico Scientifico, formato dal Presidente di Amici di Riso, dai Direttori delle due Accademie di Catania e Palermo, e dai rappresentanti delle più importanti fondazioni di arte contemporanea siciliane: la Fondazione Orestiadi di Gibellina, Fiumara d’Arte di Castel di Tusa, le Fabbriche Chiaramontane di Agrigento. Il Museo Riso è diventato Polo Museale regionale d’arte Moderna e Contemporanea di Palermo inglobando il Museo interdisciplinare di Terrasini.

Borgo Poffabro

“Presepe fra i Presepi”. Lo chiamano così Poffabro, frazione di Frisanco, in provincia di Pordenone, situato nella zona delle Prealpi Carniche. Man mano che ci si inoltra nella Val Colvera ci si immerge in un’atmosfera d’altri tempi, fra minuscoli borghi fatti di poche case e scorci che si aprono sulle cime del Parco Regionale delle Dolomiti Friulane che la circondano.

Frequentata fin dai tempi dei romani, la vallata era attraversata dalla Via Julia Concordia, che dalle lagune adriatiche conduceva verso le Alpi e oltre. Il territorio, dominato a partire dal Trecento dalla Serenissima, era dunque una zona di transito per gli scambi commerciali, fattore che riconduce alle origini del borgo “Prafabrorum”, il “prato dei fabbri”, eco probabilmente della presenza di numerosi addetti alla lavorazione del ferro.

Inserito dal 2002 fra i “Borghi più belli d’Italia”, Poffabro conserva ancora abitazioni del Cinque-Seicento, con le facciate rivestite di pietra tagliata a vivo e con i tipici ballatoi di legno, le scalinate tortuose e le corti interno cui si accede da stretti archi di sasso. Per queste sue caratteristiche, e per l’antica tradizione di esporre sui davanzali delle finestre dei presepi intagliati da abili artigiani locali, Poffabro viene appunto detto il Borgo Presepe. Da visitare a Natale, per apprezzarne l’atmosfera magica, e nel resto dell’anno per godere della natura incontaminata nei suoi dintorni.

Santuario di Vicoforte

Nel pittoresco comune di Vicoforte, tra le dolci colline monregalesi, sorge un gioiello architettonico senza eguali: il Santuario Regina Montis Regalis, noto anche come il Santuario di Vicoforte. Questo straordinario edificio, considerato uno dei massimi esempi di architettura barocca internazionale, vanta la più grande cupola ellittica al mondo e si posiziona come la quinta in termini di grandezza, preceduta solo da monumenti di fama globale come San Pietro in Vaticano, il Pantheon di Roma, la Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze e la cupola del Gol Gumbaz in India.

La storia del Santuario ha radici antiche, nel tardo Quattrocento, quando il proprietario di una fornace a Vicoforte fece erigere un pilone votivo tra i boschi attraversati dal torrente Ermena. Circa un secolo più tardi, il pilone campestre, ormai coperto dalla vegetazione, fu accidentalmente colpito da un colpo di fucile sparato da un cacciatore. Questo evento portò all’effrazione dell’immagine della Madonna col Bambino, con la comparsa di gocce di sangue dal dipinto. Questo miracoloso avvenimento scatenò una fervente devozione, culminata nel 1595 con la costruzione di una prima piccola cappella intorno al pilone.

Grazie all’afflusso sempre crescente di pellegrini e al supporto finanziario di Carlo Emanuele I, Duca di Savoia, il Vescovo di Mondovì avviò l’ambizioso progetto di costruzione di una vera e propria basilica che vide il coinvolgimento dei più insigni architetti del tempo. La realizzazione definitiva fu affidata ad Ascanio Vitozzi, un architetto orvietano, che stava trasformando Torino in una capitale di grande prestigio.
Con la sua morte nel 1615, il cantiere subì un arresto. Fu solo con l’architetto Francesco Gallo, che la costruzione riprese vigore tra il 1701 e il 1733. Gallo apportò correzioni strutturali alla parte già edificata, progettò il “tamburo” e costruì la maestosa cupola ellittica che sovrasta l’intera struttura.
Nel corso del XIX secolo, furono effettuati interventi sulle facciate e sui campanili, seguendo i gusti architettonici dell’epoca. Nel 1880, il santuario ottenne il prestigioso riconoscimento di “monumento nazionale”.

L’imponente cupola, all’interno, è arricchita dai capolavori pittorici di Mattia Bortoloni di Rovigo e Felicino Biella di Milano.

Intrigante e suggestiva, la visita alla cupola del Santuario di Vicoforte rappresenta un’esperienza emozionante che ti porterà a scoprire, gradino dopo gradino, la grandiosità e l’anima di questo eccezionale monumento. Un’opportunità unica di abbracciare la bellezza e la maestosità dell’architettura barocca in un contesto naturale di rara bellezza.

Cattedrale e Torrazzo di Cremona

1107. Risale a questo anno la posa della prima pietra della Cattedrale di Santa Maria Assunta a Cremona, la cui storia è stata a dir poco travagliata. Appena dieci anni dopo, infatti, la ricostruzione deve riprendere da capo a causa di un forte terremoto, e solo nel 1196 viene quindi consacrata, per poi essere ampliata nel transetto fra la fine del XIII e la metà del XIV secolo. Molti i rimaneggiamenti successivi all’originaria chiesa romanica, che nel tempo prende tutte le caratteristiche dello stile gotico, fino a diventare lo splendido edificio che ancora oggi vediamo, che fa del Duomo di Cremona uno dei più insigni esempi di architettura religiosa del Nord Italia.
Una volta sulla soglia, lo stupore è grande. Le pareti interne sono infatti decorate da affreschi dei più importanti esponenti della scuola pittorica rinascimentale cremonese: Boccaccio Boccaccino, Gian Francesco Bembo, Altobello Melone, Girolamo Romanino, Pordenone e Bernardino Gatti.

Potere religioso e potere politico si “affrontano” sulla piazza principale di Cremona, poiché proprio davanti al Duomo sorge il Palazzo Comunale, sede del governo della città, altrettanto da ammirare per la sua bella facciata scandita da un portico adorno di fregi. Fra le attrazioni della città c’è di sicuro anche il cosiddetto Torrazzo, la torre campanaria che svetta accanto alla Cattedrale, alta 112 metri e perciò fra le più imponenti d’Europa. Guardandola non si può non notare che in realtà si tratta di due strutture sovrapposte: una prima torre romanica del 1267 e una seconda torre a cuspide con pianta ottagonale, datata al 1305. Gli elementi culminanti, ossia la palla e la croce, risalgono invece al XVII secolo. Una costruzione assai complessa, dunque, da visitare e scoprire con i percorsi del Museo Verticale al suo interno, e che ha in serbo un’altra sorpresa: l’orologio astronomico che indicare il moto degli astri e le fasi lunari, installato nel 1583. Il meccanismo è ancora quello originale, il quadrante attuale, invece, è stato ridipinto nel 1970. E non è ancora finita. Nella cella campanaria sono racchiuse sette campane, ciascuna dedicata ad un santo e una in particolare dedicata al patrono della città, Sant’Omobono. Salire in cima al Torrazzo vale tutti i 502 gradini da percorrere per godere del panorama sulla città e sul fiume.

Basilica di San Valentino

Attorno alla figura di San Valentino sono nate e fiorite numerose leggende, alcune legate a guarigioni miracolose, altre connesse a riappacificamenti di coppie di fidanzati in lite. Nato a Terni nel IV secolo d.C., Valentino fu il primo vescovo della città umbra, martirizzato per decapitazione la notte del 14 febbraio 347 sul luogo dove, poco dopo, sorse la Basilica a lui dedicata.

Da lì, in memoria delle sue opere benefiche verso malati e fidanzati, il suo “dies natalis” è stato consacrato a Festa degli Innamorati, celebrato in tutto il mondo con il gesto simbolico di un dono floreale. Tale usanza avrebbe un’origine precisa: si dice che Valentino avrebbe infatti offerto un fiore a una coppia, che grazie alla Rosa della Riconciliazione sarebbe tornata serena.

All’interno della Basilica, rivista più volte nel corso dei secoli fino ad assumere l’attuale aspetto in stile barocco, sono conservate le reliquie del Vescovo Martire. Molti i visitatori illustri che vi hanno fatto tappa nel corso dei secoli: nel 742 l’edificio fu scelto come sede dello storico incontro fra il re longobardo Liutprando e Papa Zaccaria, proprio in virtù della presenza della salma del santo che si diceva avesse proprietà taumaturgiche.

Nel 1626 vi fece invece sosta Leopoldo V d’Austria, che in seguito fece costruire un nuovo altare maggiore in marmo, dietro al quale si trova il coro con la cosiddetta Confessione di San Valentino, ovvero un secondo altare eretto sulla tomba originaria di sepoltura di San Valentino.

Abbazia di Vezzolano

La scena sarebbe stata questa: nel 773, durante una battuta di caccia nella selva di Vezzolano, l’imperatore Carlo Magno si imbatte in tre scheletri, tre “zombie” usciti da una tomba che lo spaventano a morte. Su consiglio di un eremita, l’imperatore decide di edificare un’abbazia sul luogo dell’apparizione. Sorge così l’Ecclesia di Santa Maria di Vezzolano. Leggenda a parte, il primo documento che ne attesta l’esistenza è datato “solo” al 1095, il che fa comunque di questo maestoso edificio situato ad Albugnano, nell’astigiano, uno dei monumenti medievali più importanti del Piemonte. A identificarlo è uno spiccato stile romanico-gotico, che per giungere intatto ai giorni nostri ha dovuto resistere a momenti di grande declino. Se infatti fra Duecento e Trecento la Canonica astigiana ha raggiunto il suo massimo splendore quanto a importanza e prestigio delle opere d’arte, nel corso dell’800 l’Ecclesia, nota impropriamente come Abbazia, a causa dell’amministrazione napoleonica è stata espropriata dei suoi beni, trasformata in cappella campestre della parrocchia di Albugnano e il chiostro utilizzato addirittura come granaio. Ciononostante, la Canonica di Santa Maria di Vezzolano conserva pregevoli elementi artistici e un fascino senza tempo che ne fanno una tappa imprescindibile in un viaggio fra Langhe, Roero e Monferrato.

Palazzo Mazzetti

Con ospiti come Napoleone I e Carlo Emanuele III re di Sardegna, si può dire che Palazzo Mazzetti ad Asti è da sempre un punto di riferimento e di rappresentanza del Piemonte. Considerata una delle dimore nobiliari dell’astigiano più belle del Settecento, è frutto degli ottimi investimenti immobiliari della casata dei marchesi Mazzetti, arricchitasi nel corso dei secoli grazie a una proficua attività di Zecca. Già nel Seicento, nel quartiere di Corso Alfieri è documentata una prima grande abitazione di Giulio Cesare Mazzetti, formata dall’accorpamento di alcuni edifici medievali, attorno alla quale si vanno poi ad aggiungere altri corpi di fabbrica fino a comporre la situazione attuale, che nell’ultimo secolo ha visto mutare la sua funzione da abitazione privata a luogo consacrato all’arte. Acquistato nel 1937 dalla Cassa di Risparmio di Asti, poco dopo viene dato in concessione al Comune per ospitare il Museo e la Pinacoteca Civica. Nel 2001, Palazzo Mazzetti torna a essere di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Asti e dieci anni più tardi viene riaperto al pubblico, restaurato e riallestito nel suo percorso museale. Oggi, la Sala dello Zodiaco, la Sala dell’Alcova, il Salone d’Onore e lo Scalone ospitano le collezioni civiche astensi, in un excursus temporale che va dal periodo archeologico all’arte contemporanea.

Teatro Andromeda

Lorenzo Reina è una persona fuori dal comune. Che nella sua vita ha fatto cose fuori dal comune, in un luogo ai confini del mondo. Precisamente in Contrada Rocca, sui monti di Santo Stefano Quisquina, piccolo borgo d’origine medievale in provincia di Agrigento. Destinato a seguire le orme del padre pastore, Lorenzo non smette di coltivare i suoi sogni, e per anni, di notte, dopo aver ricoverato il gregge, inizia a intagliare alabastro, a scrivere poesie, a immaginare di realizzare un luogo dell’anima dove dare sfogo e voce all’arte. I suoi sogni un giorno prendono forma e nasce così il Teatro Andromeda, visionaria creazione di questo siciliano decisamente caparbio. Etica ed estetica si fondono in questo spazio all’aperto in cui il paesaggio è tutto, in cui i sedili sono pietre appena sbozzate che sembrano pecore in un recinto, la platea. E dietro la “skenè”, eco di quella degli anfiteatri greco-romani, un panorama emozionante, di sola natura, che spazia fino al mare, al Canale di Sicilia e al profilo di Pantelleria all’orizzonte.
Oggi, il Teatro Andromeda, che nel suo mondo richiama una galassia con miliardi di stelle, ospita spettacoli teatrali e concerti, ma vale la pena anche solo la visita, per immergersi in un silenzio assoluto e guardare al di là della scena aperta su un nulla molto significante, fino a scrutare l’orizzonte dove secondo gli antichi c’erano le Colonne d’Ercole.

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