Gravina di Fantiano

Immaginate di camminare nel fondo valle di una gravina, utilizzata in passato come cava per l’estrazione del tufo. Ecco, siete arrivati nell’insediamento rupestre delle Cave di Fantiano, tra i più importanti centri della comunità grottagliese durante il Medioevo, ma soprattutto una delle gravine più particolari della zona. A sud della Gravina di Riggio, in Agro di Grottaglie, si apre appunto la Gravina di Fantiano, immersa nella macchia mediterranea, una sorta di “riserva naturale” privata per chi in epoca medievale abitava l’insediamento rupestre.

Frequentato fin dal Neolitico, l’habitat si sviluppa su ampi terrazzamenti, con numerosi ambienti, cisterne e persino una scalinata nella roccia e alcuni incassi un tempo usati per le arnie.

Il sito di Fantiano è diviso in due proprietà: la prima comunale, utilizzata per manifestazioni ed eventi culturali, la seconda privata, decisamente più wild, dove si trovano tre aggrottamenti, Grotta della Fovea, Grottone dei Fossili e Ipogeo delle Arnie.

I borghi delle Marche

Il comune più popoloso delle Marche è Ancona, con poco più di 99.000 abitanti, mentre quello più piccolo è Monte Cavallo, in provincia di Macerata, con 101 abitanti (a fine dicembre 2020). Nel mezzo di questa amplissima forbice si vanno a collocare tutte quelle realtà che fanno delle Marche una regione rappresentativa della popolazione italiana, che secondo una recente statistica, per il 16% continua a vivere in borghi di poche centinaia se non addirittura decine di persone. Se però a partire dagli Anni Sessanta i borghi hanno subito un netto calo di presenze a causa del trasferimento di intere generazioni in città, negli ultimi tempi si sta registrando un’inversione di tendenza demografica, fenomeno in lenta ma costante crescita forse anche grazie ai nuovi stili di vita, che hanno trovato una perfetta applicazione in questi luoghi “minori”.

Quale migliore contesto infatti per riportare l’attenzione sulla bellezza di uno stile di vita più slow e immersivo nella natura, lontano dai ritmi spesso troppo caotici e stressanti dei centri metropolitani? Senza contare il valore aggiunto di godere ogni giorno, e non solo per il tempo di una breve vacanza, di importanti beni storici, architettonici, artistici, ambientali, culturali e di tradizioni radicate, con in più la consapevolezza del ruolo rilevante che si può rivestire ai fini dello sviluppo socio-economico della regione. Sono inoltre infinite le potenzialità economiche legate soprattutto alle attività turistiche, agroalimentari e artigianali, cui si aggiunge il dato certo e immediato che nei borghi c’è un’offerta residenziale a costi più contenuti e dal carattere più autentico, in una full immersion fra arte e natura che eleva la qualità di vita, seguendo un modello maggiormente in linea con i principi della sostenibilità.

Il Lazio e i luoghi della cultura monastica

Il tour del LAZIO legato ai luoghi della spiritualità non può non prendere avvio dalla “VALLE SANTA”, soprannome con cui è nota la Valle Reatina, destinazione ben nota a pellegrini e turisti desiderosi di intraprendere itinerari fra natura e misticismo, che qui possono affrontare il “Cammino di San Francesco”. Sono infatti quattro i santuari francescani in questa splendida conca verde, tappe di un viaggio immersivo nello spirito e nella bellezza artistica e green.

Prima sosta è il SANTUARIO DI GRECCIO, noto come la “Betlemme Francescana” perché fu qui che il “poverello” di Assisi, nella notte di Natale del 1223 mise in scena la prima rappresentazione della natività, ossia il primo Presepe della storia. Al di là di questo “dettaglio” che lo rende una meta speciale e unica, il Santuario appare da lontano incastonato nella pietra, come sospeso a mezza costa, tanto da sembrare un miracolo di ingegneria, oltre che per la spiritualità che emana.

Un miracolo vero avvenne invece al SANTUARIO DI SANTA MARIA DELLA FORESTA a Castelfranco: durante una sua sosta, Francesco notò che di uva in vigna ce n’era poca, tanto che i pellegrini non volevano neanche raccoglierla per pigiarla. Francesco insistette e, contrariamente a quanto immaginavano, da quei pochi grappoli raccolti, ottennero il doppio del vino dell’anno precedente.

Da ricordare anche l’episodio legato al SANTUARIO DI FONTE COLOMBO, soprannominato il “Sinai francescano”, in virtù del fatto che fu qui, in una grotta ribattezzata “Sacro Speco”, che Francesco stilò la regola definitiva del suo Ordine. Chiude idealmente questo iter il SANTUARIO DI SA GIACOMO, a Poggio Bustone, dove un angelo gli apparve in un momento di meditazione annunciandogli la remissione dei peccati e il glorioso futuro del suo Ordine.

E questo non è che l’incipit di un’esperienza concreta di connessione fra storia, arte, natura e fede. Il Lazio è infatti una delle regioni d’Italia più ricche di luoghi sacri e di culto, e questo senza contare la miriade di chiese e chiesine sparse ovunque e le oltre 900 presenti nella sola Roma. Tralasciando per un istante l’aspetto religioso, si tratta di decine di edifici e complessi architettonici più o meno articolati in grado di soddisfare ogni genere di gusto estetico e di coprire ogni epoca, creando un circuito attraverso il quale si può ripercorrere la storia della Chiesa dai suoi albori.

Talvolta, Monasteri, Abbazie e Santuari sono stati luoghi di accadimenti storici che hanno anche cambiato i destini dell’Italia. Basti citare la celebre battaglia che per quattro mesi, da gennaio a maggio 1944, ebbe come fulcro l’ABBAZIA DI MONTECASSINO. Di quell’evento drammatico che vide la perdita di 55.000 uomini delle truppe alleate e di 20.000 soldati tedeschi, vale qui la pena ricordare l’aspetto più “virtuoso”, se così si può dire: nei mesi precedenti all’inizio delle ostilità, l’esercito tedesco ebbe l’accortezza di mettere in salvo opere d’arte, archivi e documenti portandoli al sicuro in Vaticano. Operazione durata mesi e costata non poca fatica a frati e uomini di scorta al prezioso tesoro in cammino verso Roma, ma che poi, terminato il conflitto, permise di riportare tutto là dov’era.

Viterbo, la “Città dei Papi”, meriterebbe da sola un viaggio per esplorare con attenzione il centro storico, fermo all’epoca medievale e con emergenze di notevole interesse, religioso e architettonico, come il Palazzo dei Papi, la CATTEDRALE DI SAN LORENZO e la BASILICA DI SAN FRANCESCO ALLA ROCCA. Nella sua provincia poi, si scoprono piccoli gioielli d’arte come il MONASTERO DI SAN VINCENZO a Bassano Romano, che dietro alla facciata in stile rinascimentale-barocco nasconde un capolavoro michelangiolesco sconosciuto ai più ma che merita un cenno. Si tratta della statua del Cristo Portacroce, che il Buonarroti realizzò fra il 1514 e il 1516 e che lasciò incompiuta per una “vena nera” emersa nel blocco di marmo a scultura praticamente quasi terminata. Non solo. All’interno del Santuario si può anche ammirare una copia a grandezza naturale della Sacra Sindone conservata a Torino, il che fa di questo luogo una meta di pellegrinaggi. A Cura di Vetralla si trova invece il MONASTERO REGINA PACIS, destinato alla clausura delle benedettine, collocato ai piedi dei Monti Cimini ma soprattutto propri lungo la Via Francigena. Ai monaci cistercensi dell’Abbazia primigenia di Pontigny si deve invece la realizzazione, nel corso del XIII secolo, dell’ABBAZIA DI SAN MARTINO DI CIMINO, nell’omonimo borgo nel viterbese, in conseguenza della donazione di alcune terre da parte di Papa Innocento III, che voleva trasformare quest’area del Lazio in un polo di sviluppo agricolo.

Di grande importanza è anche l’ABBAZIA DI FOSSANOVA, a Priverno, Latina, il più antico esempio di gotico-cistercense, Monumento Nazionale dal 1874, che sotto le sue fondamenta nasconde addirittura una villa romana del I secolo a.C. Prima di ripartire, quasi d’obbligo acquistare vini e liquori dai frati minori conventuali devoti a San Francesco. Altro Monumento Nazionale, ma abitato da monaci benedettini, è l’ABBAZIA DI FARFA, gioiello della terra Sabina che nei suoi quindici secoli di vita, oltre a migliaia di pellegrini in cerca di pace e meditazione, ha attratto re, imperatori e papi, fra cui nel 1993 Giovanni Paolo II, frequentatore anche del bellissimo SANTUARIO MADONNA DELLA MENTORELLA a Capranica Prenestina.

Il viaggio prosegue nell’Agro Pontino visitando l’ABBAZIA DI VALVISCIOLO, straordinario mix di linee romanico-gotico-cistercensi, ma soprattutto luogo ricco di fascino e di “segni” che la legano al mondo dei Templari. Rimanendo in quel limbo fra leggenda e realtà, ora gli appassionati del mistero sanno dove andare. Un pezzo di storia e molto ben documentato è invece quello accaduto al MONASTERO DI SANTA SCOLASTICA a Subiaco, diventata nel 1465 la prima stamperia d’Italia grazie a due monaci tedeschi allievi di Gutenberg, mentre nel vicino MONASTERO DI SAN BENEDETTO, avvolti dal silenzio mistico e dalla natura incontaminata del PARCO NATURALE DEI MONTI SIMBUINI, si può contemplare il “Sacro Speco” dove il Santo di Norcia era solito ritirarsi in preghiera. Qui vicino, in una posizione da vertigine, si trova il SANTUARIO DELLA SANTISSIMA TRINITA’  di Vallepietra, piccolo da sembrare poco più di una cappella, ma meta di devoti che in questa sorta di “nicchia” scavata nella roccia trovano ispirazione e preghiera.

Tutto il contrario di come appare la CERTOSA DI TRISULTI, imponente e gigantesca da avere internamente alle mura, oltre alla chiesa, addirittura una “piazzetta”, un vasto giardino e una farmacia, edifici dove da linee e decorazioni di gusto gotico si passa a trompe –l’oeil di ispirazione pompeiana e arredi settecenteschi.

Il Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise fa poi da contorno al SANTUARIO DI CANNETO, elevato nel 2015 a Basilica pontificia minore. La ragione di questo “upgrade” fuori dal comune è presto detto: Silvana era una pastorella della zona che, come accadde a Bernadette di Lourdes, vide la Madonna che poi con un gesto fece sgorgare una sorgente da una roccia. Inutile dire che berne l’acqua è d’obbligo.

L’ultima tappa di questo ricchissimo itinerario riporta verso Roma. A strapiombo sul Lago Albano, nei Castelli Romani, si trova il CONVENTO DI PALAZZOLO, dalla storia singolare e parecchio ingarbugliata. L’edificio esisteva già dall’XI secolo, ma acquisì una certa importanza solo nel Settecento, quando divenne protettorato del regno del Portogallo, fino a essere adibito a sede dell’Ambasciata, salvo poi essere venduto a privati. Dal 1920, si può dire che fra le sue mura si parla un’altra lingua, ospitando i soggiorni estivi per i seminaristi del Venerable English College.

La Calabria dei Borghi

Borghi più belli d’Italia, Borghi Autentici, Bandiere Arancioni, Città Slow, Borghi Storici Marinari, Gioielli d’Italia e Paesaggi d’Autore. Non c’è tipologia di classificazione di eccellenze che non comprenda qualche “spot” calabrese.

Micro realtà che spesso sono annoverate fra le immagini iconiche e da cartolina della Calabria stessa: le guardi e sembra di poter sentire il vociare e l’eco dei passi in certi centri storici rivestiti di pietra color dell’ocra, dove antiche leggende rimandano a personaggi della mitologia o della storia, che hanno cambiato le sorti di un’epoca e che, sia sulla costa sia nell’entroterra, hanno dato vita a modelli di architettura mai tramontati. Fra mito e realtà, a seconda delle zone si passa da scavi archeologici datati all’età magno-greca a palazzi nobiliari del Medioevo, poi del Rinascimento e del Settecento, in un’alternanza di sobria eleganza e rigore da una parte e un’estasi di forme e volute dall’altra che riportano ciascuna a un’età d’oro e che sorprende lo sguardo, soprattutto se messe a contrasto con le modeste case di pescatori o pastori che fanno da contorno. Un insieme di grande atmosfera e impatto che è un po’ il paradigma di ciò che offre la Regione, disseminata di borghi dai promontori a picco sul mare fino alle irte vette di Sila, Aspromonte e Pollino. Nessuna zona esclusa.

Paesi di poche centinaia di anime che restano “arroccati”, è il caso di dirlo, alle loro tradizioni storiche, folcloristiche, artigianali ed enogastronomiche, popolando in ogni stagione il calendario di eventi capaci di trasmettere la cultura locale. Che sia attraverso una sagra all’insegna dei sapori più ruspanti, una solenne processione religiosa o una rievocazione in costume colma di eleganza e passione per quei tasselli di storia che rendono tanto orgogliosi anziani e giovani generazioni, la Calabria dimostra di essere viva e autentica. Si passa così da monumenti e celebrazioni ispirate alla Magna Grecia o alla civiltà dell’Antica Roma a testimonianze bizantine o normanne, fino ad arrivare alla trionfante ricchezza del tardo Barocco, in un excursus spazio-temporale sempre attento alla valorizzazione delle singole identità locali.

Per tutte queste ragioni e per la sua rilevanza regionale, La Calabria dei Borghi è stata selezionata da Unioncamere Calabria, in collaborazione con le Camere di Commercio di Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia, come prima destinazione regionale oggetto delle attività del Programma Sostegno al Turismo previsto dal Fondo di Perequazione di Unioncamere Nazionale, per aumentare la conoscenza dell’offerta regionale e dell’impegno del Sistema camerale a favore dello sviluppo turistico.

La Città dei Papi

Dal 1257 al 1281. Ventiquattro anni appena, ma tanto è bastato per far guadagnare a Viterbo l’appellativo eterno di “Città dei Papi“. In quel lasso di tempo brevissimo nell’arco della sua storia ultra millenaria, iniziata già con gli Etruschi, Viterbo fu in buona sostanza il nuovo “Vaticano”, e il Palazzo dei Papi e la sua loggia furono la “piazza San Pietro” dove i fedeli attendevano la benedizione del Pontifex Maximus. Anche dopo il ritorno a Roma della sede ufficiale, il Palazzo continuò a ospitare per periodi più o meno lunghi i Papi, in tutto una quarantina, accompagnati dal loro nutrito entourage. Ciò permise alla città di continuare ad arricchirsi di sontuosi edifici, chiese, chiostri, torri, fontane e monumenti di ogni sorta, un immenso patrimonio d’arte custodito da possenti mura medievali cui si accedeva da otto porte.

Molte le curiosità legate a questo pezzo importante di storia locale, fra cui quella che vuole nascere proprio qui il termine conclave. Questi i fatti: durante l’elezione del successore di Clemente IV, i cittadini, esasperati dal procrastinare della nuova nomina, segregarono i cardinali all’interno del palazzo, dichiarandoli “clausi cum clave” e arrivando persino a scoperchiare il tetto e a razionare gli alimenti.

Con o senza l’incursione papale nella sua storia, Viterbo si sarebbe comunque guadagnata un posto fisso negli annali per la ricchezza del suo sottosuolo. Dal III secolo a.C., qui vicino transitava l’importante Via Cassia, arteria consolare lungo la quale sorgevano già allora ben 14 stabilimenti termali alimentati da acque benefiche. In località Palliano c’erano per esempio le Terme del Masso o Massi di S. Sisto, i cui ruderi ben conservati fanno immaginare si trattasse di un impianto ricco e di dimensioni notevoli. Delle Terme delle Zitelle rimangono in particolare alcuni frammenti di meravigliosi pavimenti a mosaico, mentre le Terme della Lettighetta si connotano per la tipica pianta quadrata dalla forma a lettiga, da cui il nome. Le più sontuose e imponenti, come si può leggere dai resti, erano invece le Terme del Bacucco, talmente belle da incantare Michelangelo che le ritrasse in due schizzi. Ad oggi, questa antica tradizione di vacanze benessere prosegue con le Terme dei Papi.

La Dieta Mediterranea

Ancel Keys è l’epidemiologo statunitense padre della teoria della Dieta Mediterranea, messa a punto durante un lungo soggiorno nel borgo marinaro di Pioppi, frazione marina di Pollica, nel Cilento. Fu lui a scoprire il nesso diretto tra regime alimentare e patologie cardiovascolari e a portare il nome di questa località nel mondo, ma soprattutto, a diffondere i suoi studi sullo stile di vita dei cilentani, partendo dalle abitudini alimentari: pochi grassi saturi, consumo regolare di verdura, frutta, cereali, olio d’oliva e una moderata quantità di vino.

Per valorizzare questa straordinaria peculiarità, Legambiente, in sinergia con il Comune di Pollica, il Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, e altri soggetti territoriali, ha intrapreso un percorso che ha portato alla realizzazione dell’Ecomuseo della Dieta Mediterranea.

La valle dell’Esaro

Lungo le vie consolari dell’Antica Roma si faceva la storia. Letteralmente. Accadde anche nella Valle dell’Esaro, strategica via di collegamento tra la costa ionica e tirrenica della Calabria, dove si incrociavano l’antica Via ab Regio ad Capuam (poi da metà del II sec. a.C. Via Annia-Popilia) e le Vie Istmiche, di collegamento fra costa orientale e occidentale della Regione. Al centro della Valle, non potevano quindi che sorgere luoghi di importanza altrettanto strategica, primo tra tutti San Marco Argentano. Antica colonia della potente Sibari, fu base di Roberto il Guiscardo, che la trasformò in un’autentica “città normanna” ricca di monumenti che ancora oggi testimoniano il suo passaggio. A questo peso politico-militare, si aggiunse poi quello religioso, con la costruzione, sempre per volere del Guiscardo, dell’Abbazia di Santa Maria della Matina, monastero benedettino e poi cistercense da cui partì l’abate Ursus, ispiratore dell’Ordine dei Cavalieri Templari. Un’altra leggenda narra anche che gli stessi monaci di Matina, giunti a Gerusalemme per la prima crociata, fondarono niente meno che l’Ordine di Sion. E se ancora non basta, l’Abbazia calabrese ha molte analogie architettoniche e artistiche con quella di Orval in Lussemburgo. Inutile dire che studiosi e scrittori stile Dan Brown troverebbero in questi luoghi pane per i loro denti…

Poco più a est, la Valle dell’Esaro custodisce il borgo considerato la “culla del Rinascimento” calabrese, Altomonte, fra i “Borghi più belli d’Italia”, con la Chiesa della Consolazione, vero modello di arte gotico-angioina, e il Castello, normanno come la Casa-torre dei Pallotta. Il tutto con scorci che aprono sul Pollino, sulla piana di Sibari e il Mar Ionio. Nei pochi chilometri che separano San Marco da Altomonte, vicino a Roggiano, si possono visitare gli scavi archeologici che mostrano i resti di antiche ville romane, ulteriore segno di quanto per queste valli si facessero affari, politica, arte.
Oggi, a portare avanti il nome di Roggiano c’è qualcosa di più prosaico, il peperone roggianese, proposto essiccato – i pipazzi cruschi – e la pregiatissima qualità di olive, la roggianella.

Alta Valle del Tevere

Siamo in Umbria, nella provincia di Perugia, ma in passato, il territorio dell’Alta Valle del Tevere, o Valle Tifernate, fu oggetto di interessi politico-economici anche da parte di Arezzo e Montefeltro. Fattore che ha giocato a favore del territorio, arricchitosi nel tempo di influenze culturali e artistiche di notevole pregio. Basti pensare che nell’area gravitavano personaggi quali Piero della Francesca, Raffaello Sanzio, Giorgio Vasari e Bernardino di Betto Betti, alias il Pinturicchio, tanto da far ribattezzare la zona “Valle Museo”.

L’arte era ed è quindi un leit motiv di questo viaggio, che porta alla scoperta di borghi antichi affacciati su distese di campi coltivati a olio e vite sin dai tempi del popolo degli Umbri, e dal 1575 in poi di piantagioni di tabacco, o ancora immersi in foreste che scendono fino al fondovalle, lungo le anse del Tevere, che verso la Toscana lasciano spazio a castagneti. I marroni che ne derivano sono fra i prodotti locali più rinomati, base di una cucina “povera” e schietta, ma dai sapori intensi, che raggiunge il suo apice con il pregiato tartufo bianco.

Fra le tappe imprescindibili della “Valle Museo” c’è sicuramente Città di Castello, che dal Rinascimento a oggi non ha smesso di attingere risorse dai talenti artistici locali e non, offrendo ad oggi una bella Pinacoteca comunale, edifici eleganti come Palazzo Vitelli, fino al Centro documentazione delle arti grafiche Grifani – Donati, punto di riferimento nella valorizzazione della tradizione tipografica cittadina.

Palazzo Albizzini e gli ex Seccatoi del Tabacco sono invece sede della raccolta delle opere di Alberto Burri, grande maestro dell’arte contemporanea internazionale nativo proprio di Città di Castello.

Dal dominio della casata dei Vitelli, a Montone si passa a quella dei Fortebraccio, Signori della zona dal IX secolo in poi, avendo nel loro albero genealogico anche il celebre Andrea detto poi Braccio da Montone, uno dei più celebri capitani di ventura del Quattrocento. Nel borgo, imperdibile è la Collegiata di Santa Maria e San Gregorio Magno, dove ogni lunedì di Pasqua, dal 1310, si espone la reliquia della Sacra Spina.

Da una “reliquia” preistorica, un osso di tibia umana, è invece ricavato il cosiddetto “flauto di Pietralunga”, rinvenuto nei pressi del borgo di Pietralunga, oggi conservato nel Museo Archeologico di Perugia, che attesta come la zona fosse già abitata ben prima degli Umbri. Nel centro storico, si trova invece il Museo ornitologico-naturalistico, curioso non solo per gli appassionati birdwatching o naturalisti in erba.

Di raffinata arte topiaria si parla invece a San Giustino, grazie al Castello Bufalini, circondato da un meraviglioso giardino all’italiana con tanto di labirinto, e con sale decorate da affreschi attribuiti a Cristoforo Ghepardi e da capolavori pittorici di Luca Signorelli e Guido Reni. Nel centro storico ci si imbatte in un altro luogo significativo, il Museo della Storia e della Scienza del Tabacco, fra i pochi in Italia, dove si può ripercorrere la nascita e lo sviluppo di questa particolare coltura che tanta parte ha avuto nella storia dell’Alta Valle del Tevere e nella vicina Toscana.

Infine, Umbertide, in cui nome evoca la rigogliosità della verde vallata in cui si trova, percorsa per 50 km dal fiume che da qui prosegue il suo corso fino al cuore di Roma.

Alta Valle dell’Aniene

La scoperta dell’alta Valle del fiume Aniene può seguire itinerari di vario genere, in cui arte, storia, natura e religione si fondono in un paesaggio a dir poco suggestivo, dominato dagli Appennini centrali e dal corso dell’Aniene. Costeggiando l’affluente del Tevere si parte dalle pendici dei Monti Simbruini, oggi tutelati come Parco Naturale Regionale, e si arriva fino a Tivoli, dove il “Teverone”, questo il suo soprannome, genera una spettacolare cascata alta 130 metri. Subiaco è il centro più importante della valle, non a caso inserito fra i Borghi più Belli d’Italia e noto anche come “culla” del monachesimo e della stampa. Qui si trovano infatti numerosi edifici religiosi, fra cui i Monasteri di San Benedetto e di Santa Scolastica, e fu proprio nella biblioteca di quest’ultimo che nel 1465 due monaci tedeschi allievi di Gutenberg stamparono il primo volume d’Italia. Curiosità che va ad arricchire le attrattive di un borgo che ha già molto da offrire: da non perdere la millenaria Rocca Abbaziale, per la sua posizione panoramica in cima a uno sperone roccioso, per gli splendidi giardini da cui si domina tutta la valle, e per gli appartamenti nobili, ex dimora di Lucrezia Borgia.

Sul confine orientale del Lazio con l’Abruzzo si trova Camerata Nuova, sorta nel 1859 al posto di Camerata Vecchia, distrutta da un incendio. Ad attirare qui i turisti è la particolare morfologia del territorio che comprende la Valle di Fioio, il Monte Autore e il fondo della Femmina Morta, dove si sviluppano numerosi sentieri a piedi e a cavallo, che in inverno diventano piste per lo sci di fondo.

Fra i borghi della Comunità montana della Valle dell’Aniene c’è Jenne, il cui toponimo segue varie suggestioni: da quella latina che fa risalire il nome a Janua, “porta”, ad indicare la sua posizione di “guardiano” della valle, a Gehenna, “le porte dell’Inferno”, forse per il clima rigido dei mesi invernali.

Le escursioni naturalistiche sono motivo di visita anche a Trevi nel Lazio, posto sul crinale tra i Monti Simbruini e i Monti Ernici, il cui centro medievale offre molti tesori artistici e architettonici, primi fra tutti la duecentesca Collegiata di Santa Maria Assunta e il meraviglioso Castello Caetani, sede del Museo Civico Archeologico, che nei suoi dieci secoli di vita ha ospitato pure Papa Bonifacio VIII.

Altro promontorio roccioso e altro borgo, Filettino, che con i suoi 1075 metri è il centro abitato più alto della regione. Il nome spiega la sua originale conformazione, con le case una in fila all’altra, per via del crinale su cui furono erette a partire dal VI secolo, dalle popolazioni del basso Lazio in fuga per le invasioni barbariche. Vicino all’abitato si trovano le sorgenti dell’Aniene, immerse in un contesto paesaggistico di rara bellezza e integrità: boschi di abeti, betulle, faggi e querce oltre al laghetto “del Pertuso”, con scorsi che spaziano dal Gran Sasso d’Italia fino al Mar Tirreno.

Alto Molise

Il cerro e l’abete bianco sono per l’Alto Molise quello che l’acero è per il Canada. Un simbolo, che identifica un territorio richiamando subito alla memoria immagini di montagne coperte da boschi incontaminati. Accade soprattutto nella zona di Serra di Staffoli e di Selva di Castiglione per il cerro, e di Collemeluccio e Pecopennataro per l’abete bianco, e nei dintorni di Prato Gentile, come già di per sé ispira il toponimo, sono sostituite da praterie invase da un’eccezionale varietà floristica che nella bella stagione è un vero inno al colore con il Giardino della Flora Appenninica, uno dei rari esempi di “orto botanico naturale” esistenti in Italia vasto circa 10 ettari.

L’Alto Molise, compreso fra l’area urbana di Isernia e le province di Chieti e dell’Aquila, è così: una terra incontaminata, di montagne ispide percorse dai Tratturi, le antiche “autostrade verdi” della transumanza, che conducono verso borghi ricchi di storia e di splendidi monumenti, santuari, chiese, opere d’arte e architettoniche, dove ancora oggi si portano avanti tradizioni legate a prodotti artigianali ed enogastronomici, frutto di sapienza da esportazione.

Magari sotto forma di gigantesche campane, come accade da secoli ad Agnone, dove per le stradine del centro storico può ancora capitare di sentire riecheggiare i colpi del fabbro che plasma e fonde queste autentiche opere d’arte. Per scoprire i segreti di questo affascinante mestiere si può visitare il Museo Storico della Campana “Giovanni Paolo II” e la millenaria Fonderia Marinelli. Se poi si capita da queste parti nel mese di dicembre, e in particolare il giorno 24, si può assistere al rito igneo della N’Docciata, il “fiume del fuoco sacro”, sfilata di grandi torce portate a spalla da più di ottocento figuranti.

Temperature ben più rigide si trovano salendo a 1421 metri di quota, a Capracotta, rinomata stazione per lo sci di fondo.

Pietrabbondante, circondata da boschi irrigati da ruscelli e torrenti, è invece meta di appassionati di archeologia, a sud dell’abitato, sul pendio di Monte Saraceno, sorge un complesso di culto edificato dai Sanniti costituito da un tempio, due edifici e un teatro, forse l’esempio meglio conservato d’Italia risalente a quell’epoca.

Il momento migliore per andare a San Pietro Avellana è invece la seconda domenica di agosto, quando il borgo, parte dell’Associazione Nazionale Città del Tartufo, si anima per la Fiera del Tartufo Nero, kermesse cultural-gastronomica di grande richiamo anche per chi viene da Marche e Abruzzo. Se il viaggio è programmato in autunno, è l’1 novembre la data da segnare in calendario, per l’appuntamento fisso con la Mostra Mercato del Tartufo Bianco. Fra gli altri prodotti tipici dell’Alto Molise, che si distinguono sempre per la loro genuinità, ci sono i vini Doc Pentro d’Isernia, l’IGT Rotae e Tintilia, la Scamorza e la Soppressata molisana, il Caciocavallo di Agnone, il Burrino e la Stracciata.

Altre piccole sorprese le riservano Vastogirardi, un paradiso naturale grazie alla Riserva Naturale Orientata di Montedimezzo – Collemeluccio, Riserva MAB dell’Unesco, ideale per escursioni slow e decisamente a impatto zero; Carovilli, fra portali, lavatoi e fontane scolpiti nella pietra, e Pescolanciano, che per la sua posizione geografica è definito come “la porta dell’Alto Molise”. Situato lungo il tratturo Castel di Sangro-Lucera, si presenta con una serie di viuzze strette attorno al millenario Castello D’Alessandro, originale per la sua pianta esagonale e a strapiombo su uno sperone di roccia inaccessibile.

Skip to content