Gargano

Gargano, dal greco Gargaros, “montagna di pietra” di matrice calcarea e morfologia carsica. La parte nord-orientale della provincia di Foggia si presenta proprio così, ispida, rocciosa, disseminata di grotte e doline, dove in un attimo la costa sprofonda nel blu.

Ampie spiagge sabbiose, ma anche alte e rocciose con falesie a strapiombo sul mare; lungo la costa garganica la natura è libera di esprimere tutta la sua ricchezza. Acque cristalline, suggestive grotte marine, archi e insenature naturali, baie e calette ghiaiose, e gli iconici faraglioni di Mattinata scolpiti dal vento.

La varietà del paesaggio è una delle caratteristiche salienti di questo territorio: i borghi costieri di Vieste, Peschici e Rodi Garganico sono un susseguirsi di viuzze, piazzette e balconi che si affacciano a picco sul mare con una vista magnifica sull’adriatico; i borghi montani di Vico del Gargano, Monte Sant’Angelo, San Giovanni Rotondo, San Marco in Lamis, San Nicandro Garganico conservano per molti tratti le caratteristiche antiche medioevali, con sali e scendi di scale, dove storia, cultura e religiosità si fondono in un unico insieme.

Percorrendo una dorsale di muretti a secco e uliveti secolari, ad attirare l’attenzione si ergono i trabucchi, a ricordare l’origine antica dell’economia locale, la pesca. Ora, queste tipiche “peschiere” di legno sono in gran parte riconvertite in ristoranti, dove la combinazione del blu del mare, del rosso dei tramonti, del bianco della roccia e del verde della macchia mediterranea regalano un’atmosfera mozzafiato.

Lo “sperone d’Italia” comprende anche il Parco Nazionale del Gargano, l’area più verde della Puglia, con al suo interno la Foresta Umbra, selva incontaminata di faggete vetuste, entrate a far parte del patrimonio UNESCO, e l’incontaminato Arcipelago delle Isole Tremiti, tutelato da una Riserva Naturale Marina, meta ideale per immersioni e snorkeling.

A mare e montagna si aggiungono anche i laghi. Nella parte nord ci sono quelli di Lesina e Varano, due lagune naturali separate dal mare da un sottile istmo di sabbia, coperto di pini ed eucalipti, largo circa due chilometri; a sud il lago Salso, oasi gestita dal WWF, habitat popolato da diverse specie di uccelli, hotspot per appassionati di trekking e birdwatching e semplici amanti dello spettacolo della natura.

Merita un cenno anche il volto storico di questa area del foggiano, che visse il suo periodo d’oro con l’arrivo dei Normanni e degli Svevi, grandi architetti di chiese, palazzi e castelli, seguiti poi da Angioini e Aragonesi. Tutta la zona ne è letteralmente disseminata, vedi il castello di Monte Sant’Angelo, di Peschici, di San Nicandro Garganico, di Vico del Gargano, di Vieste, e di Manfredonia che ospita anche un museo archeologico nazionale con preziosi reperti dell’antica Daunia, tra cui le famose stele daune.

Antichi vessilli di guerre di potere e prestigio che cedono il passo a suggestivi luoghi sacri millenari: il Santuario di Santa Maria delle Grazie e la Tomba di San Pio da Pietrelcina (San Giovanni Rotondo), i conventi francescani di San Matteo Apostolo e Santa Maria di Stignano (San Marco in Lamis), il Santuario di San Michele Arcangelo – patrimonio UNESCO – e l’Abbazia di Santa Maria di Pulsano (Monte Sant’Angelo), l’Abbazia di San Leonardo in Lama Volara e la Basilica di Santa Maria Maggiore di Siponto, con annesso parco archeologico (Manfredonia). Tutti luoghi situati lungo la Via Sacra Langobardorum, antesignana della Via Francigena.

Il Gargano è anche cultura e tradizioni che si concretizzano in eventi suggestivi tra i quali ricordiamo: il “Carnevale Dauno” di Manfredonia con le celebri sfilate di carri allegorici e gruppi mascherati; il Carpino Folk Festival che attrae ogni anno migliaia di turisti in cerca delle proprie memorie; e “Suoni in Cava” ad Apricena, il jazz nelle suggestive cave di pietra.

Golfo di Squillace

L’espressione navifragum Scylaceum coniata da Virgilio non doveva suonare un granché bene ai marinai dell’antichità in transito in quel tratto di costa calabrese oggi compreso fra Isola Capo Rizzuto e Stilo di Monasterace. Il Golfo di Squillace era ed è infatti da sempre considerato piuttosto pericoloso per le correnti, e l’assenza di porti naturali non aiuta di certo. Molti furono i naufragi registrati fino a tutto l’800, tanto che ancora oggi fra i naviganti circola un detto: Golfo di Squillace dove il vento mai tace!

Proprio al centro del golfo si trova Soverato, che pare voler tenere nascoste le sue bellezze, sia per terra che per mare. Nel centro storico cela infatti un sito archeologico, così come nei fondali davanti alla sua Marina presenta punti che si inabissano per centinaia di metri, che ospitano colonie di cavallucci marini e pesci ago.

Nella baia di Caminìa di Stalettì, chiusa da una scogliera che si allunga nel mare cristallino, molte le testimonianze di un remoto passato: reperti archeologici, una torre di guardia e antiche formaci per la calce, e in direzione Copanello, le Vasche di Cassiodoro, peschiera per l’allevamento delle murene in uso più di duemila anni fa. Poco oltre, la suggestiva Grotta di San Gregorio, meta di appassionati di snorkeling e immersione, e il Parco Archeologico Scolacium della Roccelletta di Borgia.

I borghi delle Marche

Il comune più popoloso delle Marche è Ancona, con poco più di 99.000 abitanti, mentre quello più piccolo è Monte Cavallo, in provincia di Macerata, con 101 abitanti (a fine dicembre 2020). Nel mezzo di questa amplissima forbice si vanno a collocare tutte quelle realtà che fanno delle Marche una regione rappresentativa della popolazione italiana, che secondo una recente statistica, per il 16% continua a vivere in borghi di poche centinaia se non addirittura decine di persone. Se però a partire dagli Anni Sessanta i borghi hanno subito un netto calo di presenze a causa del trasferimento di intere generazioni in città, negli ultimi tempi si sta registrando un’inversione di tendenza demografica, fenomeno in lenta ma costante crescita forse anche grazie ai nuovi stili di vita, che hanno trovato una perfetta applicazione in questi luoghi “minori”.

Quale migliore contesto infatti per riportare l’attenzione sulla bellezza di uno stile di vita più slow e immersivo nella natura, lontano dai ritmi spesso troppo caotici e stressanti dei centri metropolitani? Senza contare il valore aggiunto di godere ogni giorno, e non solo per il tempo di una breve vacanza, di importanti beni storici, architettonici, artistici, ambientali, culturali e di tradizioni radicate, con in più la consapevolezza del ruolo rilevante che si può rivestire ai fini dello sviluppo socio-economico della regione. Sono inoltre infinite le potenzialità economiche legate soprattutto alle attività turistiche, agroalimentari e artigianali, cui si aggiunge il dato certo e immediato che nei borghi c’è un’offerta residenziale a costi più contenuti e dal carattere più autentico, in una full immersion fra arte e natura che eleva la qualità di vita, seguendo un modello maggiormente in linea con i principi della sostenibilità.

I Sassi di Matera e il Parco delle Chiese Rupestri

A vederla oggi, linda e restaurata, non si riesce quasi a crederlo, ma fino a qualche decennio fa, a Matera non c’erano le fognature e i famosi Sassi erano in uno stato di completo abbandono. Nel 1952, a causa delle condizioni critiche e antigieniche in cui versava la popolazione, fu addirittura promulgata la cosiddetta legge sullo sfollamento dei Sassi, anche in conseguenza della eco suscitata dal romanzo di Carlo Levi “Cristo si è fermato a Eboli” (1945) , che denunciava la situazione già allora al limite. Poi, lentamente, la rinascita e l’adeguamento della zona a una condizione di abitabilità, che nel 1993 ha portato addirittura al riconoscimento del Sasso Caveoso e del Sasso Barisano a Patrimonio dell’Umanità, e nel 2019 al titolo di “Città della Cultura Europea”.

I Sassi sono i rioni della città di Matera ricavati lungo un burrone roccioso modellato dall’erosione millenaria dell’acqua. Il tessuto urbano di questa parte antica è formato da scale e passaggi scavati nella pietra, cortili, cisterne per la raccolta dell’acqua, piccole case e imponenti palazzi con terrazze che sono spesso i tetti degli edifici sottostanti. Negli ultimi anni, moltissime di queste costruzioni sono state restaurate e trasformate in hotel, B&B, ristoranti, boutique e locali di vario genere per l’accoglienza turistica. Numerose le chiese di influsso bizantino: solo nel Parco delle Chiese Rupestri se ne contano oltre 150, spesso affrescate o a bassorilievo, fra cui il Santuario di Santa Maria de Idris e la Chiesa rupestre di Santa Lucia alla Malve, parte di un ex-monastero risalente al XII-XIII secolo.

Il Lazio e i luoghi della cultura monastica

Il tour del LAZIO legato ai luoghi della spiritualità non può non prendere avvio dalla “VALLE SANTA”, soprannome con cui è nota la Valle Reatina, destinazione ben nota a pellegrini e turisti desiderosi di intraprendere itinerari fra natura e misticismo, che qui possono affrontare il “Cammino di San Francesco”. Sono infatti quattro i santuari francescani in questa splendida conca verde, tappe di un viaggio immersivo nello spirito e nella bellezza artistica e green.

Prima sosta è il SANTUARIO DI GRECCIO, noto come la “Betlemme Francescana” perché fu qui che il “poverello” di Assisi, nella notte di Natale del 1223 mise in scena la prima rappresentazione della natività, ossia il primo Presepe della storia. Al di là di questo “dettaglio” che lo rende una meta speciale e unica, il Santuario appare da lontano incastonato nella pietra, come sospeso a mezza costa, tanto da sembrare un miracolo di ingegneria, oltre che per la spiritualità che emana.

Un miracolo vero avvenne invece al SANTUARIO DI SANTA MARIA DELLA FORESTA a Castelfranco: durante una sua sosta, Francesco notò che di uva in vigna ce n’era poca, tanto che i pellegrini non volevano neanche raccoglierla per pigiarla. Francesco insistette e, contrariamente a quanto immaginavano, da quei pochi grappoli raccolti, ottennero il doppio del vino dell’anno precedente.

Da ricordare anche l’episodio legato al SANTUARIO DI FONTE COLOMBO, soprannominato il “Sinai francescano”, in virtù del fatto che fu qui, in una grotta ribattezzata “Sacro Speco”, che Francesco stilò la regola definitiva del suo Ordine. Chiude idealmente questo iter il SANTUARIO DI SA GIACOMO, a Poggio Bustone, dove un angelo gli apparve in un momento di meditazione annunciandogli la remissione dei peccati e il glorioso futuro del suo Ordine.

E questo non è che l’incipit di un’esperienza concreta di connessione fra storia, arte, natura e fede. Il Lazio è infatti una delle regioni d’Italia più ricche di luoghi sacri e di culto, e questo senza contare la miriade di chiese e chiesine sparse ovunque e le oltre 900 presenti nella sola Roma. Tralasciando per un istante l’aspetto religioso, si tratta di decine di edifici e complessi architettonici più o meno articolati in grado di soddisfare ogni genere di gusto estetico e di coprire ogni epoca, creando un circuito attraverso il quale si può ripercorrere la storia della Chiesa dai suoi albori.

Talvolta, Monasteri, Abbazie e Santuari sono stati luoghi di accadimenti storici che hanno anche cambiato i destini dell’Italia. Basti citare la celebre battaglia che per quattro mesi, da gennaio a maggio 1944, ebbe come fulcro l’ABBAZIA DI MONTECASSINO. Di quell’evento drammatico che vide la perdita di 55.000 uomini delle truppe alleate e di 20.000 soldati tedeschi, vale qui la pena ricordare l’aspetto più “virtuoso”, se così si può dire: nei mesi precedenti all’inizio delle ostilità, l’esercito tedesco ebbe l’accortezza di mettere in salvo opere d’arte, archivi e documenti portandoli al sicuro in Vaticano. Operazione durata mesi e costata non poca fatica a frati e uomini di scorta al prezioso tesoro in cammino verso Roma, ma che poi, terminato il conflitto, permise di riportare tutto là dov’era.

Viterbo, la “Città dei Papi”, meriterebbe da sola un viaggio per esplorare con attenzione il centro storico, fermo all’epoca medievale e con emergenze di notevole interesse, religioso e architettonico, come il Palazzo dei Papi, la CATTEDRALE DI SAN LORENZO e la BASILICA DI SAN FRANCESCO ALLA ROCCA. Nella sua provincia poi, si scoprono piccoli gioielli d’arte come il MONASTERO DI SAN VINCENZO a Bassano Romano, che dietro alla facciata in stile rinascimentale-barocco nasconde un capolavoro michelangiolesco sconosciuto ai più ma che merita un cenno. Si tratta della statua del Cristo Portacroce, che il Buonarroti realizzò fra il 1514 e il 1516 e che lasciò incompiuta per una “vena nera” emersa nel blocco di marmo a scultura praticamente quasi terminata. Non solo. All’interno del Santuario si può anche ammirare una copia a grandezza naturale della Sacra Sindone conservata a Torino, il che fa di questo luogo una meta di pellegrinaggi. A Cura di Vetralla si trova invece il MONASTERO REGINA PACIS, destinato alla clausura delle benedettine, collocato ai piedi dei Monti Cimini ma soprattutto propri lungo la Via Francigena. Ai monaci cistercensi dell’Abbazia primigenia di Pontigny si deve invece la realizzazione, nel corso del XIII secolo, dell’ABBAZIA DI SAN MARTINO DI CIMINO, nell’omonimo borgo nel viterbese, in conseguenza della donazione di alcune terre da parte di Papa Innocento III, che voleva trasformare quest’area del Lazio in un polo di sviluppo agricolo.

Di grande importanza è anche l’ABBAZIA DI FOSSANOVA, a Priverno, Latina, il più antico esempio di gotico-cistercense, Monumento Nazionale dal 1874, che sotto le sue fondamenta nasconde addirittura una villa romana del I secolo a.C. Prima di ripartire, quasi d’obbligo acquistare vini e liquori dai frati minori conventuali devoti a San Francesco. Altro Monumento Nazionale, ma abitato da monaci benedettini, è l’ABBAZIA DI FARFA, gioiello della terra Sabina che nei suoi quindici secoli di vita, oltre a migliaia di pellegrini in cerca di pace e meditazione, ha attratto re, imperatori e papi, fra cui nel 1993 Giovanni Paolo II, frequentatore anche del bellissimo SANTUARIO MADONNA DELLA MENTORELLA a Capranica Prenestina.

Il viaggio prosegue nell’Agro Pontino visitando l’ABBAZIA DI VALVISCIOLO, straordinario mix di linee romanico-gotico-cistercensi, ma soprattutto luogo ricco di fascino e di “segni” che la legano al mondo dei Templari. Rimanendo in quel limbo fra leggenda e realtà, ora gli appassionati del mistero sanno dove andare. Un pezzo di storia e molto ben documentato è invece quello accaduto al MONASTERO DI SANTA SCOLASTICA a Subiaco, diventata nel 1465 la prima stamperia d’Italia grazie a due monaci tedeschi allievi di Gutenberg, mentre nel vicino MONASTERO DI SAN BENEDETTO, avvolti dal silenzio mistico e dalla natura incontaminata del PARCO NATURALE DEI MONTI SIMBUINI, si può contemplare il “Sacro Speco” dove il Santo di Norcia era solito ritirarsi in preghiera. Qui vicino, in una posizione da vertigine, si trova il SANTUARIO DELLA SANTISSIMA TRINITA’  di Vallepietra, piccolo da sembrare poco più di una cappella, ma meta di devoti che in questa sorta di “nicchia” scavata nella roccia trovano ispirazione e preghiera.

Tutto il contrario di come appare la CERTOSA DI TRISULTI, imponente e gigantesca da avere internamente alle mura, oltre alla chiesa, addirittura una “piazzetta”, un vasto giardino e una farmacia, edifici dove da linee e decorazioni di gusto gotico si passa a trompe –l’oeil di ispirazione pompeiana e arredi settecenteschi.

Il Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise fa poi da contorno al SANTUARIO DI CANNETO, elevato nel 2015 a Basilica pontificia minore. La ragione di questo “upgrade” fuori dal comune è presto detto: Silvana era una pastorella della zona che, come accadde a Bernadette di Lourdes, vide la Madonna che poi con un gesto fece sgorgare una sorgente da una roccia. Inutile dire che berne l’acqua è d’obbligo.

L’ultima tappa di questo ricchissimo itinerario riporta verso Roma. A strapiombo sul Lago Albano, nei Castelli Romani, si trova il CONVENTO DI PALAZZOLO, dalla storia singolare e parecchio ingarbugliata. L’edificio esisteva già dall’XI secolo, ma acquisì una certa importanza solo nel Settecento, quando divenne protettorato del regno del Portogallo, fino a essere adibito a sede dell’Ambasciata, salvo poi essere venduto a privati. Dal 1920, si può dire che fra le sue mura si parla un’altra lingua, ospitando i soggiorni estivi per i seminaristi del Venerable English College.

Itinerario degli antichi commerci. La riviera dei cedri e gli antichi vini

Saraceni, Normanni e Angioini hanno lasciato tracce importanti lungo la costa cosentina della Calabria, non solo in architetture e culture, ma anche in tradizioni gastronomiche. Già all’epoca e prima ancora dai tempi dei Greci, in queste terre a tratti irte e a tratti più dolci e collinari, fino a diventare pianeggianti verso i litorali marini, si coltivava infatti la vite. Terre interessate da un microclima mite, ideale per l’acclimatazione di alcuni vitigni, che in questa zona assunsero già in passato caratteristiche di particolare pregio. Si pensi, uno fra tutti, al vino di Cirella, il Chiarello, che gli annali tramandano essere stato il preferito da Re Ferdinando di Borbone e da Papa Paolo III Farnese. La presenza lungo la costa di fiorenti porti commerciali, insieme all’uso della pregiata pece silana all’interno delle anfore di terracotta, facilitava poi la diffusione del prodotto in tutto il Mediterraneo, fino ad arrivare in Francia e Spagna, senza subire grandi perdite organolettiche, il che rendeva già allora il vino calabrese un’eccellenza ricercata sul mercato.

Il particolare microclima dell’area costiera cosentina agevola anche la coltivazione di frutti unici come il pregiatissimo Cedro di Santa Maria del Cedro – borgo al centro della cosiddetta Riviera dei Cedri – o di verdure come il Pomodoro di Belmonte Calabro, l’unico pomodoro italiano a fregiarsi del marchio “Denominazone Comune d’Origine”. Fra le lavorazioni, spiccano quelle della Sardella di Amantea e delle Alici di Fuscaldo. Per i palati robusti, a Diamante, a nord della costa tirrenica, si tiene il Festival del peperoncino, che ogni anno raccoglie migliaia di visitatori e la cui Accademia ha ormai seguaci in tutto il mondo.

La Calabria dei Borghi

Borghi più belli d’Italia, Borghi Autentici, Bandiere Arancioni, Città Slow, Borghi Storici Marinari, Gioielli d’Italia e Paesaggi d’Autore. Non c’è tipologia di classificazione di eccellenze che non comprenda qualche “spot” calabrese.

Micro realtà che spesso sono annoverate fra le immagini iconiche e da cartolina della Calabria stessa: le guardi e sembra di poter sentire il vociare e l’eco dei passi in certi centri storici rivestiti di pietra color dell’ocra, dove antiche leggende rimandano a personaggi della mitologia o della storia, che hanno cambiato le sorti di un’epoca e che, sia sulla costa sia nell’entroterra, hanno dato vita a modelli di architettura mai tramontati. Fra mito e realtà, a seconda delle zone si passa da scavi archeologici datati all’età magno-greca a palazzi nobiliari del Medioevo, poi del Rinascimento e del Settecento, in un’alternanza di sobria eleganza e rigore da una parte e un’estasi di forme e volute dall’altra che riportano ciascuna a un’età d’oro e che sorprende lo sguardo, soprattutto se messe a contrasto con le modeste case di pescatori o pastori che fanno da contorno. Un insieme di grande atmosfera e impatto che è un po’ il paradigma di ciò che offre la Regione, disseminata di borghi dai promontori a picco sul mare fino alle irte vette di Sila, Aspromonte e Pollino. Nessuna zona esclusa.

Paesi di poche centinaia di anime che restano “arroccati”, è il caso di dirlo, alle loro tradizioni storiche, folcloristiche, artigianali ed enogastronomiche, popolando in ogni stagione il calendario di eventi capaci di trasmettere la cultura locale. Che sia attraverso una sagra all’insegna dei sapori più ruspanti, una solenne processione religiosa o una rievocazione in costume colma di eleganza e passione per quei tasselli di storia che rendono tanto orgogliosi anziani e giovani generazioni, la Calabria dimostra di essere viva e autentica. Si passa così da monumenti e celebrazioni ispirate alla Magna Grecia o alla civiltà dell’Antica Roma a testimonianze bizantine o normanne, fino ad arrivare alla trionfante ricchezza del tardo Barocco, in un excursus spazio-temporale sempre attento alla valorizzazione delle singole identità locali.

Per tutte queste ragioni e per la sua rilevanza regionale, La Calabria dei Borghi è stata selezionata da Unioncamere Calabria, in collaborazione con le Camere di Commercio di Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia, come prima destinazione regionale oggetto delle attività del Programma Sostegno al Turismo previsto dal Fondo di Perequazione di Unioncamere Nazionale, per aumentare la conoscenza dell’offerta regionale e dell’impegno del Sistema camerale a favore dello sviluppo turistico.

La Città dei Papi

Dal 1257 al 1281. Ventiquattro anni appena, ma tanto è bastato per far guadagnare a Viterbo l’appellativo eterno di “Città dei Papi“. In quel lasso di tempo brevissimo nell’arco della sua storia ultra millenaria, iniziata già con gli Etruschi, Viterbo fu in buona sostanza il nuovo “Vaticano”, e il Palazzo dei Papi e la sua loggia furono la “piazza San Pietro” dove i fedeli attendevano la benedizione del Pontifex Maximus. Anche dopo il ritorno a Roma della sede ufficiale, il Palazzo continuò a ospitare per periodi più o meno lunghi i Papi, in tutto una quarantina, accompagnati dal loro nutrito entourage. Ciò permise alla città di continuare ad arricchirsi di sontuosi edifici, chiese, chiostri, torri, fontane e monumenti di ogni sorta, un immenso patrimonio d’arte custodito da possenti mura medievali cui si accedeva da otto porte.

Molte le curiosità legate a questo pezzo importante di storia locale, fra cui quella che vuole nascere proprio qui il termine conclave. Questi i fatti: durante l’elezione del successore di Clemente IV, i cittadini, esasperati dal procrastinare della nuova nomina, segregarono i cardinali all’interno del palazzo, dichiarandoli “clausi cum clave” e arrivando persino a scoperchiare il tetto e a razionare gli alimenti.

Con o senza l’incursione papale nella sua storia, Viterbo si sarebbe comunque guadagnata un posto fisso negli annali per la ricchezza del suo sottosuolo. Dal III secolo a.C., qui vicino transitava l’importante Via Cassia, arteria consolare lungo la quale sorgevano già allora ben 14 stabilimenti termali alimentati da acque benefiche. In località Palliano c’erano per esempio le Terme del Masso o Massi di S. Sisto, i cui ruderi ben conservati fanno immaginare si trattasse di un impianto ricco e di dimensioni notevoli. Delle Terme delle Zitelle rimangono in particolare alcuni frammenti di meravigliosi pavimenti a mosaico, mentre le Terme della Lettighetta si connotano per la tipica pianta quadrata dalla forma a lettiga, da cui il nome. Le più sontuose e imponenti, come si può leggere dai resti, erano invece le Terme del Bacucco, talmente belle da incantare Michelangelo che le ritrasse in due schizzi. Ad oggi, questa antica tradizione di vacanze benessere prosegue con le Terme dei Papi.

La valle dell’Esaro

Lungo le vie consolari dell’Antica Roma si faceva la storia. Letteralmente. Accadde anche nella Valle dell’Esaro, strategica via di collegamento tra la costa ionica e tirrenica della Calabria, dove si incrociavano l’antica Via ab Regio ad Capuam (poi da metà del II sec. a.C. Via Annia-Popilia) e le Vie Istmiche, di collegamento fra costa orientale e occidentale della Regione. Al centro della Valle, non potevano quindi che sorgere luoghi di importanza altrettanto strategica, primo tra tutti San Marco Argentano. Antica colonia della potente Sibari, fu base di Roberto il Guiscardo, che la trasformò in un’autentica “città normanna” ricca di monumenti che ancora oggi testimoniano il suo passaggio. A questo peso politico-militare, si aggiunse poi quello religioso, con la costruzione, sempre per volere del Guiscardo, dell’Abbazia di Santa Maria della Matina, monastero benedettino e poi cistercense da cui partì l’abate Ursus, ispiratore dell’Ordine dei Cavalieri Templari. Un’altra leggenda narra anche che gli stessi monaci di Matina, giunti a Gerusalemme per la prima crociata, fondarono niente meno che l’Ordine di Sion. E se ancora non basta, l’Abbazia calabrese ha molte analogie architettoniche e artistiche con quella di Orval in Lussemburgo. Inutile dire che studiosi e scrittori stile Dan Brown troverebbero in questi luoghi pane per i loro denti…

Poco più a est, la Valle dell’Esaro custodisce il borgo considerato la “culla del Rinascimento” calabrese, Altomonte, fra i “Borghi più belli d’Italia”, con la Chiesa della Consolazione, vero modello di arte gotico-angioina, e il Castello, normanno come la Casa-torre dei Pallotta. Il tutto con scorci che aprono sul Pollino, sulla piana di Sibari e il Mar Ionio. Nei pochi chilometri che separano San Marco da Altomonte, vicino a Roggiano, si possono visitare gli scavi archeologici che mostrano i resti di antiche ville romane, ulteriore segno di quanto per queste valli si facessero affari, politica, arte.
Oggi, a portare avanti il nome di Roggiano c’è qualcosa di più prosaico, il peperone roggianese, proposto essiccato – i pipazzi cruschi – e la pregiatissima qualità di olive, la roggianella.

Alta Valle del Tevere

Siamo in Umbria, nella provincia di Perugia, ma in passato, il territorio dell’Alta Valle del Tevere, o Valle Tifernate, fu oggetto di interessi politico-economici anche da parte di Arezzo e Montefeltro. Fattore che ha giocato a favore del territorio, arricchitosi nel tempo di influenze culturali e artistiche di notevole pregio. Basti pensare che nell’area gravitavano personaggi quali Piero della Francesca, Raffaello Sanzio, Giorgio Vasari e Bernardino di Betto Betti, alias il Pinturicchio, tanto da far ribattezzare la zona “Valle Museo”.

L’arte era ed è quindi un leit motiv di questo viaggio, che porta alla scoperta di borghi antichi affacciati su distese di campi coltivati a olio e vite sin dai tempi del popolo degli Umbri, e dal 1575 in poi di piantagioni di tabacco, o ancora immersi in foreste che scendono fino al fondovalle, lungo le anse del Tevere, che verso la Toscana lasciano spazio a castagneti. I marroni che ne derivano sono fra i prodotti locali più rinomati, base di una cucina “povera” e schietta, ma dai sapori intensi, che raggiunge il suo apice con il pregiato tartufo bianco.

Fra le tappe imprescindibili della “Valle Museo” c’è sicuramente Città di Castello, che dal Rinascimento a oggi non ha smesso di attingere risorse dai talenti artistici locali e non, offrendo ad oggi una bella Pinacoteca comunale, edifici eleganti come Palazzo Vitelli, fino al Centro documentazione delle arti grafiche Grifani – Donati, punto di riferimento nella valorizzazione della tradizione tipografica cittadina.

Palazzo Albizzini e gli ex Seccatoi del Tabacco sono invece sede della raccolta delle opere di Alberto Burri, grande maestro dell’arte contemporanea internazionale nativo proprio di Città di Castello.

Dal dominio della casata dei Vitelli, a Montone si passa a quella dei Fortebraccio, Signori della zona dal IX secolo in poi, avendo nel loro albero genealogico anche il celebre Andrea detto poi Braccio da Montone, uno dei più celebri capitani di ventura del Quattrocento. Nel borgo, imperdibile è la Collegiata di Santa Maria e San Gregorio Magno, dove ogni lunedì di Pasqua, dal 1310, si espone la reliquia della Sacra Spina.

Da una “reliquia” preistorica, un osso di tibia umana, è invece ricavato il cosiddetto “flauto di Pietralunga”, rinvenuto nei pressi del borgo di Pietralunga, oggi conservato nel Museo Archeologico di Perugia, che attesta come la zona fosse già abitata ben prima degli Umbri. Nel centro storico, si trova invece il Museo ornitologico-naturalistico, curioso non solo per gli appassionati birdwatching o naturalisti in erba.

Di raffinata arte topiaria si parla invece a San Giustino, grazie al Castello Bufalini, circondato da un meraviglioso giardino all’italiana con tanto di labirinto, e con sale decorate da affreschi attribuiti a Cristoforo Ghepardi e da capolavori pittorici di Luca Signorelli e Guido Reni. Nel centro storico ci si imbatte in un altro luogo significativo, il Museo della Storia e della Scienza del Tabacco, fra i pochi in Italia, dove si può ripercorrere la nascita e lo sviluppo di questa particolare coltura che tanta parte ha avuto nella storia dell’Alta Valle del Tevere e nella vicina Toscana.

Infine, Umbertide, in cui nome evoca la rigogliosità della verde vallata in cui si trova, percorsa per 50 km dal fiume che da qui prosegue il suo corso fino al cuore di Roma.

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