Valnerina

Lungo il Nera si cammina, si scopre, si contempla. Siamo nella Valnerina, divisa fra le province di Perugia e Terni, e la direzione è quella che ci porta verso il confine con le Marche, e da qui, dopo i Piani di Castelluccio, al Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Questa è l’Umbria verde più verde che c’è, tutelato e valorizzato, ma anche golosa, delle norcinerie, del tartufo nero, delle lenticchie, del farro e dello zafferano che da queste montagne prendono sali minerali e salubrità dell’aria. E’ l’Umbria mistica degli itinerari di San Benedetto da Norcia e Santa Rita da Cascia, lungo un viaggio di meditazione che inizia proprio da qui, a Roccaporena, frazione di Cascia che nel 1381 vide nascere la Santa. I luoghi legati alla sua memoria, la casa dove visse, l’orto del miracolo, lo scoglio e il roseto sono vicino al Santuario realizzato nel secolo scorso su ciò che restava dell’antico monastero e della chiesa che ospitava l’urna con le sue spoglie.

A Norcia è invece la figura di San Benedetto a richiamare i fedeli, anche ora che la basilica a lui dedicata è stata pesantemente danneggiata dal terremoto del 2016. Un destino che nei secoli ha colpito la città più volte, ma che nonostante ciò è riuscita a conservare un notevole patrimonio d’arte e di memorie storiche, molte delle quali legate alla vita del fondatore dell’ordine benedettino. Quello che rimane incrollabile è il paesaggio che circonda Norcia: le cime innevate dei Sibillini che sfiorano i 2.000 metri, i fiumi Sordo e Corno che diventano palestre di canyoning e rafting, le grotte carsiche e le gole di free-climbing e speleologia, e le praterie, che in stagione diventano una tavolozza di colori per la fioritura delle lenticchie, da sorvolare in parapendio o deltaplano grazie alla Scuola Europea di Volo Libero che ha sede proprio a Castelluccio di Norcia.

Natura e religione ritornano anche a Preci. Anche questo borgo, 600 anime appena, è stato duramente colpito dal sisma del 2016, come pure l’Abbazia benedettina di Sant’Eutizio che ricorda l’eremita fondatore del borgo nel V secolo d.C., ma la tenacia della gente del posto sembra voler portare avanti lo spirito di quei monaci siriani asceti ed eremiti che attorno all’Abbazia realizzarono oratorio, foresteria per i pellegrini, farmacia, scuola di paleografia e miniatura, scriptorium e persino di una biblioteca di codici miniati. Non solo. A partire dal XIII secolo, fu in questo angolo sperduto fra i Monti Sibillini che nacque la cosiddetta scuola chirurgica preciana, da qui diffusasi in tutta Europa.

La Valnerina non smette di stupire con le due tappe successive: Cerreto di Spoleto e Monteleone di Spoleto. A Cerreto si fa sosta dai tempi dei Romani per godere dei benefici effetti delle acque ricche di zolfo e magnesio degli antichi Bagni di Triponzo, a Monteleone per affrontare uno dei percorsi trekking del Parco Naturale Coscerno-Aspra. La presenza di questo minuscolo paese arroccato sugli Appennini Centrali è nota anche agli appassionati di archeologia e persino a New York: qui, nella tomba a tumulo di un ricco principe locale, fu infatti rinvenuta la celebre biga di legno di noce e bronzo risalente al 540 a.C. Si tratta di uno dei reperti etruschi più rari mai ritrovati, noto oltreoceano come “The Golden Chariot”, Il Carro d’Oro, e unicum della collezione etrusca del Metropolitan Museum di New York. Una copia in scala 1:1 si può ammirare nei sotterranei del Complesso monumentale di San Francesco della fine del Duecento, a Monteleone. Non è la biga originale, certo, ma vederla contestualizzata nei luoghi che attraversò più di 25 secoli fa regala un’emozione che supera quella del Met.

Richiama temi e atmosfere ben diverse il Museo della Canapa di Sant’Anatolia di Narco, una sosta quanto mai esplicativa del contesto ambientale di tutta quest’area, detta delle Canapine proprio per la massiccia produzione di canapa. Il museo, ricavato nel cinquecentesco Palazzo Comunale del borgo, è parte dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra, che ha più sedi in tutta la valle, allo scopo di tramandare e diffondere la conoscenza di mestieri e arti antiche delle comunità locali.

In provincia di Terni si trovano infine i Comuni di Arrone, che deve il suo nome a un nobile romano che nel IX secolo scelse la Valnerina come sua nuova dimora, e Ferentillo, che ha la particolarità di essere diviso proprio dal corso del fiume Nera in due borghi, Matterella e Precetto.

Zolfare siciliane

Lo zolfo come il petrolio. A conti fatti, è proprio così, perché la presenza delle solfare nel centro dell’isola ha plasmato storia ed economia della Sicilia a partire dal XIX secolo. Allora, zolfo e acido solforico avevano infatti un valore commerciale tale per cui le comunità delle zone interessate dall’attività estrattiva subivano, nel bene e nel male, gli andamenti di mercato ad essa legati. Se il prezzo della materia prima saliva, la loro vita migliorava, e al contrario, se gli affari andavano male, il loro futuro era compromesso.

Le miniere di zolfo, note appunto come solfare o zolfare o, in dialetto, “pirrere”, potevano essere micro imprese familiari, con due o tre operai al massimo, fino ad arrivare a contare centinaia di addetti ai lavori, assumendo le dimensioni di veri colossi industriali. La proprietà dei singoli siti era per lo più di privati, che spesso davano il proprio nome al luogo di estrazione, in alternativa a quello della località in cui si trovava la cava. A parte qualche raro caso sui colli attorno a Palermo, la maggior parte delle “pirrere” si concentra nelle province di Enna, Caltanissetta e Agrigento. Qui vicino, per esempio, a Casteltermini, si trova la solfara di Cozzo-Disi, da cui nei decenni passati sono stati estratti alcuni dei migliori cristalli da collezione oggi esposti nei musei più importanti del mondo, come zolfi gialli-oro, aragoniti, gessi con cristalli inclusi. Chiusa nel 1989, come molte delle solfare del centro Sicilia, resta un importante monumento di archeologica industriale aperto per le visite ed è oggi parte del sistema di Parchi minerari e miniere-museo della Sicilia.

Perugino

Gli Etruschi a Ovest, gli Umbri a Est. E al centro il Tevere. Nella Media Valle del Tevere, a stabilire tutto ci ha pensato il corso del fiume, che ha tracciato un solco indelebile fra culture diverse. Almeno fino a quando a rimescolare le carte non ci hanno pensato giochi di interesse e desiderio di conquista. Questi vari passaggi di fortuna si intravedono tutti per le strade del Centro Storico di Perugia, dentro quella cinta muraria risalente al periodo in cui Perusna era una delle lucumonie più fiorenti dell’Etruria, con una serie di imponenti porte di accesso datate dal III a.C. in poi. Una volta varcata la soglia, la kermesse storico-architettonica si fa più intensa: stradine e scalinate ripide e tortuose conducono a un elegante salotto, Corso Vannucci, la via più animata di Perugia, dove si affacciano l’imponente Palazzo dei Priori, dimore patrizie, negozi, bar e ristoranti di lusso, e al termine della via, il Giardino Carducci. Da qui si gode una vista superba che spazia dai Monti Martani alla bianca Assisi. Perugia, etrusca, romana, medievale, rinascimentale, è insomma una piccola capitale della cultura, fra l’Università, una più antiche d’Italia fondata nel 1308, la Galleria Nazionale dell’Umbria, il Museo Archeologico Nazionale, e una miriade di monumenti fra cui spicca la cinquecentesca Rocca Paolina, progettata da Antonio da Sangallo il Giovane.

Mura alte e robuste le vanta anche l’antico borgo di Castello di Corciano, percorrendo le quali la vista arriva fino al Monte Tezio, una delle aree naturalisticamente più apprezzabili della Media Valle del Tevere. Visitati il Palazzo del Capitano del Popolo e la Chiesa di Santa Maria Assunta, dove è conservata un’opera del Perugino, ci si dirige a Torgiano, altro borgo medievale intatto, la cui fama è legata al Torgiano Doc. E proprio qui, in questa terra vocata al vino e all’olio, ecco due tappe da fini intenditori e appassionati del genere: il Museo del Vino e il Museo dell’Olivo e dell’Olio, con reperti e documenti che narrano l’evoluzione di queste due importanti colture, in Umbria ma non solo.
Deruta invece è sinonimo di maiolica, e infatti è qui che si trova il Museo Regionale della Ceramica, con pezzi rari e preziosi datati dal periodo arcaico ai giorni nostri.

Pescara

Dal lungomare e dalla Marina di Pescara, nelle giornate terse si vedono le vette innevate del Gran Sasso. Virtù di una città costiera a poco più di un’ora di distanza dal Parco Nazionale con la vetta più alta del Centro Italia. La spiaggia urbana è lunga quasi 7 km, ed è lambita da ciò che rimane di una vasta pineta che fino alla fine dell’Ottocento occupava gran parte della zona. La specie predominante è il Pino d’Aleppo e le due “macchie” sopravvissute sono quelle dette Pineta Dannunziana e Pineta di Santa Filomena. Passeggiando fra gli alberi viene da chiedersi se Gabriele D’Annunzio, pescarese Doc, non abbia preso ispirazione proprio qui, fra “pini scagliosi e irti…tamerici salmastre…ginestre fulgenti…e ginepri folti”, per l’ode La pioggia nel pineto.

Aternum, questo l’antico nome di Pescara, era il porto sull’Adriatico dell’antica Roma e come tale crebbe nei secoli in fama e potenza commerciale, diventando anche scalo militare e di difesa del regno di Napoli. Purtroppo, a causa dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, buona parte del Centro Storico è stato danneggiato o cancellato, ma ciò che è rimasto del ricco passato ha ancora una sua forte valenza. Come il Bagno Borbonico, costruito nel ‘500 per volere di Carlo V, poi carcere del Regno delle Due Sicilie, che al suo interno conserva i resti delle mura normanne e bizantine, oltre alla sede del Museo delle Genti d’Abruzzo. Per chi ama il genere “casa-museo”, il Museo Casa Natale di Gabriele D’Annunzio merita la visita, per ripercorrere fra vestiti, oggetti personali, opere e manoscritti la prima fase di vita del poeta e scrittore pescarese. Bella la recente rinascita dell’ex liquorificio Aurum, realizzato nel 1935 e riaperto nel 2007 come polo museale polifunzionale. Il quartiere è quello della Pineta Dannunziana, dove si concentrano ville e palazzi Liberty di pregio. Fra le opere contemporanee di maggior spicco c’è il Ponte del Mare, che dal 2009 unisce le due riviere cittadine. Lungo 465 metri, è uno dei ponti ciclo-pedonali più lunghi d’Europa.

Pistoia e Montagna Pistoiese

Le piste da sci e gli itinerari di trekking dell’Abetone e della Doganaccia sono sicuramente le mete turistiche più note dell’Appennino Pistoiese, zona soggetta alle molte attività dell’Ecomuseo della Montagna. Creato per valorizzare i patrimoni culturali del territorio, l’Ecomuseo ha sede nello storico Palazzo Achilli di Gavinana, con punti informativi anche ad Abetone Cutigliano, Pistoia, Sambuca Pistoiese, Marliana e San Marcello Piteglio, e si compone di sei itinerari all’aperto, che permettono una full immersion in quella che un tempo era la vita da queste parti: il Molino di Giamba e la Via del Carbone ad Orsigna, il Comparto produttivo del ghiaccio della Madonnina a Le Piastre, l’Orto Botanico Forestale dell’Abetone, l’Insediamento Altomedievale, la Riserva Biogenetica dell’Acquerino e la Via Francesca della Sambuca.

Alcuni luoghi di interesse sono invece diventati a loro volta veri e propri musei en plein air a se stanti, come la Ferriera Sabatini a Pracchia, il Museo della Gente dell’appennino pistoiese a Rivoreta, il Centro naturalistico archeologico dell’Appennino pistoiese a Campo Tizzoro.

Un’altra attrattiva, riservata però a chi non soffre di vertigini e ama l’avventura, è il Ponte sospeso di Mammiano Basso, fra i più lunghi del mondo e alto ben 36 metri. A 5 km dal paese di Gavinana si trova invece l’Osservatorio astronomico di Pian dei Termini, gestito dal Gruppo astrofili Montagna pistoiese, con due cupole di osservazione e due telescopi newtoniani che consentono di scrutare il cielo grazie anche alla quasi totale assenza di inquinamento luminoso.

Tutta la zona appenninica è caratterizzata anche dalla presenza delle Foreste Pistoiesi, che coprono una superficie di circa 10.000 ettari attraversati da sentieri CAI e GEA, lungo i quali si incontrano i rifugi di Montanaro e Porta Franca. Il contesto. selvaggio e lontano dalle rotte turistiche, è l’habitat ideale per ospitare animali di ogni specie, fra cui alcuni esemplari di lupo europeo, fino a poco tempo fa a rischio di estinzione.
Meritano un cenno anche i molti borghi medievali ben conservati, dove è ancora possibile ammirare bellissime ville, fortezze e torri dirute, avvolte da atmosfere che riportano a secoli addietro, mentre Pistoia è particolarmente ricca di pregevoli monumenti romanici e rinascimentali, concentrate attorno a Piazza del Duomo, considerata a buon diritto fra le più belle d’Italia.

Rieti

Lo sviluppo storico della città di Rieti come importante centro agricolo si deve a un’opera di alta ingegneria idraulica, il cosiddetto “taglio delle Marmore”. Ma andiamo con ordine. Nel 290 a.C., il Console romano Marco Curio Dentato conquista Rieti, al centro della Valle Reatina, attraversata dal fiume Velino che in epoca remota era in realtà un grande bacino lacustre, il Lacus Velinus. Ritirandosi, il lago aveva lasciato una serie di laghetti residuali, il Ripasottile e il Cantalice, ma anche il Lago Lungo e di Ventina, che oggi insieme formano un’interessante Riserva parziale naturale, hot spot per il birdwatching e l’escursionismo. Dunque, il lago diventato fiume Velino per secoli aveva lasciato i suoi depositi minerali ovunque nella piana, creando una barriera di travertino che impediva il deflusso a valle delle acque. E qui intervenne il Console, realizzando il famoso “taglio” e creando artificialmente le Cascate delle Marmore. Storia assai intrigante per gli accadimenti di lotte e contrasti con la vicina Terni, e ingegneristicamente affascinante per la difficoltà obiettiva nel realizzarla con mezzi non proprio avveniristici.

Taglio e cascate a parte, Rieti conservò per secoli un forte legame con Roma, e di quel periodo si conservano ancora le vestigia: un ponte con i solchi dei carri che trasportavano il loro carico prezioso lungo la Via Salaria, e le odierne Via Roma e Via Garibaldi sulla traccia degli antichi Cardo e Decumanus, La cinta muraria risale invece al Duecento, e ha protetto per secoli chiese e palazzi nobiliari, in cui avvennero fatti importanti. Costanza di Altavilla sposò qui Enrico IV, figlio del barbarossa, e Carlo II d’Angiò nel 1289 venne incoronato da Papa Nicolo I Re di Puglia, Sicilia e di Gerusalemme.

Riviera dei Gelsomini

I coloni greci scelsero la Costa Jonica per la sua posizione strategica, così come oggi un turista in cerca di una destinazione di mare punta su quei 120 km di spiagge, borghi storici e siti archeologici.

La Costa Jonica, in provincia di Reggio Calabria, si chiama Riviera dei Gelsomini per i romantici, e Locride per gli appassionati di antichità, che qui trovano giusta soddisfazione. Le antiche colonie di Locri Epizefiri e Kaulon sorgono al centro di un’area che si caratterizza anche per ruderi di antichi castelli, monasteri, villaggi arroccati a picco su un mare da cartolina, che contempla tutte le gradazioni di azzurro e di blu e sprofonda in fondali da esplorare con pinne e bombole.
Roccella Jonica ha un piccolo porto turistico e dà il via a un susseguirsi di spiagge che vanno da Siderno a Locri, da Bianco a Riace, diventato celebre a partire dagli Anni Ottanta per il fortuito ritrovamento, a pochi minuti dalla costa, delle sculture dei Bronzi di Riace.

Guardando invece verso l’entroterra, molti sono i borghi meritevoli di una deviazione e di una sosta dalla vita da spiaggia. Gerace, il “borgo delle cento chiese”, è un vero gioiello architettonico della Calabria, in cui i palazzi mostrano una giocosa alternanza fra stile Gotico, Bizantino, Normanno e Romanico. Bellissime, fra le cento, la Cattedrale e la Chiesa di San Francesco.

Nella sua lunga storia, il borgo di Stilo ne ha annoverate invece “solo” 18 di chiese, molte delle quali andate perse durante il terremoto del 1783. Fra quelle rimaste in piedi a futura memoria ci sono l’Abbazia di San Giovanni Theresti, con le reliquie del santo, e la Chiesa Matrice che conserva una pala monumentale del Caracciolo. Nonostante le gravose perdite per via del sisma, Stilo è e rimane uno dei “Borghi più belli d’Italia”, noto anche per la celebre Cattolica, edificio di origine bizantino a pianta centrale, sormontato da cinque cupole che rendono il suo profilo inconfondibile e ben visibile sul crinale del Monte Consolino, appena sopra l’abitato. Se dunque la Cattolica è il simbolo architettonico del borgo, il Palio di Ribusa è quello folcloristico: nel 1997 si è infatti riportata in vita una tradizione che perdurava dal 1650 e poi sospesa per 280 anni. Fino a tre secoli fa, la festa si svolgeva ogni anno il 22 aprile, giorno celebrativo di San Giorgio, protettore di Stilo, mentre oggi si tiene la prima domenica di agosto. Nel suo insieme, articolata fra cortei storici, musiche di corte e spettacoli di intrattenimento di cantastorie, cartomanti e chiromanti, il Palio di Ribusa è una delle più suggestive tradizioni popolari calabresi.

Riviera e Borghi degli Angeli

Tra le province di Catanzaro e Reggio Calabria, lungo la costa orientale del Basso Ionio, c’è una Calabria inesplorata, identificata con un nome quasi poetico, che ispira itinerari da slow travel. E’ la Riviera e Borghi degli Angeli. Partendo dalla costa, sono oltre 150 i km di spiagge che offre, compresi fra il promontorio di Copanello-Caminia fino a Capo Spartivento, in una sequenza infinita di lidi sabbiosi, calette nascoste e scogliere vertiginose, habitat prediletto delle tartarughe Caretta-Caretta.

Generoso è anche l’entroterra, per la natura incontaminata del Parco Naturale Regionale delle Serre, che va dall’Appennino calabro alle pendici dell’Aspromonte, e per le avventure bio-oriented che regala, fra grotte e cascate, siti archeologici, parchi avventura a misura di famiglie e, immancabili in una terra antica come la Calabria, punti di interesse come eremi, santuari e borghi millenari. Un esempio su tutti è la celebre Certosa di Serra San Bruno.

Greci, Romani, Normanni, Arabi, Angioini, Borboni Spagnoli e Francesi sono gli artefici dei “Borghi degli Angeli”, che messi insieme formano idealmente un museo diffuso a cielo aperto, una mostra permanente della vita, trasformata e tramandata nei secoli, lungo le viuzze dei paesini che abbracciano antichi castelli, feudi, chiese e monasteri. Qualche nome? Badolato, oggi rivitalizzato dalla presenza di cittadini stranieri e da progetti turistico-culturali interessanti. Monasterace, sul promontorio di Punta Stilo, con il parco archeologico dell’antica Kaulon. Stilo, con la chiesetta bizantina di Cattolica. Bivongi, borgo della longevità, con il suo vino Doc, il monastero greco-ortodosso di San Giovanni Theristis e le cascate del Marmarico. Guardavalle, incastonato tra rocce e vigneti. Santa Caterina dello Ionio, la cui ricchezza si trova in antichi palmenti rupestri, mulini e grotte bizantine. San Floro, modello di rinascita di un’antica tradizione, quella della bachicoltura e della produzione della seta grazie al progetto “Nido di Seta”. Sant’Andrea Apostolo dello Ionio, con un’oasi naturale di duna sabbiose.

Sacro Monte di Oropa

Grandioso. Guardando la spianata su cui sorge il Santuario di Oropa, circondato dalla corona delle Alpi Biellesi, non resta che pensare questo, che è semplicemente grandioso. Il più importante e vasto santuario delle Alpi, dal 2003 dichiarato Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco insieme al sistema di Sacri Monti di Piemonte e Lombardia, richiederebbe una giornata intera per essere visitato a dovere: si compone infatti di una serie di edifici, costruiti nel corso di secoli a partire probabilmente dal IV d.C. per volere di Sant’Eusebio, primo vescovo di Vercelli e del Piemonte. Le prime notizie certe si hanno invece nel 1207, quando in una Bolla papale si fa riferimento a due chiese in quei di Oropa, risalenti all’VIII secolo. Fu poi dal Quattrocento che le famiglie biellesi iniziarono a costruire case private per ospitare i numerosi pellegrini che giungevano qui per venerare la Madonna Nera. La maggior parte di ciò che vediamo oggi è invece frutto della devozione di Casa Savoia, che a partire dalla metà del XVII secolo mise a disposizione i suoi più grandi architetti – l’Arduzzi, lo Juvarra e il Guarini – per rendere spettacolare il Santuario. E ci riuscirono di certo.

Nel complesso si distinguono pertanto la Basilica Antica del Seicento, che al suo interno custodisce il sacello eusebiano decorato da preziosi affreschi del Trecento e la statua della Madonna Nera, realizzata nel Duecento in legno di cirmolo da uno scultore valdostano; la Basilica Superiore (o Chiesa Nuova), la cui realizzazione richiese più di un secolo di lavori. Iniziata nel 1885, fu portata avanti nonostante le due guerre, per essere infine consacrata nel 1960. Di questo edificio, si notano soprattutto le dimensioni mastodontiche della cupola che dominano tutta la valle: 33 metri di diametro per 80 metri di altezza.

Ma non è finita. Il Santuario comprende anche le 12 cappelle del Sacro Monte di Oropa, popolate di statue di terracotta policroma dedicate alla storia della vita di Maria. Costruito tra il 1620 e il 1720, richiese la collaborazione di alcuni dei più grandi artisti dell’epoca, che insieme realizzarono un vero e proprio paesaggio sacralizzato.

Saline di Marsala_Mozia

Si definisce Riserva Naturale Orientata e a tutti gli effetti il sistema delle Saline di Trapani e Paceco che costeggia il litorale della Sicilia Occidentale fino a Marsala è un’oasi protetta per il suo alto valore paesaggistico, architettonico, archeologico ed etno-antropologico. A vegliare sui suoi oltre mille ettari di terra e acqua è dal 1995 il WWF, che rende il tutto accessibile con numerosi percorsi di visita gratuiti e diversificati a seconda della stagione. Le attività di salicoltura modificano infatti in continuazione il contesto naturalistico, attirando di conseguenza anche specie faunistiche migratorie. I mesi fra febbraio e aprile sono i migliori per chi ama il birdwatching, mentre da luglio a settembre si può assistere all’attività di raccolta del sale, che regala un’affascinante istantanea di come doveva svolgersi qui la vita già secoli fa, dai tempi dei fenici passando per la dominazione normanna, poi angioina, aragonese, spagnola e così via. Per approfondire la materia c’è il percorso multimediale del Museo del Sale, da fare insieme alla visita del Mulino d’Infersa, all’interno delle Saline “Ettore e Infersa”.

Dopo aver dedicato il giusto tempo all’avvistamento di fenicotteri rosa e falchi pescatori e alla contemplazione dei magici riflessi di cielo e nuvole nelle acque salmastre punteggiate dei caratteristici mulini con il tetto rosso, è d’obbligo l’escursione all’Isola di Mothia, dove il discorso si sposta sui temi arte e archeologia. Questa antica colonia fenicia situata sull’Isola di Pantaleo, al centro della Riserva Naturale dello Stagnone di Marsala, è uno dei siti archeologici più importanti della Sicilia, oggi valorizzato dalla Fondazione G. Whitaker. Nell’ex residenza del ricco imprenditore Giuseppe Whitaker, originario del West Yorkshire, si trova oggi il Museo, che ospita la collezione di reperti rinvenuti sin dal 1793, seguiti poi all’inizio del Novecento da quelli degli scavi di Whitaker stesso e poi della Soprintendenza.

Skip to content