Santuario della Madonna dell’Ambro

L’Eremo di San Leonardo, le Cascate Nascoste, le sorgenti del fiume Tenna e le Gole dell’Infernaccio. A questi già validi spunti di viaggio che fanno di Montefortino, nel fermano, una meta fra le più gettonate del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, si aggiunge il Santuario Madonna dell’Ambro, dopo Loreto uno dei santuari delle Marche più antichi e più visitati. La sua origine ha per così dire una natura miracolosa: intorno all’anno Mille, la Madonna apparve più volte a una bambina di nome Santina, sordomuta, che in seguito a questi episodi recuperò l’uso della parola. Ciò fece diventare il luogo una meta di pellegrinaggio, che nel 1037 portò a una prima costruzione, voluta dai feudatari del luogo, legati alla vicina Abbazia Benedettina di S.Anastasio. Rivisto più volte nei secoli, oggi il Santuario della Madonna dell’Ambro è noto come “la piccola Lourdes dei Sibillini” per la sua somiglianza con il celebre luogo santo di Francia. Durante la visita vale la pena soffermarsi presso la vecchia cappella, parte dell’edificio più antico, tappezzata da centinaia di foto di “graziati” dalla Madonna.

Cattedrale di Santa Maria Assunta e San Canio

Prima ci fu il tempio pagano dedicato all’Ercole “Acheruntino”, poi una chiesa paleocristiana, infine la Cattedrale di Santa Maria Assunta e San Canio. Questo l’iter storico ultra millenario della basilica simbolo di Acerenza, fra i “Borghi più belli d’Italia” della provincia di Potenza. Alla sua costruzione contribuirono le migliori maestranze locali e persino alcune “foreste”, in particolare architetti francesi, fattore che, per quell’epoca, fa capire l’importanza e la forza economica che c’era dietro al progetto di costruzione della Cattedrale. L’influsso francese è testimoniato dallo stile romanico-clunyacense, ispirato alle indicazioni dell’abate di Cluny, Arnoldo, che nel 1080 la consacrò a San Canio e a Santa Maria Assunta.

Al cospetto della Cattedrale di Santa Maria Assunta e San Canio non si può non cogliere la mole imponente nel suo insieme e dell’abside in particolare, sovradimensionata e sovrastante i tetti del piccolo borgo che la cinge. La stessa sensazione continua all’interno, in un vasto spazio suddiviso in tre navale, adorne di tavole risalenti al Cinquecento, fra cui spicca il polittico di Antonio Stabile, risalente al 1583. Persino la cripta è impreziosita da uno splendido ciclo di affreschi che merita la visita e la rende una gemma preziosa da non perdere. Da notare anche la sacrestia con il busto dell’imperatore Giuliano l’Apostata e la cupola sulla crociera, ultimata nel XIX secolo.

Chiesa di Santa Maria del Soccorso

Giuseppe Attili fu un Maestro costruttore di organi del Settecento, fra i migliori della scuola di Montecarotto, nell’anconetano. Era nativo di Ortezzano, della provincia di Fermo, e qui si può ammirare uno dei suoi capolavori. Si tratta di un organo datato al 1751, conservato nella Chiesa di Santa Maria del Soccorso, la cui storia è frammentata nei secoli. Fino al 1450, qui c’era la Chiesa di Santa Maria delle Grazie, poi sostituita dall’attuale edificio, ulteriormente ingrandito nel 1585 e nel 1759. Al 1956 risalgono invece la modifica del presbitero, ulteriormente allungato, e la nuova cappellina della Madonna.

La Chiesa di Santa Maria del Soccorso ha pianta a croce greca e deve il suo nome a un affresco che adorna una delle cappelle laterali: datato al 1323 e ad opera del monaco benedettino Giacinto di Morro di Valle, raffigura Santa Maria delle Grazie e i Santi Gerolamo e Maria Maddalena, il tutto a memoria della chiesa precedente scomparsa. Altre opere da ammirare sono una via Crucis di scuola romana e di ottima fattura, un fac-simile della Bibbia aurea di Borso D’Este, alcune vetrate in mosaici policromi istoriati, un mosaico in oro che corre lungo il cornicione interno e una serie di arazzi posti ai lati dell’altare e provenienti niente meno che dalla Reggia di Caserta.

Chiesa Madonna del Carmine

In Largo del Carmine a Ortezzano ci sono due dei monumenti che vale la pena appuntarsi in un viaggio alla scoperta della provincia di Fermo. Si tratta della Torre Ghibellina, del XIII secolo, vessillo del borgo, e della Chiesa del Carmine, detta anche del Suffragio, in quanto proprietà dell’omonima Confraternita. Commissionata da Giulio Papetti, avvocato della curia romana, fu costruita tra il 1715 e il 1725 in un interessante mix di stile barocco e neoclassico. La Chiesa, a pianta a croce latina con copula ottagonale e campanile risalente al 1847, al suo interno mostra una decorazione moto sobria, in cui spiccano gli elementi architettonici della muratura, realizzata totalmente in mattoni rossi, elemento iconico delle Marche. Quattro piccole sagrestie con copertura a volta si trovano ai quattro angoli, collegate l’una all’altra raffigurazioni della Via Crucis Xilografica.

Abbazia di San Domenico Abate

Luoghi come l’Abbazia cistercense di San Domenico a Sora, nel frosinate, fanno la gioia di studiosi, archeologi e appassionati di arte antica. Stando ai documenti, la prima consacrazione avvenne nel 1011, ma c’è chi attesta nel 1030, ad opera dell’abate Domenico di Foligno a suggello pubblico di penitenza, conversione e devozione di due fedeli “speciali”, Pietro Rainerio, governatore di Sora e d’Arpino, e Doda sua moglie. Il 22 agosto del 1104 sarebbe invece avvenuta una riconsacrazione per mano di Papa Pasquale II, durante la quale, al titolo originario di Beata Madre di Dio e Vergine Maria, sarebbe stato aggiunto anche quello di San Domenico.

L’impronta romanica e gotica si evince dalla semplicità rigorosa della facciata, dalla pianta a croce latina con tre navate, dai tre absidi semicircolari, e dalla copertura a volta sostenuta da colonne. La presenza della cripta sotterranea è solo una piccola parte di ciò che custodisce il sottosuolo: l’abbazia di San Domenico sorge infatti sulle rovine di una villa di Marco Tullio Cicerone, il celebre oratore vissuto ai tempi di Cesare e Augusto. Oggi l’edificio è parte della Congregazione Cistercense di Casamari.

Chiesa Collegiata di San Medardo

La Chiesa Collegiata di San Medardo ad Arcevia, nell’anconetano, sembra l’”appendice” di un museo o di una pinacoteca, perché visitandola, assorti nel silenzio che si conviene all’ambiente, si possono scorrere in fila il grandioso polittico e nella cappella del battistero la tavola centinata di Luca Signorelli, l’altare in maiolica invetriata e un dossale in terracotta smaltata di Giovanni della Robbia, il Giudizio Universale e il Battesimo di Cristo di Ercole Ramazzani, artista locale allievo di Lorenzo Lotto. E ancora, la Madonna del Rosario con i SS. Domenico e Caterina da Siena, capolavoro di Simone Cantarini il Pesarese (1612-1648), allievo prediletto e ribelle di Guido Reni, e la Visita di Re Lotario a S. Medardo di Claudio Ridolfi, discepolo del Barocci, e altre opere di Piergentile da Matelica e Venanzio da Camerino, Fra’ Mattia della Robbia, nonché la Croce processionale in argento del famoso orafo perugino Cesarino del Roscetto, di metà del Cinquecento. Non mancano neanche gli arredi lignei di pregio, qui incisi dagli abiti maestri intagliatori Leonardo Scaglia e Francesco Giglioni. Tutte opere che “vestono” di grazia la struttura poderosa a croce latina, in laterizio, e lo stile barocco, qui proposto in una versione sobria, tipica della metà del Seicento, periodo in cui l’edificio venne terminato. La visita termina nel Museo Parrocchiale, piccolo ma interessante spaccato della vita in un antico borgo marchigiano.

Le Terme Romane di Acconia di Curinga

Se non fosse per il contesto naturalistico e il paesaggio in generale, certo si potrebbe pensare di essere nelle vicinanze di Roma, perché le Terme Romane di Acconia a Curinga sono uno degli esempi meglio conservati dei complessi termali dell’Antica Roma. Invece, siamo nella provincia di Catanzaro, e ciò che rimane oggi è parte di una grande villa monumentale della fine del III-IV secolo d.C., nota anche come Tempio di Castore e Polluce. A rendere significativo il sito archeologico è la conservazione della struttura integra fino quasi alla volta, e la presenza di un bel calidarium, un sorta di sauna ante litteram.

Convento di Montefiorentino

Frontino è un borgo definito “il salotto del Montefeltro”. Il contesto naturalistico è dunque quello delle belle e dolci colline dell’entroterra di Pesaro e Urbino, dove si va a collocare uno dei luoghi legati alla memoria del passaggio di San Francesco nelle Marche, il Convento di Montefiorentino. Fondato nel 1213 dal “poverello di Assisi”, già qualche anno più tardi, nel 1248, veniva citato in una bolla papale per le indulgenze ai fedeli che avrebbero contribuito al suo restauro. A tutti gli effetti, per il suo generoso sviluppo architettonico articolato in più edifici e per gli oltre 10 ettari di proprietà che lo circondano è uno degli edifici sacri più grandi delle Marche. La Cappella dei Conti Oliva, realizzata nel 1484 su commissione del Conte Carlo Oliva e attribuita a Francesco De Simone Ferrucci da Fiesole, è considerata un vero capolavoro del Rinascimento, grazie alle linee architettoniche, ai pregiati sarcofagi marmorei, ai due inginocchiatoi intarsiati che nulla hanno da invidiare alla raffinatezza del celebre studiolo del Palazzo Ducale di Urbino. Al centro della cappella si può inoltre ammirare la Pala d’altare della Madonna col Bambino firmata Giovanni Santi, padre di Raffaello, di per sé oggetto di culto degli appassionati d’arte. Il Convento di Montefiorentino non smette di stupire, offrendo anche un antico organo, un coro in noce seicentesco, altri dipinti “minori” ma pur degni di nota e testi graduali e antifonari a stampa. Chiude la visita il Chiostro, strutturato in vari ambienti con volte a tutto sesto o a crociera.

Certosa di Trisulti

Il 17 luglio 1879, quasi 7 secoli dopo la sua fondazione, la Certosa di Trisulti di Collepardo, nel frosinate, veniva riconosciuta Monumento Nazionale. A volerla fu nel 1204 Papa Innocenzo III, che quattro anni più tardi la affidava ai monaci Certosini, rimasti a prendersi cura delle anime dei fedeli di passaggio ma anche dell’immenso patrimonio d’arte accumulato nell’imponente edificio fino al 1947. Da allora, sono invece i Cistercensi che ogni giorno si dedicano con passione alla tutela del vasto complesso, composto da mura, chiesa, foresteria, giardini, farmacia e biblioteca. Solo in quest’ultima, sono conservati ben 36.000 volumi, mentre nella farmacia si possono ancora ammirare mobilio, vasi in ceramica e magnifici trompe l’oeil di ispirazione pompeiana.

Santuario di Santa Maria Goretti

Corinaldo e la sua Santa. Il borgo marchigiano in provincia di Ancona si distingue per la bellezza del centro storico medievale ancora intatto, racchiuso com’è nella sua possente cinta muraria in mattoni rossi, e per aver dato i natali a Maria Goretti, canonizzata nel 1950 da Papa Pio XII. A memoria del suo omicidio all’età di soli 12 anni, in seguito a un tentativo di stupro, nel borgo si visitano oggi la casa natale in contrada Pregiagna, il Santuario dell’Incancellata dove andava a pregare da bambina, e soprattutto il Santuario di Nostra Signora delle Grazie, dedicato poi nel ‘900 anche a Santa Maria Goretti. Realizzata nel Settecento su disegno dell’architetto corinaldese Giuseppe Carbonari Geminiani, in prossimità all’Ex monastero dei Padri eremitani dell’ordine di Sant’Agostino, la chiesa conserva un’urna in argento contenente l’osso del braccio della Santa, con il quale secondo la tradizione la Martire tentò di difendersi dal suo aggressore, Alessandro Serenelli. La chiesa merita una sosta anche perché al suo interno sono custodite numerose opere d’arte tra le quali spiccano l’Annunciazione secentesca (copia del Barocci), un crocefisso ligneo del ‘400 e un prezioso organo del 1767 opera del celebre organaro veneto Gaetano Callido. I pellegrini comprendono in questo itinerario spirituale anche la Chiesa di San Francesco, situata appena fuori le mura, per via della fonte battesimale dove fu battezzata la Goretti.

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