Per le strade di Offida, nell’ascolano, capita ancora di incontrare qualche anziana signora seduta davanti alla porta intenta alla lavorazione del tombolo. Sono le ultime ricamatrici dedite a un’arte vecchia di cinque secoli, risalente al XV secolo. Le prime a praticarla furono alcune donne dei ceti popolari, cui seguirono le comunità religiose e poi le famiglie aristocratiche, che incentivarono le famiglie femmine alla pratica di quest’arte. La svolta avvenne nel 1665, grazie all’arrivo delle suore Benedettine, che trasformarono il tombolo nel mestiere di massa a Offida e dintorni. Nei secoli successivi, la produzione di merletti fu così copiosa da guadagnarsi fama in tutta Italia e non solo, giungendo presso le più importanti corti del passato. Esemplari antichi si possono oggi ammirare nel Museo del Merletto a Tombolo situato nel Centro Storico di Offida.
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Borgo di Montalto delle Marche
Uno dei simboli di Roma è l’Altare della Patria. A progettarlo fu l’architetto Giuseppe Sacconi, originario di Montalto delle Marche, a circa 20 minuti dall’Adriatico e altrettanti dalla Catena dei Sibillini. Una geocalizzazione fortunata che nell’antichità ha favorito insediamenti già nel 6.000 a.C, nel neolitico, e poi senza soluzione di continuità nel VII secolo a.C., come testimoniano reperti di cultura picena, romana e di epoche successive.
Persino San Francesco d’Assisi trovò “casa” da queste parti, scegliendo questo territorio per diffondervi la sua Regola e fondando il Convento delle Fratte, notevole per gli affreschi di scuola giottesca. A questo luogo mistico si legano anche le memorie di Felice Peretti, eletto Papa nel 1585 con il nome di Sisto V, che donò alla sua “patria carissima, Montalto delle Marche” il Reliquiario con Imago Pietatis e Scene della Passione (detto “Reliquiario di Montalto”), oggetto di straordinario valore artistico. Realizzato in oro e pietre preziose, è conservato presso il Museo Sistino Vescovile. Ma il regalo più grande che Sisto V fece ai suoi concittadini furono i privilegi, economici e di status, sfruttati fino all’Unità d’Italia e che permisero al borgo di crescere come centro culturale ed artistico.
Unico nel suo genere è il Museo delle Carceri, con graffiti e disegni realizzati dai reclusi e con un impianto fonico che diffonde storie autentiche dei carcerati nelle in scena da una compagnia teatrale, così come il Museo L’Acqua, la Terra, la Tela, collocati entrambi presso la sede municipale, purtroppo rimasta in parte lesionata dal terremoto del 2016.
Montalto è un Comune che si compone di numerose frazioni, fra cui Patrignone dove si consiglia la sosta alla Chiesa romanica di Santa Maria in Viminato, impreziosita da affreschi che vanno dal Quattrocento al Seicento. Nella frazione Porchia si nota invece il Torrione del Trecento, elemento di spicco di un Medioevo che qui si legge in ogni vicolo, oltre che nella Cripta della Chiesa di Santa Lucia, con una tavola di Vincenzo Pagani e una stupenda Natività del XV secolo. Della piccola frazione di Valdaso si apprezza invece la bellezza ordinata di una campagna che alterna frutteti e campi coltivati, e fra cui spicca il torrione dell’antico mulino di Sisto V, il “Papa di Montalto”.
Acquasanta Terme: Fortezza di Castel di Luco
Nell’archivio della Cattedrale di Ascoli è conservato un documento che riconduce al borgo di Acquasanta, e da qui a Castel di Luco. La data riportata in calce è 1 Luglio 1052, il che fa di questo borgo incastellato dall’originale pianta rotonda un sito millenario. Il terremoto del 2016 ha purtroppo danneggiato parte della struttura architettonica del fortilizio, ma i lavori per il recupero della struttura originaria sono in corso e di certo questo pezzo di storia marchigiana tornerà presto ad accogliere ospiti nelle stanze ricavate nelle case coloniche che cingono il cuore di Castel di Luco. Un castello ferito ma ancora orgogliosamente in piedi, su un poggio in travertino dove, secondo alcuni studi, nell’antichità si trovavano alcuni altari sacrificali.
Borgo di Colli del Tronto
In dialetto ascolano, il borgo di Colli del Tronto si chiama Li Colle. Sorge su un’area ricca di antichi insediamenti, testimoniati da reperti preistorici, necropoli picene e tombe romane relative al sito di “Castrum Fanum. Secondo alcuni studiosi, sarebbe questo il luogo in cui Pirro sconfisse i romani. Vero o no, le suggestioni rimangono e piacciono agli appassionati di archeologia e storia.
Fare tappa nel borgo consente di scoprire piccoli gioielli d’arte come per esempio Villa Panichi, Villa Ercolani, Villa Mastrangelo, Villa Spreca e Villa Fonzi, e ovviamente la Chiesa Parrocchia Santa Felicita, del Settecento, che al suo interno conserva la tela del pittore ottocentesco Ferdinando Cicconi, nativo proprio di Colli del Tronto, così come il musicista Antonio Lozzi. Da ricordare anche la tradizione più rinomata di Colli, quella dei “carradori”, artigiani che costruivano eleganti e solidi carri agricoli istoriati da pitture e strumenti per la lavorazione dei campi.
Chiesa Parrocchia Santa Felicita
In dialetto ascolano, il borgo di Colli del Tronto si chiama Li Colle. Sorge su un’area ricca di antichi insediamenti, testimoniati da reperti preistorici, necropoli picene e tombe romane relative al sito di “Castrum Fanum.
Fare tappa nel borgo consente di scoprire piccoli gioielli d’arte come per esempio la Chiesa Parrocchia Santa Felicita: preceduta da una scalinata monumentale, fu costruita la prima volta nel 1573 dalla Comunità dei Domenicani di Ascoli Piceno, ma ciò che si vede oggi risale al 1796 e si deve al progetto dell’architetto di Milano Pietro Maggi. Al suo interno la chiesa conserva la tela del pittore ottocentesco Ferdinando Cicconi, nativo proprio di Colli del Tronto, mentre scendendo nella cripta si svela un ambiente chiaramente ispirato alla Grotta di Lourdes.
Il carnevale di Offida “Lu bov fint” e “Li Vlurd”
Dal 17 gennaio, dedicato a Sant’Antonio Abate, al giorno delle Ceneri, nel borgo marchigiano di Offida si fa festa, celebrando il Carnevale in ogni sua forma. Il rituale inizia la “Domenica degli Amici”, che precede di due settimane il Carnevale, con la fanfara della “Congrega del Ciorpento”.
Le Congreghe animano il paese a ritmo di musica sempre più incalzante e la mattina del Giovedì Grasso ricevono in consegna, dal Sindaco, le chiavi della citt, gesto simbolico che sottolinea come, da quel momento, Offida è nelle loro mani. Sabato, domenica e lunedì si svolgono i “veglionissimi” presso Il Teatro Serpente Aureo, la mascherata dei bambini, la caccia a “Lu Bov Fint” (il bove finto), la festa in piazza che si conclude con la fantasmagorica sfilata dei “Vlurd”.
In particolare, il venerdì grasso è il giorno dedicato al bove finto, un rudimentale bove costituito da un’intelaiatura di legno e ferro, coperta da un panno bianco e portato a spalle da un paio di uomini, simulando in mezzo alla folla una sorta di corrida. Dopo il gran caos, con l’uccisione simbolica del bove torna la quiete.
I vlurd sono invece i fasci di canne imbottiti di paglia, accesi e portati a spalla da centinaia di uomini e donne mascherati. Il crepuscolo e l’atmosfera medievale di Offida creano una suggestione unica in tutto il borgo, fino a quando si arriva nella piazza centrale dove viene appiccato un grande falò, attorno al quale si svolgono balli sfrenati. Il Carnevale di Offida è rinomato in tutta la Regione e oltre, attirando turisti da ogni dove, coinvolti in un’autentica festa di popolo.
Teatro Serpente Aureo
Sulla piazza principale di Offida, nell’ascolano, affaccia il Palazzo Comunale. Al suo interno, si cela uno dei luoghi inclusi nel circuito dei Teatri Storici delle Marche, il Teatro Serpente Aureo. Questa sua curiosa collocazione all’interno di un edificio con una diversa funzione pubblica ne fa già di per sé un unicum, poi una volta entrati, si svela un gioiello architettonico realizzato nel XIX secolo da Pietro Maggi. La sua realizzazione non fu né rapida né semplice. In un documento del 1768 si fa cenno a un palcoscenico a “guida di teatro”, costruito “senza distinzione di ceto”. Per ovviare a questa “mancanza”, il Consiglio Comunale approvò a più riprese la realizzazione di un teatro vero e proprio, con palchi, platea e scena, fino appunto ad arrivare al progetto del Maggi, datato 1820, modificato poi a più riprese nel 1862 e nel Novecento. Lo stile Barocco domina tutto l’ambiente a ferro di cavallo, con 50 palchi disposti su tre ordini, con loggione e platea. A due artisti offidani Doc furono affidate le parti decorative: Giovanni Battista Bernardi curò stucchi e pitture dei palchi, mentre la volta, raffigurante Apollo e le Muse, venne dipinta da Alcide Allevi. A coronamento d’insieme, negli otto medaglioni posti sul soffitto furono ritratti autori illustri di prosa e lirica: Pergolesi, Verdi, Bellini, Donizetti, Rossini, Alfieri, Goldoni, Metastasio. La chicca è però sul palcoscenico: il vecchio sipario con dipinta la leggenda del mitico Serpente d’Oro, dopo oltre un secolo di vicende travagliate e modifiche strutturali, è ancora lì, sul fondo della scena, a fare bella mostra di sé e a ricordare un’epoca aurea.
Badia di Morrona
Nella millenaria Badia di Morrona a Terricciola, in provincia di Pisa, oggi si parla di sostenibilità. La produzione di vino e olio ricavata dai 600 ettari che circondano la proprietà segue infatti i dettami dell’eco compatibilità, dei rispetto dell’ambiente che qui ha forte voce in capitolo. Siamo infatti nelle Terre di Pisa, caratterizzate da distese di colture agricole, in particolare di vite e olivo, da un paesaggio in cui la Badia di Morrona ha un posto importante dal 1089. A costruirla fu un ricco proprietario terriero, che trovò nei monaci dei fidi “collaboratori” che potevano gestire servi e braccianti assoldati per la cura dei campi.
La chiesa, in stile romanico e in pietra locale, è stata restaurata in modo da rispettarne il fascino mistico tipico del Medioevo. Lo si avverte in particolare nello splendido chiostro, da cui si accede al refettorio e al parco esterno, belvedere sulle verdi colline della Valdera.
Fra le curiosità di questo luogo c’è quella legata alla Madonna di San Torpé, conservata nella chiesa: l’opera è dedicata al martire cristiano che fu decapitato alla foce dell’Arno e giunto in modo misterioso sull’odierna spiaggia di Saint Tropez (da cui il nome della località francese).
La villa padronale, cuore del complesso monastico, risulta semplice nonostante la ricca collezione di pezzi d’arte di epoche diverse, che ne fanno una “casa-museo” sui generis: dai mosaici di epoca bizantina risalenti al V secolo d.C. ai cippi etruschi alle colonne in marmo, fino alle anfore romane ritrovate in mare.
Torre e Camminamento del Soccorso
La memoria del Brunelleschi è legata soprattutto alla celebre Cupola del Duomo di Firenze, ma il grande architetto del Rinascimento toscano realizzò anche opere di carattere militare di notevole interesse. Ne è un esempio il quattrocentesco Complesso della Rocca di Vicopisano, detto appunto del Brunelleschi, che comprende la Torre e il Camminamento del Soccorso, dal settembre del 2021 aperte al pubblico per chi volesse apprezzarne la perfezione ingegneristica e la bellezza dei panorami che circondano la Rocca.
La Torre del Soccorso fu originariamente realizzata a ridosso del porto sul fiume Arno, che proprio in questo punto lambiva le mura del castello, fino a quando nel XVI secolo non fu fatta una deviazione che ne spostò il corso. La Torre aveva un’evidente funzione di controllo del muraglione di accesso alla Rocca, mentre il Camminamento era stato progettato dal Brunelleschi come via di fuga privilegiata dalla fortezza al fiume e viceversa.
Chiesa di San Lorenzo
Nel rileggere gli annali della Chiesa di San Lorenzo ad Acquasanta, nell’ascolese, ci si può perdere in mille rivoli, fatti di personaggi storici, artisti, scultori, proprietà diverse che si sono succedute nella gestione di questo luogo di culto datato al 1275, che si fa ricordare soprattutto per il suo pavimento realizzato in lastroni di travertino interrotto da alcune pietre tombali e per una delle raffigurazioni più famose e misteriose del “Sator”, il Dio seminatore ma con la falce in mano, pronto a mietere. Un “dettaglio” che ha fatto pensare che il luogo fosse in qualche modo legato all’Ordine dei Cavalieri Templari. Da notare per la qualità di realizzazione sono anche il baldacchino del Quattrocento, scolpito sempre in travertino da artigiani locali, e l’altare alto 25 palmi, del 1626.