Lazio

Un po’ come Parigi è la Francia, così Roma è il Lazio, perché, inutile negarlo, la città Caput Mundi di ieri e di oggi, almeno di primo acchito, fagocita tutto quello che ha attorno. Ma lasciato alle spalle il GRA – il Grande Raccordo Anulare che cinge la capitale – c’è così tanto da scoprire che spesso bisogna fare i conti con scelte difficili. Puntare sulla costa o sui Colli Romani? Sulla campagna o sui monti dell’entroterra, fino a raggiungere le cime innevate del Terminillo? In effetti, si tratta di una Regione che, separando il Nord e il Sud d’Italia, raccoglie in sé cimeli e manifestazioni geoculturali diverse, diventate dal ‘700 in poi attrattiva irrinunciabile del cosiddetto Grand Tour, il percorso di formazione per eccellenza. Un must per artisti, letterati e raffinati traveller di tutta Europa, compreso un entusiasta Goethe, le cui memorie ed emozioni sono tramandate nel celeberrimo Viaggio in Italia.  A condensare tutto ciò che significa Grand Tour nel Lazio contemporaneo c’è Tivoli, dove il welcome lo danno due dei sei beni laziali iscritti nel Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco (cinque escludendo Roma e il suo centro storico, immenso museo all’aperto): Villa Adriana, straordinario complesso architettonico risalente al II secolo d.C., e Villa d’Este, fulgido esempio di dimora patrizia rinascimentale, cui si aggiunge il parco romantico di Villa Gregoriana, all’interno del quale si trova la Grande Cascata, fra le tappe naturalistiche da non mancare. Restando nella provincia dell’Area Metropolitana di Roma si spazia dalla Necropoli Etrusca della Banditaccia a Cerveteri – che insieme a quella di Tarquinia nel viterbese è bene Unesco – a Castel Gandolfo, da secoli buen retiro papale, a pochi passi dai resti della Villa romana di Domiziano; dal Castello Orsini-Odescalchi di Bracciano affacciato sull’omonimo lago, a Palazzo Pamphilij ad Albano Laziale, entrambi frutto di quella voglia di primeggiare che fra il XVI e il XVIII spinse le famiglie patrizie più abbienti della zona a erigere dimore che parevano regge. Basta fare cenno a Palazzo Chigi ad Ariccia, o a Palazzo Farnese a Caprarola, già in provincia di Viterbo, per far volare la fantasia a quell’epoca d’oro, di balli e ricevimenti da sogno, in cui si conversava di arte e cultura facendo sfoggio di committenze d’eccezione, come pure si tessevano rapporti e alleanze politiche più o meno strategiche.

Già Viterbo meriterebbe da sola un viaggio per esplorare con attenzione il centro storico, fermo all’epoca medievale e con emergenze di notevole interesse, religioso e architettonico, come il Palazzo dei Papi, la Cattedrale di San Lorenzo e la Basilica di San Francesco alla Rocca. Dalla “Città dei Papi” si passa poi alla “Città che muore”, Civita di Bagnoregio, un pugno di case arroccate su uno sperone di tufo, che pare pronto a sgretolarsi da un momento all’altro, e che nel frattempo si fregia di essere fra i “Borghi più belli d’Italia”.

I due leit motiv costanti, luoghi sacri e d’arte, si ritrovano anche a Rieti e dintorni. Partendo dal centro cittadino, sembra di sfogliare un libro di storia, che salta dal bel Palazzo Vescovile del Duecento al Teatro Flavio Vespasiano, che a dispetto del nome risale alla fine dell’800, fino al Ponte romano, quello sì, cimelio del passato, parte della Via consolare Salaria. Nella sua piacevolezza rurale, la campagna reatina è però anche crogiuolo di monumenti di tutto rispetto, che riportano ancora una volta su strade di fede. A Greccio si visita il Santuario fondato nel 1288 nei pressi della grotta che ospitò San Francesco, e a Fara in Sabina l’Abbazia di Farfa, al centro di un territorio noto per la bontà del suo olio extravergine di oliva, non a caso detto l’”oro della Sabina”. Spingendosi più all’interno ecco Amatrice, fin troppo nota per il terremoto del 2016, che introduce il grande tema dell’enogastronomia regionale, o meglio, provinciale, data la varietà di piatti che pare andare di pari passo al mutare delle inflessioni dialettali. Le eccellenze in bottiglia si concentrano soprattutto nell’area dei Castelli Romani, in Ciociaria quelle casearie, dove la cultura buttera si riflette in piatti di carne di cavallo e vaccina, oltre all’intoccabile abbacchio, re delle tavole laziali, pasquali e non solo, da Viterbo in giù.

Mancano ancora due provincie, Frosinone e Latina, dove molto altro ci aspetta. A Frosinone si scoprono i resti dell’Anfiteatro romano, ad Anagni il Duomo e il Palazzo dei Papi, a Montecassino l’imponente Abbazia, il secondo monastero più antico d’Italia. Infine, Latina, che di per sé rappresenta la summa dei canoni dell’architettura del ventennio fascista, ma soprattutto vanta una serie di borghi e destinazioni marine una più meritevole dell’altra: Sperlonga, San Felice Circeo, Sabaudia, Terracina, Gaeta, Formia e, da ultimo, le Isole Ponziane.

Gli appassionati di trekking e outdoor troveranno sfogo in numerose zone sotto tutela, a partire da ben tre Parchi Nazionali – del Circeo, del Gran Sasso e Monti della Laga, e d’Abruzzo, Lazio e Molise – e in moltissime aree e riserve protette, situate lungo la costa come nell’entroterra. Una nota a parte meritano i due beni dichiarati nel 2017 Patrimonio Unesco: la Faggeta vetusta depressa di Monte Raschio, all’interno del Parco naturale regione di Bracciano-Martignano, e la Faggeta di Monte Cimino, fra le più maestose dell’Italia centrale.

Friuli-Venezia Giulia

Trieste, città dall’eleganza asburgica. Udine, roccaforte del Friuli. Pordenone, che già risente dell’influenza veneta. E infine quel puzzle complesso che è Gorizia, città di confine dove confluiscono cultura latina, slava e germanica e dove nel 2004 è stato abbattuto l’ultimo muro che divideva l’Europa Occidentale da quella Orientale. Una realtà così radicata nel suo passato che da ex luogo di villeggiatura di Francesco Giuseppe ogni anno festeggia ancora il genetliaco dell’imperatore.

Quattro città per quattro capoluoghi di altrettante province così diverse fra loro, eppure pacificamente conviventi. Poi, sui versanti opposti, da una parte località balneari come Lignano e Grado, e dall’altra stazioni sciistiche come la Carnia e il Tarvisiano sullo sfondo di Alpi Giulie e Carniche e Dolomiti Friulane, ultimo lembo di quell’immenso patrimonio tutelato dall’Unesco che abbraccia anche Veneto e Trentino Alto Adige. Nel mezzo, un’infinità di borghi in grado di coprire epoche e stili architettonici di ogni genere, nonché custodi di tradizioni ataviche tramandate da generazioni. Per fare solo qualche esempio, Cividale del Friuli, eletta nel 568 D.C. prima capitale del ducato longobardo in Italia, la quattrocentesca Gradisca d’Isonzo, fondata dai Veneziani, e la rinascimentale Palmanova, capolavoro di ingegneria militare circondata da mura a forma di stella a nove punte.

Splendide poi le campagne del Carso, del Collio e dei Colli Orientali coltivate a vite e prodighe di prodotti da vero gourmet. Basti citare il celebre prosciutto di San Daniele del Friuli, borgo medievale con case magnificamente dipinte che ospitano un’infinità di sale da degustazione, oltre a una delle biblioteche pubbliche più longeve d’Europa, la Guarneriana, fondata nel 1466 e con migliaia di incunaboli e codici, fra cui uno dei più antichi manoscritti dell’Inferno di Dante.

Il Friuli Venezia Giulia è dunque un mosaico di culture diverse sapientemente miscelate e ricomposte a formare un quadro affascinante e a tratti misterioso, come tutte le “terre di mezzo” che nei secoli ne hanno viste tante, trattenendo però solo il meglio di ogni passaggio: Romani, Longobardi, Barbari. Ungari, Veneziani e Austriaci, forieri ciascuno a suo modo di preziosi lasciti culturali, ancora oggi apprezzabili grazie a lingua, arte, architettura, gastronomia. E se di arte musiva si tratta, da queste parti se ne intendono davvero, in particolare ad Aquileia, sito archeologico fra i più importanti in Italia, i cui ritrovamenti hanno restituito ville romane con pavimenti riccamente decorati, ma soprattutto a Spilimbergo, sede della Scuola Mosaicisti del Friuli. Qui, dal 1922 si tramandano tecniche romane, bizantine e moderne, creando pregevoli opere che esportano nel mondo la fama di questo piccolo borgo fondato sulle sponde del Tagliamento nell’XI secolo dai conti Spengenberg originari della Carinzia.

Non è dunque un caso se lo scrittore e patriota Ippolito Nievo, benché padovano, definiva questa terra, all’epoca non ancora Regione così come la conosciamo oggi, “un piccolo compendio dell’universo”.

Campania

Data della prima scoperta, 1748. Data del più recente rinvenimento, estate 2022. Pompei, come la Campania tutta, non smette mai di stupire. In ogni epoca ha regalato sempre soddisfazioni ai suoi molti studiosi e visitatori. Lo faceva nel Settecento, da fulcro dell’immancabile Grand Tour d’Italie che artisti, letterati, scienziati e aristocratici di tutta Europa compivano per abbeverarsi alla fonte delle molte antichità del Bel Paese, e lo fa ancora oggi, aprendo ogni tanto qualche nuovo spiraglio su quella civiltà ferma alla notte del 24 agosto del 79 d.C.. Quell’attimo fuggente che sigillò sotto metri di lava e lapilli una città intera con tutti i suoi abitanti, atroce destino che accomunò migliaia di persone ma che ha permesso a generazioni di archeologi, da quei primi fortunati scopritori al soldo di Carlo III di Borbone in poi, di ricostruire abitudini, conoscenze, stile di vita di duemila anni fa.

Alla casata dei Borbone si deve anche un altro dei siti Unesco di cui oggi si può fregiare la Campania, vale a dire la Reggia di Caserta, la “Versailles d’Italia”, che con le sue 1.200 stanze e saloni divisi in quattro parti da due bracci che si tagliano ortogonalmente e si aprono su altrettanti cortili e sul prospetto infinito dei Giardini è non solo uno dei massimi capolavori architettonici e artistici del Settecento, ma è in assoluto la residenza reale del passato più grande al mondo, una sorta di “cittadella” della bellezza in cui lasciarsi andare alla contemplazione delle tante opere in essa conservate. Perdersi al suo interno, nei chilometri di corridoi progettati da Luigi e Carlo Vanvitelli, è fin troppo facile, così come lo è nell’affascinante complesso di San Leucio, antica fabbrica serica nonché modello di industria d’avanguardia ante litteram, le cui pregiate produzioni già allora conquistarono le principali corti europee, da Buckingham Palace al Vaticano. San Leucio, insieme alla vicina Reggia e all’Acquedotto Carolino, altro capolavoro ingegneristico vanvitelliano commissionato dai Borbone, è oggi una tappa irrinunciabile per la conoscenza della Campania, Regione con alcune macro evidenze diventate a buon diritto fra le mete più gettonate d’Italia, ma accanto alle quali si nascondono molte altre perle tutte da scoprire.

Ne è un paradigma perfetto l’Arcipelago Campano, quella magnifica trilogia di suggestioni che ha inizio a Capri, meta d’élite scoperta dall’imperatore Augusto e da Tiberio poi, che vi costruì la mirabile Villa Jovis da cui, fra il 26 e il 37 d.C., governò persino Roma e l’impero. Se Capri, si sa, è l’isola della Grotta Azzurra, della riservata ed esclusiva Anacapri, degli hotel di lusso e dei locali frequentati dal jet set, dei porticcioli e delle calette affollati di yacht da sogno, e se Ischia è la meta delle vacanze benessere, da godersi da soli o in famiglia in uno dei numerosi parchi termali o Spa hotel che attingono dalle falde fanghi e acque medicamentose, Procida è l’isola che prima del 1994, anno di uscita de “Il Postino” di Massimo Troisi, era sconosciuta ai più e che solo nel 2022 ha avuto i riflettori finalmente accesi su di sé grazie al ruolo di “Capitale della Cultura”. Una “novità” o quasi a livello turistico, una meta in più, ma fondamentale, da aggiungere alla lista delle tappe campane.

Guardando poi la costa da qui, si potrebbe puntare a occhi chiusi sulla linea dell’orizzonte ed essere certi che qualunque approdo sarà quello giusto. Per par condicio, la prima tappa potrebbe essere Sant’Agata sui Due Golfi, spartiacque di due realtà distinte ma similari: da un lato il Golfo di Napoli e la Penisola Sorrentina, dall’altro il Golfo di Salerno e la Costiera Amalfitana. Sorrento, Meta, Vico Equense, Castellammare di Stabia, Pompei, Ercolano e Oplontis da una parte, Positano, Praiano, Furore, Amalfi, Atrani, Ravello, Minori, Maiori, Cetara e Vietri sul Mare dall’altra. Altro non occorre dire, perché non c’è località che non richiami alla mente immagini di monumenti e palazzi aristocratici, spiagge e anfratti rocciosi da cartolina immersi in scorci da immortalare, profumi e sapori da gustare fra vicoli di luoghi incantati. Micro borghi di pescatori talvolta di poche case, che i Monti Lattari alle loro spalle trasformano in perfette Comunità Montane, attraversate da sentieri del Cai che sprofondano nel blu del mare. Al di là di queste cime, parte del cosiddetto Antiappennino campano, ecco la piana della Campania Felix raccontata da Strabone e Plinio il Vecchio, prospera per i ricchi centri di Capua, Atella, Cumae, Baia, Puteoli, Acerra, Oplontis, fino alle più grandi Neapolis e Salernum.

Terra che da allora non ha smesso di coltivare, per così dire, sacro e profano: l’antica Abellium, oggi Avellino, è punto di partenza per un’escursione al Santuario di Montevergine e verso la verde Irpinia, quasi una regione nella regione, grazie a un paesaggio che alterna zone selvagge da esplorare come il Parco del Partenio e l’Oasi del WWF Lago di Conza, o le misteriose grotte del Laceno, alla più placida piana del Dragone disseminata di cantine vitivinicole che di recente hanno portato alla ribalta gli autoctoni Taurasi, Fiano e Greco di Tufo, solo per un primo assaggio. Dal canto suo, Benevento, da città prima romana e poi longobarda qual è, mostra orgogliosa quel mix di culture che la rende unica, con il teatro romano e l’arco di Traiano, fra le massime espressioni dell’arte antica, e il Duomo medievale, oltre al Complesso di Santa Sofia, sito Unesco. Al medioevo deve tanto anche Salerno, che ha il suo cuore nel quartiere sorto in epoca normanna, attorno all’anno mille, di cui rimangono fra le tappe d’obbligo Castel Terracena e il Duomo, Anno Domini 1085. Senza dimenticare, qualche chilometro più a sud lungo la costa, di fare un tuffo nella Magna Grecia, nel Parco Archeologico di Paestum e Velia. Nota anche come Poseidonia in onore del dio del mare, Paestum era in realtà devotissima ad Atena ed Era, cui è dedicato il tempio al centro della vasta area di scavo. Nel Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, quasi al confine con la Basilicata ma sempre in provincia di Salerno, ecco la Certosa di Padula, che con i suoi 51.500 mq di superficie è il più esteso edificio religioso d’Italia nonché, come il Parco stesso, Patrimonio dell’Umanità.

Capitolo a parte merita il capoluogo, la bella Parthenope fondata nel 680 a.C. ed evolutasi poi in Neapolis e infine nella multisfaccettata Napoli. Altera come i suoi molti fortilizi – Castel dell’Ovo, Castel Sant’Elmo, Castel Nuovo e Castel Capuano – santa come le sue chiese, talvolta severe, vedi Santa Chiara e San Lorenzo Maggiore, talvolta opulente e barocche, come la celebre Certosa di San Martino, la Chiesa del Gesù Nuovo e della Pietà dei Turchini. Colta come i suoi teatri, dal San Carlo al Mercadante, dal Bellini al Sannazaro, e i musei di fama internazionale, dall’Archeologico Nazionale al Capodimonte, dal Filangieri al San Martino. Pittorica come Posillipo e l’Opera buffa. Scanzonata e folcloristica come i Quartieri Spagnoli, sfrontata come il lusso delle boutique della Riviera di Chiaia, raffinata come i palazzi aristocratici, da Palazzo Reale in giù. Infine, ecco la “Napoli segreta”, quella nascosta e silenziosa delle tremila grotte e catacombe sotterranee. Un ultimo mistero svelato da raccontare al mondo.

Calabria

«Quando fu il giorno della Calabria, Dio era probabilmente in un momento di grazia e non si risparmiò nel riempirla di doni». Così scriveva il poeta e saggista Leonida Repaci circa un secolo fa, elencando destinazioni e tesori che oggi però sarebbero annoverate nel più classico dei grand tour della Regione, salvo poi scoprire che molti altri sono quelli che si possono trovare lungo itinerari fuori rotta.

Un altro autore, Corrado Alvaro, sintetizzava così l’amore per la sua terra: «Conoscevo la Calabria che si percorreva a piedi o sul mulo, impervia, per cui era un mistero quello che si trovava dall’altra parte delle sue montagne o nei suoi altopiani solenni. Ora la si può percorrere in lungo e in largo con strade fra le più belle d’Italia. Ho ritrovato la mia terra più bella di quanto non sospettassi io stesso, coi suoi altopiani interni che paiono d’una contrada boreale d’Europa, e la sua vecchia consunta sponda greca dello Ionio…».

Stretta fra Tirreno e Ionio, la Calabria si protende nel Mediterraneo con il suo volto corrugato di cime tanto aspre da prenderne il nome, Aspromonte, mostrando una natura più di montagna che di mare, come rivelano le quattro aree protette interne, tre parchi nazionali e un parco regionale. Ma poi sulla costa si apre in dolcissime spiagge, baie scavate nella roccia, grotte marine e alte scogliere, alternanza mai banale che continua per 780 km, in un periplo di struggente bellezza plasmata dal vento e dalle onde, e che nonostante le molte strutture turistiche, permane nel suo essere autenticamente selvaggia. Si passa così da località ormai note ai più a tratti di costa disabitata, luoghi inafferrabili se non in barca, per lo più sorvegliati da antiche torri e fortezze che tanta parte hanno avuto in un lontano passato.

Rileggendo la sua storia, questo fu il primo territorio dell’intera penisola a essere battezzato Italia, nome dato dagli antichi greci all’istmo di Catanzaro, che all’epoca era sotto il dominio di Italo, re degli enotri.  Se nell’VIII secolo a.C. furono i Greci a colonizzarla, fondando fiorenti città e porti commerciali di cui si conserva memoria in alcune comunità grecaniche all’estrema punta della penisola, oltre che in innumerevoli siti archeologici, è con l’eredità bizantina che si è plasmato il volto della Calabria, rimasta per ben cinque secoli sotto il dominio di Bisanzio, come ancora oggi racconta soprattutto il versante ionico, su cui poi si sono di volta in volta innestate influenze normanne, angioine, francesi.

Ad accomunare ogni angolo di questo “caos calmo” c’è un’eredità culturale importante ancora oggi assai viva, grazie a rituali, misteri, danze propiziatorie, maschere apotropaiche ed esoteriche che miscelano con sapienza elementi di ellenica memoria, ancestrali religioni, pagane prima e cristiane poi, in una rappresentazione della vita che ha sempre un che di teatrale. Si veda ad esempio il complesso rito della Settimana Santa, con le scene della Passione di Cristo che riempiono le vie dei borghi di lamenti strazianti, canti malinconici e funzioni liturgiche dal grande pathos. Una teatralità che si tinge quasi dei toni dell’esorcismo, stemperandosi infine in balli e canti gioiosi, ebbri di profumi di cibi e vini di carattere.

Sacro e profano a confronto, dunque, nelle tradizioni ma anche nelle architetture di ogni derivazione ed epoca di cui è disseminato tutto il territorio. Si vedano per esempio le decine di chiese, abbazie, santuari ed eremi che dalla costa risalgono verso l’entroterra, facendo di piccoli borghi di poche centinaia di abitanti una meta di pellegrinaggio, cui fanno da contraltare edifici militari, austeri e imponenti nei loro torrioni, ieri temibili avamposti bellici contro il nemico, oggi straordinari belvedere da conquistare.

Basilicata

Il nome antico della Basilicata, Lucania, deriva da lucus, bosco sacro, e il motivo si deve al fatto che da queste parti non è poi così raro imbattersi in pini e abeti tipici di una foresta nordica. Una specie arborea che non ti aspetteresti mai a questa latitudine, ma in un territorio con solo l’8% di pianura e per il resto equamente diviso fra montagne e colline, non c’è da stupirsi. Anzi, possiamo dire che questa è solo la prima delle molte sorprese che la Basilicata ha in serbo per il visitatore. Se ci si arriva in auto, molto probabilmente lo si fa dalla A3, e una volta lasciata l’autostrada, il paesaggio cambia repentinamente: la statale si insinua fra le montagne dell’Appennino Lucano – Val d’Agri – Lagonegrese, zona dal 2007 istituita a Parco Nazionale. Anche se si è solo di passaggio, merita una sosta Lagonegro, il paese della bella chiesa di San Nicola, dove secondo un’antica leggenda riposerebbe la Monna Lisa. Sì, l’enigmatica dama ritratta da Leonardo da Vinci, che avrebbe terminato la sua vita in questa “selva oscura” di alberi non proprio da macchia mediterranea. A ricordare però alla “Gioconda” la sua terra d’origine, in Basilicata c’erano già allora le dolci colline ammantate di grano e forse, chissà, anche la presenza dei primi vigneti nel Vulture, il vulcano spento oggi zona di vini autoctoni che si fanno rispettare, caratteristiche che in tempi più recenti sono valse alla Regione il soprannome di “Toscana del Sud”.

Si prosegue il viaggio verso l’entroterra ed ecco che ci si imbatte in un’altra realtà che richiama alla mente un altrove sicuramente più noto di questa versione meridionale: le Dolomiti Lucane, nel Parco Nazionale del Pollino, l’area protetta più estesa d’Italia, dal 2005 nella lista globale dei geoparchi Unesco. Qui il vento ha plasmato guglie e rocce dando adito a fantasiose interpretazioni, fra cui pare di riconoscere ora un’aquila, ora un’incudine o una civetta. Castelmezzano e Pietrapertosa sono i due borghi che fanno da tappa obbligata per chi sceglie come meta il Parco per un’escursione di trekking, in MTB, a cavallo, di free climbing, canyoning o speleologia, in un contesto generoso di colpi di scena fra dirupi, pareti di faglia, gole profonde, grotte carsiche, timpe vulcaniche, inghiottitoi, pascoli di alta quota e persino circhi glaciali che sfiorano i 2.200 metri. Terreno fertile di numerose specie di flora e fauna, fra cui domina incontrastato l’endemico e maestoso pino loricato, ma anche scrigno di tradizioni antiche, come i cosiddetti riti arborei, il “matrimonio” fra un albero e la sua cima, celebrato fra maggio e settembre nei vari borghi dolomitici.

In un lento vagare fra borghi e campi coltivati, spesso si riconoscono all’orizzonte i profili di fortezze di federiciana memoria: a Melfi e Lagopesole si visitano due dei castelli meglio conservati eretti nel Duecento dallo “Stupor Mundi”, che sembrano quasi due scorci rubati alla Puglia, appena qualche chilometro in là. L’area del Vulture-Melfese regala anche altre emozioni, in particolare a Venosa, dove l’accoglienza è data da un massiccio Castello Aragonese. In pochi passi si scoprono poi la casa natale del poeta latino Quinto Orazio Flacco, il Parco Archeologico con un bellissimo impianto termale, le catacombe ebraiche e la celebre “Incompiuta”, l’affascinante complesso della Santissima Trinità, rimaneggiata più e più volte dall’epoca paleocristiana in poi, senza però mai giungere a compimento, lasciando così l’edificio open air. Leggende e misteri abbondano qui come pure a Craco, borgo noto come la “città fantasma”, in seguito a una frana che nel 1963 costrinse la popolazione ad abbandonare il centro fino a lasciarlo completamente disabitato. L’eleganza degli aristocratici Palazzo Grossi e Palazzo Maronna, la sacralità della Chiesa Madre… tutto è fermo a sessant’anni fa, pronto per il prossimo “ciak”. E in effetti, qui e nella vicina Matera, di registi se ne sono sempre visti parecchi, attratti dai riflessi ocra della pietra tufacea del Sasso Barisano e Caveoso del luogo più noto della Basilicata, soprattutto da quando nel 1993 è stato riconosciuto Patrimonio dell’Umanità. Riprendendo il “gioco” delle somiglianze con realtà extra-lucane, Matera ricorda un po’ la Cappadocia, ma allo stesso tempo è qualcosa di diverso, con i suoi “Sassi” unici al mondo, da oltre duemila anni trasformati in abitazione o luogo di culto, tanto numerose da creare un circuito di chiese rupestri oggi tutelato in quanto Parco Archeologico Storico Naturale.

Scenari diventati popolari grazie a pellicole firmate a partire dagli anni Cinquanta da grandi autori della “Settima Arte”: Mario Volpe, Alberto Lattuada, Roberto Rossellini, Lina Wertmuller, Giuseppe Tornatore, fino a Mel Gibson, che nel 2004 girò The Passion, e alle più recenti riprese di Patty Jenkins per Wonder Woman, del 2016, e al capitolo No Time To Die di 007, girato nel 2020 con scene di inseguimenti da brivido alla James Bond fra Sassi e dintorni.

Echi di panorami ellenici si ritrovano invece a Metaponto, ammirando i colonnati del Tempio di Hera e gli scavi del sito archeologico lucano più grande e meglio conservato.

Fa invece volare addirittura oltre oceano il profilo del Cristo Redentore di Maratea, in cima a Monte San Biagio, scultura alta 22 metri e seconda per dimensioni solo al Cristo del Corcovado che si erge sul “Pan di Zucchero” a Rio de Janeiro. Un ultimo tocco esotico a questo viaggio in cui la Basilica, alla fine, somiglia solo a se stessa. E lo dimostrano bene questi 32 km di costa stretti fra Calabria e Campania, pochi ma che si fanno ricordare: un susseguirsi di torri medievali, anfratti e grotte da scoprire e spiaggette baciate da un mare cristallino che nulla hanno da invidiare al mondo.

Abruzzo

Gli inglesi dicono che somiglia al Culmberland, gli austriaci al Salzkammergut, gli scozzesi alle Highlands. Tutti confrontano l’Abruzzo con i loro “angoli” più belli e selvaggi. Una terra dove la qualità della vita la raccontano i numeri: meno di 1.200.000 abitanti distribuiti su 10.700 kmq di superficie e in 305 comuni suddivisi in quattro province – con una densità che oscilla dai 57 abitanti del capoluogo L’Aquila, ai 255 della costiera Pescara – e coperta al 70% da parchi e aree protette.

L’arrivo in Abruzzo si avverte tramite un senso di spazio che si spalanca all’improvviso, dilatato e sorprendente. Si assottiglia il flusso del traffico, deflagra il silenzio davanti a un amplissimo sipario di monti, valli e altopiani lunari che digradano fino al litorale, che fila liscio per decine e decine di chilometri, ininterrottamente dalla foce del Tronto a quella del Sangro, avvalorando l’idea di una terra che va a incontrare il suo mare in forma piana, sabbiosa. Anche quando, lungo la Costa dei Trabocchi, fa convergere lo sguardo sui profili “aerei” e sottili dei tradizionali pontili per la pesca. Sennonché, alle spalle, ecco appunto che svettano all’orizzonte le cime più alte dell’Appennino, tra cui giganteggiano aspri il Gran Sasso, la Majella e le tante vette oltre i 2.000 metri del Parco Nazionale d’Abruzzo, habitat dell’orso marsicano, del lupo e dell’aquila reale. Veri paradisi per gli appassionati di trekking e ogni forma di outdoor, sci compreso, perché qui l’inverno imbianca tutto facendo da richiamo come fossero né più né meno che le Dolomiti, o quasi, ma a un’altra latitudine.

Anche i nomi delle città rispecchiano tra loro questo contrasto mare/monti, ognuna fiera del suo carattere. Accanto alle località in cui si cita il mare – Francavilla a Mare, Silvi Marina, Vasto Marina e così via – accanto a nomi salmastri come la pulsante Pescara, si ergono le tante rocche nell’entroterra montuoso: Roccaraso, Roccapia, Roccacaramanico… Fino a Rocca Calascio, onirico set di tanti film.

Per la sua posizione mediana, nel cuore dell’Italia, l’Abruzzo è sempre stato un crogiuolo di gentes: terra picena, vestina, marrucina, peligna, marsa, sannitica al tempo dell’impero romano, ma dopo il crollo di questo imbevutasi del teutonismo dei Longobardi. Di cui rimane traccia negli occhi e nei capelli chiarissimi dei montanari, nei nomi gutturali incisi sugli antichi sarcofagi e soprattutto, ancora una volta, nella toponomastica. Patria di grandi abati, d’espansione per ordini e congregazioni monastiche, dai benedettini ai francescani, la zona più a nord del vicereame di Napoli (poi Regno delle Due Sicilie), e al confine con la Marca Pontificia.

Ci sono vestigia romane, musei pieni di tesori ancora sconosciuti, imponenti cicli di affreschi medievali, un’irripetibile tradizione orafa del Tre-Quattrocento, una magnifica architettura medievale e rinascimentale. Cultura ce n’è tanta, ovunque, sedimentatasi nel corso dei secoli. Qui si trova Amiternum, antica città italica fondata dai Sabini, dove nacque lo storico Sallustio, Qui si trova la Sulmo patria del poeta Ovidio. Qui nacquero giuristi e filosofi da Marino da Caramanico a Benedetto Croce, oltre a papi, santi, condottieri e umanisti, e a personalità politiche e storiche delle quali sarebbe arduo dar conto. Ci limiteremo a tre nomi su tutti: Gabriele d’Annunzio. Ignazio Silone ed Ennio Flaiano, ciascuno a suo modo Maestro nell’interpretare lo spirito indomito e mai fiaccato della versione moderna di quelle antiche gentes, autoctone o di passaggio che fossero.

Toscana

Toscana. Sarebbe forse più veritiero riferirsi a questa superba terra al plurale, essendo composta di tanti universi comunicanti ma anche ermeticamente completi e fini a se stessi. Il succedersi cangiante e spettacolare dei paesaggi è spesso così rapido e stupefacente da lasciare attoniti, un insieme straordinariamente variegato che però trova ragione in un binomio che si rifà a due ingredienti principali, arte e natura. Quelle effigiate da Ambrogio e Pietro Lorenzetti, da Piero della Francesca, da Giovanni Fattori e Lorenzo Viani, e, super partes, da Leonardo da Vinci, il cui inconfondibile tratto ha eternato non solo volti e momenti, ma anche linee di orizzonti e contesti che sono ancora lì da ammirare.

La Toscana è dunque un irresistibile album di paesaggi e architetture senza tempo, appassionante poema di storia e umanità. Partendo dall’estremo Nord, le selve folte dell’Appennino sono le verdi magie ricamate dalla nobile pietra di borghi antichi, che introducono il Viaggiatore all’intimo splendore di Lucca con le sue cento chiese e la sua placida campagna punteggiata di favolose ville patrizie. Le Alpi Apuane sono il marmoreo quanto inaspettato sipario del mare di Versilia e dei festosi e ben pettinati arenili di Forte dei Marmi, Viareggio e Marina di Pietrasanta.

Poi tocca a Pisa, con i suoi miracoli architettonici in bianco e nero; poi è la volta di Arezzo con i prodigi pittorici di Piero; delle foreste romite del Casentino seminate di rocche severe e deliziose cittadine, e dell’Arno che “per mezza Toscana si spazia”, raccogliendo leggende, storie e nostalgie di dantesca memoria e non solo. Più oltre, si rivela l’agreste incanto del Chianti, culla di grandi vini e di cultura che accoglie il capoluogo, Firenze, città a misura d’uomo, ma che a ogni passo sa sorprendere e donare l’emozione di una nuova scoperta, anche laddove è stato già detto e fatto tutto, da studiosi, viaggiatori e ammiratori di ogni epoca.

Si continua in direzione Sud, ed ecco, sospesa su un ricciolo di colline, compare Siena, con il Duomo svettante, la Torre del Mangia e Piazza del Campo dove da secoli i cavalli del Palio rincorrono e coniugano passato e presente. Ancora, s’infiammano le torri di San Gimignano aspettando il tramonto, sfilano i dossi preziosi e tanninici di Montepulciano e Montalcino, ben noti a un pubblico internazionale di intenditori sommelier o aspiranti tali, e la piazza capolavoro di Pienza, una fra le tante dove immergersi, fra l’onirico e il virtuale, nelle atmosfere di un Medioevo fin troppo autentico.

Ancora più a Sud, si fa sentire l’anima selvaggia della Maremma, quella che va dagli enigmi mai svelati degli antichi Etruschi alla ruvida vita di campagna dei butteri, lungo la tratta che conduce da Grosseto fino a Orbetello, che con la sua placida Laguna fa da tramite fra la terra ferma e la Penisola dell’Argentario. Promontorio, l’Argentario, proteso nel Mar Tirreno in corrispondenza delle due isole più meridionali dell’Arcipelago Toscano, l’Isola del Giglio e di Giannutri. Per trovare le “sorelle”, bisogna bordeggiare la costa e fare di nuovo rotta verso Nord, puntando nell’ordine sulla misteriosa e leggendaria Montecristo, sulla solitaria Pianosa, sulla ventosa Capraia, porto di scalo fra Corsica e Italia per marinai di ieri e di oggi, su Gorgona, francobollo di terra sconosciuto ai più, e ovviamente sull’Elba, “regina madre” fra le sette sorelle.

Un intarsio complesso e policromo, quello toscano, intessuto di verdi colline, campi coltivati, castelli e borghi intatti, stazioni balneari e termali pronte a regalare relax, foreste e gemme archeologiche, quest’ultime epilogo ideale di un viaggio nello spazio e nel tempo.

Veneto

Nelle classifiche ufficiali delle Regioni più visitate d’Italia c’è sempre il Veneto, che spesso è pure sul gradino più alto del podio. Il perché di questo successo è presto detto: mare, montagna, laghi, terme, parchi naturali, itinerari a tema per soddisfare ogni interesse, da quelli religiosi a quelli enogastronomici, senza contare le numerose città d’arte, di cui Venezia è sicuramente simbolo, al centro di una rosa di degne “competitor” che nulla hanno da invidiare e che hanno anzi saputo conquistare la loro giusta fama. A cominciare da Verona e Vicenza, beni Unesco come la stessa “Serenissima” per i loro meravigliosi centri storici, insieme alla “dotta” Padova, per il suo Orto Botanico, oltre a Treviso, Rovigo e Belluno, cuore di altrettante province floride di punti di interesse in grado di stimolare ogni genere di visitatore.

In Veneto il paesaggio cambia in fretta: 150 km per passare dalle spiagge dell’Adriatico, con Bibione, Jesolo e Caorle in prima fila, che si stempera nelle languide acque dell’arco lagunare, alle nevi eterne del ghiaccio della Marmolada, che con i suoi 3.343 metri è la vetta più alta. Si va poi dalle vaste pianure solcate da fiumi e canali al Po e il suo Delta fino all’Adige, al più che mai veneto Piave, e ancora, dalle alture isolate dei Colli Euganei, cantate da Francesco Petrarca, padovano Doc, a quelle dei Colli Berici vicentini, punteggiati di vigneti e sontuose ville progettate dal genio di Andrea Palladio (altro bene Unesco): terre ovattate nelle brume e dalle foschie dell’autunno, che accarezzano anche le sponde del Lago di Garda, in un assaggio poetico che precede il grande balzo fra le crode svettanti delle Dolomiti. L’Antelao, il Pelmo, le Tofane, le Tre Cime di Lavaredo, le Marmarole, la Civetta e l’Agnèr… Un legame ancestrale quello fra la montagna e l’acqua, che vede in quel miracolo di fragile precarietà, di cui Venezia è icona assoluta, il suo connubio più sottile. Il Veneto, che pagò un alto prezzo all’emigrazione nei non lontani tempi della fame e della malaria, resta pur sempre una Regione che all’urbanizzazione delle grandi metropoli contrappone le sue deliziose province, vivibili e gradevolissime, seppur talvolta soggette al transito di milioni di turisti (una media di 20 all’anno nel solo capoluogo), oltre a una miriade di borghi e cittadine “minori”, per numero di abitanti ma non per attrattive, fra cui si citano a titolo di esempio Asiago, Castelfranco, Cittadella, Vittorio Veneto, Conegliano, Bassano, Monselice e Feltre. Luoghi che fanno parte di quella “civiltà visiva” che da sempre identifica la Regione: Tiziano, Giorgione, Tintoretto, Canaletto, Tiepolo, Palladio, Canova e un’infinità di altri maestri che hanno lasciato un’enorme eredità artistica che non ha pari, nata sotto l’ala protettrice di quella Repubblica Marinara che per oltre sei secoli dominò i mari ma anche la scena aristocratica mitteleuropea. Età dell’oro che oggi rivive nelle sontuose maschere del Carnevale più famoso e spettacolare d’Italia e forse del mondo, e nella Regata Storica che ogni anno a settembre fa rivivere lungo Canal Grande lo splendore del tempo dei Dogi.

Volgendo lo sguardo all’aspetto paesaggistico, non si può che partire da Cortina, la “Regina delle Dolomiti”, che ha nel cuore 400 anni sotto gli Asburgo e dove ancora oggi vestirsi alla tirolese nelle occasioni che contano è un must anche per il jet-set che la frequenta. Qui il mito dell’alpinismo e degli sport invernali, insieme a quello effimero della mondanità, ha una delle sue culle più prestigiose e ha contagiato le altre località delle Dolomiti bellunesi che la coronano. Misurina resta un’oasi avulsa dai grandi caroselli dello sci, ma proprio per questo piena di fascino, contrapposta al comprensorio sciistico del Civetta, il più grande della Regione, mentre sul confine con l’Austria c’è Sappada, dove si mastica già tedesco. Un contesto naturalistico tanto pregevole non poteva non essere sottoposto a tutela, e allora ecco il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi – dal 2009 iscritto nel Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco – , seguito da cinque parchi regionali – delle Dolomiti d’Ampezzo, dei Colli Euganei, della Lessinia, del Fiume Sile e del Delta del Po – cui vanno ad aggiungersi sei Riserve naturali regionali e quattordici statali, due Zone umide di importanza internazionale, nove Foreste demaniali regionali  e diversi Parchi e Riserve regionali di interesse locale. Nel complesso, un variegato terreno di gioco per appassionati dell’outdoor, in ogni sua declinazione stagionale possibile: trekking, nordik walking, MTB, equitazione, free e ice climbing, deltaplano… Nessun limite alla fantasia e alla voglia di emozionarsi di fronte a Madre Natura. Magari brindando alla sua bellezza con un calice di prosecco in mano, fra le Colline di Conegliano e Valdobbiadene, dal 2019 bene Unesco proprio in virtù di un panorama disegnato da chilometri di filari, che lambiscono antiche pievi e borghi medievali perfettamente conservati, risalendo i cosiddetti “ciglioni”, gli stretti terrazzamenti piantumati a vite.

Puglia

Partiamo dalla fine. Da quel “tacco d’Italia” che sa di punto di arrivo ma allo stesso tempo di inizio. Inizio talvolta di un nuovo capitolo di storia, di un nuovo viaggio, di una nuova vita. Santa Maria di Leuca è stato in passato ed è tuttora un assaggio di tutto questo. Perché se un tempo erano guerrieri, crociati, mercanti, avventurieri e invasori ad attraccare fra Punta Ristola e Punta Mèliso, così come lungo i 784 km di costa della Puglia, oggi si viene qui per piacere, per immaginare quella linea invisibile che separa la costa adriatica a est e la costa ionica a ovest. Una convenzione nautica vuole appunto che tale ideale confine di demarcazione si trovi proprio qui di fronte, ma come tutti i punti di contatto fra un “al di là” e un “al di qua”, soprattutto nei secoli addietro, è stato un luogo di incontro-scontro fra culture e popoli diversi.

A ben guardare poi, in certe situazioni metereologiche, una traccia cromatica longitudinale pare davvero delinearsi fra le onde dinanzi a Leuca, effetto delle correnti sottomarine provenienti dal Golfo di Taranto e il Canale d’Otranto. Un anticipo, in versione marina, delle sorprese che la Puglia offre là dove nulla sembra esserci o vedersi, nel sottosuolo, caratterizzato da un terreno calcareo e carsico che ha dato vita a un fitto sistema di gravine  e grotte sparse un po’ ovunque. Non lontano da Taranto, per esempio, c’è la Chiesa di San Nicola a Mottola, definita per via della ricchezza degli affreschi la “Cappella Sistina della civiltà rupestre”. Il fenomeno delle chiese e degli eremi scavati nel tufo è una caratteristica un po’ di tutta la Regione, che nel V secolo furono utilizzate dalla popolazione locale come rifugio contro le invasioni barbariche. In particolare nella zona delle Murge, quella vasta area compresa fra il Tavoliere – la più ampia pianura d’Italia dopo quella Padana – e le Serre Salentine, dove il paesaggio è un’alternanza di campi coltivati cinti da muretti a secco, ulivi secolari e candide masserie vecchie di secoli, trasformate da cuore di fiorenti aziende agricole a dimore di charme aperte all’ospitalità. Testimonianza di un’epoca di dominatori e dominati, cittadelle dove si sono consumate storie di gloria ma anche di lotta e lavoro duro. Qua e là, fanno capolino paesi abbarbicati su colli appena accennati, come Minervino Murge, sotto cui si snoda un intrico di doline e caverne, Altamura, con l’antica Cattedrale, Gravina di Puglia che nel nome svela il suo segreto, un complesso di grotte di tufo che è un’esperienza a sé. Borghi che dal 2006, con i loro tesori più o meno celati, sono tutelati in quanto parte del Parco Nazionale dell’Alta Murgia. Alla conformazione geologica del terreno si deve anche l’origine della costruzione architettonica che da sola è sinonimo di Puglia, il trullo. Capolavori della statica, i trulli sono case erette senza l’uso di malta, con le sole pietre calcaree, le chianchiarelle, tolte dai campi per renderli coltivabili. Nella Valle d’Itria, divisa fra province di Bari, Brindisi e Taranto, è una vera invasione, e non solo ad Alberobello, ma anche a Locorotondo, Cisternino, Fasano, Ceglie Messapica e Martina, paesaggio che Gabriele D’Annunzio descrisse caratterizzato da “seni puntuti” protesi verso il cielo.

Anche il Romanico Pugliese è un fil rouge che attraversa la Regione dal mare ai monti, da Trani a Troia, da Ruvo di Puglia a Manfredonia, uno stile che, unendo un’antichissima tradizione costruttiva e influenze romane, bizantine, arabe, lombarde, pisane e francesi, dà forma a cattedrali e castelli di grande audacia. Si veda per esempio la Basilica di San Nicola a Bari, meta di pellegrinaggi per la presenza delle reliquie del Santo più ecumenico della storia, in quella che amministrativamente è una “città metropolitana” ma che in realtà trova il suo volto più autentico fra i vicoli del borgo antico denominato Bari Vecchia. E’ altresì architettonicamente un unicum assoluto Castel del Monte ad Andria, un mix di elementi islamici, classici e nordeuropei frutto dello spirito eclettico che lo concepì, Federico II di Svevia, dal 1996 a buon diritto nel listing ufficiale di Unesco.

Il Duomo angioino di Lucera, la Basilica di San Francesco della Scarpa a Bitonto e la Basilica di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina sono invece le principali emergenze dello stile Gotico, mentre per immergersi nella ricchezza traboccante del Barocco bisogna ritornare all’estremità Sud d’Italia, a Lecce. Qui, l’estetica arzigogolata della prima metà del Settecento ha trovato nella pietra calcarea locale la materia prima ideale da scalfire e plasmare a piacere. Ecco così lo splendore della Basilica di Santa Croce, il Duomo e il Palazzo dei Celestini, e la Basilica pontificia concattedrale di Sant’Agata a Gallipoli.

Per metà sulla terraferma e per metà flottante sul mare, adagiata com’è su un’isola di natura calcarea, Gallipoli è oggi insieme a Otranto la località più gettonata del Salento, che fa da contraltare alle molte altre mete di vacanza balneare: Polignano a Mare nel barese, Savelletri di Fasano e Ostuni nel brindisino, Peschici, Vieste e Rodi Garganico fra le gemme incastonate sulle irte e candide falesie di roccia calcarea del Gargano e dell’omonimo Parco Nazionale. Parco che racchiude parecchie peculiarità: pur rappresentando solo lo 0,7% del territorio nazionale, insieme ai 10.000 ettari della Riserva naturale della Foresta Umbra in esso inclusa, vanta ben il 40% della flora italiana e il 70% degli uccelli presenti nel nostro Paese. Un vero paradiso per chi ama sperimentare ogni forma di sport all’aria aperta, che in Puglia troverà sfogo in numerose altre riserve e aree protette da esplorare: dalla Riserva naturale Lago di Lesina, sempre nel foggiano, a quella della Salina di Margherita di Savoia in provincia di Barletta-Andria-Trani, all’Oasi Palude La Vela nel Mar Piccolo di Taranto, oltre all’Area Marina Protetta delle Isole Tremiti. Le “tre sorelle” San Domino, San Nicola e Capraia sono approdi ben noti ai naviganti di ogni tempo e stagione, dove da secoli convivono suggestioni di cultura bizantina e mediterranea e che oggi sono buen retiro per una vacanza lontano dal caos. Un pezzo di Puglia amato anche da Lucio Dalla, per anni habitué con il suo yacht di queste cale, ideale per fare un Bagno di mare a mezzanotte, nel “blu dipinto di blu”, come cantava il polignanese Doc Domenico Modugno.

Umbria

Umbria Jazz Festival, Festival dei Due Mondi e Festa dei Ceri. Questi tre grandi eventi possono essere presi a metafora di come si può fare turismo in Umbria. A passo lento e misurato, sulle note soft e vellutate di una jam session d’autore, a ritmo di danza, classica o hip hop, o di una colonna sonora da film, o ancora, con il fiato spezzato da una corsa avvincente, che fa venire il batticuore anche a chi partecipa solo da spettatore. L’Umbria è così, ricca di virtuosismi, visivi e dell’anima, che sembrano assecondare la dolcezza di un paesaggio ruvido e allo stesso tempo modellato dall’uomo, ma sempre e comunque autentico. La vista è appagata dall’ocra del tufo, friabile ma tenace come l’arroccata Orvieto. Dal rosa della pietra di Assisi, che illumina facciate di decine di chiese, conventi e palazzi nobiliari dall’eleganza composta e mai strillata. Dall’effetto optical del bianco e nero dei marmi che risplendono a Perugia, Gubbio e Spoleto. Dal giallo dei girasoli che in estate esplodono ovunque, spezzando i riflessi argentei dell’ulivo e il verde brillante delle viti. Dal grigio-marrone delle cime alte fino a 2.400 metri dei Monti Sibillini – parte del Parco Nazionale condiviso con le confinanti Marche – e dei fondovalle percorsi da fiumi e torrenti là dove si perde lo sguardo, in particolare nelle zone della Valle Umbra, della Valtiberina e Valnerina. Dal rosso del cotto e dei mattoni dei casali solitari, immersi nel silenzio infinito di una campagna che sembra dipinta dai grandi maestri del Medioevo e del Rinascimento che qui trovarono i natali. E da quella incredibile quanto unica tavolozza di colori che forse nemmeno il Perugino o il Pinturicchio potevano immaginare, ossia la Piana di Castelluccio di Norcia, che fra la fine di maggio e l’inizio di luglio si tinge di tutte le possibili sfumature di rosso, indaco, viola e giallo, grazie a un bouquet rigoglioso di fiori di papavero, fiordaliso, margherite e lenticchie. Senza dimenticare una curiosità che rende ancora più speciale questa zona: il boschetto di conifere sagomato a forma di Italia a ridosso del Pian Grande, piantumato nel 1961 in occasione della X Festa della Montagna. Un’”opera”, per così dire, antesignana dell’attuale Land Art, che poteva essere temporanea ed è invece diventata permanente, trasformandosi in un vero inno alla Natura del Bel Paese in quello che da sempre è ribattezzato il “polmone verde” dell’Italia. Anzi, da quel 1877 in cui Giosuè Carducci, primo italiano a vincere il Premio Nobel per la letteratura, scrisse nelle sue Odi barbare: «Salve, Umbria verde, e tu del puro fonte/ nume Clitumno! Sento in cuor l’antica/ patria e aleggiarmi su l’accesa fonte / gl’itali iddii». A rimarcare questa naturalità di fondo, sei Parchi regionali: del Monte Cucco, del Monte Subasio, del Lago Trasimeno, di Colfiorito, quello fluviale del Tevere e quello del Nera.

Un quadro d’insieme che non pare molto cambiato dai tempi del Carducci, rimasto fedele alla sua identità come un pellegrino ai suoi dogmi. Parallelo quanto mai pertinente in una terra che trova nella religiosità una delle sue massime espressioni. Il misticismo che permea tutto nasce bel V secolo d.C. con il fondatore stesso del monachesimo, San Benedetto da Norcia, per poi trovare in San Francesco e Santa Chiara, entrambi nativi di Assisi, due fra le figure più carismatiche della storia della Chiesa. Qui, i luoghi della fede sono talmente tanti che a volerli visitare tutti non basterebbe una vita: limitandoci ai più importanti, il Monastero di San Pietro e Santa Maria di Valdiponte a Perugia, Sassovivo a Foligno, San Benedetto del Monte Subasio vicino ad Assisi, l’Abbazia di Petroia e San Salvatore di Monte Corona nei pressi di Città di Castello. Senza contare emergenze come gli eremi legati alla vita del “poverello” Patrono d’Italia, San Francesco, della sua illustre e santa concittadina, oltre che il Monastero di Santa Rita a Cascia, appena fuori al capoluogo.

Se vista e udito sono in primis gli ingredienti base di questo viaggio fisico e spirituale avvolto nel silenzio, gusto e olfatto conquistano il loro spazio solleticati in ogni dove dai profumi intensi di specialità culinarie legate ai prodotti locali e ben radicate in tradizioni antiche, talvolta anche di decine di secoli. Se sono carne e formaggi a farla da padrone, sappiate che anche chi ama il pesce troverà soddisfazione, cosa assai rara e non così scontata in una Regione senza sbocco al mare, ma con bacini lacustri – primo fra tutto quello del Lago Trasimeno – che hanno alimentato una cultura ittica da intenditori. Da raffinati sommelier è anche ciò che accompagna i pasti nei calici, con vini già ben noti e decantati da Plinio il Vecchio e Marziale, e che oggi possono fregiarsi di 11 DOC, 2 DOCG e 6 IGT, intersecati fra loro da quattro Strade del Vino ideali per essere percorse anche a piedi o in bicicletta. Suggerimento valevole per chi sa di poter affrontare un territorio per il 70% collinare e per il restante 30% montuoso. Per tutti, rimane la piacevole sensazione che regala fare tappa in un agriturismo o in una dimora storica immersi nella loro campagna, custodita magari da generazioni da una stessa famiglia, “dettaglio” non raro da queste parti e che fa la differenza. E dopo il meritato relax, non rimane che dilettarsi in un lento peregrinare fra borghi di un pugno di case e cittadine medievali, fra cui spicca la seconda provincia, Terni, che fra emergenze dell’età del ferro e del Barocco, chiosa l’esperienza umbra con una vena fra il mistico e il romantico: le Reliquie di San Valentino, conservate nel Duomo, e le Cascate delle Marmore appena fuori città, opera ingegneristica di epoca romana, dove l’acqua, con un salto di 85 metri, crea l’effetto del “velo della sposa”.

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