Porto di Brindisi

C’è un’immagine che più di ogni altra riassume ciò che dalla seconda metà dell’Ottocento rappresenta il Porto di Brindisi: il 25 ottobre del 1870, salpava da qui il primo piroscafo della società inglese Peninsular and Oriental Steam Navigation Company (P&O) alla volta di quello di Alessandria. Un treno portava poi passeggeri e merci sino a Suez, dove venivano imbarcati su un’altra nave diretta in India. Il convoglio che partiva da Londra giungeva a Brindisi Marittima in 44 ore e a Bombay in 22 giorni. Erano i viaggi della Valigia delle Indie, che dopo secoli di alterne fortune, fecero tornare in auge lo scalo della città pugliese, così come il fatto che la Ferrovia Adriatica lo scelse proprio come terminale di imbarco di merci e viaggiatori e un anno prima, nel 1869, era stato inaugurato il Canale di Suez, che aveva riattivato i traffici con l’Oriente, portando altra linfa vitale.

La storia del Porto di Brindisi ha però origini ben più antiche. La Colonna Romana che tutt’ora svetta al suo ingresso è ciò che rimane di una coppia di colonne realizzate presumibilmente in tarda età imperiale, se non addirittura bizantina, anche se, in base a un’antica leggenda, sarebbero state erette da Ercole, o comunque avrebbero segnato la fine della Via Appia. Vero è che già in età messapica lo scalo era parecchio attivo, e in età romana invece divenne tanto importante da generare un modello di anfora, detto appunto di “tipo Brindisi”, di cui sono stati rinvenuti esemplari in tutto il Mediterraneo.

Cascata delle Marmore

Rafting, soft rafting, torrentismo, hydrospeed, kayak, river walking e, ovviamente, trekking.

Nel Parco Regionale Fluviale del Nera si può praticare ogni genere di attività all’aperto, cui si aggiungono le escursioni speleologiche nelle grotte e formazioni carsiche scavate nei dintorni della Cascata delle Marmore.

Sei gli itinerari segnalati e ben tracciati che si dipanano nei boschi, lungo i quali spesso e volentieri ci si può fermare per ammirare da diversi punti di osservazione il salto di 165 metri della cascata, annoverata fra le più alte d’Europa.

Basilica di San Francesco ad Assisi

Il 16 luglio 1228, Francesco d’Assisi, al secolo Giovanni di Pietro di Bernardone, veniva canonizzato da Papa Gregorio IX. Il giorno dopo, lo stesso pontefice poneva la prima pietra di quella che sarebbe diventata la Basilica di San Francesco di Assisi, fulcro della Cristianità fra i più visitati al mondo, simbolo di pace e perciò scelto spesso per ospitare gli incontri più importanti a favore del dialogo interreligioso.

Il luogo prescelto per la costruzione, indicato in vita dallo stesso “Poverello”, era quello dove un tempo venivano eseguite le condanne a morte e seppelliti i malfattori. Qui, nell’arco di 25 anni, sorse uno dei complessi più spettacolari del Medioevo, che ancora oggi stupisce per l’articolata e imponente struttura, ben visibile già da lontano, arrivando dalla piana che circonda il promontorio di Assisi.

Due le chiese che si innestano una sull’altra. La Basilica Inferiore, a una sola navata, divisa da arcate ribassate in cinque grandi campate e con una serie di cappelle laterali della fine del XIII secolo, presenta un’atmosfera cupa che invita al raccoglimento, prima e dopo la discesa nella cripta dietro l’altare, dove si trova l’urna con le spoglie del Santo. E la Basilica Superiore, ariosa e luminosa, in stile gotico con influssi francesi, a una navata con quattro campare e volte a crociera, transetto e abside poligonale. Protagonisti in entrambe le chiese sono gli spettacolari cicli di affreschi, che al piano inferiore vedono, fra le altre, opere a firma di Pietro Lorenzetti, e a quello superiore due distinti cicli, quello di Cimabue e quello di Giotto, fra le narrazioni pittoriche più mirabili dell’epoca e oltre. Accanto al primo piano si apre poi il Chiostro di Sisto IV, cui si accede al Museo del Tesoro, dove dipinti, oreficerie e tessuti pregiati narrano la storia del complesso, Monumento Nazionale dal 2000 iscritto alla lista del Patrimonio dell’Umanità Unesco insieme alle altre principali emergenze architettoniche di Assisi. Si vedano la Chiesa di Santa Chiara, fondatrice dell’ordine delle Clarisse, il Duomo di San Rufino, la Chiesa di San Pietro, di Santa Maria Maggiore, la Chiesa Nuova e la Basilica Papale di Santa Maria degli Angeli in Porziuncola, che la tradizione narra essere il luogo dove il Santo fondò l’Ordine dei Frati Minori, accolse i primi fratelli e fondò l’Ordine delle Clarisse nel 1211.

Tempietto del Clitunno

A Pissignano, in provincia di Perugia, si trova uno dei sette monumenti inseriti nella rete Unesco di “Italia Longobardorum”, ossia quel circuito di chiese, monasteri e fortezze che testimoniano l’importanza avuta dal popolo longobardo per l’evoluzione culturale e spirituale dell’Europa nei periodo di transizione fra Classicità e Medioevo. Qui, nel cuore dell’Umbria, a pochi passi dalle celebri Fonti del Clitumnio decantate da poeti e letterati quali Plinio il Vecchio, Virgilio, Lord Byron e Giosuè Carducci, si trova il Tempietto del Clitunno, detto anche Tempietto di San Salvatore.

Sorto fra il IV e il V secolo d.C. su un precedente edificio pagano, il Tempietto del Clitumno è frutto del sapiente riuso di materiali di recupero romani, quali per esempio sono le colonne, i capitelli corinzi, il timpano scolpito. In passato, la struttura e le sue proporzioni perfette furono spesso oggetto di studio di grandi architetti, primi fra tutti Francesco di Giorgio Marini e Andrea Palladio, che lo inserì nel suo trattato “I quattro libri dell’architettura”, pubblicato a Venezia nel 1570.

Il Chinotto di Savona

Dalla spedizione di Marco Polo in poi, dalla Cina incominciarono ad affluire nel Vecchio Continente prodotti di ogni genere prima sconosciuti alla popolazione. Oltre alla rinomata seta, anche molti prodotti commestibili, fra cui il chinotto, frutto giunto a noi a partire dal Cinquecento. Il chinotto attecchì soprattutto in alcune zone d’Italia, fra le quali c’era il savonese, dove riscosse da subito un certo successo di pubblico. Qui, l‘agrume è oggi riconosciuto e protetto come Presidio Slow Food: dai frutti verdastri e dal sapore amaro, è consumato anche come candito, usato in pasticceria e conservato sotto sciroppo.

Collisioni, Il Festival AgriRock

Barolo capitale dell’ enologia piemontese, e dal 2009 anche della letteratura e della musica grazie a Collisioni Festival – Festival di Letteratura e Musica in Collina. Un palcoscenico diventato poco a poco sempre più importante e internazionale e che oggi vede alternarsi interpreti di diversi generi musicali – dall’hard rock al folk e pop – a scrittori, giornalisti, attori e registi di fama mondiale.

La manifestazione è fra quelle di maggior richiamo in Piemonte, attirando ogni anno a Barolo, borgo di appena 700 abitanti, fino a 100.000 persone nell’arco di tre giorni.

Ricchissimo il calendario che prevede performance non-stop in piazza e per le strade del paese, dove si incontrano artisti del calibro di Patti Smith, Zucchero, Bob Dylan, Deep Purple, Carlo Verdone, Luciana Littizzetto, Luciano Ligabue, Ferzan Ozpetek, in un melting pot di culture e suoni a dir poco inconsueto.

Castello Aragonese

Si chiama Castel Sant’Angelo, ma non si trova a Roma, davanti alla Basilica di San Pietro, bensì a Taranto, affacciato sui due mari, all’ingresso del borgo antico della città. Impossibile non rimanere affascinati dalla mole imponente di questa fortezza, nel cui impianto architettonico si possono riconoscere elementi di epoca greca, bizantina, normanno-svevo-angioina. Il primo nucleo risale al 780, a quando cioè i Bizantini decisero che era il momento di dotare la “città dei due mari” di un sistema difensivo contro le continue incursioni dei Saraceni e della Repubblica della Serenissima. Sorsero così alte torri e strette, dalle quali si combatteva con lance, frecce, pietre e olio bollente. Fu poi fra il 1487 e il 1492 che, mentre Cristoforo Colombo era intento alle sue esplorazioni, qui a Taranto Ferdinando I Re di Napoli incaricava il celebre architetto militare Francesco di Giorgio Martini di rivederne l’impianto, perfezionando le dotazioni di bordo anti incursioni nemiche. Nacque così il Castello Aragonese di Taranto, nella foggia in cui ancora oggi lo conosciamo e possiamo scoprirlo, partecipando alle visite guidate gratuite che tutti i giorni, festivi inclusi, sono organizzate dalla Marina Militare, che lo rende accessibile con visite guidate gratuite tutti i giorni, festivi inclusi.

Museo Archeologico Nazionale di Taranto

Basterebbe la cosiddetta collezione degli Ori di Taranto per giustificare il viaggio nella “città dei due mari” e la visita al Museo Archeologico Nazionale di Taranto. Si tratta infatti di una copiosa raccolta di gioielli comprendente anelli, orecchini, bracciali e corona di epoca ellenistica e romana, che contribuisce a fare del MArTa uno dei più importanti d’Italia, dal 2014 annoverato fra i 20 del Paese con autonomia speciale.

Anno di fondazione del museo, il 1887, data che segna per il capoluogo pugliese la realizzazione del Borgo Umbertino, conseguente all’urbanizzazione della zona a est del Canale Navigabile. Lunga e articolata la storia dell’edificio risalente alla fine del Settecento, poi rimaneggiato nel 1903 per il rifacimento della facciata, e ancora fra il 1935 e il 1941 per l’aggiunta di una nuova ala. Ultimo restyling, fra il 1998 e il 2016, anno in cui prende forma il percorso museale attuale, che in una sequenza cronologica progressiva conduce dalla Preistoria all’Alto Medioevo.

Parco Nazionale del Pollino

Lo chiamano “Giardino degli Dei”, in quanto “santuario” di una specie arborea rara e preziosa, il Pino Loricato. Siamo sulla cima di Serra di Crispo, in provincia di Potenza, nel Parco Nazionale del Pollino, la più grande area protetta d’Italia, di cui questa particolarissima specie di pino è simbolo e vita.

Istituito nel 1993, il Parco si sviluppa tra le vette del Dolcedorme e di Cozzo del Pellegrino, lungo il massiccio montuoso calabro-lucano del Pollino e dell’Orsomarso, ed è stato di recente inserito nel listing dei Geoparchi dell’Unesco come Patrimonio dell’Umanità, in virtù proprio di flora e fauna endemiche da tutelare. Dalle sue vette alte fino a 2.200 metri si possono vedere non uno ma ben due mari: da una parte la costa tirrenica di Maratea, Praia a Mare e Belvedere Marittimo e a est il litorale ionico da Sibari a Metaponto.

Benché sia la natura a fare da padrona da queste parti, non mancano gli spunti storico-archeologici, e persino preistorici, come per esempio nella Grotta-Riparo del Romito, o in quella di Sant’Angelo, con una graziosa chiesa ipogea del V-VI sec. d.C., o ancora nei borghi di Mormanno e Civita, fermi al Medioevo. Per non farsi mancare nulla, c’è anche il tocco di “esotico” in più, dato dalle comunità di cultura Arbëreshe, presenti sul territorio dal 1470.

Alcuni nuclei provenienti dall’Albania si rifugiarono qui per sfuggire alle milizie turche, rimanendo fedeli alle loro tradizioni e alla loro lingua, parlata ancora oggi, e fondando paesi come Acquaformosa, Civita, S. Basile, Lungro, Plataci, Frascineto, S. Costantino Albanese e S. Paolo Albanese.

La comunità albanese presente nel Pollino è fra le più radicate d’Italia: a Civita e a S. Paolo Albanese, si trovano i Musei della Civiltà Arbëreshe dove sono conservati numerosi oggetti, attrezzi e costumi tipici. Di grande interesse religioso sono le funzioni di rito greco-bizantino e le Vallje, le particolari danze che gli Arbëreshë intrecciano uniti l’un l’altro attraverso un fazzoletto.

Il Parco Nazionale del Pollino è anche habitat di numerose specie faunistiche, che con un po’ di fortuna si possono incontrare praticando escursionismo: lupo appenninico, cinghiali e caprioli, scoiattoli, istrici e lontre, ma anche picchi, gufi e aquile reali, falchi pellegrini e gheppi. In epoche remotissime, su queste distese si aggiravano anche pachidermi, come testimoniato da fossili risalenti a decine di migliaia di anni fa, vedi lo scheletro di “Elepfhans antiquus italicus”, alto quattro metri e vissuto circa settecentomila anni fa, rinvenuto nelle Valli del Mercure e attualmente custodito nel Museo Naturalistico e Paleontologico di Rotonda, sede del Parco.

 

Nebbiolo Alto Piemonte

Il segreto del nebbiolo dell’Alto Piemonte è il Monte Rosa, che d’inverno scherma le viti dai venti freddi del nord e d’estate rinfresca le temperature. Così, le uve di questo pregiato vitigno, fra i più nobili al mondo, può seguire il suo particolare andamento, con una fioritura precoce e una maturazione tardiva.

Vinificato in purezza o con piccole aggiunte di Vespolina, Uva Rara e Croatina, è tutelato dal Consorzio Tutela Nebbioli Alto Piemonte, cui aderiscono 135 soci distribuiti fra le province di Biella, Novara, Verbania e Vercelli, produttori di piccole dimensioni ma che puntano all’alta qualità, generando 8 DOC (Boca, Bramaterra, Colline Novaresi, Coste della Sesia, Fara, Lessona, Sizzano, Valli Ossolane) e 2 DOCG (Gattinara, Ghemme).

In particolare, sin dalla fine dell’800, il territorio del Biellese è stato insieme alla Borgogna francese fra i primi territori a commercializzare i propri vini, seppure con una sorta di “baratto” con le comunità montane: vino in cambio di ghiaccio per la conservazione dei cibi. In quest’area, si producono il Bramaterra DOC, il Canavese DOC, il Coste Della Sesia DOC, il Lessona DOC, eccellenze da gustare in cantina, oppure nei molti agriturismi e ristoranti della zona, e da scoprire attraverso strutture come l’Enoteca Regionale della Serra e l’Ecomuseo del Biellese.

Ricavato nel Ricetto di Candelo, l’Ecomuseo del Biellese conserva antiche attrezzature, racconta tecniche tradizionali e proprietà degli storici vitigni autoctoni, là dove un tempo si producevano ben 1.250.000 litri di vino.
Ad accogliere gli oltre 200 tipi di vino e le 20.000 bottiglie dell’Enoteca Regionale della Serra è invece la magnifica cantina cinquecentesca del Castello del Roppolo, scenario di mostre e, a settembre, della Festa dell’Uva.

Spostandoci verso Vercelli, si può fare sosta a Villa Paolotti, ex Bottega del Vino del Gattinara trasformata oggi nell’Enoteca Regionale di Gattinara, che raccoglie in sé quanto prodotto nelle 4 province di Vercelli, Biella, Novara e Verbano Cusio Ossola, oltre ad offrire la possibilità di tour fra i vigneti e sulle colline.

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