Parco Naturale di Migliarino San Rossore Massaciuccoli

Sul trenino ecologico, in battello e, per chi ama lo stile d’antan, addirittura in calesse. Il Parco naturale di Migliarino, San Rossore e Massacciuccoli si può visitare anche così, oltre che a piedi e in bicicletta. Cuore di questa vasta area in provincia di Pisa, ampia circa 23.000 ettari, è la Tenuta di San Rossore, ex proprietà della Presidenza della Repubblica, di cui si può ancora ammirare la Villa del Gombo. Oltre a questa chicca dall’allure altisonante, il Parco comprende numerose altre zone intatte e splendidamente selvagge: la Macchia Lucchese, il Lago di Massaciuccoli e l’area lacustre oggi Oasi Lipu, le foreste di Tombolo e di Migliarino e le foci dell’Arno e del Serchio. Ci sono anche tre “enclave” extra parco, vale a dire le Secche della Meloria e gli scogli compresi tra Livorno e l’isola di Gorgona. Nell’insieme, si tratta quindi di un mosaico di paesaggi assai diversificati fra loro, che vanno dalle dune di sabbia litoranee alle grandi e verdissime pinete dell’entroterra, dagli acquitrini ai boschi rigogliosi di macchia mediterranea profumata, il tutto fra i Comuni di Pisa, Viareggio, San Giuliano Terme, Vecchiano, Massarosa e Livorno.

Se la flora è ricca – da scovare la rara drosera, una piccola pianta carnivora, la liana periploca greca, l’orchidea palustre e il bellissimo fiordaliso delle sabbie – lo è altrettanto la fauna, che nelle zone umide, in dialetto “lame”, comprende uccelli di palude, trampolieri e aironi, mentre nel bosco daini e cinghiali.

Palazzo Blu

Sul Lungarno meridionale del centro storico di Pisa, all’altezza del Ponte di Mezzo e del Palazzo Gambacorti, sede del Comune, spicca un edificio dal colore inconsueto, detto appunto il Palazzo Blu. Si tratta di una dimora nobiliare restaurata e gestita dalla Fondazione Pisa, che ne ha fatto un polo espositivo fra i più attivi in città, e che deve la tinta insolita della sua facciata al fortuito recupero di un lacerto di affresco durante il restauro. Da qui, la coraggiosa decisione di ridipingerlo tornando al colore di un tempo, che secondo alcuni sarebbe dovuto a una visita nell’800 di alcuni ospiti di S. Pietroburgo che vi soggiornarono.

Vero o no questo episodio, oggi Palazzo Blu accoglie la Collezione permanente della Fondazione Pisa, con opere per lo più del territorio della provincia riconducibili a maestri quali Nino Pisano, Orazio ed Artemisia Gentileschi, Orazio Riminaldi e il Tribolo. Tre le sezioni: le collezioni d’arte della Fondazione Pisa, poste al secondo piano; la dimora aristocratica e le Collezione Simoneschi al primo piano. Al piano seminterrato trovano invece spazio Le Fondamenta, nuova sezione espositiva dedicata all’archeologia e alla storia medievale.

Museo Piaggio

Chiunque sia appassionato di due ruote sa cosa significa Pontedera. Qui, nella campagna pisana, si trova la sede che dagli anni Venti ospita la Piaggio, nella cui ex officina attrezzeria dal 2000 è stato allestito il Museo Piaggio, perfetta celebrazione di un mito del design Made in Italy. Un luogo di conservazione e valorizzazione di ciò che il marchio delle due ruote ha rappresentato in Italia e nel mondo, offrendo anche spunti di riflessione sulle trasformazioni economiche, di costume e di sviluppo industriale di cui la Vespa e tutti gli altri modelli dell’azienda pisana sono stati e sono tutt’oggi icona. Ricchissimo l’Archivio Storico e lo spazio espositivo, con 5.000 mq dedicati a oltre 250 esemplari unici e prototipi, che fanno del Museo Piaggio il più grande e completo museo italiano dedicato alle due ruote.

Senza esagerazione alcuna, si può dire che la memoria del Gruppo Piaggio, il cosiddetto heritage del brand, attraversa l’intera storia dei trasporti, grazie a ciò che la casa madre ha saputo creare fra navi, treni, aeroplani, auto, scooter e le immancabili motociclette dalle linee inconfondibili.
Un museo affiancato oggi anche da uno spazio di 340 mq per esposizioni temporanee, che vanno dall’arte alla tecnologia, dalla divulgazione scientifica alla moda.

Museo Nazionale della Certosa Monumentale di Calci

Committente fu l’Arcivescovo di Pisa, “sponsor” le più illustre famiglie pisane. Questa l’origine della Certosa di Calci, gioiello architettonico sorto nel 1366 e più volte ampliato nei secoli seguenti, fino a diventare Museo Nazionale della Certosa Monumentale di Calci. L’arrivo alla Certosa è accompagnato da due viali alberati che costeggiano un percorso pedonale. Man mano che ci si avvicina si ha modo di respirare l’atmosfera mistica di un luogo immerso nel silenzio e nella natura incontaminata, quella della Valgraziosa, una distesa di ulivi e campagna in grado di trasmettere pace. Una volta entrati, ci si perde fra ambienti ricolmi di opere d’arte, ciascuno dei quali con pavimenti in marmo di Carrara in tre tonalità – bianco, nero e grigio – posati in maniera prospettica e con disegni sempre diversi: il corte d’onore, la farmacia, la chiesa, le cappelle, il chiostro dei padri e la cella, il chiostro e la cappella del capitolo, il refettorio, la foresteria e il chiostro granducale.

La visita permette di addentrarsi anche nelle dinamiche organizzative di un ordine religioso di ben sette secoli fa. La regola principale era che i Padri erano 14 e non ne poteva essere ammesso un altro se non per la morte di un suo predecessore. Si trattava solo di nobili o ricchi, e il loro compito era esclusivamente quello di pregare, seguendo la più stretta clausura, uscendo solo la domenica a pranzo quando la comunità si riuniva nel refettorio. La foresteria e l’appartamento detto “Granducale” ricordano il periodo in cui la Certosa di Calci era la più importante del Granducato e veniva quindi presa come punto di riferimento per brevi soggiorni da chi era desideroso di un’esperienza mistica, vale a dire parenti dei Padri e il Granduca stesso. Molto suggestiva la visita agli spazi riservati alla vita eremitica, al chiostro grande con le 14 celle dei monaci e agli ambienti di natura religiosa. I locali di servizio del monastero sono invece stati riconvertiti a sede del Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa.

Castello dei Vicari di Lari

Una rampa di quasi 100 gradini conduce all’ingresso del Castello dei Vicari di Lari, borgo medievale abbarbicato su un colle nella provincia di Pisa. Come racconta già il nome, la Rocca superiore di Lari, risalente a epoca pre-longobarda, distrutta e poi ricostruita tra il 1230 e il 1287, fu sede di importanti istituzioni politiche fra cui i vicari, passando ora sotto il dominio di Pisa, ora sotto quello di Firenze, del Granducato di Toscana e infine dello Stato Pontificio, periodo in cui accolse persino il Tribunale dell’Inquisizione romana.

Varcata la soglia si accede al cortile centrale, dove si trovano un’antica cisterna, una piccola cappella e il Palazzo Pretorio, con la facciata tempestata di numerosi stemmi dei vicari succedutisi al Castello per oltre quattro secoli. Il tour della fortezza prosegue negli spazi dediti alla difesa, alle carceri, alla Residenza del Vicario e al Tribunale. Per questo insieme di spazi diversificati e per l’ottimo stato di conservazione si tratta sicuramente di un unicum in Toscana, che in più può contare su un innovativo museo didattico interattivo.

Borgo di Ortezzano

Con i suoi quasi tremila anni di storia, il borgo marchigiano di Ortezzano, nel fermano, è un crogiuolo di storia, arte e cultura. I primi reperti parlano di un insediamento di Piceni già nel IX secolo a.C., cui seguirono i romani che divisero questo territorio in centurie per distribuirlo ai veterani. Dall’VIII secolo Ortezzano iniziò a essere parte dei domini farfensi, ossia gravitanti sotto il potere dell’Abbazia di Farfa, nel Lazio, mentre a partire dal IX, precisamente nel 927 d.C., furono i duchi di Spoleto a modificarne l’aspetto erigendo il Castrum Ortezanii, con mura castellane per proteggere l’abitato dalle frequenti scorrerie di Ungari, Saraceni e Normanni. Per secoli, fino al ‘700, fu poi parte dello Stato Pontificio, periodo durante il quale prese piede il sistema delle mezzadrie, con una capillare organizzazione del territorio in poderi sempre più frazionati. Questo determinò uno sviluppo dell’economia fortemente connesso all’agricoltura e a tutto ciò che comportava trasformazione e commercializzazione dei prodotti. Fra le colture che si diffusero di più c’erano olio, vino, frutta e verdure, e parallelamente l’allevamento di suini. Da qui derivò una cucina a base di piatti quali l’agnello arrosto co’ battuto, il castrato, la polenta, i vincisgrassi, leccornie oggi celebrate da una serie di sagre ed eventi a tema enogastronomico. Ne sono un esempio alcuni eventi che animano il calendario: “Somaria: l’Asino tra arte natura e poesia” per riscoprire il valore della “slow life”, il Festival Filosofico e il Certamen Latinum, dedicati questi ultimi all’illustre latinista Giuseppe Carboni nativo di Ortezzano e coautore del vocabolario di latino “Campanini-Carboni”.

Venendo a ciò che Ortezzano offre a un turista anche di passaggio, in Largo del Carmine ci sono due dei monumenti che vale la pena appuntarsi in un viaggio alla scoperta della provincia di Fermo. Si tratta della Torre Ghibellina, del XIII secolo, vessillo del borgo, e della Chiesa del Carmine, detta anche del Suffragio, in quanto proprietà dell’omonima Confraternita. Commissionata da Giulio Papetti, avvocato della curia romana, fu costruita tra il 1715 e il 1725 in un interessante mix di stile barocco e neoclassico. La Chiesa, a pianta a croce latina con copula ottagonale e campanile risalente al 1847, al suo interno mostra una decorazione moto sobria, in cui spiccano gli elementi architettonici della muratura, realizzata totalmente in mattoni rossi, elemento iconico delle Marche. Quattro piccole sagrestie con copertura a volta si trovano ai quattro angoli, collegate l’una all’altra raffigurazioni della Via Crucis Xilografica.

Proseguendo la visita del centro storico, si punta verso la Chiesa di Santa Maria del Soccorso, che deve il suo nome a un affresco che adorna una delle cappelle laterali: datato al 1323 e ad opera del monaco benedettino Giacinto di Morro di Valle, raffigura Santa Maria delle Grazie e i Santi Gerolamo e Maria Maddalena, il tutto a memoria della chiesa precedente scomparsa, appunto la Chiesa di Santa Maria delle Grazie. Altre opere da ammirare sono una via Crucis di scuola romana e di ottima fattura, un fac-simile della Bibbia aurea di Borso D’Este, alcune vetrate in mosaici policromi istoriati, un mosaico in oro che corre lungo il cornicione interno e una serie di arazzi posti ai lati dell’altare e provenienti niente meno che dalla Reggia di Caserta. Da non perdere un organo datato al 1751, capolavoro di Giuseppe Attili, nativo di Ortezzano, Maestro costruttore di organi del Settecento, fra i migliori della scuola di Montecarotto, nell’anconetano.

Convento di Montefiorentino

Frontino è un borgo definito “il salotto del Montefeltro”. Il contesto naturalistico è dunque quello delle belle e dolci colline dell’entroterra di Pesaro e Urbino, dove si va a collocare uno dei luoghi legati alla memoria del passaggio di San Francesco nelle Marche, il Convento di Montefiorentino. Fondato nel 1213 dal “poverello di Assisi”, già qualche anno più tardi, nel 1248, veniva citato in una bolla papale per le indulgenze ai fedeli che avrebbero contribuito al suo restauro. A tutti gli effetti, per il suo generoso sviluppo architettonico articolato in più edifici e per gli oltre 10 ettari di proprietà che lo circondano è uno degli edifici sacri più grandi delle Marche. La Cappella dei Conti Oliva, realizzata nel 1484 su commissione del Conte Carlo Oliva e attribuita a Francesco De Simone Ferrucci da Fiesole, è considerata un vero capolavoro del Rinascimento, grazie alle linee architettoniche, ai pregiati sarcofagi marmorei, ai due inginocchiatoi intarsiati che nulla hanno da invidiare alla raffinatezza del celebre studiolo del Palazzo Ducale di Urbino. Al centro della cappella si può inoltre ammirare la Pala d’altare della Madonna col Bambino firmata Giovanni Santi, padre di Raffaello, di per sé oggetto di culto degli appassionati d’arte. Il Convento di Montefiorentino non smette di stupire, offrendo anche un antico organo, un coro in noce seicentesco, altri dipinti “minori” ma pur degni di nota e testi graduali e antifonari a stampa. Chiude la visita il Chiostro, strutturato in vari ambienti con volte a tutto sesto o a crociera.

Certosa di Trisulti

Il 17 luglio 1879, quasi 7 secoli dopo la sua fondazione, la Certosa di Trisulti di Collepardo, nel frosinate, veniva riconosciuta Monumento Nazionale. A volerla fu nel 1204 Papa Innocenzo III, che quattro anni più tardi la affidava ai monaci Certosini, rimasti a prendersi cura delle anime dei fedeli di passaggio ma anche dell’immenso patrimonio d’arte accumulato nell’imponente edificio fino al 1947. Da allora, sono invece i Cistercensi che ogni giorno si dedicano con passione alla tutela del vasto complesso, composto da mura, chiesa, foresteria, giardini, farmacia e biblioteca. Solo in quest’ultima, sono conservati ben 36.000 volumi, mentre nella farmacia si possono ancora ammirare mobilio, vasi in ceramica e magnifici trompe l’oeil di ispirazione pompeiana.

Parco InterRegionale del Sasso Simone e Simoncello

Marche, Emilia Romagna e Toscana si incontrano nel Parco Naturale Interregionale del Sasso Simone e Simoncello, 4791 ettari sviluppati a cavallo delle Province di Pesaro-Urbino, Rimini e Arezzo, dove si fonde con l’omonima Riserva Naturale toscana del comune di Sestino. Il Montefeltro con i Comuni di Carpegna, Frontino, Montecopiolo, Pian di Meleto, Pennabilli e Pietrarubbia ricade dunque nella sua area di tutela.

Il territorio del Parco Naturale del Sasso Simone e Simoncello è percorso da sentieri del CAI. Prima di intraprendere le escursioni è bene informarsi presso il Centro Visite di Ponte Cappuccini e gli uffici delle Pro Loco o Uffici Turistici della zona, dove sono a disposizione cartine e mappe dettagliate. L’area tutelata comprende anche un poligono militare; l’accesso a questa porzione di Parco potrebbe essere vietata in caso di esercitazioni militari; conviene quindi sempre informarsi prima per evitare di ritrovarsi in mezzo a un’esercitazione; l’area del poligono militare è tabellata e l’accesso è comunque libero se non si svolgono addestramenti militari. Nei mesi estivi non ci sono comunque mai esercitazioni.

A piedi, a cavallo o in mountain bike, tutta l’area è servita da una ricca viabilità interna che permette di raggiungere la quasi totalità delle principali mete escursionistiche, tra cui si segnalano le ultime due tappe dell’Alta Via dei Parchi che dal Monte Fumaiolo conducono all’Eremo della Madonna del Faggio. Tutto il comprensorio è dotato di aree attrezzate per i suoi ospiti e anche di un Museo Naturalistico e Centro Visite (Pennabilli) e di un Parco Faunistico (Pian dei Prati), con animali domestici e selvatici e centri di educazione ambientale. Sono altresì presenti nel Parco innumerevoli Musei e svariate strutture per l’accoglienza di gruppi e scolaresche, strutture del Parco (Ostello di Calvillano e Foresteria di Frontino) e alberghi, agriturismi, camping e ristoranti per tutti i gusti.

Riserva Naturale Statale Gola del Furlo

La motivazione alla base della sua istituzione nel 2001 è articolata: è la straordinaria importanza dal punto di vista paesaggistico, geologico, geomorfologico, paleontologico, floristico e faunistico. Stiamo parlando della Riserva Naturale Statale Gola del Furlo, fiore all’occhiello della Provincia di Pesaro e Urbino, da vivere grazie a visite guidate didattiche e turistiche, passeggiate, eventi sportivi e culturali. Una rete sentieristica di oltre 50 km consente di esplorarne i quasi 4.000 ettari, ammirarne flora e fauna e apprezzarne la straordinaria biodiversità, fino a raggiungere il suggestivo canyon della Gola del Furlo, scavato dalle acque del fiume Candigliano. Da non perdere il Museo-Rifugio Ca’ I Fabbri, situato sul Monte Paganuccio, che offre anche 25 posti letto e sala da pranzo attrezzata.

Skip to content