Al secolo era Pietro Angeleri detto da Morrone, per la storia fu Celestino V. Il contesto della vita di questo semplice uomo “di montagna” che da eremita a Sant’Onofrio al Morrone, sopra Sulmona, divenne Papa, era l’Abruzzo, sua terra d’origine che da più di 700 anni, ogni 28 e 29 agosto ne celebra il ricordo con il solenne rito della Perdonanza. Questo l’antefatto: il 29 agosto 1294, Pietro, già designato successore di Niccolò IV, si recò nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio a L’Aquila, dove venne eletto Papa. Evento eccezionale che attirò una folla di centinaia di fedeli, oltre a nobili, cardinali e persino re Carlo II d’Angiò e suo figlio Carlo Martello, che pare lo avessero addirittura “scortato” nel suo lungo viaggio a dorso d’asino. Per ringraziarli di questo inaspettato omaggio, il neo eletto concesse in dono a tutti i presenti la Perdonanza, ossia la remissione dei peccati e l’assoluzione della pena. L’eco fu così straordinaria che L’Aquila ne giovò in fama per lungo tempo, anzi, fino ai giorni nostri, tanto che nel 2019, la Bolla della Perdonanza Celestiana è stata iscritta dall’Unesco alla Lista del Patrimonio Immateriale dell’Umanità.
Oltre che con il consueto pellegrinaggio agostano, il ricordo di questo Papa fuori dagli schemi, che seppe anche innovare la Chiesa di allora, è oggi tramandato con il cosiddetto Cammino di Celestino lungo circa 90 km. Sei le tappe, tracciate sulla Rete Sentieristica Ufficiale del Parco Nazionale della Majella, in parte coincidenti con l’ormai storico Sentiero dello Spirito (segnavia S) e con quelli che era solito percorrere lo stesso Celestino.
La partenza avviene alla Badia Celestiniana di Sulmona e dopo aver toccato Pacentro, Roccacaramanico, Caramanico Terme, Roccamorice e Lettomanoppello si conclude all’Abbazia di S. Liberatore a Maiella nel comune di Serramonacesca. Particolarmente impegnative sono le due tappe che transitano per la vetta del Monte Morrone (2.061 metri) e per la ripida Rava dell’Avellana nella Valle dell’Orfento. Per orientarsi, c’è la Charta Peregrini (o Credenziale del Pellegrino), una sorta di “tessera a punti”, che una volta completata dà diritto a ricevere la Croce di Celestino, il Testimonium che certifica l’intera percorrenza delle tappe.
Il Lazio sta alla Terra Santa come Roma a Gerusalemme. In questa semplice equazione si coglie il motivo per cui non c’è zona di questa Regione che non sia disseminata di luoghi consacrati alla spiritualità, ma soprattutto in cui non transiti un itinerario di fede. I Cammini sono in tutto quattro, e sono i quattro più importanti d’Europa.
Tenendo come punto di arrivo e ripartenza la Capitale, il più classico degli itinerari di fede si divide in due tronconi: Via Francigena del Nord, partendo dal confine della Toscana, e Via Francigena del Sud, scendendo verso Minturno e Cassino, al confine con la Campania e il Molise, per proseguire poi fino in Puglia. Questa antica Via, che nella sua completezza tocca anche Regno Unito, Francia e Svizzera, attraversa tutta la provincia di Viterbo, da Proceno a Monterosi passando per Acquapendente, San Lorenzo Nuovo, Bolsena, Montefiascone, Viterbo, Vetralla, Capranica e Sutri. C’è anche una possibile variante, la Cimina, che ha l’unicità di correre intorno al cratere vulcanico oggi occupato dal Lago di Vico.
Gli altri due Cammini laziali ripercorrono le tracce in vita di San Francesco e San Benedetto, transitando il primo nella “Valle Santa” reatina, e la seconda nella parte interna del Lazio, fra Leonessa e Montecassino, verso l’Umbria.
Vie nate sulla scia della fede, ma che nei secoli sono diventate anche di conquista e di commercio, percorsi di arte e di storia, raccogliendo input culturali dall’Occidente e dall’Oriente. Vie che oggi sono tornate a rivestire un ruolo di “culla” della Cristianità, e allo stesso tempo di strumento prezioso per una conoscenza capillare delle micro realtà territoriali.
Per una vacanza ad Alghero si può partire con pinne e bombole, con moschettoni e scarpe da arrampicata, scarponcini da trekking e racchette da nordic walking, cap e stivali per una gita a cavallo, abbigliamento da biking e MTB. Si potrebbero mettere in valigia addirittura caschetto e attrezzatura da speleologo. Alghero è una di quelle destinazioni di mare che ha la fortuna di trovarsi in un contesto ambientale che consente, e soprattutto ispira, davvero ogni genere di attività, dagli sporti nautici a quelli di terra.
Cinque anelli, come quelli olimpici, caratterizzano il percorso che cinge il Monte Gottero, 1639 metri di quota a dominare la Val di Vara e l’intera provincia di La Spezia. Novanta chilometri in tutto amati da chi pratica trekking e MTB per vivere un’esperienza a contatto con la natura. Una bella realtà di recente realizzazione, nata da un’operazione complessa di recupero del patrimonio boschivo, grazie alla quale sono stati ritrovati alcuni metri di binari appartenenti alla “strada dei carrelli”. Una via ferrata che nell’Ottocento veniva utilizzata per il trasporto del legname del Gottero, traportato al vicino torrente, poi sospinto a valle da un’onda creata da una diga artificiale e da lì destinato a falegnamerie di tutta la Liguria e oltre. Storie in bianco e nero che restituiscono il sapore della vita di un tempo, che riecheggiano anche nel rifugio alla Foce dei Tre Confini, panoramico crocevia fra Liguria, Toscana ed Emilia.
Sono probabilmente centinaia le bandierine bianco/rossa con la scritta “AV” che individuano i 44 tracciati della AVML, disegnando una sorta di “corsia preferenziale” nel verde che corre su crinali soleggiati, scomparendo in boschi ombrosi per poi tornare alla luce e offrire alla vista orizzonti sui quali si riconoscono il Monviso, il Massiccio del Monte Rosa e il profilo della Corsica. Insieme ai Siti della Rete Natura 2000 Comunitaria, al sistema dei parchi e alla rete ecologica regionale, l’Alta Via costituisce un “corridoio di connessione” prezioso anche per gli animali, come hanno dimostrato casi di esemplari di macrofauna, in particolare lupi, giunti sulle Alpi Marittime dall’Appennino Emiliano e individuati grazie al radiocollare.
Itinerario 06. È siglato con questo numero il percorso del Parco Naturale Regionale del Beigua, parte della AVML, che identifica l’Anello della Badia di Tiglieto. In circa 2 ore di percorrenza, si coprono i 6,4 km che partono dalla Badia di Tigliero e vi fanno ritorno, con un dislivello di soli 100 metri che mette tutti a proprio agio. Al termine, la sensazione che rimane addosso è quella di una “catarsi”, di una libertà fisica e mentale data dall’attraversare luoghi dove il silenzio regna sovrano, in un’alternanza di paesaggi che va dalle tranquille anse sabbiose del torrente Orba a profonde gole scavate nella roccia dall’acqua e dal tempo. Suggestioni religiose che si fondono con quelle della natura più pura.
Quota 1133 metri. La si potrebbe definire un’altitudine modesta, e in effetti lo è, ma è sufficiente perché dalla cima di Pizzo d’Alvano si domini la Piana Salernitano-Napoletana fino a intravvedere l’inconfondibile profilo del Vesuvio. Questa vetta, insieme all’intero massiccio dei Monti di Avella e Partenio e alle aree tutelate come SIC (Sito di Interesse Comunitario) di Pietra Maula e dei Monti di Lauro, è oggi compresa nel vasto Parco Naturalistico Valle Lauro – Pizzo Alvano, che ricade sotto ben tre province, quelle di Napoli, Salerno e Avellino.
Al suo interno si sviluppano circa 50 km di sentieri naturalistici – segnalati secondo le indicazioni internazionali del CAI e identificate con il numero 400 – percorrendo i quali si ha la possibilità di avvistare molte specie di volatili, fra cui la maestosa aquila reale, la poiana, l’astore, il picchio rosso e il picchio nero, l’upupa e il falco pellegrino. Birdwatching da fare a piedi o su due ruote, meglio se in mountain bike, pronti a deviazioni nei piccoli borghi lungo la strada, quali Marzano, Pago, Vallo di Lauro, Taurano, Lauro, Moschiano, Quindici e Domicella, per scoprire prodotti e piatti locali che affondano le radici nel territorio.
L’antica Via Francigena, cammino di fede per eccellenza, ha da sempre due “sensi di marcia”, Canterbury – Roma, Roma – Gerusalemme. Il progetto Vie Francigene del Sud ha di recente rilanciato l’importanza di questo itinerario religioso, ponendo l’accento sulla rotta che da Roma “caput mundi” porta fino al cuore della Terra Santa, Gerusalemme. Limitandoci alla sola Italia, tale viaggio, fisico sì ma anche dell’anima, che dal Medioevo in poi non ha mai smesso di attrarre pellegrini e non solo, transita per Lazio, Molise, Campania, Basilicata e Puglia, in 45 tappe per un totale di 930 km. In provincia di Avellino, nel cuore dell’Irpinia, c’è quella che è stata identificata come Tappa 20, che da Buonalbergo porta a Celle San Vito e che all’altezza del torrente Ginestra attraversa il cosiddetto Ponte del Diavolo. Il cammino si inerpica poi su una serie di colline, toccando luoghi che riportano a una Storia di secoli fa, testimoniata dai resti dell’antico centro di Aequum Tuticum e dalla Taverna Tre Fontane, stazione di posta della Via Traiana.
L’idea alla base del progetto Vie Francigene nel Sud è molto di più che creare un modello di cammino a tappe: il cammino ha la forza di unire l’Occidente all’Oriente, il cristianesimo al paganesimo, l’Età Antica al Medioevo. È un itinerario trasversale, tra basolati romani e antichi tratturi, templi pagani, imponenti cattedrali e santuari cristiani, dolci panorami collinari e aspri passi montani.
Una curiosità in più: le tappe ripercorrono quelle realizzate dalla troupe di Radio RAI durante una spedizione del 2012, raccontata da Sergio Valzania e da altri giornalisti nella trasmissione radiofonica “Da Roma a Gerusalemme, le strade, il mare, la nostra lingua”.
Percorrere i 200 km del Trekking Partenio è come camminare indietro nel tempo. Tralasciando per un attimo l’aspetto preponderante, quello naturalistico, e concentrandosi invece sui segni lasciati dall’uomo, si può cogliere come questo tracciato sia un insieme di mulattiere, carrarecce, viottoli, sentieri più o meno comodi, ma sempre segnalati dal CAI, lungo i quali sono passati pastori, taglialegna, rifugiati e sfollati di guerre, briganti, contrabbandieri o semplici cercatori dei tesori del bosco, i funghi. Transiti che hanno cambiato, chi in un senso e chi in un altro, la storia stessa della Campania, e prima ancora della Valle Lauro e dell’Irpinia tutta.
Dopo decenni di abbandono dovuto al fenomeno dell’emigrazione e della motorizzazione, l’esigenza di un ritorno alla natura ha permesso di ripristinare tali sentieri, coniugando attività sportiva e culturale e ridando al territorio il suo giusto ruolo, tanto che oggi il Partenio è considerato una delle oasi naturali più belle e incontaminate del Paese.
Il Trekking Partenio è l’itinerario principale che insiste sul Monte Partenio, mettendo in comunicazione i vari comuni attraverso un percorso che si snoda lungo la dorsale principale fra i passi dei Monti di Avella, Piano di Lauro e Mafariello, toccando le zone più alte del territorio e collegandole direttamente con le aree a valle.
I 1809 metri di quota del Monte Cervialto, nell’avellinese, rappresentano la seconda cima della Campania ma soprattutto uno dei punti di riferimento e di arrivo dei numerosi percorsi di trekking in Alta Irpinia. Il suo nome lo deve al cospicuo numero di cervi che un tempo popolavano la zona, ma a essere rimasto inalterato è il panorama che spazia dalla Piana del Sele al Golfo di Salerno, fino a intravvedere il Tavoliere delle Puglie. Assieme al Montagnone di Nusco, il Cervialto costituisce un complesso orografico di grande interesse faunistico, tale da essere riconosciuto come area SIC (Sito di Interesse Comunitario). Attraverso fitti boschi di castagni, principale coltura arborea del territorio, si raggiunge l’Altopiano di Sazzano, a circa 1330 metri, e da qui quello di Gaudo, nei pressi del Santuario della Madonna della Neve.
Il vicino borgo di Calabritto con le sue 14 cascate formate dal rio Zagarone è una di quelle mete imperdibili, soprattutto se al trekking si vuole alternare il canyoning nella Forra di Calabritto.
Camminate con vari livelli di difficoltà, escursioni in MTB, quad, cavallo e, in stagione, con gli sci ai piedi sono invece praticabili sull’Altopiano di Laceno, nei dintorni di Bagnoli Irpino, alle pendici dei Monti Picentini. Qui si trova anche il borgo di Caposele, da dove inizia il cosiddetto Anello delle 7 Fontane: nella pratica, 18 km di lunghezza per 800 metri di dislivello e una difficoltà classificata E, quindi non per tutte le gambe, che conduce alle sorgenti del Sele, incipit dell’Acquedotto Pugliese. Un’opera ingegneristica di tutto rispetto, perché grazie ai 250 km di lunghezza, che dall’Irpinia portano fino a Santa Maria di Leuca, in Puglia, detiene il record di acquedotto più lungo del mondo.
Se poi non si è ancora sazi di natura, a Senerchia, delizioso borgo medievale con i resti di un castello longobardo, c’è l’Oasi WWF Valle della Caccia, popolata da falchi pellegrini, aquile, poiane e picchi neri, oltre che da volpi, martore e lupi. Per saperne di più su quest’ultima specie, c’è persino il Museo del Lupo.