Montepaone sinonimo di vacanza

Fra le spiagge libere più belle della costa jonica calabrese c’è anche quella del borgo di Montepaone. Protetta dal Golfo di Squillace, è un perfetto approdo per vacanze all’insegna del relax, ma lo fu anche militarmente per Annibale, che da queste parti affrontò una delle battaglie più sanguinose della seconda guerra punica contro l’esercito romano, episodio ricordato dalla presenza della cosiddetta Colonna d’Annibale lungo la Statale 106 che costeggia il litorale.

Il toponimo del borgo ricorda con ogni probabilità le sue origini, “Mons Pavonis”, il Monte del Pavone, in quanto un tempo questa doveva essere una zona dedita all’allevamento dei variopinti uccelli. A oggi, il paese assomma echi del periodo della dominazione normanna e poi di quella francese, che frazionò il territorio in feudi e baronie, così come artigianato, cucina locale e manifestazioni folcloristiche rimandano a un lontano passato che trasmette ancora tutto il suo fascino. Prova ne sono le botteghe del centro storico di impronta medievale, dove si possono trovare telai in funzione da generazioni, intenti a filare la seta prodotta localmente da oltre settecento anni.

Chiesa Santa Maria del Casale

La location non è di quelle dove ci si aspetterebbe di trovare un capolavoro architettonico, eppure, vicino all’aeroporto di Brindisi, ecco la Chiesa di Santa Maria del Casale, splendido esempio di stile romanico-gotico del XIII secolo: fuori una facciata in conci di carparo e pietra bianca, dentro un ciclo di affreschi di epoca bizantina rinvenuti solo il secolo scorso sotto uno strato di calcina. Il risultato è un edificio che dal 1875 è Monumento Nazionale, in cui si leggono tutti gli elementi di passaggio fra romanico e gotico. L’interno è a croce latina, con navata e transetto con copertura a capriate, mentre il coro dietro l’altare maggiore ha una volta a crociera. Interessante anche il ciclo di affreschi, fra cui spicca il Giudizio Universale eseguito da Rinaldo da Taranto ai primi del XIV secolo.

Villagio Nuragico Tiscali

Barbagia, Valle di Lanitto, Comune di Oliena. Bisogna arrivare fin qui, nel cuore più profondo della Sardegna e del nuorese per imbattersi in un luogo davvero singolare. All’interno di una montagna, si svela il villaggio ipogeo di Tiscali, un insediamento nuragico unico per topografia e architettura, generato dallo sprofondamento della roccia che ha causato a sua volta la formazione di una dolina. Scoperto a inizio XX secolo, Tiscali è la più importante testimonianza delle civitates Barbariae che popolavano il centro-est dell’Isola in età repubblicana, ultimo baluardo delle genti tardo-nuragiche prima dell’invasione romana.
Alto appena 500 metri, il monte Tiscali fa da spartiacque a due realtà assai diverse fra loro, i Supramonte di Oliena e di Dorgali: a ovest, l’aspra e selvaggia valle di Lanitto, a est, quella dolce e fertile di Oddoene, dove scorre il rio Flumineddu, che ha ‘scavato’ la gola di Gorropu. La dolina dove oggi si trova il villaggio era in origine una grotta carsica, poi, dopo il crollo, fu ‘colonizzata’ da lecci, ginepri, frassini, olivastri, lentischi e fichi. Un sentiero corre lungo il bordo della dolina, sull’orlo di un precipizio di 200 metri, dove si possono intuire le varie stratificazioni. L’insediamento è composto da due agglomerati, databili prima in età nuragica (XV-VIII secolo a.C.), poi ristrutturati in epoca romana e abitati sino all’alto Medioevo. L’esplorazione del sito permette di ammirare da vicino strutture abitative datate a oltre duemila anni fa: fra queste, quaranta capanne tonde e ovali, con pareti sottili e copertura a tholos (o frasche), e circa trenta abitazioni più piccole, quadrate o rettangolari.

Il Paese delle dodici torri

La Torre di Vinciarello, detta anche di “sopraguardia” o “cavallara”, è l’unica superstite delle dodici che un tempo svettavano in questo piccolo borgo affacciato sulla costa ionica, parte del comune di Guardavalle, in provincia di Catanzaro. Noto non a caso come “Il Paese delle dodici torri”, Vinciarello è una sorta di San Gimignano di Calabria, che al posto dei de’ Medici o dei Granduchi fino al 1799 vide avvicendarsi normanni, aragonesi e svevi, costringendo la popolazione locale a creare un sistema difensivo importante, che prevedeva appunto torri di avvistamento nei punti più alti dell’abitato.

Venendo nel dettaglio alla torre di Vinciarello, essa fu costruita nel 1485 dal feudatario Vincio Spedalieri con lo scopo di difesa del litorale contro le incursioni dei Turchi, assumendo più propriamente la funzione di residenza fortificata ma riuscendo poi ad adattarsi nel tempo a nuovi usi e necessità. Se inizialmente al piano terra c’era la scuderia e al primo piano gli alloggi dei soldati, nel ‘700 fu trasformata in un frantoio a servizio delle terre del feudo, fino ad arrivare ai giorni nostri, in cui è adibita a dimora privata, ricca di quel fascino che solo la storia sa dare.

Ceramiche di Squillace

Il Museo di Capodimonte di Napoli, il Museo Civico di Rovereto, il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, il Victoria and Albert Museum di Londra e il Metropolitan di New York hanno un minimo comun denominatore: reperti di varie epoche realizzati in ceramica graffita di Squillace, lavorazione così particolare da aver ricevuto il riconoscimento di Ceramica Italiana DOC. Un “veicolo” sui generis che ha fatto sì che la fama di questa cittadina a circa 25 km dal capoluogo Catanzaro viaggiasse letteralmente nel mondo, oggi come ieri, risalendo indietro nei secoli.

Le prime testimonianze di quest’antica arte sono riferite al 1654, data riportata sul fondo di un grande piatto da parata, ingobbiato, con intrecci e figurazioni in giallo oro, graffiti sul fondo rosso scuro del biscotto. Un lavoro di ispirazione araba con tanto di marchio sul retro che non lascia dubbi, “Sqllci”, e che evidenzia una chiara continuità con la similare ceramica bizantina.

Nata probabilmente in Magna Grecia, era una tecnica già ampiamente conosciuta nel mondo romano, che continuò a essere praticata a Bisanzio anche dopo la decadenza di Roma e si diffuse poi in tutta l’Italia meridionale e soprattutto in Calabria grazie all’espansione politica bizantina, iniziata nel VI secolo e consolidata nel IX secolo anche sul piano religioso-culturale grazie alla diffusione del monachesimo basiliano. Risalgono invece all’inizio dell’XI secolo alcuni documenti riportanti i nomi di figuli locali, artisti quali un certo “Giovanni” detto “Cannata” e Sergio detto “Scutelli”, entrambi nativi di Squillace e presenti all’assedio di Capua del 1098.

Secoli d’oro della produzione locale furono in particolare il XVI e il XVII, di cui rimangono anfore, grandi piatta di parata, bottiglie, idrie farmaceutiche e crateri tutti di notevolissima fattura e attualmente conservati negli importanti musei sopra citati, da Napoli a New York. Per cogliere la bellezza di certi manufatti e la ragione di una fama così diffusa e duratura basta fare due passi lungo il Viale fuori le Porte, nel centro storico di Squillace, dove è un susseguirsi di botteghe artigiane che con orgoglio tramandano questa raffinata cultura atavica.

Castello Normanno di Squillace

Il Castello di Squillace è un affascinante maniero normanno costruito nel 1044, ma a fargli guadagnare fama internazionale non è stata la sua architettura non comune, dovuta a un continuo sovrapporsi di stili e rimaneggiamenti, bensì il ritrovamento di due scheletri agli inizi degli anni Novanta. Un evento che ha generato la leggenda del “mistero dei due amanti”, anche se non è sicuro si tratti proprio di amanti. C’è chi dice che fossero due fratelli, e chi due soldati, uno svevo e uno angioino, morti durante una delle numerose battaglie avvenute fra queste mura. Ciò che rimane una certezza è la piacevolezza di una visita che in pochi passi transita dall’epoca gloriosa di Federico II di Svevia, ai lasciti degli Angioini fino all’ultima dominazione dei Borgia, il cui stemma campeggia ancora sul portale a bugnato d’ingresso. Il tutto in un contesto quasi mitologico, che fa risalire le origini di Squillace a Odisseo, Ulisse, che qui si fermò durante il suo interminabile viaggio verso Itaca.

Convento Francescano di Santa Maria degli Angeli

Borgo degli Angeli, Paese degli Artisti e degli Stranieri, Paese delle Chiese. Le molte definizioni con cui è noto Badolato raccontano un po’ del passato ma anche del presente di questo crogiuolo di culture, a circa 30 km dalla costa ionica, nel catanzarese, che verso l’entroterra guarda alle Serre Calabresi. Limitandoci all’ultima, l’origine dell’epiteto deriva dal gran numero di edifici sacri che affollano il piccolo centro storico, tredici in tutto, frutto di una sovrapposizione di ordini religiosi e confraternite che nei secoli scorsi hanno visto transitare da qui monaci Basiliani, Francescani e Domenicani. Fra quelli più interessanti, su una collinetta di fronte al borgo c’è il Convento Francescano di Santa Maria degli Angeli, il cui impianto principale risale al 1606. Un rifugio dello spirito che è anche un perfetto belvedere sulla Riviera degli Angeli.

Pinacoteca “G. De Nittis”

Da Barletta ai musei più importanti del mondo. È il percorso artistico fatto da Giuseppe De Nittis, pittore impressionista nato qui nel 1846, partito dalla provincia di Bari alla volta della Francia, dove ebbe modo di conoscere artisti del calibro di Degas, Manet, Morisot, Caillebotte, fino a terminare i suoi giorni nel 1884 a Saint-Germain-en-Laye, nell’Ile de France. La sua città natale non poteva quindi che omaggiare uno dei suoi cittadini più illustri con un luogo dedicato alla sua memoria, la Pinacoteca “Giuseppe De Nittis” , ospitata in uno degli edifici più belli del centro storico, Palazzo della Marra, splendido esempio di architettura del ‘500, residenza prima della nobile casata degli Orsini, e poi fino al 1743 dei Della Marra.

Inaugurata nel 2006 dopo un lungo restauro dell’edificio, la Pinacoteca “Giuseppe De Nittis” accoglie oggi 146 dipinti, 65 disegni, libri e un epistolario, collezione donata alla città di Barletta da Léontine Gruvelle, moglie dell’artista. Il percorso tematico è organizzato su due livelli e si compone di ampie sezioni: il tema del “Paesaggio”, le grandi tematiche delle “Corse” e “Vita mondana”, la novità del “Giapponesismo”, l’intimità degli “Affetti”. L’esposizione comprende anche i cosiddetti “Quadri incompleti” e la “Collezione grafica”, acqueforti, acquetinte e punte secche. Oltre alla parte permanente, la Pinacoteca offre un ricco calendario di mostre temporanee, che permette di ammirare a rotazione anche le molte opere presenti nei depositi.

Castello Svevo di Barletta

Là dove oggi ci sono Biblioteca comunale, Museo Civico e sale per convegni e mostre, un tempo c’erano cavalieri e soldati pronti a difendere la costa pugliese dagli attacchi nemici. Il Castello di Barletta è da circa dieci secoli un punto di riferimento lungo il litorale della provincia barese, oltre che dell’intera Puglia, che fra queste possenti mura – perfettamente restaurate fra il 1973 e il 1988 – ha visto passare nell’ordine Normanni, Svevi, Angioini e Aragonesi. Il momento clou di questo maniero trasformato nel tempo in fortezza militare fu quando Federico II di Svevia lo incluse tra i castelli del Giustizierato della Terra di Bari, ossia in quella rosa di edifici difensivi da lui eretti, o frutto di un adattamento di una precedente costruzione normanna, distribuiti su tutto il territorio, da qui fino in Basilicata, tenendo come perno quell’unicum assoluto che è ancora oggi Castel Del Monte.

Il susseguirsi di diverse dominazioni testimonia l’importanza rivestita nei secoli dal Castello di Barletta, strategico ieri per motivi militari, oggi come fulcro della vita cittadina. Il Museo Civico al suo interno è fra i luoghi culturali più significativi di Barletta, grazie anche alla presenza di due opere di notevole pregio: un presunto busto di Federico II in pietra calcarea, datato al XIII secolo, e il Sarcofago degli Apostoli, altorilievo in pietra risalente al periodo compreso tra il III e il IV secolo.
A epoche ben più recenti risale invece l’uso del Castello di Barletta come set cinematografico, essendo stato scelto da importanti registi per pellicole diventate memorabili: Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini, Otello di Franco Zeffirelli e I cavalieri fecero l’impresa di Pupi Avati.

Baia del Silenzio

Nel 2019, nel listing delle 10 più belle spiagge d’Italia dei TripAdvisor Travelers’ Choice Beaches Awards c’era la “Baia del Silenzio”, la più piccola delle due Baie di Sestri Levante. La località balneare è da sempre una delle più gettonate della Riviera Ligure di Levante, nel genovese, così come da sempre è fonte d’ispirazione per letterati, artisti e menti elevate. Infinita la lista dei personaggi illustri che qui si sono rifugiati per una vacanza più o meno lunga: fra questi, il compositore Richard Wagner, lo scrittore olandese Arthur Van Schendel, lo scienziato Gugliemo Marconi, i cui esperimenti avevano luogo nell’omonima Torre Marconi.
Gli elementi che creano la magia della “Baia del Silenzio” – battezzata così per la prima volta nel 1919 dal poeta Giovanni Descalzo – sono l’acqua cristallina, la sabbia fine, il riparo offerto dal promontorio di Punta Manara, le tipiche casette liguri dai toni pastello alternate da eleganti edifici di aristocratica memoria, simbolo di ciò che nell’800 fu il Gran Tour da queste parti.

Skip to content