Le Terre di Pisa sono note per le molte prelibatezze del palato, fra cui spicca il Tuber Magnatum Pico. Dal 1954, il piccolo borgo toscano di San Miniato ospita la Mostra Mercato Nazionale del Tartufo Bianco, che per ben tre settimane, nel mese di novembre, invade le strade del centro storico medievale con bancarelle e punti di degustazione. La storica Piazza del Duomo ai piedi della Rocca così come le altre piazze di San Miniato si trasformano in un grande mercato all’aperto, dove trovano spazio anche i migliori prodotti delle altre Città del Gusto italiane. Un evento dedicato a chi ama la buona tavola e la condivisione con appassionati, esperti e produttori in grado di trasmettere la propria passione per il territorio attraverso profumi e sapori antichi.
Business area: Agroalimentare
Il Cammino di Francesco nel Lazio: tragitto da Rieti a Poggio Bustone
Arezzo, Santuario de La Verna, e da qui giù fino a Roma. Queste le stazioni di inizio e fine del Cammino di Francesco, che nella sua parte mediana transita per la cosiddetta Valle Santa Reatina. È infatti nella campagna della provincia di Rieti che San Francesco si recò più volte, fra il 1209 e il 1226, fondando quattro santuari e compiendo atti che hanno segnato la sua esistenza e quella della Cristianità intera: la realizzazione del primo Presepe, la stesura della Regola dell’Ordine Francescano e la composizione del Cantico delle Creature.
Il Cammino si compone di otto tappe per un totale di 80 km, da percorrere con la dovuta lentezza, per godere di paesaggi meravigliosi e luoghi d’arte di tutto rispetto. Fra questi, spiccano senz’altro i Santuari voluti dal “Poverello” – quelli di Greccio, La Foresta, Poggio Bustone e Fonte Colombo – il centro storico di Rieti, l’Abbazia di San Pastore e il bosco del Faggio di San Francesco a Rivodutri, nella Riserva naturale dei Laghi Lungo e Ripasottile. L’alternativa al cammino è la Ciclovia della Conca Reatina, ma per tutti, da portare con sé e da far timbrare a ogni tappa, c’è il “Passaporto”, oppure, per chi ci mette meno di due giorni, l’ “Attestato del pellegrino”.
Santuario Santa Maria dell’Isola
Tropea, Santuario di Santa Maria dell’Isola. In effetti, a guardarlo bene, il promontorio su cui sorge il monumento simbolo del borgo e ormai della Calabria intera, sembra proprio un lembo di terra a se stante, congiunto al centro abitato da un tratto del litorale tirrenico fra i più belli. Con ogni probabilità, questa “isola che non c’è” era già abitata nel VII-VIII secolo da alcuni eremiti, che apprezzavano la serenità del luogo, ideale per una vita contemplativa e ascetica.
Certo è che nell’XI secolo qui approdarono dei monaci basiliani, soppiantati poco dopo dai Benedettini. Questo avvenne attorno al 1060, quando il duca normanno Roberto Il Guiscardo sancì che dal rito greco si passava a quello latino, e con esso, che il possedimento del Santuario, secondo la formula “Sancta Maria de Tropea cum omnibus pertinentiis suis”, entrava nell’orbita dell’Abbazia di Montecassino, nel Lazio, che tuttora ne detiene la proprietà.
Fra leggenda e verità si colloca invece il racconto di una statua della Vergine portata qui dall’Oriente che avrebbe compiuto miracoli, ingenerando una sorta di pellegrinaggio al Santuario. Un fenomeno giunto ai giorni nostri, che, soprattutto in primavera ed estate, vede ancora migliaia di fedeli approdare all’”isola” per chiedere una grazia.
Riserva della Biosfera “Selva Pisana” (Sito Unesco)
Già nel 1968, c’era qualcuno che parlava di relazione equilibrata fra umanità e biosfera. Lo si faceva all’Unesco, che in quell’anno istituì il programma MaB, incentrato sulle aree di ecosistemi marini e/o terrestri create appunto per promuovere la conservazione della diversità biologica e la salvaguardia dei valori culturali ed essa associati. In altre parole, per stimolare l’individuazione e la relativa protezione delle cosiddette Riserve della Biosfera. Per capire di cosa si tratta si può andare a Bientina, in provincia di Pisa, dove si trova la Riserva della Biosfera “Selva Pisana”.
Cuore di questa vasta area in provincia di Pisa, ampia circa 23.000 ettari, è la Tenuta di San Rossore, ex proprietà della Presidenza della Repubblica, di cui si può ancora ammirare la Villa del Gombo. Oltre a questa chicca dall’allure altisonante, il Parco comprende numerose altre zone intatte e splendidamente selvagge: la Macchia Lucchese, il Lago di Massaciuccoli e l’area lacustre oggi Oasi Lipu, le foreste di Tombolo e di Migliarino e le foci dell’Arno e del Serchio. Ci sono anche tre “enclave” extra parco, vale a dire le Secche della Meloria e gli scogli compresi tra Livorno e l’isola di Gorgona. Nell’insieme, si tratta quindi di un mosaico di paesaggi assai diversificati fra loro, che vanno dalle dune di sabbia litoranee alle grandi e verdissime pinete dell’entroterra, dagli acquitrini ai boschi rigogliosi di macchia mediterranea profumata, il tutto fra i Comuni di Pisa, Viareggio, San Giuliano Terme, Vecchiano, Massarosa e Livorno.
Museo della Certosa di Serra San Bruno
Bussare alla porta del Museo della Certosa di Serra San Bruno è come chiedere l’accesso a un mondo per secoli tenuto volutamente nascosto, ma che qui, in questo paesino sulle montagne nell’entroterra di Vibo Valentia, lascia uno spiraglio di apertura verso chi vuole guardare con occhio attento a una delle comunità religiose più importanti della storia della Chiesa.
La Certosa è la più antica e una delle tre ancora attive in Italia, la seconda in assoluto per longevità dopo quella di Chartreuse, e una delle 23 nel mondo, tutte fondate o generate dall’opera del monaco cristiano tedesco Bruno da Colonia, “padre” dell’Ordine certosino.
Se la Certosa in sé è custode dei numerosi capolavori d’arte prodotti in nove secoli dai monaci certosini, le ventidue sale del percorso museale ricavato attorno al chiostro illustrano la vita del Santo, la nascita e l’evoluzione del suo Ordine monastico, la storia della Certosa e del vicino Eremo di Santa Maria della Torre, la Regola e le consuetudini che da quasi mille anni scandiscono le giornate dei monaci, giungendo all’ultima “tappa”, una piccola cappella ricavata nella torre del ‘500 accanto all’ingresso, perfetto rifugio per un momento di riflessione e preghiera.
Menzione e visita a parte merita la biblioteca, dove ci si immerge fra centinaia di incunaboli e documenti manoscritti che raccontano l’arte e la passione con cui i certosini hanno sempre guardato alla produzione dei libri. Infatti, appena inventata la stampa, molti adepti dell’Ordine divennero stampatori e si distinsero, oltre che come tipografi, editori e traduttori, anche come scrittori. Fra costoro, anche Guigo I, monaco dell’inizio del XII secolo, che scriveva: “non potendo predicare la Parola di Dio con le labbra, noi la predichiamo con le mani”.
Palazzo Arezzo
Dalle macerie del terremoto del 1693, Ragusa e le città della Sicilia Orientale sono poco a poco risorte, con una nuova veste che le ha trasformate in veri e propri gioielli architettonici, che nella sola “Isola Barocca” di Ragusa conta ben 18 monumenti inseriti nel listing del Patrimonio dell’Unesco.
Fra le emergenze da non perdere del Centro Storico c’è Palazzo Arezzo di Trifiletti, completato a metà dell’800, tra Piazza Duomo e Corso XXV Aprile, di fronte al Circolo di Conversazione e al Teatro Donnafugata annesso all’omonimo Palazzo.
La visita regala il privilegio di ritrovarsi immersi in atmosfere autentiche, vissute ma intatte, che trasmettono l’orgoglio di chi custodisce 900 anni di storia di una delle più nobili famiglie siciliane e due secoli di arte racchiusa in queste stanze.
Ambienti ricchi di opere d’arte, arredi e memorabilia di varie epoche, che oggi fanno da sfondo a set di servizi fotografici, eventi, matrimoni, cene di gala dal sapore “gattopardesco”.
Villa Romana di Casignana
Fino al 1963, la località di Casignana, a circa 85 km da Reggio di Calabria, era pressoché sconosciuta. A portarla agli onori delle cronache è stato il fortunoso ritrovamento di una sontuosa Villa Romana, risalente al I secolo a.C. Le caratteristiche architettoniche, il fasto degli ambienti e, soprattutto, i raffinati mosaici dei pavimenti hanno fatto pensare alla residenza di una famiglia patrizia molto importante nella zona, con ogni probabilità legata all’attività vinicola. Fra le parti riemerse, oltre a una cisterna e a una fontana monumentale, c’è anche un impianto termale, composto come da regola aurea da frigidarium, tepidarium, caldarium.
Meritano un cenno in più i mosaici, che evocano tecniche e soggetti musivi tipici del Nord Africa, fra cui spicca quello della “sala delle Nereidi” (datato al III secolo d.C.), in cui si distinguono un corteo marino composta da quattro Nereidi in groppa ad altrettanti mostri con fattezze di leone, tigre, cavallo e toro.
Parco Naturale Regionale Costa Otranto – Santa Maria di Leuca e Bosco di Tricase
Fra gli obiettivi del Parco Naturale Regionale Costa Otranto – Santa Maria di Leuca – Bosco Tricase, ci sono lo sviluppo eco-sostenibile e la tutela della biodiversità di un’area che comprende ben 12 comuni del Salento (Alessano, Andrano, Castrignano del Capo, Castro, Corsano, Diso, Gagliano del Capo, Ortelle, Otranto, Santa Cesarea Terme, Tiggiano e Tricase). Un percorso che, correndo lungo la litoranea per 57 km, conduce da Santa Maria di Leuca, limite meridionale della penisola, al punto più orientale d’Italia, il faro di Punta Palascìa a Otranto, con un’estensione totale che raggiunge i 3227 ettari e fa tappa anche in siti di interesse culturale e architettonico oltre che naturalistico.
Camminando su sentieri a strapiombo su un mare cristallino, dove i fenomeni carsici ed erosivi hanno aperto un gran numero di grotte e anfratti più o meno sommersi ed esplorabili, si incontrano le antiche “vie del sale” e ci si imbatte in specie botaniche endemiche di rara bellezza, quali il Garofanino Salentino, il Fiordaliso di Leuca, il Fiordaliso Nobile e il Veccia di Giacomini. Quanto alla fauna, con un po’ di attenzione si avvistano gheppi, poiane e falchi pellegrini. Molte anche le emergenze antropiche da notare: nella grotta Zinzulusa e nella grotta dei Cervi sono state rinvenute tracce di resti paleolitici e neolitici, mentre lungo i sentieri si può scorrere tutto il multiforme “campionario” di architetture rurali pugliesi, dalle semplici pajare, realizzate con la tecnica del muretto a secco, alle masserie fortificate di impronta medievale o barocca, a un’infinità di torri di guarda rimaste a memoria del passaggio di invasori di ogni provenienza.
Parco Nazionale del Pollino
Lo chiamano “Giardino degli Dei”, in quanto “santuario” di una specie arborea rara e preziosa, il Pino Loricato. Siamo sulla cima di Serra di Crispo, in provincia di Potenza, nel Parco Nazionale del Pollino, la più grande area protetta d’Italia, di cui questa particolarissima specie di pino è simbolo e vita.
Istituito nel 1993, il Parco si sviluppa tra le vette del Dolcedorme e di Cozzo del Pellegrino, lungo il massiccio montuoso calabro-lucano del Pollino e dell’Orsomarso, ed è stato di recente inserito nel listing dei Geoparchi dell’Unesco come Patrimonio dell’Umanità, in virtù proprio di flora e fauna endemiche da tutelare. Dalle sue vette alte fino a 2.200 metri si possono vedere non uno ma ben due mari: da una parte la costa tirrenica di Maratea, Praia a Mare e Belvedere Marittimo e a est il litorale ionico da Sibari a Metaponto.
Benché sia la natura a fare da padrona da queste parti, non mancano gli spunti storico-archeologici, e persino preistorici, come per esempio nella Grotta-Riparo del Romito, o in quella di Sant’Angelo, con una graziosa chiesa ipogea del V-VI sec. d.C., o ancora nei borghi di Mormanno e Civita, fermi al Medioevo. Per non farsi mancare nulla, c’è anche il tocco di “esotico” in più, dato dalle comunità di cultura Arbëreshe, presenti sul territorio dal 1470.
Alcuni nuclei provenienti dall’Albania si rifugiarono qui per sfuggire alle milizie turche, rimanendo fedeli alle loro tradizioni e alla loro lingua, parlata ancora oggi, e fondando paesi come Acquaformosa, Civita, S. Basile, Lungro, Plataci, Frascineto, S. Costantino Albanese e S. Paolo Albanese.
La comunità albanese presente nel Pollino è fra le più radicate d’Italia: a Civita e a S. Paolo Albanese, si trovano i Musei della Civiltà Arbëreshe dove sono conservati numerosi oggetti, attrezzi e costumi tipici. Di grande interesse religioso sono le funzioni di rito greco-bizantino e le Vallje, le particolari danze che gli Arbëreshë intrecciano uniti l’un l’altro attraverso un fazzoletto.
Il Parco Nazionale del Pollino è anche habitat di numerose specie faunistiche, che con un po’ di fortuna si possono incontrare praticando escursionismo: lupo appenninico, cinghiali e caprioli, scoiattoli, istrici e lontre, ma anche picchi, gufi e aquile reali, falchi pellegrini e gheppi. In epoche remotissime, su queste distese si aggiravano anche pachidermi, come testimoniato da fossili risalenti a decine di migliaia di anni fa, vedi lo scheletro di “Elepfhans antiquus italicus”, alto quattro metri e vissuto circa settecentomila anni fa, rinvenuto nelle Valli del Mercure e attualmente custodito nel Museo Naturalistico e Paleontologico di Rotonda, sede del Parco.
Castello Aragonese
Si chiama Castel Sant’Angelo, ma non si trova a Roma, davanti alla Basilica di San Pietro, bensì a Taranto, affacciato sui due mari, all’ingresso del borgo antico della città. Impossibile non rimanere affascinati dalla mole imponente di questa fortezza, nel cui impianto architettonico si possono riconoscere elementi di epoca greca, bizantina, normanno-svevo-angioina. Il primo nucleo risale al 780, a quando cioè i Bizantini decisero che era il momento di dotare la “città dei due mari” di un sistema difensivo contro le continue incursioni dei Saraceni e della Repubblica della Serenissima. Sorsero così alte torri e strette, dalle quali si combatteva con lance, frecce, pietre e olio bollente. Fu poi fra il 1487 e il 1492 che, mentre Cristoforo Colombo era intento alle sue esplorazioni, qui a Taranto Ferdinando I Re di Napoli incaricava il celebre architetto militare Francesco di Giorgio Martini di rivederne l’impianto, perfezionando le dotazioni di bordo anti incursioni nemiche. Nacque così il Castello Aragonese di Taranto, nella foggia in cui ancora oggi lo conosciamo e possiamo scoprirlo, partecipando alle visite guidate gratuite che tutti i giorni, festivi inclusi, sono organizzate dalla Marina Militare, che lo rende accessibile con visite guidate gratuite tutti i giorni, festivi inclusi.