Museo Civico del Mare di Tropea – MuMaT

Tropea al centro del mondo, paleontologico e scientifico. Per un borgo di poco più di 6.000 abitanti riconosciuto nel mondo per le sue bellezze architettoniche e artistiche non è una cosa scontata. E invece proprio qui, su un promontorio a picco sul mare Tirreno, ecco il MuMat, il Civico Museo del Mare allestito dentro al Palazzo Santa Chiara di Tropea, recuperato di recente insieme all’annesso Convento delle Clarisse.

Assai articolata e meritevole di menzione la storia dell’edificio originario: fondato nel 1261 per ospitare uno dei primi conventi dell’Ordine delle Clarisse in Calabria, fu riconvertito in residenza privata dopo il terremoto del 1783, e poi nel XX secolo in ospedale. Con l’apertura del museo, la chiesa è diventata l’auditorium, il refettorio e la cucina le sale espositive oggi custodi di reperti fossili e materiali provenienti dal territorio circostante e dalla costa.
Gestito dal Gruppo Paleontologico Tropeano, attivo da più di trent’anni nella zona, il MuMat ha avviato un programma di analisi dei reperti recuperati in collaborazione con istituti e studiosi di livello nazionale e internazionale, quali Daryl Paul Domning della Howard University di Washington, Nikos Solounias della American Museum of Natural History di New York, Lorenzo Rook dell’Università di Firenze, James Brink del National Museum Bloemfontein di Johannesburg.

Porto di Savelletri

Il borgo di Savelletri di Fasano, in provincia di Brindisi, è ben noto ai naviganti, ai diportisti ma soprattutto a chi pratica la pesca. Il suo piccolo porto è infatti il classico approdo con molo di sopraflutto lungo circa 330 metri e molo di sottoflutto banchinato, con fondale sabbioso soggetto a interramento e profondità massima di 2 metri, ma i suoi 300 posti barca sono un punto di riferimento per chiunque navighi lungo la costa brindisina. Con un limite però: la lunghezza massima per le imbarcazioni è di 9 metri.

Marina di Villanova Ostuni

Il file rouge che collega idealmente l’antica Petrolla all’odierna Villanova (“città nuova”, appunto) è la Via Traiana, arteria di collegamento che un tempo convogliava i flussi di merci provenienti da Roma e diretti nei vari porti commerciali lungo la costa pugliese, fra cui quello di Villanova.

Oggi, il porticciolo turistico si trova ai piedi del castello angioino del XIV secolo, lambito da numerose spiagge, sia libere che attrezzate, in un’alternanza di sabbia bianca e di roccia chiuse alle spalle da dune ricoperte di macchia mediterranea. Il tutto a pochi passi da Ostuni, la “città bianca”.

Chiesa Santa Maria del Casale

La location non è di quelle dove ci si aspetterebbe di trovare un capolavoro architettonico, eppure, vicino all’aeroporto di Brindisi, ecco la Chiesa di Santa Maria del Casale, splendido esempio di stile romanico-gotico del XIII secolo: fuori una facciata in conci di carparo e pietra bianca, dentro un ciclo di affreschi di epoca bizantina rinvenuti solo il secolo scorso sotto uno strato di calcina. Il risultato è un edificio che dal 1875 è Monumento Nazionale, in cui si leggono tutti gli elementi di passaggio fra romanico e gotico. L’interno è a croce latina, con navata e transetto con copertura a capriate, mentre il coro dietro l’altare maggiore ha una volta a crociera. Interessante anche il ciclo di affreschi, fra cui spicca il Giudizio Universale eseguito da Rinaldo da Taranto ai primi del XIV secolo.

Marina di Brindisi

Il Forte a Mare di Brindisi è il baluardo militare che dal XV secolo difende la città. Ieri dalle incursioni nemiche che per secoli hanno interessato tutta la costa di Puglia, oggi dalle intemperie che potrebbero minacciare il porto e la Marina di Brindisi. Uno “scalo” ben noto ai diportisti che praticano il Mar Mediterraneo in rotta verso Croazia, Grecia, Montenegro e Albania, e che ne conoscono i servizi e le potenzialità: attorno alla piazzetta, ecco una serie di attività commerciali, bar, ristorante, circolo nautico, alaggio e rimessaggio, oltre all’assistenza tecnica per ciò che compete attrezzature e riparazioni. Il tutto affacciato su un tratto di mare che è tra i più belli e pescosi del “Mare Nostrum”.

Porto di Brindisi

C’è un’immagine che più di ogni altra riassume ciò che dalla seconda metà dell’Ottocento rappresenta il Porto di Brindisi: il 25 ottobre del 1870, salpava da qui il primo piroscafo della società inglese Peninsular and Oriental Steam Navigation Company (P&O) alla volta di quello di Alessandria. Un treno portava poi passeggeri e merci sino a Suez, dove venivano imbarcati su un’altra nave diretta in India. Il convoglio che partiva da Londra giungeva a Brindisi Marittima in 44 ore e a Bombay in 22 giorni. Erano i viaggi della Valigia delle Indie, che dopo secoli di alterne fortune, fecero tornare in auge lo scalo della città pugliese, così come il fatto che la Ferrovia Adriatica lo scelse proprio come terminale di imbarco di merci e viaggiatori e un anno prima, nel 1869, era stato inaugurato il Canale di Suez, che aveva riattivato i traffici con l’Oriente, portando altra linfa vitale.

La storia del Porto di Brindisi ha però origini ben più antiche. La Colonna Romana che tutt’ora svetta al suo ingresso è ciò che rimane di una coppia di colonne realizzate presumibilmente in tarda età imperiale, se non addirittura bizantina, anche se, in base a un’antica leggenda, sarebbero state erette da Ercole, o comunque avrebbero segnato la fine della Via Appia. Vero è che già in età messapica lo scalo era parecchio attivo, e in età romana invece divenne tanto importante da generare un modello di anfora, detto appunto di “tipo Brindisi”, di cui sono stati rinvenuti esemplari in tutto il Mediterraneo.

Cous Cous Fest

Passione per il cibo, buona musica, scambio culturale e dialogo a favore della pace. Quando è nato nel 1998, di certo il Cous Cous Fest non aveva tutte queste ambizioni, eppure, a distanza di 25 anni, sono questi i plus della manifestazione, diventata ormai di portata internazionale. Il Cous Cous Fest si svolge ogni anno a settembre, a San Vito Lo Capo, nel trapanese, che per 10 giorni diventa epicentro dell’interesse dei media nazionali e non solo. E questo grazie alla partecipazione di grandi chef provenienti da vari Paesi, che giungono in questo splendido angolo di Sicilia per vivere, col pretesto della cucina, un’esperienza unica, preparando il cous cous in versioni inedite e alternandosi sul palco a esperti di cultura e politica focalizzati sulle questioni di geopolitica del momento.

Il tutto avviene in un’atmosfera multietnica rilassata, carica dei profumi del cosiddetto “piatto della pace” realizzato nelle 6 “Case del Cous Cous” che si trovano lungo le vie del centro oppure sulla spiaggia in una tenda berbera o presso il WAHA, dove basta chiudere gli occhi e ci si sente fra le dune del deserto. Ogni sera poi, spazio alla musica con i concerti in Piazza Santuario e in spiaggia, con la partecipazione di artisti di fama internazionale.

Mandorlo in Fiore

Ogni anno, a primavera, Agrigento si tinge di rosa. Quel rosa tenue stemperato di bianco dei mandorli in fiore che invade la zona compresa fra la Città Nuova e la Valle dei Templi. Specie arborea giunta qui ai tempi dei Fenici, e che dal 1934 è simbolo di Agrigento, grazie alla festa popolare detta “Mandorlo in Fiore”. A idearla è il Conte Alfonso Gaetani, nella piccola città di Naro, a circa 20 km da qui. Tre anni più tardi però, la sagra si trasferisce nel capoluogo di provincia, crescendo edizione dopo edizione e diventando modello del dialogo fra i popoli e le culture. Soprattutto da quando nel 1954 l’evento si è arricchito del Festival Internazionale del Folklore, cui partecipano gruppi folkloristici provenienti da varie parti del mondo, e poi ancora del “Festival Internazionale dei Bambini del Mondo” e del “Corteo Storico d’Italia”. Il tutto per una settimana di celebrazioni che culminano con l’accensione del tripode dell’amicizia nella Valle dei Templi, davanti al Tempio della Concordia.

Palazzo dei Normanni

È uno dei monumenti più visitati nella Sicilia e dal 2015 è Patrimonio dell’Unesco nell’ambito del sito seriale “Palermo arabo-normanna e le cattedrali di Cefalù e Monreale”. Tanto basterebbe per stimolare una certa curiosità verso Palazzo dei Normanni, detto anche come Palazzo Reale. Il motivo di questa notorietà è semplice: l’edificio è la più antica residenza reale d’Europa, ex dimora dei sovrani del Regno di Sicilia, sede imperiale di Federico II e Corrado IV e dello storico Parlamento siciliano. Monumento simbolo di un’epoca d’oro per Palermo e la stessa Sicilia, il palazzo custodisce tesori d’arte di inestimabile valore, primo fra tutti la Cappella Palatina, che Guy de Maupassant non ebbe indugio a definire “la più bella che esiste al mondo, il più stupendo gioiello religioso vagheggiato dal pensiero umano ed eseguito da mano d’artista”. A volere la costruzione della Cappella fu Ruggero II, che all’indomani della sua incoronazione, avvenuta nel 1130, volle sottolineare l’incontro fra culture e religiosi diverse in un luogo che riunì maestranze bizantine, islamiche e latine.
Ma la reggia palermitana ha altre sorprese in serbo: la splendida Sala d’Ercola, decorata da un ciclo di affreschi rifinito nel XIX secolo da Velasquez, gli Appartamenti e i Giardini Reali, con piante plurisecolari che da sole meriterebbero la visita.

Palazzo Butera

Nel 1735, l’edificio fatto costruire circa trent’anni prima sul frontemare di Palermo dal Duca Branciforti Girolamo Martini diventa di proprietà dei Principi Butera, giusto in tempo per ospitare Carlo di Borbone appena incoronato. Nel 1760, dopo un terribile incendio, il Principe Butera acquista anche l’edificio accanto dei Principi Moncada, e dall’unione delle due proprietà deriva ciò che oggi ancora si vede. L’artista Gioacchino Martorana riceve la committenza dei decori pittorici, cui nel periodo Roccocò si aggiungono stucchi, specchiere e molto altro.

Questo l’antefatto di quanto accade oggi in questo meraviglioso centro d’arte che è Palazzo Butera, acquistato nel 2016 da Massimo Valsecchi e Francesca Frua De Angeli. Importanti lavori di restauro hanno riportato la dimora a quell’epoca d’oro, cui si è aggiunto l’allestimento della straordinaria collezione di opere raccolte dai due proprietari rimasta per anni in prestito al Fitzwilliam Museum di Cambridge e all’Ashmolean Museum di Oxford.
La formazione della Collezione Valsecchi è avvenuta a Londra, nell’arco degli ultimi cinquant’anni, ed è stata definita “the least known private holding of great art in London” (Susan Moore, ‘Apollo’, giugno 2016).

Ora al piano terra di Palazzo Butera c’è una biblioteca di consultazione, spazi per le esposizioni temporanee e per le attività didattiche rivolte agli studenti delle scuole e delle università. Il primo piano è di fruizione privata e è una casa-museo, mentre il secondo piano nobile è aperto al pubblico per le visite guidate. Per ridare un senso di mecenatismo al palazzo, è disponibile anche una foresteria, pronta ad accogliere artisti, curatori e personalità della cultura coinvolti nelle attività espositive in-house.

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