Golfo di Squillace

L’espressione navifragum Scylaceum coniata da Virgilio non doveva suonare un granché bene ai marinai dell’antichità in transito in quel tratto di costa calabrese oggi compreso fra Isola Capo Rizzuto e Stilo di Monasterace. Il Golfo di Squillace era ed è infatti da sempre considerato piuttosto pericoloso per le correnti, e l’assenza di porti naturali non aiuta di certo. Molti furono i naufragi registrati fino a tutto l’800, tanto che ancora oggi fra i naviganti circola un detto: Golfo di Squillace dove il vento mai tace!

Proprio al centro del golfo si trova Soverato, che pare voler tenere nascoste le sue bellezze, sia per terra che per mare. Nel centro storico cela infatti un sito archeologico, così come nei fondali davanti alla sua Marina presenta punti che si inabissano per centinaia di metri, che ospitano colonie di cavallucci marini e pesci ago.

Nella baia di Caminìa di Stalettì, chiusa da una scogliera che si allunga nel mare cristallino, molte le testimonianze di un remoto passato: reperti archeologici, una torre di guardia e antiche formaci per la calce, e in direzione Copanello, le Vasche di Cassiodoro, peschiera per l’allevamento delle murene in uso più di duemila anni fa. Poco oltre, la suggestiva Grotta di San Gregorio, meta di appassionati di snorkeling e immersione, e il Parco Archeologico Scolacium della Roccelletta di Borgia.

Grado

Il Mar Adriatico conta migliaia di chilometri di spiagge, ma solo una località ospita oltre cinque chilometri di spiagge interamente rivolte a sud, GRADO. Una caratteristica che le permette di avere sempre la giusta esposizione e che la rende unica, così come lo è avere uno stabilimento di Terme Marine, una serie di lidi riservati a chi viaggia con bambini al seguito o con gli amici a quattro zampe e un Parco Acquatico per il divertimento a qualsiasi età. Il tutto bagnato da un’acqua fra le più pulite d’Europa, Bandiera Blu da quasi trent’anni, e affacciato su un’immensa laguna protetta da quattro riserve naturali.

Chi ama l’arte e la storia dirà poi che il CASTRUM di Grado basterebbe già per giustificare una vacanza. E in effetti, il suo centro storico è un susseguirsi di monumenti che coprono un arco temporale di oltre duemila anni, a partire dalla BASILICA DI SANT’EUFEMIA, consacrata nel 579 d.C. ma in realtà sorta sulla precedente basilica del IV secolo e detta di Petrus, come testimonia il ricco Lapidario lì accanto. Architettura, decori pittorici e musivi fanno di Sant’Eufemia un vero capolavoro di arte paleocristiana. Da notare il pavimento musivo, che oltre al classico motivo dell’onda marina stilizzata, riporta un’immagine del Castrum così com’era secoli fa. Osservarlo è come guardare una cartolina un po’ sbiadita ma assai precisa di un passato millenario. All’esterno, l’attenzione viene catturata dalla cima del campanile: è qui che si trova “l’Anzolo San Michele”, l’angelo segnavento alto quasi tre metri da sempre simbolo della città. A pochi passi si trovano altri due significativi monumenti di epoca paleocristiana, la BASILICA DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE e il BATTISTERO a pianta ottagonale. Messe insieme, queste tre opere d’arte permettono di immaginare come doveva essere Grado agli albori della sua lunga storia, che traspare anche nello scavo della Basilica della Corte. Contemporanea per le molte attività che propone ma antica per l’edificio che la ospita, del VI secolo d.C., è invece la Casa della Musica, punto di riferimento e di ritrovo nel centro storico.

Vivere a Grado significa però anche cogliere la sua anima marina: la passeggiata sulla Diga che collega la spiaggia “nuova” da quella “vecchia”, costeggiata da un lato dal mare aperto e dall’altra da una fila di eleganti ville dei primi del Novecento, è un rito irrinunciabile. Per esplorare i dintorni, inoltre, ci si può munire di bicicletta, vista la fitta rete di piste ciclabili congiunte a due delle “arterie” friulane meglio organizzate per le due ruote, la CICLOVIA ALPE ADRIA e la CICLABILE FVG2. Assolutamente unico per il contesto paesaggistico, oltre che sfidante per giocatori di ogni livello, è pure districarsi fra le 18 buche di un GOLF CLUB di tutto rispetto, tracciato da testare anche solo per immergersi in un silenzio surreale e per avvistare molte delle specie acquatiche che popolano le riserve dei dintorni.

Si prende invece il traghetto per arrivare all’ISOLA DI BARBANA, dove si trova il SANTUARIO DELLA BEATA VERGINE MARIA. Fondato nel 582 a seguito di una violenta mareggiata che portò sulle rive di Grado un’immagine della Madonna, è fra i più antichi santuari mariani al mondo e di sicuro uno dei più suggestivi, sospeso com’è sull’acqua placida. Lo è ancora di più nella prima domenica di luglio, quando si svolge il Perdòn di Barbana, pellegrinaggio che prevede una processione di barche imbandierate al seguito della Battella, l’imbarcazione che porta la statua della Madonna degli Angeli, solitamente custodita a Sant’Eufemia. Una tradizione nata in seguito alla pestilenza del 1237 e che ancora oggi richiama migliaia di pellegrini.

Gravina di Fantiano

Immaginate di camminare nel fondo valle di una gravina, utilizzata in passato come cava per l’estrazione del tufo. Ecco, siete arrivati nell’insediamento rupestre delle Cave di Fantiano, tra i più importanti centri della comunità grottagliese durante il Medioevo, ma soprattutto una delle gravine più particolari della zona. A sud della Gravina di Riggio, in Agro di Grottaglie, si apre appunto la Gravina di Fantiano, immersa nella macchia mediterranea, una sorta di “riserva naturale” privata per chi in epoca medievale abitava l’insediamento rupestre.

Frequentato fin dal Neolitico, l’habitat si sviluppa su ampi terrazzamenti, con numerosi ambienti, cisterne e persino una scalinata nella roccia e alcuni incassi un tempo usati per le arnie.

Il sito di Fantiano è diviso in due proprietà: la prima comunale, utilizzata per manifestazioni ed eventi culturali, la seconda privata, decisamente più wild, dove si trovano tre aggrottamenti, Grotta della Fovea, Grottone dei Fossili e Ipogeo delle Arnie.

I borghi delle Marche

Il comune più popoloso delle Marche è Ancona, con poco più di 99.000 abitanti, mentre quello più piccolo è Monte Cavallo, in provincia di Macerata, con 101 abitanti (a fine dicembre 2020). Nel mezzo di questa amplissima forbice si vanno a collocare tutte quelle realtà che fanno delle Marche una regione rappresentativa della popolazione italiana, che secondo una recente statistica, per il 16% continua a vivere in borghi di poche centinaia se non addirittura decine di persone. Se però a partire dagli Anni Sessanta i borghi hanno subito un netto calo di presenze a causa del trasferimento di intere generazioni in città, negli ultimi tempi si sta registrando un’inversione di tendenza demografica, fenomeno in lenta ma costante crescita forse anche grazie ai nuovi stili di vita, che hanno trovato una perfetta applicazione in questi luoghi “minori”.

Quale migliore contesto infatti per riportare l’attenzione sulla bellezza di uno stile di vita più slow e immersivo nella natura, lontano dai ritmi spesso troppo caotici e stressanti dei centri metropolitani? Senza contare il valore aggiunto di godere ogni giorno, e non solo per il tempo di una breve vacanza, di importanti beni storici, architettonici, artistici, ambientali, culturali e di tradizioni radicate, con in più la consapevolezza del ruolo rilevante che si può rivestire ai fini dello sviluppo socio-economico della regione. Sono inoltre infinite le potenzialità economiche legate soprattutto alle attività turistiche, agroalimentari e artigianali, cui si aggiunge il dato certo e immediato che nei borghi c’è un’offerta residenziale a costi più contenuti e dal carattere più autentico, in una full immersion fra arte e natura che eleva la qualità di vita, seguendo un modello maggiormente in linea con i principi della sostenibilità.

I Sassi di Matera e il Parco delle Chiese Rupestri

A vederla oggi, linda e restaurata, non si riesce quasi a crederlo, ma fino a qualche decennio fa, a Matera non c’erano le fognature e i famosi Sassi erano in uno stato di completo abbandono. Nel 1952, a causa delle condizioni critiche e antigieniche in cui versava la popolazione, fu addirittura promulgata la cosiddetta legge sullo sfollamento dei Sassi, anche in conseguenza della eco suscitata dal romanzo di Carlo Levi “Cristo si è fermato a Eboli” (1945) , che denunciava la situazione già allora al limite. Poi, lentamente, la rinascita e l’adeguamento della zona a una condizione di abitabilità, che nel 1993 ha portato addirittura al riconoscimento del Sasso Caveoso e del Sasso Barisano a Patrimonio dell’Umanità, e nel 2019 al titolo di “Città della Cultura Europea”.

I Sassi sono i rioni della città di Matera ricavati lungo un burrone roccioso modellato dall’erosione millenaria dell’acqua. Il tessuto urbano di questa parte antica è formato da scale e passaggi scavati nella pietra, cortili, cisterne per la raccolta dell’acqua, piccole case e imponenti palazzi con terrazze che sono spesso i tetti degli edifici sottostanti. Negli ultimi anni, moltissime di queste costruzioni sono state restaurate e trasformate in hotel, B&B, ristoranti, boutique e locali di vario genere per l’accoglienza turistica. Numerose le chiese di influsso bizantino: solo nel Parco delle Chiese Rupestri se ne contano oltre 150, spesso affrescate o a bassorilievo, fra cui il Santuario di Santa Maria de Idris e la Chiesa rupestre di Santa Lucia alla Malve, parte di un ex-monastero risalente al XII-XIII secolo.

Il Lazio e i luoghi della cultura monastica

Il tour del LAZIO legato ai luoghi della spiritualità non può non prendere avvio dalla “VALLE SANTA”, soprannome con cui è nota la Valle Reatina, destinazione ben nota a pellegrini e turisti desiderosi di intraprendere itinerari fra natura e misticismo, che qui possono affrontare il “Cammino di San Francesco”. Sono infatti quattro i santuari francescani in questa splendida conca verde, tappe di un viaggio immersivo nello spirito e nella bellezza artistica e green.

Prima sosta è il SANTUARIO DI GRECCIO, noto come la “Betlemme Francescana” perché fu qui che il “poverello” di Assisi, nella notte di Natale del 1223 mise in scena la prima rappresentazione della natività, ossia il primo Presepe della storia. Al di là di questo “dettaglio” che lo rende una meta speciale e unica, il Santuario appare da lontano incastonato nella pietra, come sospeso a mezza costa, tanto da sembrare un miracolo di ingegneria, oltre che per la spiritualità che emana.

Un miracolo vero avvenne invece al SANTUARIO DI SANTA MARIA DELLA FORESTA a Castelfranco: durante una sua sosta, Francesco notò che di uva in vigna ce n’era poca, tanto che i pellegrini non volevano neanche raccoglierla per pigiarla. Francesco insistette e, contrariamente a quanto immaginavano, da quei pochi grappoli raccolti, ottennero il doppio del vino dell’anno precedente.

Da ricordare anche l’episodio legato al SANTUARIO DI FONTE COLOMBO, soprannominato il “Sinai francescano”, in virtù del fatto che fu qui, in una grotta ribattezzata “Sacro Speco”, che Francesco stilò la regola definitiva del suo Ordine. Chiude idealmente questo iter il SANTUARIO DI SA GIACOMO, a Poggio Bustone, dove un angelo gli apparve in un momento di meditazione annunciandogli la remissione dei peccati e il glorioso futuro del suo Ordine.

E questo non è che l’incipit di un’esperienza concreta di connessione fra storia, arte, natura e fede. Il Lazio è infatti una delle regioni d’Italia più ricche di luoghi sacri e di culto, e questo senza contare la miriade di chiese e chiesine sparse ovunque e le oltre 900 presenti nella sola Roma. Tralasciando per un istante l’aspetto religioso, si tratta di decine di edifici e complessi architettonici più o meno articolati in grado di soddisfare ogni genere di gusto estetico e di coprire ogni epoca, creando un circuito attraverso il quale si può ripercorrere la storia della Chiesa dai suoi albori.

Talvolta, Monasteri, Abbazie e Santuari sono stati luoghi di accadimenti storici che hanno anche cambiato i destini dell’Italia. Basti citare la celebre battaglia che per quattro mesi, da gennaio a maggio 1944, ebbe come fulcro l’ABBAZIA DI MONTECASSINO. Di quell’evento drammatico che vide la perdita di 55.000 uomini delle truppe alleate e di 20.000 soldati tedeschi, vale qui la pena ricordare l’aspetto più “virtuoso”, se così si può dire: nei mesi precedenti all’inizio delle ostilità, l’esercito tedesco ebbe l’accortezza di mettere in salvo opere d’arte, archivi e documenti portandoli al sicuro in Vaticano. Operazione durata mesi e costata non poca fatica a frati e uomini di scorta al prezioso tesoro in cammino verso Roma, ma che poi, terminato il conflitto, permise di riportare tutto là dov’era.

Viterbo, la “Città dei Papi”, meriterebbe da sola un viaggio per esplorare con attenzione il centro storico, fermo all’epoca medievale e con emergenze di notevole interesse, religioso e architettonico, come il Palazzo dei Papi, la CATTEDRALE DI SAN LORENZO e la BASILICA DI SAN FRANCESCO ALLA ROCCA. Nella sua provincia poi, si scoprono piccoli gioielli d’arte come il MONASTERO DI SAN VINCENZO a Bassano Romano, che dietro alla facciata in stile rinascimentale-barocco nasconde un capolavoro michelangiolesco sconosciuto ai più ma che merita un cenno. Si tratta della statua del Cristo Portacroce, che il Buonarroti realizzò fra il 1514 e il 1516 e che lasciò incompiuta per una “vena nera” emersa nel blocco di marmo a scultura praticamente quasi terminata. Non solo. All’interno del Santuario si può anche ammirare una copia a grandezza naturale della Sacra Sindone conservata a Torino, il che fa di questo luogo una meta di pellegrinaggi. A Cura di Vetralla si trova invece il MONASTERO REGINA PACIS, destinato alla clausura delle benedettine, collocato ai piedi dei Monti Cimini ma soprattutto propri lungo la Via Francigena. Ai monaci cistercensi dell’Abbazia primigenia di Pontigny si deve invece la realizzazione, nel corso del XIII secolo, dell’ABBAZIA DI SAN MARTINO DI CIMINO, nell’omonimo borgo nel viterbese, in conseguenza della donazione di alcune terre da parte di Papa Innocento III, che voleva trasformare quest’area del Lazio in un polo di sviluppo agricolo.

Di grande importanza è anche l’ABBAZIA DI FOSSANOVA, a Priverno, Latina, il più antico esempio di gotico-cistercense, Monumento Nazionale dal 1874, che sotto le sue fondamenta nasconde addirittura una villa romana del I secolo a.C. Prima di ripartire, quasi d’obbligo acquistare vini e liquori dai frati minori conventuali devoti a San Francesco. Altro Monumento Nazionale, ma abitato da monaci benedettini, è l’ABBAZIA DI FARFA, gioiello della terra Sabina che nei suoi quindici secoli di vita, oltre a migliaia di pellegrini in cerca di pace e meditazione, ha attratto re, imperatori e papi, fra cui nel 1993 Giovanni Paolo II, frequentatore anche del bellissimo SANTUARIO MADONNA DELLA MENTORELLA a Capranica Prenestina.

Il viaggio prosegue nell’Agro Pontino visitando l’ABBAZIA DI VALVISCIOLO, straordinario mix di linee romanico-gotico-cistercensi, ma soprattutto luogo ricco di fascino e di “segni” che la legano al mondo dei Templari. Rimanendo in quel limbo fra leggenda e realtà, ora gli appassionati del mistero sanno dove andare. Un pezzo di storia e molto ben documentato è invece quello accaduto al MONASTERO DI SANTA SCOLASTICA a Subiaco, diventata nel 1465 la prima stamperia d’Italia grazie a due monaci tedeschi allievi di Gutenberg, mentre nel vicino MONASTERO DI SAN BENEDETTO, avvolti dal silenzio mistico e dalla natura incontaminata del PARCO NATURALE DEI MONTI SIMBUINI, si può contemplare il “Sacro Speco” dove il Santo di Norcia era solito ritirarsi in preghiera. Qui vicino, in una posizione da vertigine, si trova il SANTUARIO DELLA SANTISSIMA TRINITA’  di Vallepietra, piccolo da sembrare poco più di una cappella, ma meta di devoti che in questa sorta di “nicchia” scavata nella roccia trovano ispirazione e preghiera.

Tutto il contrario di come appare la CERTOSA DI TRISULTI, imponente e gigantesca da avere internamente alle mura, oltre alla chiesa, addirittura una “piazzetta”, un vasto giardino e una farmacia, edifici dove da linee e decorazioni di gusto gotico si passa a trompe –l’oeil di ispirazione pompeiana e arredi settecenteschi.

Il Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise fa poi da contorno al SANTUARIO DI CANNETO, elevato nel 2015 a Basilica pontificia minore. La ragione di questo “upgrade” fuori dal comune è presto detto: Silvana era una pastorella della zona che, come accadde a Bernadette di Lourdes, vide la Madonna che poi con un gesto fece sgorgare una sorgente da una roccia. Inutile dire che berne l’acqua è d’obbligo.

L’ultima tappa di questo ricchissimo itinerario riporta verso Roma. A strapiombo sul Lago Albano, nei Castelli Romani, si trova il CONVENTO DI PALAZZOLO, dalla storia singolare e parecchio ingarbugliata. L’edificio esisteva già dall’XI secolo, ma acquisì una certa importanza solo nel Settecento, quando divenne protettorato del regno del Portogallo, fino a essere adibito a sede dell’Ambasciata, salvo poi essere venduto a privati. Dal 1920, si può dire che fra le sue mura si parla un’altra lingua, ospitando i soggiorni estivi per i seminaristi del Venerable English College.

Il massiccio del Pollino e popolazione arbresche

La zona a nord della provincia di Cosenza è occupata da una porzione del Parco Nazionale del Pollino, terra dell’endemico pino loricato e delle vette più alte del Sud Italia, che sfiorano i a 2.200 metri e guardano su Ionico e Tirreno insieme. Benché sia la natura a fare da padrona da queste parti, non mancano gli spunti storico-archeologici, e persino preistorici, come per esempio nella Grotta-Riparo del Romito, o in quella di Sant’Angelo, con una graziosa chiesa ipogea del V-VI sec. d.C., o ancora nei borghi di Mormanno e Civita, fermi al Medioevo.

Per non farsi mancare nulla, c’è anche il tocco di “esotico” in più, dato dalle comunità di cultura Arbëreshe, presenti sul territorio dal 1470. Alcuni nuclei provenienti dall’Albania si rifugiarono qui per sfuggire alle milizie turche, rimanendo fedeli alle loro tradizioni e alla loro lingua, parlata ancora oggi, e fondando paesi come Acquaformosa, Civita, S. Basile, Lungro, Plataci, Frascineto, S. Costantino Albanese e S. Paolo Albanese.
La comunità albanese presente nel Pollino è fra le più radicate d’Italia: a Civita e a S. Paolo Albanese, si trovano i Musei della Civiltà Arbëreshe dove sono conservati numerosi oggetti, attrezzi e costumi tipici. Di grande interesse religioso sono le funzioni di rito greco-bizantino e le Vallje, le particolari danze che gli Arbëreshë intrecciano uniti l’un l’altro attraverso un fazzoletto.

Itinerario degli antichi commerci. La riviera dei cedri e gli antichi vini

Saraceni, Normanni e Angioini hanno lasciato tracce importanti lungo la costa cosentina della Calabria, non solo in architetture e culture, ma anche in tradizioni gastronomiche. Già all’epoca e prima ancora dai tempi dei Greci, in queste terre a tratti irte e a tratti più dolci e collinari, fino a diventare pianeggianti verso i litorali marini, si coltivava infatti la vite. Terre interessate da un microclima mite, ideale per l’acclimatazione di alcuni vitigni, che in questa zona assunsero già in passato caratteristiche di particolare pregio. Si pensi, uno fra tutti, al vino di Cirella, il Chiarello, che gli annali tramandano essere stato il preferito da Re Ferdinando di Borbone e da Papa Paolo III Farnese. La presenza lungo la costa di fiorenti porti commerciali, insieme all’uso della pregiata pece silana all’interno delle anfore di terracotta, facilitava poi la diffusione del prodotto in tutto il Mediterraneo, fino ad arrivare in Francia e Spagna, senza subire grandi perdite organolettiche, il che rendeva già allora il vino calabrese un’eccellenza ricercata sul mercato.

Il particolare microclima dell’area costiera cosentina agevola anche la coltivazione di frutti unici come il pregiatissimo Cedro di Santa Maria del Cedro – borgo al centro della cosiddetta Riviera dei Cedri – o di verdure come il Pomodoro di Belmonte Calabro, l’unico pomodoro italiano a fregiarsi del marchio “Denominazone Comune d’Origine”. Fra le lavorazioni, spiccano quelle della Sardella di Amantea e delle Alici di Fuscaldo. Per i palati robusti, a Diamante, a nord della costa tirrenica, si tiene il Festival del peperoncino, che ogni anno raccoglie migliaia di visitatori e la cui Accademia ha ormai seguaci in tutto il mondo.

La Città dei Papi

Dal 1257 al 1281. Ventiquattro anni appena, ma tanto è bastato per far guadagnare a Viterbo l’appellativo eterno di “Città dei Papi“. In quel lasso di tempo brevissimo nell’arco della sua storia ultra millenaria, iniziata già con gli Etruschi, Viterbo fu in buona sostanza il nuovo “Vaticano”, e il Palazzo dei Papi e la sua loggia furono la “piazza San Pietro” dove i fedeli attendevano la benedizione del Pontifex Maximus. Anche dopo il ritorno a Roma della sede ufficiale, il Palazzo continuò a ospitare per periodi più o meno lunghi i Papi, in tutto una quarantina, accompagnati dal loro nutrito entourage. Ciò permise alla città di continuare ad arricchirsi di sontuosi edifici, chiese, chiostri, torri, fontane e monumenti di ogni sorta, un immenso patrimonio d’arte custodito da possenti mura medievali cui si accedeva da otto porte.

Molte le curiosità legate a questo pezzo importante di storia locale, fra cui quella che vuole nascere proprio qui il termine conclave. Questi i fatti: durante l’elezione del successore di Clemente IV, i cittadini, esasperati dal procrastinare della nuova nomina, segregarono i cardinali all’interno del palazzo, dichiarandoli “clausi cum clave” e arrivando persino a scoperchiare il tetto e a razionare gli alimenti.

Con o senza l’incursione papale nella sua storia, Viterbo si sarebbe comunque guadagnata un posto fisso negli annali per la ricchezza del suo sottosuolo. Dal III secolo a.C., qui vicino transitava l’importante Via Cassia, arteria consolare lungo la quale sorgevano già allora ben 14 stabilimenti termali alimentati da acque benefiche. In località Palliano c’erano per esempio le Terme del Masso o Massi di S. Sisto, i cui ruderi ben conservati fanno immaginare si trattasse di un impianto ricco e di dimensioni notevoli. Delle Terme delle Zitelle rimangono in particolare alcuni frammenti di meravigliosi pavimenti a mosaico, mentre le Terme della Lettighetta si connotano per la tipica pianta quadrata dalla forma a lettiga, da cui il nome. Le più sontuose e imponenti, come si può leggere dai resti, erano invece le Terme del Bacucco, talmente belle da incantare Michelangelo che le ritrasse in due schizzi. Ad oggi, questa antica tradizione di vacanze benessere prosegue con le Terme dei Papi.

La Dieta Mediterranea

Ancel Keys è l’epidemiologo statunitense padre della teoria della Dieta Mediterranea, messa a punto durante un lungo soggiorno nel borgo marinaro di Pioppi, frazione marina di Pollica, nel Cilento. Fu lui a scoprire il nesso diretto tra regime alimentare e patologie cardiovascolari e a portare il nome di questa località nel mondo, ma soprattutto, a diffondere i suoi studi sullo stile di vita dei cilentani, partendo dalle abitudini alimentari: pochi grassi saturi, consumo regolare di verdura, frutta, cereali, olio d’oliva e una moderata quantità di vino.

Per valorizzare questa straordinaria peculiarità, Legambiente, in sinergia con il Comune di Pollica, il Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, e altri soggetti territoriali, ha intrapreso un percorso che ha portato alla realizzazione dell’Ecomuseo della Dieta Mediterranea.

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