Castellaneta

Il borgo di Castellaneta, diviso in Marina e Gaudella, in zona rurale, è di quelli che si distingue, anche sulla carta. Il suo territorio è infatti fra i primi 100 Comuni italiani per estensione, per la precisione si colloca al 79° posto, in quanto va dalla Murgia tarantina fino al Mar Jonio, raccogliendo al suo interno una grande varietà di emergenze, naturalistiche e archeologiche.

Situato nel cuore del Parco naturale regionale Terra delle Gravine, nella parte occidentale della provincia di Taranto, detta “Arco Jonico”, presenta una serie di gravine e di lame (ossia le gravine con pareti meno scoscese) di origine fluvio-carsica, che fanno confluire nel fiume Lato le acque piovane. Lungo di esse, e in particolare sul ciglio della Gravina di Castellaneta, si riconoscono insediamenti rupestri datati fra il V e il X secolo, fra cui più interessanti quello di Santa Maria del Pesco, Santa Lucia e Santa Maria del Soccorso.

Ciociaria

Spa, Salus per Aquam, la “salute attraverso l’acqua”. Un acronimo oggi ben noto in tutto il mondo, che già duemila anni fa doveva essere di casa a Fiuggi, Cassino, Ferentino e Guarcino,” quattro mete che fanno della della Ciociaria e della provincia di Frosinone una vera e propria destinazione benessere. Complice anche la sua posizione centrale nel Lazio e quindi nel cuore d’Italia, la Ciociaria è da sempre un luogo privilegiato, oltre che per le sue fonti termali, per le bellezze paesaggistiche e i borghi storici. Basti citare Anagni, la “città dei Papi”, o Alatri, nota per l’Acropoli ricca di testimonianze storico-artistiche.

LE TERME DI FIUGGI
Il complesso di Fiuggi è composto da due stabilimenti idrotermali, vero toccasana per chi soffre di calcoli renali: la Fonte di Bonifacio, la più antica e scenografica, con numerose fontane poste lungo un viale di castagni secolari, e la Fonte Anticolana, quest’ultima attrezzata con campi da tennis, ping-pong, campi da bocce e il grande teatro delle Fonti, luogo di spettacoli e rassegne culturali soprattutto nel periodo estivo. Per la pratica del golf c’è invece un prestigioso Golf Club, sorto nel 1928 e fra i più antichi d’Italia. Chi non è avvezzo al green, può comunque visitare il suo splendido parco.

LE TERME VARRONIANE A CASSINO
Non è difficile immaginare Cicerone, Marco Antonio e Marco Terenzio Varrone seduti qui, a bordo delle piscine delle Terme di Cassino, dette appunto Varroniane. Chissà se soffrivano di disfunzioni epatiche, o se le frequentavano solo per quella forma d’otium che oggi chiameremmo relax. Di certo, allora, annessa allo stabilimento non c’era tutta l’area attrezzata per massaggi e trattamenti di bellezza che oggi fanno di Cassino una moderna Spa di tutto rispetto. Se poi si vuole integrare il relax con attività sportiva e un pizzico di avventura, il consiglio è di fare un’escursione di rafting che parte proprio dalle Terme.

LE TERME DI POMPEO A FERENTINO
Il nome parla chiaro: a scoprire e sfruttare le acque sulfuree medicamentose di Ferentino furono i Romani. La tradizione vuole che fu Domitilla, nipote dell’Imperatore Vespasiano, a far costruire il primo stabilimento, che da allora non ha mai cessato l’attività. Semmai, l’ha evoluta: oggi, il percorso termale è integrato da Kneipp, idromassaggi e bagni turchi, oltre che da massaggi, fanghi e inalazioni proposti anche in versione “kids”, per i bambini.

LA FONTE FILETTE A GUARCINO
Un buon prosciutto artigianale, amaretti e biscotti alle mandorle da assaggiare e portare a casa, e un’ottima acqua da bere. Il borgo di Guarcino offre proprio tutto per stare bene, fra cui appunto una fonte di acqua minerale ben nota al grande pubblico caratterizzata da un basso residuo fisso che aiuta l’assorbimento di minerali, facilita la digestione e apporta ossigeno ai tessuti.

Strade del Vino, dell’Olio e dei Sapori di Toscana

La Toscana e il vino, una storia che va avanti e si evolve da più di 2.500 anni, da quando cioè gli Etruschi iniziarono a plasmare il paesaggio con filari di viti, come accadde in realtà anche in molte altre Regioni d’Italia. Ma è qui che la sua produzione e il suo commercio iniziarono ad acquisire un valore tale per cui nel 1282 veniva fondata la corporazione dell’Arte dei Vinattieri, e già nel 1300 nasceva la “Lega del Chianti”, identificata con il marchio del “Gallo Nero”. Lo stesso che ancora oggi campeggia sulle bottiglie prodotte in un’area però ben più vasta di quella iniziale. Se infatti in principio erano tre i comuni in cui si faceva – Radda, Castellina e Gaiole – oggi il territorio comprende Castelnuovo Berardenga e Poggibonsi in provincia di Siena, San Casciano Val di Pesa, Tavarnelle Val di Pesa, Greve in Chianti e parte del comune di Barberino Val d’Elsa in provincia di Firenze. Dal punto di vista geografico, è compreso tra le province di Firenze, Arezzo e Siena, per cui si sente parlare anche di Chianti dei Colli Fiorentini, dei Colli Senesi o dei Colli Aretini detto anche di Montespertoli.

Oltre al Chianti, la Toscana su una superficie di 58.000 ettari di cui il 67% in collina e il 25% in montagna – produce numerosi altri vini, per l’85% rossi e rosati, e il restante 15% bianchi, che in tutto si sono guadagnati sul campo 11 DOCG, 41 DOC (pari al 69% della produzione complessiva) e 6 IGT.

Sulle tavole toscane arrivano però numerosi altri prodotti tipici, in grado di colmare una straordinaria dispensa: il pregiato tartufo bianco di San Miniato, la fiorentina della Val di Chiana, il pecorino, il farro della Garfagnana, il lampredotto, la trippa, il salame toscano, la finocchiona, il panforte, i cantucci, i ricciarelli, la schiacciata fiorentina, i cenci, il lardo di Colonnata e l’immancabile olio extra vergine.

Borghi più belli della Basilicata

La tavola lucana ha molte similitudini con quella di Puglia e Calabria. Vanta però un’originalità e un primato: l’invenzione della lucanica, salame speziato già noto ai Romani. Quando si uccide il maiale, rito antico che ancora oggi fa accantonare un po’ ogni altra attività nel periodo fra novembre e dicembre, si festeggia con carne passata al tegame e peperoni in conserva. La sugna fresca è addizionata con peperoncino tritato, detto anche diavulacciu, e poi spalmata su fette di pane casereccio. A base di suino sono anche i sughi di accompagnamento agli strascinati, pasta fresca fatta in casa.

L’amore per la pasta fresca fatta con semola di grano duro è antica, come testimoniano i molti piatti a base di cavatelli, fusilli o ferretti, lavorati con un ferro lungo e sottile. Il pane, di grano duro e cotto nel forno a legna, supporta la minestra di fagioli e funghi cardoncelli, con cotenne di maiale e peperoncino. Fra le carni, vince di sicuro quella di agnello, che si prepara come spezzatino, cotto nel coccio con patate, alloro, peperoncino e cardoncelli. Anche capretto e mucca podolica sono carni spesso presenti in menu nelle case lucane, così come i formaggi di latte di pecora e capra. Vessillo dei prodotti caseari Made in Basilicata è sicuramente il pecorino di Moliterno, a latte misto, caprino e ovino, prodotto per lo più in Val d’Agri, nel Potentino.

Come in Calabria, qui si produce anche molta liquirizia, pianta spontanea che prospera lungo i corsi d’acqua, come accade presso i fiumi Bradano, Basento, Cavone, Agri e Sinni. Alcuni documenti attestano per esempio che i borghi di Bernalda, Tursi, Montalbano e Nova Siri già nel XVIII secolo avevano un ricco commercio di questa radice spontanea, oggi coltivata con successo. A condire ogni prelibatezza arriva poi l’olio extravergine locale, generato dagli oliveti più vecchi d’Italia, che annoverano ben 27 distinte varietà autoctone e attingono minerali importanti da un territorio per lo più di origine vulcanica. Godono di questa mineralità anche i vini autoctoni, fra cui spiccano l’Aglianico del Vulture DOC e il Superiore DOCG. Seguono poi altre tre DOC, il Grottino di Roccanova, il Matera e il Terre dell’Alta Val d’Agri cui si aggiunge il Basilicata IGT.

Campania Felix

Una cucina dalle infinite sfumature quella della Campania, aristocratica e gustosamente plebea, che intreccia mare e terra senza distinzione o prevalenza alcuna. Una cucina che si avvale di prodotti premiati con le classificazioni DOP e IGP, frutto di una campagna “felix” per via della fertilità generata da fenomeni vulcanici e affini.

Sulla pizza, alimento mitico e universale, si possono trovare molti degli ingredienti di eccellenza che la rendono un emblema di italianità, oltre che di regionalità: in primis, la Mozzarella di Bufala Campana, DOP come il Caciocavallo podolico dei Monti Alburni e il Provolone del Monaco della Penisola Sorrentina, tre dei numerosi gioielli di una produzione casearia ampia e di qualità. DOP sono anche varie tipologie di olio extravergine d’oliva, la Colatura di alici di Cetara e, complice la pummarolla, il Pomodoro di San Marzano e il Pomodorino del Piennolo del Vesuvio, entrambi portabandiera di una ricca selezione di ortaggi e frutta di altissima qualità. Fra questi spiccano il carciofo di Paestum, le Olive di Gaeta DOP, il Fico bianco del Cilento DOP e il limone di Sorrento, con cui vengono prodotti oli essenziali, liquori e conserve.

Dopo la pizza, c’è la pasta secca, altro emblema della cucina di territorio, prodotta in centinaia di pastifici artigianali – assiepati in particolare nella zona di Gragnano, in provincia di Napoli – dove la trafilatura al bronzo, l’essiccazione lenta e a basse temperature sono ancora gli elementi cardine di una filiera controllata.

Fra i salumi, se il più comune è il salame di Napoli e il più sfizioso è il prosciutto di Pietraroja, quello più di nicchia è la salsiccia di polmone, detta anche polmonata, a base di carne di maiale nero casertano. Salumi che in genere ben si accompagnano a molti dei vini autoctoni, che negli ultimi anni hanno conquistato sempre più terreno – 24.000 gli ettari vitati – e sempre più “premi”, come certificato da ben 15 DOC (Ischia, Capri, Vesuvio, Cilento, Falerno del Massico, Castel San Lorenzo, Aversa, Penisola Sorrentina, Campi Flegrei, Costa d’Amalfi, Galluccio, Sannio, Irpinia, Casavecchia di Pontelatone, Falanghina del Sannio), 4 DOCG (Taurasi, Greco di Tufo, Fiano di Avellino e Aglianico del Taburno) e 10 IGP (Colli di Salerno, Dugenta, Epomeo, Paestum, Pompeiano, Roccamonfina, Beneventano, Terre del Volturno, Campania e Catalanesca del Monte Somma).

I borghi delle Marche

Fra i vini delle Marche vanno annoverate due autentiche e apprezzatissime rarità: il Verdicchio di Matelica, un bianco suadente dal gusto tendente all’amarognolo, e la frizzante, vellutata e amabile Vernaccia di Serrapetrona, spumante di color rubino, dal profumo di bacche rosse e spezie. Entrambi questi vini sono protagonisti di itinerari che puntano a far conoscere, oltre che il prodotto, il territorio con tutte le sue sfumature fatte di emergenze storico-artistiche: ecco dunque la Strada del Vino Verdicchio di Matelica e quella di Serrapetrona, che tappa dopo tappa portano a esplorare rispettivamente la zona collinare attorno a Jesi, in provincia di Ancona, e quella nei dintorni di San Severino Marche.

Ma la lista dei vini migliori Made in Marche non è finita: sono altri quattro gli itinerari enogastronomici legati ad altrettanti vitigni. C’è la Strada del Vino Doc Lacrima di Morro d’Alba, nell’anconetano, quella del Verdicchio dei Castelli di Jesi, nella Vallesina, che dall’entroterra di Ancona conduce sulla costa adriatica. E altre due sono quelle dedicate alla scoperta del Vino Rosso Piceno Superiore e del Rosso Conero, diffusi lungo la Riviera del Conero e in tre comuni più interni, Offagna, Castelfidardo e Osimo.

Borghi più belli d’Italia in Piemonte

Con un patrimonio di oltre 370 prodotti agroalimentari tradizionali, chi visita il Piemonte sa di poter attingere ogni giorno qualcosa di nuovo da questa incredibile dispensa di bontà, che trova il suo meglio in produzioni tipiche di particolare pregio: basti citare grandi vini rossi quali Barolo e Barbaresco, bianchi e spumanti dell’Astigiano, la Nocciola Tonda Gentile di Langa e il superbo Tartufo Bianco d’Alba.

Non è certo un caso che proprio in terra di Piemonte siano nati alcuni dei “movimenti” più importanti sui temi food&wine, sostenibilità e valorizzazione delle tipicità. Nel Castello di Pollenzo di Bra, in provincia di Cuneo, hanno sede la Banca del Vino e la prima Università di Scienze Gastronomiche – una sorta di ONU di studenti provenienti da oltre 60 Paesi – create a loro volta sulla scia del successo di Slow Food, l’associazione internazionale no profit per la promozione della cultura dell’enogastronomia di territorio. Fondata nel 1986 proprio a Bra da Carlo Petrini, da allora Slow Food ne ha fatta di strada: a oggi conta 70.000 soci sparsi in più di 150 Paesi e organizza una serie di importanti eventi sul tema, fra cui il biennale Salone del Gusto di Torino è quello di punta. Al Salone, nel tempo si sono aggiunti, fra gli altri, anche Slow Fish, Cheese, Master of Food, Slow Food Youth Network e Terra Madre. Dei 367 Presidi Slow Food in Italia, ben 37 sono radicati in Piemonte, vedi l’aglio storico di Caraglio, il burro a latte crudo dell’alto Elvo, il cavolfiore di Moncalieri e così via, fino alla tuma di pecora delle Langhe.

La ricca dispensa subalpina è dunque uno stimolo fondamentale al viaggio, una delle arterie lungo la quale ogni anno si spostano migliaia di turisti a caccia di prelibatezze, da gustare in osterie e agriturismi come in ristoranti stellati, dove chef di fama hanno saputo rielaborare tradizione e tecniche nuove. O da portare a casa insieme alla voglia di tornare in Piemonte per apprezzare ancora una volta la sua cultura del bien vivre.

Borghi più belli d’Abruzzo

Campo Imperatore, altopiano a 1800 metri nel cuore del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. È qui che a maggio, migliaia di pecore salgono al pascolo secondo l’antico rito della transumanza, per poi dare il via al processo di produzione del formaggio Canestrato di Castel del Monte. Il latte viene filtrato, riscaldato a 35-40°C per 15-25 minuti e addizionato con caglio naturale (ottenuto dallo stomaco di agnello), cotto a 40°-45°C per 15 minuti circa, e infine pressato nelle fiscelle e lasciato riposare al fresco nelle casere. Sempre sul Gran Sasso, fra i 600 e i 1400 metri di quota, dove il freddo e le quote elevate permettono di ottenere un risultato qualitativo eccellente, si coltivano la varietà di Grano solina dell’Appennino abruzzese e la squisita Lenticchia di Santo Stefano di Sessanio, mentre sull’Altopiano di Navelli si producono ceci di piccole dimensioni, nelle varietà bianca e rossa, ideali per zuppe e minestroni.

Con le essenze più tipiche di queste montagne e del massiccio del Sirente Velino, la santoreggia e la stregonia, si aromatizzano due mieli monofloreali. Dall’alta e media valle del Sangro e dell’Aventino, alle pendici orientali della Majella, proviene invece il salume tradizionale noto come salsicciotto frentano, insaccato di carne di maiale realizzato con tagli pregiati quali prosciutto, spalla, lombo e capocollo, con aggiunta di sale e pepe. A insaporire i piatti della tradizione locale ci sono infine tre olii extravergine d’oliva DOP, l’Aprutino Pescarese, il Pretuziano delle Colline Teramane e quello delle Colline Teatine, tutti molto fruttati e aromatici. Di olive sempre si tratta quando si parla di “intosso di Casoli”, trattate con il cosiddetto “sistema sivigliano”, che prevede la fermentazione lattica in una soluzione salina per una decina di giorni.

Turismo dell’Olio

Ruspante e schietta, la cucina umbra affonda le radici nella cultura Etrusca e Romana, e può contare su prodotti generati da una terra fertile e da un clima mite: in primis, i suoi superbi tartufi, seguiti da pregiati legumi, caci e caciotte, salumi e insaccati da intenditori, e per innaffiare il tutto vini di qualità in quantità e un olio extra vergine d’oliva fra i migliori d’Italia, compreso in un’unica denominazione “Umbria DOP”.

Il tour dell’Umbria dai sapori nobili non può non prendere abbrivio che dal tartufo nero. Raccolto da marzo a novembre nelle terre che fiancheggiano il corso del fiume Nera e nei boschi fra Spoleto e Norcia, si gusta grattugiato, con acciughe, olio e prezzemolo, nonché come base della salsa per gli spaghetti alla Nursina, o con la trota, o ancora tagliato in sottili scaglie con uova al tegamino o sotto forma di frittata. Il tubero più ricercato comprende anche lo scorzone e il raro tartufo bianco tipico dell’alta valle del Tevere, tra Orvieto e Gubbio. Norcia, che deve il nome alla dea etrusca della fortuna, Nortia, è anche la perla del Parco Nazionale dei Monti Sibillini ma soprattutto la patria di straordinari salumi, tanto da dare il suo nome all’arte di confezionarli, la norcineria.

Tra i cereali primeggia il farro di Monteleone protagonista della zuppa di San Nicola, con cipolla e sedano, olio e pecorino. Dalla Piana di Castelluccio di Norcia provengono le celebri lenticchie, da gustare in purea o da fare in minestra di riso con un battuto di lardo, mentre dal Lago del Trasimeno giunge la Fagiolina, Presidio Slow Food che si consuma cotta e condita con un filo d’olio a crudo. Ventresca e guanciale di maiale prendono il posto dell’olio in molti piatti, come gli spaghetti col rancetto, salsa di pomodoro, cipolla, guanciale e maggiorana. Dalle zone lacustri si attinge la materia prima per piatti a base di pesce. Si pescano la tinca, il persico reale, il luccio, l’anguilla e il latterino. La carpa regina, ottima cucinata in porchetta, è il pesce più conosciuto e consumato nel Trasimeno e le sue uova pregiate vengono utilizzate per le zuppe. Fra queste, squisito è il “tegamaccio”.

Le carni bovine, ovine e suine – un tempo cotte alla brace nei grandi camini dei castelli che dall’alto di promontori rocciosi dominano le verdi vallate umbre – sono destinate per la maggior parte alla graticola o allo spiedo, dove di solito gira l’agnello, tagliato a tocchi e steccato con grasso di prosciutto, aglio e rosmarino. Marzo è tempo di palombacci, piccioni selvatici che a Foligno e Todi sono cotti nei tegami di coccio o gustati “alla ghiotta”, aromatizzati con chiodi di garofano, vino, aglio e olive nere. Protagonista di molte sagre è la torta al testo, o crescia, di pasta non lievitata e cucinata sul testo, il tradizionale disco di pietra arroventato. Crescia da accompagnare con salsicce, rucola e prosciutto di Norcia.

E poi…poi ci sono i vini, già decantati da Plinio il Vecchio e Marziale, e che oggi possono vantare ben 11 DOC, 2 DOCG e 6 IGT, da scoprire lungo quattro Strade del Vino, dette del Cantico, Etrusco Romano, del Sagrantino e dei Colli del Trasimeno. Qualche numero può sintetizzare la forza straordinaria di questo settore sempre più trainante dell’economia locale: con una superficie vitata pari a 17.000 ettari, di cui il 30% in montagna e il restante 70% in collina, l’Umbria ha decisamente un elevato rapporto fra superficie coltivata a vite e disponibile. Ed entrando nello specifico, produce per il 53% vini rossi e rosati, e per il 47% bianchi, di cui 45% DOP e 44% IGP. La prima DOC, quella del Torgiano, risale al 1968, cui sono seguite nel 1990 la DOCG del Torgiano Rosso Riserva e nel 1992 quella del Montefalco Sagrantino.

Dulcis in fundo, non si può che chiudere con un rapido excursus di dessert tipici: la Ciaramicola, un ciambellone meringato e ricoperto di confettini tipico del periodo pasquale; il Torcolo di San Costanzo, dedicato al Santo Patrono di Perugia; le Pinoccate e il Torciglione preparati nel periodo natalizio; la Attorta o serpentone, un dolce di pasta sfoglia ripiena di mele, cacao e noci a forma di spirale, e la Crescionda, dolce dalla consistenza morbida costituito da tre strati, entrambi originari di Spoleto e dintorni; il Pampepato di Terni, dolce dalle origini antichissime, riccamente natalizio con i suoi 16 ingredienti, tra noci, mandorle, pinoli, cioccolato, canditi, sui quali spicca, ovviamente, il pepe.

La Calabria dei Borghi

I nomi che identificano i principali piatti o prodotti calabresi suonano spesso criptici ai forestieri, celando tradizioni antiche e poliglotte. Greci, Romani, Normanni e Arabi oltre che nell’architettura hanno lasciato il segno anche a tavola, soprattutto nella cucina delle piane più prossime al mare. Richiama la francese andouille la ‘Nduja, salsiccia di carne, lardo, fegato e polmone di maiale, originaria di Spilinga e dei comuni limitrofi dell’altopiano del Monte Poro, area nota anche per la produzione di un Pecorino, detto appunto di Monte Poro o “casu”, ottimo al naturale o alla griglia o come condimento di piatti filanti. La devozione locale per il suino è testimoniata anche dalla Sopressata Dop e da un piatto tradizionale come il murseddo, striscioline di trippe, fegato di vitello e maiale con l’aggiunta di pomodoro e peperoncino, racchiuse nella pitta, disco di pasta di pane che richiama la greca pita. Carne di porco pure nelle opulente sagne chine, lasagne imbottite con macinato di maiale, piselli, cacio, funghi, carciofi e uova sode. Altrettanto iconica come la ‘Nduja è la Cipolla rossa di Tropea IGP, vessillo della zona di Vibo Valentia. Particolarmente utilizzata per la preparazione di insalate fresche, è impiegata anche come ingrediente base di specialità gastronomiche tra le più varie, quali conserve, condimenti, salse, paté e confetture, e persino un gelato a dir poco sui generis. Il dolce calabro per eccellenza è originario della stessa provincia: è il Tartufo di Pizzo, nato qui in virtù dell’usanza di utilizzare la neve delle Serre e della Sila per realizzare granite e sorbetti con le fragole di bosco locali, o con le mandorle e i limoni della vicina Sicilia.
Il borgo di Buonvicino, nel cosentino, è invece legato a un altro agrume, il cedro, mentre il Bergamotto di Reggio Calabria è una DOP che dà i suoi frutti anche con l’olio essenziale, utilizzato nella cosmetica e nella profumeria di lusso.

Quanto ai vini, rapidi passi da gigante sono stati fatti negli ultimi anni in fatto di qualità, permettendo alle aziende locali di arrivare alla classificazione di ben 8 Doc e 6 IGP. A fare da portabandiera dell’Enotria, “terra del vino” – così l’avevano ribattezzata i coloni greci – è oggi il Cirò Doc, prodotto a Cirò e Cirò Marina, nel crotonese, come rosso, rosato e bianco. Nella stessa provincia si coltivano altre due Doc, il Santa Anna di Isola di Capo Rizzuto e il Melissa, con blend di uve che comprendono Gaglioppo, Nocera, Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio, Malvasia nera, Malvasia bianca e Greco bianco.

Si va in provincia di Cosenza per degustare invece i Doc Savuto e Terre di Cosenza, dove sono state identificate sette sottozone, caratterizzate dalla produzione di vini particolarmente pregiati, quali Condoleo, Donnici, Esaro, Pollino, San Vito di Luzzi, Colline del Crati e Verbicaro. Nel catanzarese si beve invece con lo Scavigna Doc, bianco e rosso. Se la zona è quella di Reggio, si pasteggia con Bivongi e Greco di Bianco Doc. Gli IGP riportano invece i nomi di borghi come Scilla e Palizzi, di zone quali Locride, Costa Viola e Val di Neto e persino di un fiume, il Lipuda, IGP che nel suo Dna comprende un blend di Aglianico, Ansonica, Cabernet Franc, Greco Bianco e altri vitigni autoctoni e non.

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