Teatro Flavio Vespasiano

L’imperatore Tito Flavio Vespasiano è associato da sempre all’anfiteatro più imponente e celebre dell’antichità, il Colosseo di Roma, noto anche come Anfiteatro Flavio. Ma c’è un altro luogo deputato a spettacoli e cultura che lo ricorda, e sta nel centro di Rieti: il Teatro Flavio Vespasiano, nome che rendo omaggio all’imperatore originario della Sabina. Se per il Colosseo ci vollero appena otto anni per la sua costruzione, per il teatro reatino ne furono necessari circa una sessantina, a causa di una serie di divergenze fra architetti e committenti su luogo e costi della struttura. Finalmente, dopo mille difficoltà, sotto la guida dell’architetto Achille Sfondrini, il 16 dicembre 1883 fu posata la prima pietra, mentre il 20 settembre 1893 si tenne l’inaugurazione, sulle note del Faust di Gounod e della Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni. Ma fu un incipit breve, perché già dopo appena cinque anni, un terremoto provocò il crollo della cupola e di parte della facciata.

Solo alla fine degli anni novanta del Novecento, l’edificio è tornato a mostrare la sua allure piena di eleganza, caratterizzata da una grande cupola affrescata che è anche il dopo più prezioso per chi si esibisce su questo palco. Pare infatti che la sua acustica sia fra le migliori al mondo, tanto da aver ricevuto un riconoscimento ufficiale nel 2002, quando Uto Ughi ha decretato l’assegnazione della prima edizione del Premio Nazionale per l’Acustica proprio al teatro di Rieti. Un titolo di merito approvato anche dal professor Bruno Cagli, presidente dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, che lo ha definito in assoluto il migliore al mondo per la diffusione e la qualità del suono.

Ad oggi, qui si svolgono l’annuale Rieti Danza Festival, il Concorso internazionale per le nuove voci della lirica “Mattia Battistini”, il Concorso nazionale per giovani attori e alcuni spettacoli del Reate Festival, che celebra lo straordinario patrimonio del Belcanto italiano.

Abbazia di Fossanova

Priverno, Annus Domini 1208. Nella campagna attorno a questo piccolo vicus in provincia di Latina, in quell’anno sorgeva la monumentale Abbazia di Fossanova, uno dei primi esempi di architettura gotico-cistercense in Italia e uno dei meglio conservati. Per costruirla ci vollero ben 45 anni, partendo dai resti di un preesistente monastero benedettino datato al VI secolo, a sua volta eretto nelle vicinanze di una villa romana del I secolo a.C., ancora visibile davanti alla chiesa.

L’intero impianto ruota attorno al chiostro, fulcro della vita monastica di un tempo ma anche della comunità di frati minori conventuali che oggi ancora vi risiedono. Da qui si accede a refettorio, dormitorio, cucina e “shop” dei prodotti realizzati dai monaci, oltre che alla Chiesa di Santa Maria, dove si notano il magnifico rosone della facciata, il tiburio e i capitelli finemente scolpiti.

Museo di Storia Naturale di Calci

Pare impossibile, eppure il Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa veniva fondato meno di un secolo dopo la scoperta dell’America, e come tale è oggi uno dei più antichi del mondo. Alla fine del XVI secolo, si presentava già con una ricca collezione articolata in varie tematiche: mineralogia, paleontologia, entomologia, malacologia e zoologia, che poi nell’arco dei secoli sono andate ulteriormente incrementandosi costituendo un patrimonio di enorme valore storico e scientifico. In particolare, iconica è la Galleria dei Cetacei, con una tale quantità di scheletri di delfini e balene da essere considerata una delle più importanti al mondo, oltre a essere la prima in Italia per varietà delle specie rappresentate, cui si aggiungono reperti fossili, modelli a grandezza naturale, modelli tattili in scala e filmati.

In origine appariva come la “Galleria” annessa al Giardino dei Semplici di Pisa, l’attuale Orto Botanico, mentre dagli anni Ottanta ha sede nella Certosa di Pisa a Calci, un edificio del Trecento che già di per sé ha un inestimabile valore storico-architettonico. Il Museo è luogo di cultura tout court, essendo parte dell’Università di Pisa e organizzando eventi culturali ed esposizioni temporanee.

Villa Adriana

La magnificenza che trasmette oggi Villa Adriana a Tivoli è nulla rispetto a ciò che doveva essere duemila anni fa, quando fra il 118 e 138 d.C. fu realizzata su committenza dell’imperatore Adriano. I 40 ettari su cui si sviluppa il parco archeologico sono infatti solo un terzo dei 120 ettari iniziali, distribuiti su un pianoro tufaceo ai piedi dei Monti Tiburtini.
I lavori per la sua costruzione furono seguiti personalmente dall’imperatore, che fra le sue passioni aveva quella dell’architettura. Basti pensare che tre degli edifici più rappresentativi della Roma Antica furono voluti da lui: il Tempio di Venere e Roma eretto nel Foro, il Pantheon, rifacimento del precedente tempio costruito da Agrippa – ma da alcuni studiosi attribuito ad Apollodoro di Damasco, architetto ufficiale dell’imperatore Traiano – e Castel Sant’Angelo, destinato a tomba di Adriano ma poi riconvertito in fortezza dello Stato Pontificio.

Villa Adriana a Tivoli è, senza esagerazione alcuna, un capolavoro sotto ogni punto di vista: per la ricchezza della decorazione architettonica e scultorea – purtroppo in parte dispersa in varie collezioni private e musei di tutto il mondo in seguito alle sistematiche spoliazioni di marmi avvenute a partire dal Medioevo in poi – per la varietà di edifici e per le soluzioni architettoniche innovative per l’epoca e stupefacenti ancora adesso e per la vastità stessa del sito. Fra le particolarità da sottolineare c’è per esempio una rete viaria sotterranea carrabile e pedonale realizzata solo a scopo di servizio. E si aggiunga la spettacolarità di alcuni spazi, come per esempio le terme monumentali nelle dimensioni e la zona del Canopo e del Serapeo, specchio d’acqua contornato da statue e alberi maestosi.

In virtù di tutto ciò, dal 1999 Villa Adriana è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, cui nel 2001 si è aggiunta Villa d’Este, sempre a Tivoli, che vanta anche altre memorabilia, come il Parco Villa Gregoriana, area naturalistica situata sull’antica acropoli romana.

Museo delle Maioliche

Può una collezione di mattonelle diventare oggetto da museo? Sì, se queste sono frutto di una lavorazione artigianale sopraffina, siciliana e campana, e datata tra il XV e il XX secolo. A Palermo, nel quartiere della Kalsa, sorge Palazzo Torre Pirajno, in cui oggi ha sede questo originale museo dal nome altrettanto curioso, Casa Museo “Stanze al Genio”, ispirato alla fontana del Genio della vicina Piazza Rivoluzione. L’edificio, appartenuto prima ai Fernandez di Valdes, nel corso del Settecento ai Torre – Benso Principi della Torre e successivamente ad i Pirajno, solo di recente è stato restaurato e riportato al suo aspetto originario. Al piano nobile, dove tutto evoca il XVI e XVII secolo, otto sale sono state interamente restaurate per recuperare i decori originali celati da strati di intonaco, i lambris e buone parte delle pavimentazioni d’epoca. Con quasi 5000 esemplari di mattonelle esposte è una tra le più grandi collezioni aperte al pubblico in tutta Europa, suddivisa in base all’epoca ed alla provenienza geografica e incrementata ogni anno con l’inserimento di nuovi pezzi. Collezioni minori di giocattoli antichi, scatole di latta, oggetti vintage e articoli di cancelleria d’epoca fanno da corollario all’esposizione della Casa-Museo.

Palazzina di Caccia di Stupinigi

L’ultima arrivata sulla scena in ordine di tempo è forse la più bella e rappresentativa delle Residenze Sabaude che formano la cosiddetta “Corona di Delizie”. La Palazzina di Caccia di Stupinigi, situata a Nichelino, a meno di mezz’ora da Torino, è un indiscusso capolavoro del Settecento europeo, il cui progetto fu firmato da Filippo Juvarra, architetto di Casa Savoia. Committente Vittorio Amedeo II, che come i suoi predecessori desiderava un suo buen retiro nelle immediate vicinanze del capoluogo piemontese. L’architetto morì purtroppo poco dopo l’inizio dei lavori, nel 1736, ma la sua opera fu continuata e portata a buon fine da artisti e maestranze scelti fra i migliori dell’epoca: Benedetto Alfieri, Giovanni Battista Bernero, Bernard, Ignazio Birago, Ludovico Bo, Ignazio Collino, Francesco Ladatte, Ernst Melano, Pietro Piffetti, Luigi Prinotto, Tommaso Prunotto, Michele Antonio Rapous, Vittorio Amedeo Rapous, Domenico e Giuseppe Valeriano.

La bellezza sfolgorante e armonica della Palazzina di Stupinigi, giunta a noi intatta e in grado di trasmettere le stesse atmosfere sognanti e regali, nel corso del XVIII secolo raggiunse il culmine del suo splendore, rivaleggiando con le altre regge europee quanto a feste, balli, battute di caccia, fino a quando, con la rivoluzione francese, fu spogliata di alcuni arredi e l’Ordine Mauriziano venne abolito. Nel corso dei secoli la Palazzina ospitò numerosi personaggi illustri, come per esempio nel 1805 Napoleone con la sorella Paolina. Vi si svolsero pure nozze principesche, fra cui lo sposalizio fra Maria Teresa di Savoia e il conte d’Artois, futuro re di Francia Carlo X, e nel 1842 quello di Vittorio Emanuele II con Maria Adelaide di Lorena. Ultima Savoia a soggiornarvi fu tra il 1900 e il 1919 la Regina Margherita, dopo di che la proprietà passò al Demanio dello Stato e nel 1925, entrò nuovamente nel patrimonio dell’Ordine Mauriziano come sede per il Museo di Arte e dell’Ammobiliamento, destinazione che tutt’ora conserva.

Civita di Bagnoregio

Torbido da una parte e dall’altro Chiaro. Si chiamano così i due torrenti che scorrono ai piedi della collina al centro della Valle dei Calanchi su cui sorge Civita di Bagnoregio, detta “la città che muore”. Questo triste soprannome si deve alla natura argillosa del terreno, eroso oltre che dai due corsi d’acqua anche dai fenomeni atmosferici. Il paese è oggi quasi totalmente disabitato e vi si può accedere solamente per mezzo di una strada, realizzata in cemento, che fa da ponte verso il resto del mondo.

La vista sulla Valle dei Calanchi dal belvedere è di quelle che non si scordano. Da qui, il borgo sembra essere sospeso, magico e mistico, con i suoi vicoli stretti fra case antiche che sorgono attorno alla piazza principale, su cui affaccia la Chiesa di San Donato. Qua e là, la vista si apre sulla vallata sottostante e allora la sensazione è di essere nel vuoto, sorretti da una qualche misteriosa forza che ancora oggi custodisce questo borgo. Il borgo di Civita di Bagnoregio ha una storia che affonda le radici in epoca etrusca ed è segnata da diverse dominazioni, come quella dei Goti, poi dei Longobardi e infine dello Stato della Chiesa.

Abbazia di Montecassino

Le tre tastiere e le 5200 canne dell’organo settecentesco dell’Abbazia di Montecassino funzionano perfettamente, come fossero nuove, tanto quanto le 82 sedute intarsiate del coro ligneo poste attorno all’altare centrale. E questo grazie alla meticolosa opera di restauro che ha interessato tutto l’immenso complesso edilizio, raso al suolo dai bombardamenti degli Alleati nel 1944.

Un luogo che nei suoi 1500 anni di vita è stato duramente colpito più e più volte, per esempio nel 570 dal saccheggio dei Longobardi e nell’883 da quello dei Saraceni. Eppure, ogni volta, la prima abbazia fondata da San Benedetto nel 529 è risorta dalle proprie ceneri, arrivando a noi intatta nella sua bellezza architettonica, oggi custode di un immenso patrimonio di antichissimi manoscritti, codici miniati, incunaboli, paramenti liturgici, oreficerie sacre e persino di opere pittoriche di Sandro Botticelli, Luca Giordano e Pietro Annigoni.

Tesori portati in dono da duchi, principi, re, imperatori e pontefici, poi messi in salvo dalle truppe tedesche poco prima dell’attacco aereo, che per settimane li trasportarono in Vaticano in gran segreto, e infine riportati qui al termine del restauro. Una storia travagliata quanto ricca di colpi di scena, consacrata alla Regola benedettina dell’”Ora et labora”, e poi riconsacrata nel 1964 da Papa Paolo VI con queste parole: “Pace a questa casa e a tutti quelli che ne hanno dimora. Qui la pace troviamo, come invidiato tesoro nella sua più sicura custodia”.

Irpinia

L’Irpinia è una terra di passaggio tra due mari. il Tirreno e l’Adriatico, ricca di storia e cultura, di tradizioni religiose e popolari, di produzioni enogastronomiche di qualità. Il fascino dei piccoli borghi arroccati, che spesso ospitano fortificazioni e palazzi di pregio, ed il paesaggio naturale, fatto di boschi e corsi d’acqua ma anche di distese destinate a pascolo o a coltivazioni di grano e foraggio, costituiscono lo scenario per un’accoglienza calorosa, meta ideale per un turismo lento.

Il territorio, che corrisponde a quello della provincia di Avellino, è attraversato da itinerari culturali di grande valore storico: la Valle dell’Ofanto, la Via Francigena, la Via Appia e da cammini religiosi. È sede di due Parchi Naturali, il Parco regionale dei Monti Picentini e il Parco del Partenio, nel territorio dei quali sono presenti anche attrattori di interesse culturale oltre che naturalistico.

Tra le località che registrano il maggior numero di presenze di visitatori, in quanto meta di pellegrinaggio religioso, vi sono Montevergine con il Santuario dedicato alla Madonna “Mamma Schiavona” e l’Abbazia di Loreto e Materdomini, con il Santuario di San Gerardo Maiella. Entrambi richiamano ogni anno più di un milione di pellegrini in quanto luoghi di culto caratterizzati da una fervente spiritualità. Si trovano, inoltre, ubicati in aree di grande interesse naturalistico.

Il Santuario di Montevergine si trova nel territorio del Parco del Partenio che ospita al suo interno diversi sentieri sia di pellegrinaggio sia per gli amanti del trekking o del cicloturismo. In particolare, il Massiccio del Partenio è attraversato dal “Sentiero Italia” nel quale sono fatti convergere quasi tutti i 33 sentieri del Parco, in modo tale che l’intero territorio possa essere percorso da est (Ospedaletto-Summonte) ad ovest (Arienzo S. Felice a Cancello) per circa 35 chilometri e da sud (Valle di Lauro e Baianese) a nord (Valle Caudina), unendo simbolicamente in una unica rete ben 19 Comuni e 4 Province.  Nel territorio del Parco del Partenio si trova anche l’Oasi gestita dal WWF, la “Montagna di Sopra di Pannarano”.

Il territorio di Caposele dove si trova il Santuario di San Gerardo Maiella è noto per la presenza delle sorgenti del Sele che alimentano l’“Acquedotto Pugliese” e fa parte della comunità montana Terminio Cervialto e gran parte del territorio comunale ricade per l’appunto nel Parco Regionale Monti Picentini. Il fiume Sele è citato da Virgilio nelle Georgiche, successivamente anche da Plinio il Vecchio e Strabone.

Valnerina

Lungo il Nera si cammina, si scopre, si contempla. Siamo nella Valnerina, divisa fra le province di Perugia e Terni, e la direzione è quella che ci porta verso il confine con le Marche, e da qui, dopo i Piani di Castelluccio, al Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Questa è l’Umbria verde più verde che c’è, tutelato e valorizzato, ma anche golosa, delle norcinerie, del tartufo nero, delle lenticchie, del farro e dello zafferano che da queste montagne prendono sali minerali e salubrità dell’aria. E’ l’Umbria mistica degli itinerari di San Benedetto da Norcia e Santa Rita da Cascia, lungo un viaggio di meditazione che inizia proprio da qui, a Roccaporena, frazione di Cascia che nel 1381 vide nascere la Santa. I luoghi legati alla sua memoria, la casa dove visse, l’orto del miracolo, lo scoglio e il roseto sono vicino al Santuario realizzato nel secolo scorso su ciò che restava dell’antico monastero e della chiesa che ospitava l’urna con le sue spoglie.

A Norcia è invece la figura di San Benedetto a richiamare i fedeli, anche ora che la basilica a lui dedicata è stata pesantemente danneggiata dal terremoto del 2016. Un destino che nei secoli ha colpito la città più volte, ma che nonostante ciò è riuscita a conservare un notevole patrimonio d’arte e di memorie storiche, molte delle quali legate alla vita del fondatore dell’ordine benedettino. Quello che rimane incrollabile è il paesaggio che circonda Norcia: le cime innevate dei Sibillini che sfiorano i 2.000 metri, i fiumi Sordo e Corno che diventano palestre di canyoning e rafting, le grotte carsiche e le gole di free-climbing e speleologia, e le praterie, che in stagione diventano una tavolozza di colori per la fioritura delle lenticchie, da sorvolare in parapendio o deltaplano grazie alla Scuola Europea di Volo Libero che ha sede proprio a Castelluccio di Norcia.

Natura e religione ritornano anche a Preci. Anche questo borgo, 600 anime appena, è stato duramente colpito dal sisma del 2016, come pure l’Abbazia benedettina di Sant’Eutizio che ricorda l’eremita fondatore del borgo nel V secolo d.C., ma la tenacia della gente del posto sembra voler portare avanti lo spirito di quei monaci siriani asceti ed eremiti che attorno all’Abbazia realizzarono oratorio, foresteria per i pellegrini, farmacia, scuola di paleografia e miniatura, scriptorium e persino di una biblioteca di codici miniati. Non solo. A partire dal XIII secolo, fu in questo angolo sperduto fra i Monti Sibillini che nacque la cosiddetta scuola chirurgica preciana, da qui diffusasi in tutta Europa.

La Valnerina non smette di stupire con le due tappe successive: Cerreto di Spoleto e Monteleone di Spoleto. A Cerreto si fa sosta dai tempi dei Romani per godere dei benefici effetti delle acque ricche di zolfo e magnesio degli antichi Bagni di Triponzo, a Monteleone per affrontare uno dei percorsi trekking del Parco Naturale Coscerno-Aspra. La presenza di questo minuscolo paese arroccato sugli Appennini Centrali è nota anche agli appassionati di archeologia e persino a New York: qui, nella tomba a tumulo di un ricco principe locale, fu infatti rinvenuta la celebre biga di legno di noce e bronzo risalente al 540 a.C. Si tratta di uno dei reperti etruschi più rari mai ritrovati, noto oltreoceano come “The Golden Chariot”, Il Carro d’Oro, e unicum della collezione etrusca del Metropolitan Museum di New York. Una copia in scala 1:1 si può ammirare nei sotterranei del Complesso monumentale di San Francesco della fine del Duecento, a Monteleone. Non è la biga originale, certo, ma vederla contestualizzata nei luoghi che attraversò più di 25 secoli fa regala un’emozione che supera quella del Met.

Richiama temi e atmosfere ben diverse il Museo della Canapa di Sant’Anatolia di Narco, una sosta quanto mai esplicativa del contesto ambientale di tutta quest’area, detta delle Canapine proprio per la massiccia produzione di canapa. Il museo, ricavato nel cinquecentesco Palazzo Comunale del borgo, è parte dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra, che ha più sedi in tutta la valle, allo scopo di tramandare e diffondere la conoscenza di mestieri e arti antiche delle comunità locali.

In provincia di Terni si trovano infine i Comuni di Arrone, che deve il suo nome a un nobile romano che nel IX secolo scelse la Valnerina come sua nuova dimora, e Ferentillo, che ha la particolarità di essere diviso proprio dal corso del fiume Nera in due borghi, Matterella e Precetto.

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