Cattedrale di Santa Anastasia

Santa Severina, uno dei 15 “Borghi più belli d’Italia” che annovera la Calabria, conserva molte vestigia del suo plurimillenario passato, suddivise in zone dai nomi più che evocativi, come Quartiere della Grecia e Rione della Iudea. Fra i monumenti gioiello di questo patrimonio fatto di storia e pietra c’è la Cattedrale di Sant’Anastasìa, nota anche come di Santa Maria Maggiore, principale luogo di culto cattolico del borgo e concattedrale dell’arcidiocesi di Crotone-Santa Severina.
La struttura, con impianto a croce latina con cupola, risale al 1274 e sorge sul luogo di un antico tempietto bizantino del X-XI secolo, con ogni probabilità costruito insieme allo splendido Battistero qui accanto. Il complesso comprende anche il Palazzo Arcivescovile.

Chiesa di Santa Filomena

Chiesa di Santa Maria del Pozzo, o del Pozzoleo, o ancora di Santa Filomena. Tre nomi che identificano lo stesso luogo sacro del borgo di Santa Severina, nel crotonese, e che richiamano i primi due la presenza di una cisterna e quindi una costruzione antecedente il X secolo d.C., poi una di epoca normanna eretta fra l’XI e il XII secolo. A caratterizzare l’edificio è una grande abside centrale, affiancata da 16 colonne e da due absidi minori e sormontata da una cupola di forma tronco-cilindrica. Ma a sorprendere è soprattutto la sua collocazione, sul ciglio di un costone di roccia a strapiombo sulla Valle del Neto, appena sotto il Castello Normanno fulcro della storia e dell’abitato di Santa Severina. Da visitare qui vicino anche il Museo Diocesano, dove sono conservate opere e suppellettili della chiesa stessa.

Santuario di Santa Maria Nel Bosco

Nel 1984, Papa Giovanni Paolo II percorse la lunga scalinata in granito che attraversa la foresta secolare di abeti bianchi e faggi di Serra San Bruno fino ad arrivare sul piazzale del Santuario di San Maria del bosco. Qui celebrò la Santa Messa davanti a una folla di fedeli e pellegrini giunti da ogni dove per assistere all’evento e venerare San Bruno. Un fenomeno iniziato circa mille anni fa, quando il monaco cristiano tedesco Bruno da Colonia giunse in questo angolo selvaggio di Calabria e fondò la seconda Certosa dell’Ordine certosino, a pochi minuti da qui.

L’attuale Santuario è ciò che deriva dalla ricostruzione fatta dopo il terremoto del 1783 dell’antica chiesa voluta da San Bruno affinché i suoi monaci, in questo luogo mistico permeato di silenzio, trovassero la giusta serenità per preghiera e contemplazione.

Sul lato opposto del piazzale si trova quello che la tradizione racconta essere il “dormitorio”, la nicchia scavata nella roccia dove il Santo si isolava in meditazione, ma che per certo è il suo luogo di sepoltura dal 6 ottobre 1101.

Chiesetta di Piedigrotta

A guardarla da fuori sembrerebbe più una sorta di rimessa per barche abbandonata o quasi. Invece, una volta giunti in Località Madonnella, vicino a Pizzo, provincia di Vibo Valentia, ci si trova davanti a uno spettacolo tanto inatteso quanto unico nel suo genere. La chiesetta rupestre di Piedigrotta è indissolubilmente legata a una leggenda del Seicento secondo la quale, durante una tempesta, i marinai tutti napoletani a bordo di un veliero a rischio di naufragio fecero il voto che, in caso di salvezza, una volta giunti a terra avrebbero costruito una cappella dedicata alla Madonna. Il voto venne fatto davanti a un quadro della Madonna di Piedigrotta poco prima che il veliero si inabissasse, ma miracolosamente sia i marinai che il quadro arrivarono a terra sani e salvi, sospinti dalle onde insieme alla campana di bordo datata 1632. Così, i naufraghi mantennero la promessa, scavando una piccola cappella nella roccia.

Il luogo fu da subito oggetto di culto, ma fu solo verso il 1880 che iniziò a prendere l’aspetto attuale. Ci sono voluti circa 80 anni di lavoro, prima da parte di Angelo Barone e poi del figlio Alfonso, artisti locali che dedicarono ciascuno circa 40 anni della propria esistenza a scolpire, allargare, plasmare e dipingere la roccia, dando vita a uno dei tanti gioielli d’arte popolare scaturiti dal genio creativo dei calabresi. A oggi, Piedigrotta è una delle mete più visitate dell’intera Calabria.

Chiesa Santa Maria della Visitazione

Arte e natura sono i due elementi che caratterizzano Aieta, uno dei “Borghi più belli d’Italia”. I suoi 800 abitanti e i visitatori che si spingono fin quassù possono infatti godere di numerosi edifici e monumenti di notevole interesse storico-artistico, ma anche di flora e fauna tutelati in quanto Parco Nazionale del Pollino. Nella Chiesa di Santa Maria della Visitazione, per esempio, si può ammirare un raro strumento di scuola napoletana, l’Organo Bossi, costruito dall’organaro Bossi e consegnato alla chiesa nel 1673. Un pezzo di storia locale che ha accompagnato per quasi quattro secoli la vita del paese, e che nel 1995 è stato oggetto di un’importante restauro che ha permesso di recuperare gran parte dei materiali originari.

Chiesa dell’Immacolata

La Chiesa dell’Immacolata di Badolato è, senza esagerazione alcuna, una delle emergenze architettoniche più interessanti della provincia di Catanzaro. Lì, isolata su un poggio a 250 metri di altitudine, con una vista che abbraccia l’intero Golfo di Squillace, da Punta Le Castella fino a Punta Stilo, è un ideale belvedere per cogliere in un solo colpo d’occhio la bellezza della costa ionica della Calabria.

Ma a motivare la visita è anche il suo originale impianto esagonale creato a partire dal 1686, su cui si innesta una cupola della stessa foggia, formando un gioco di geometrie che invita alla contemplazione. Mentre fuori si ammirano il portale in granito attribuito agli scalpellini in forze alla vicina Certosa di Serra San Bruno e un pannello in maiolica realizzato nell’800 dai ceramisti di Squillace, dentro spiccano l’altare maggiore in marmo bianco con decorazioni policrome e il pavimento in maiolica con disegni a margherita.

Santuario della Madonna dell’Elcina

La storia sulle origini del Santuario della Madonna dell’Elcina ad Abbateggio, in provincia di Pescara, assomiglia a quella di altri luoghi sacri sorti in Italia e non solo in seguito a una “visione”, ma in questo caso sarebbe avvenuta in tempi assai più remoti, ossia fra il XV e il XVI secolo. Questo l’evento mistico: due pastorelli muti di Abbateggio avrebbero visto in cima alla collina appena fuori dal borgo una Signora, ai piedi di un leccio, e un quadro che rappresentava la Madonna seduta su un albero con in braccio Gesù Bambino. La Signora avrebbe poi esortato i due a far costruire una chiesa proprio in quel punto. Gli abitanti di Abbateggio, venuti a conoscenza del fatto, avrebbero portato l’immagine sacra per tre volte nella Chiesa di San Lorenzo Martire, ritrovandola poi per altrettante volte in cima alla collina. Solo allora, si decise di procedere con la costruzione del Santuario. Questo l’antefatto, cui seguì nel 1927 un’ultima ricostruzione dell’edificio, che oggi è un “puzzle” di epoche e stili diversi. Presenta infatti una facciata in blocchi di pietra con portale a vetrata in ferro battuto e un interno a tre navate dalle linee neoclassiche chiuso da mura medievali. Sull’altare maggiore è conservata una statua della Madonna in terracotta dipinta datata al Quattrocento, che a sua volta poggia su un tronco di elce che la tradizione vuole essere l’antico albero sul quale apparve la Vergine.

Parrocchia di San Lorenzo Martire

Se Abbateggio, in provincia di Pescara, è fra i “Borghi più belli d’Italia” lo si deve anche alla Chiesa di San Lorenzo Martire, che nella sua semplicità sa trasmettere un senso di composta eleganza. Con la sua facciata in muratura di pietrame affiancata dalla torre dell’orologio e divisa in due livelli con paraste tuscaniche, trabeazione intermedia e timpano triangolare, accoglie i visitatori con un ben portale in pietra che apre su un impianto interno ad aula con loggia per la cantoria, altari laterali e abside semicircolare, con copertura a volta a botte lunettata e semicatino absidale. Lo stile tardobarocco ottocentesco connota lo spazio, ornato da stucchi e cartigli, mentre gli altari sono in muratura con ordine architettonico e timpani di forme diverse con decorazioni in stucco, cartigli e figure a rilievo, come le superfici delle volte.

Serra Orrios

L’Altopiano di Gollei è una di quelle zone della Sardegna decisamente fuori rotta, e forse anche per questo ha in serbo alcune interessanti e inaspettate scoperte che meritano un detour. Nei pressi di Dorgali si trova uno dei villaggi nuragici più importanti e meglio conservati dell’isola, noto come Serra Orrios. Cuore dell’insediamento, datato alla fine dell’età del Bronzo, è il villaggio-santuario con circa cento capanne, due tempietti con annessi recinti e due sepolture megalitiche. Delle cento capanne, alcune sono anche dotate di pozzi-cisterna e pozzetti raccordati a condotte per l’acqua, il che fa comprendere l’evoluzione ingegneristica raggiunta dalle popolazioni locali. I due edifici sacri si presentano invece con una struttura in “antis” o a “megaron”, assai diffusa negli altri villaggi nuragici dell’epoca. Il sito è gestito dalla Società Coperativa Ghivine.

Santuario di Montevergine

Nel cuore della provincia di Avellino, a Mercogliano, si erge il celebre complesso monastico mariano, un autentico simbolo dell’Italia meridionale: il Santuario Montevergine. Questo monumento nazionale rappresenta un’esperienza unica, includendo il Santuario, un’abbazia millenaria, una ricca biblioteca e un affascinante museo.
La storia del Santuario è intrecciata con la figura di San Guglielmo, un pellegrino dalla vita avventurosa che, dopo un periodo di riflessione, si ritirò in solitudine sul monte ora noto come Partenio. A oltre mille metri d’altitudine, costruì una modesta cella e visse un anno intero in contemplazione profonda, in armonia con la natura circostante, persino in compagnia di orsi e lupi, che parevano rispettare la sua presenza.
Sebbene la salita di San Guglielmo al monte Partenio risalga al 1118, la costruzione del Santuario ha inizio con la consacrazione della prima chiesa nel 1126. Questa chiesa, con dedicata alla Madonna, visse il suo massimo splendore tra il XII e il XIV secolo. Durante questo periodo, il Santuario si arricchì di numerose opere d’arte e divenne custode del dipinto della Madonna, venerato anche oggi nella cattedrale, insieme a numerose reliquie.
Un altro momento importante della storia della chiesa fu nel 1956 quando venne aperta una funicolare che collega il centro di Mercogliano al Santuario in soli 7 minuti, offrendo ai pellegrini una comoda alternativa alla strada, ripida e tortuosa.

L’architettura del Santuario si compone in Nuova e Antica Basilica. La Nuova Basilica, in stile romanico, presenta una pianta a tre navate, con un coro ligneo dietro l’altare principale e un soffitto a cassettoni decorato in oro zecchino. Il campanile, imponente e rivestito di granito bianco e grigio raggiunge un’altezza di circa 80 metri.

L’Antica Basilica si caratterizza per l’arte barocca, con decorazioni a stucco. All’interno si trovano la Cappella del Crocefisso e la Sala San Guglielmo, che ospita testimonianze di grazie e ex voto. Un altare del XVII secolo, con tarsi della scuola napoletana e influssi dell’arte araba, domina la Basilica, circondato da opere d’arte di notevole pregio.
La cripta di San Guglielmo accoglie il sarcofago contenente le spoglie del santo, impreziosito da raffigurazioni salienti della sua vita terrena e alcune reliquie raccolte nel corso degli anni.

Alla devozione della Madonna è legata la “Juta a Montevergine” che si svolge due volte all’anno e ha come protagonista la Madonna Nera di Montevergine, anche detta Mamma Schiavona. La “Juta” è il percorso in montagna per raggiungere il Santuario, all’interno del quale è custodita l’icona della Mamma Schiavona, oggetto di culto che richiama pellegrini da ogni parte d’Italia. La leggenda che si confonde con la realtà, in uno dei culti più seguiti nel sud Italia, ruota proprio attorno al misterioso quadro inserito nel complesso monastico realizzato da Montano D’Arezzo. La leggenda narra che la Madonna di Montevergine, unica nera di 7 sorelle (da qui l’appellativo Schiavona, cioè “straniera”), per il colore della sua pelle era considerata la più “brutta” e che per tale motivo, offesa, si rifugiò sul Monte Partenio. Nel tempo la Mamma Schiavona è diventata il simbolo di protezione degli ultimi, dei deboli, dei poveri e degli emarginati, diventando così la più bella delle sorelle, tanto da essere festeggiata due volte all’anno: il 2 febbraio, giorno della Candelora, e il 12 settembre, giorno di Santa Maria. Queste due date segnano rispettivamente l’apertura e la chiusura della festa delle sette Madonne che, come gran parte dei culti mariani, affonda le sue radici in arcaici riti precristiani legati al culto della Madre Terra e volti a propiziare un buon raccolto.
Nel giorno della Candelora, come già accennato, si compie anche uno degli eventi più suggestivi e caratteristici della tradizione campana: la juta a Montevergine dei femminielli.

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