Per le strade di Offida, nell’ascolano, capita ancora di incontrare qualche anziana signora seduta davanti alla porta intenta alla lavorazione del tombolo. Sono le ultime ricamatrici dedite a un’arte vecchia di cinque secoli, risalente al XV secolo. Le prime a praticarla furono alcune donne dei ceti popolari, cui seguirono le comunità religiose e poi le famiglie aristocratiche, che incentivarono le famiglie femmine alla pratica di quest’arte. La svolta avvenne nel 1665, grazie all’arrivo delle suore Benedettine, che trasformarono il tombolo nel mestiere di massa a Offida e dintorni. Nei secoli successivi, la produzione di merletti fu così copiosa da guadagnarsi fama in tutta Italia e non solo, giungendo presso le più importanti corti del passato. Esemplari antichi si possono oggi ammirare nel Museo del Merletto a Tombolo situato nel Centro Storico di Offida.
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Il carnevale di Offida “Lu bov fint” e “Li Vlurd”
Dal 17 gennaio, dedicato a Sant’Antonio Abate, al giorno delle Ceneri, nel borgo marchigiano di Offida si fa festa, celebrando il Carnevale in ogni sua forma. Il rituale inizia la “Domenica degli Amici”, che precede di due settimane il Carnevale, con la fanfara della “Congrega del Ciorpento”.
Le Congreghe animano il paese a ritmo di musica sempre più incalzante e la mattina del Giovedì Grasso ricevono in consegna, dal Sindaco, le chiavi della citt, gesto simbolico che sottolinea come, da quel momento, Offida è nelle loro mani. Sabato, domenica e lunedì si svolgono i “veglionissimi” presso Il Teatro Serpente Aureo, la mascherata dei bambini, la caccia a “Lu Bov Fint” (il bove finto), la festa in piazza che si conclude con la fantasmagorica sfilata dei “Vlurd”.
In particolare, il venerdì grasso è il giorno dedicato al bove finto, un rudimentale bove costituito da un’intelaiatura di legno e ferro, coperta da un panno bianco e portato a spalle da un paio di uomini, simulando in mezzo alla folla una sorta di corrida. Dopo il gran caos, con l’uccisione simbolica del bove torna la quiete.
I vlurd sono invece i fasci di canne imbottiti di paglia, accesi e portati a spalla da centinaia di uomini e donne mascherati. Il crepuscolo e l’atmosfera medievale di Offida creano una suggestione unica in tutto il borgo, fino a quando si arriva nella piazza centrale dove viene appiccato un grande falò, attorno al quale si svolgono balli sfrenati. Il Carnevale di Offida è rinomato in tutta la Regione e oltre, attirando turisti da ogni dove, coinvolti in un’autentica festa di popolo.
Chiesa Parrocchia Santa Felicita
In dialetto ascolano, il borgo di Colli del Tronto si chiama Li Colle. Sorge su un’area ricca di antichi insediamenti, testimoniati da reperti preistorici, necropoli picene e tombe romane relative al sito di “Castrum Fanum.
Fare tappa nel borgo consente di scoprire piccoli gioielli d’arte come per esempio la Chiesa Parrocchia Santa Felicita: preceduta da una scalinata monumentale, fu costruita la prima volta nel 1573 dalla Comunità dei Domenicani di Ascoli Piceno, ma ciò che si vede oggi risale al 1796 e si deve al progetto dell’architetto di Milano Pietro Maggi. Al suo interno la chiesa conserva la tela del pittore ottocentesco Ferdinando Cicconi, nativo proprio di Colli del Tronto, mentre scendendo nella cripta si svela un ambiente chiaramente ispirato alla Grotta di Lourdes.
Borgo di Colli del Tronto
In dialetto ascolano, il borgo di Colli del Tronto si chiama Li Colle. Sorge su un’area ricca di antichi insediamenti, testimoniati da reperti preistorici, necropoli picene e tombe romane relative al sito di “Castrum Fanum. Secondo alcuni studiosi, sarebbe questo il luogo in cui Pirro sconfisse i romani. Vero o no, le suggestioni rimangono e piacciono agli appassionati di archeologia e storia.
Fare tappa nel borgo consente di scoprire piccoli gioielli d’arte come per esempio Villa Panichi, Villa Ercolani, Villa Mastrangelo, Villa Spreca e Villa Fonzi, e ovviamente la Chiesa Parrocchia Santa Felicita, del Settecento, che al suo interno conserva la tela del pittore ottocentesco Ferdinando Cicconi, nativo proprio di Colli del Tronto, così come il musicista Antonio Lozzi. Da ricordare anche la tradizione più rinomata di Colli, quella dei “carradori”, artigiani che costruivano eleganti e solidi carri agricoli istoriati da pitture e strumenti per la lavorazione dei campi.
Acquasanta Terme: Fortezza di Castel di Luco
Nell’archivio della Cattedrale di Ascoli è conservato un documento che riconduce al borgo di Acquasanta, e da qui a Castel di Luco. La data riportata in calce è 1 Luglio 1052, il che fa di questo borgo incastellato dall’originale pianta rotonda un sito millenario. Il terremoto del 2016 ha purtroppo danneggiato parte della struttura architettonica del fortilizio, ma i lavori per il recupero della struttura originaria sono in corso e di certo questo pezzo di storia marchigiana tornerà presto ad accogliere ospiti nelle stanze ricavate nelle case coloniche che cingono il cuore di Castel di Luco. Un castello ferito ma ancora orgogliosamente in piedi, su un poggio in travertino dove, secondo alcuni studi, nell’antichità si trovavano alcuni altari sacrificali.
Chiesa di San Michele Arcangelo
A metà strada fra il Mar Adriatico e i Monti Sibillini, su un colle che guarda sulla Valle dell’Aso, si trova Montelparo, borgo medievale con una notevole presenza di chiese. Su Via Castello, un tempo area in cui sorgeva una fortezza difensiva, affaccia la quattrocentesca Chiesa di S. Michele Arcangelo, in precedenza intitolata a S. Angelo. Dei tre portali, quello centrale è gotico-rinascimentale e i due laterali cinquecenteschi, e aprono su un’unica navata che va a terminare su un presbiterio rialzato. Un tempo, i due portali laterali davano accesso uno all’Oratorio della Confraternita del SS.mo Sacramento, l’altro all’antico Monastero Benedettino, creando un complesso assai articolato che lascia intendere l’importanza di Montelparo, all’epoca centro religioso di spicco.
Della Chiesa di S. Michele Arcangelo meritano un’annotazione a parte gli affreschi del presbiterio, dovuti a maestranze dalmate del ‘400, oltre agli affreschi lungo le pareti laterali tra cui quello rappresentante il Mistero della Umana Salvezza attribuiti al Maestro Giacomo Bonfini da Patrignone. Gli affreschi, insieme al monastero e alla cripta, sono oggetto di un restauro, che punta a restituire la giusta importanza a questo pezzo di storia, del territorio fermano e dell’arte.
Chiesa di San Gregorio Magno
Gregorio Petrocchini è stato uno degli abitanti più illustri di Montelparo. Appena eletto Cardinale, volle donare al suo paese un luogo di culto, la Chiesa di San Gregorio Magno, consacrata nel 1615.
La sua generosità non si fermò però qui: donò alla chiesa numerosi oggetti di culto, importanti reliquie e pure un considerevole lascito per i prelati che dovevano gestirla.
Buona parte di questa ricchezza andò però distrutta nel 1745 a causa di un incendio. Fra i pochi oggetti superstiti di quella tragedia ci sono ancora oggi i quattro altari laterali, i paliotti di manifattura romana e i quadri settecenteschi della Via Crucis, da attribuire alla bottega fermana del Troiani. Elemento di spicco sono pure le tre campane collocate nel campanile a vela, fra cui una datata al 1354 e proveniente dal Castello di Bucchiano.
Chiesa dei S.S. Pietro e Silvestro Montelparo
Dietro la sua semplicità architettonica, la Chiesa dei SS. Pietro e Silvestro a Montelparo nasconde una storia di oltre 8 secoli con alterne vicende. Una bolla papale del 1460 sanciva per esempio che dopo due secoli di vita, l’edificio doveva passare dalla proprietà del Monastero di S. Angelo Magno di Ascoli, che allora lo aveva affidato ad alcune monache, ai monaci della Congregazione Olivetana, che nel 1555 unirono alla Chiesa di S. Pietro de Roncone la chiesa rurale di S. Silvestro. Una volta varcata la soglia del portale gotico in pietra arenaria ci si ritrova in uno spazio unico, a una singola navata, che dà su una sagrestia disposta su due piani. E qui lo sguardo non può che soffermarsi su un ciclo di affreschi del XVI secolo di pregevole fattura.
Chiesa di Santa Maria Novella Montelparo
Fra i tetti del borgo di Montelparo, in provincia di Fermo, si identificano numerose croci e campanili di edifici religiosi, costruiti tutti fra il XIII e il XVII secolo. Una delle più antiche è la Chiesa di Santa Maria Novella, consacrata nel 1383 ma già esistente alla fine del Duecento, stando ad alcuni documenti della Santa Sede riguardanti tributi e pendenze economiche, periodo in cui dipendeva dal Monastero Farfense di Santa Vittoria in Matenano. Come per la quasi totalità degli edifici del borgo, la facciata della chiesa è realizzata in laterizi, con un portale in pietra arenaria che apre su interni in stile neo-classico, dovuti a un rimodernamento del 1790. Sotto un soffitto definito da un’unica volta a botte, sono disposti dipinti su tela, su tavola, murali e affreschi, fiore all’occhiello della chiesa e di Montelparo.
Torrione del Podestà Amandola
Fra le tante case-torri e campanili del borgo marchigiano di Amandola, in provincia di Fermo, spicca il Torrione del Podestà, in cima al poggio di Castel Leone, l’antica Platea Comunis oggi nota come Piazza Alta, là dove si concentravano edifici civili e religiosi, in una sorta di Agorà medievale. Il suo aspetto lineare e compatto non lascia trasparire i numerosi interventi, datati al 1352, al 1518 e al 1547, anno in cui il Torrione del Podestà venne completamente ricostruito. Ultimo tassello ad arrivare fu, nel ‘700, il grande orologio al centro della facciata, proveniente dal campanile della Chiesa di S. Francesco.