La Costa Apuana si estende da Nord, dal promontorio di Capo Corvo, che pone fine alla Riviera Ligure, a Sud Cinquale, ultimo paese della provincia di Massa e Carrara prima della Versilia, già in provincia di Lucca. Un panorama unico, chiuso in appena 20 chilometri, fra il fiume Magra e il fiume Versilia, orlato di sabbia punteggiata quasi ininterrottamente da ombrelloni e, soprattutto, capannine, le iconiche “tende” da spiaggia che richiamano subito questo tratto di costa toscana. Così come i molti cantieri della nautica da diporto, specie di lusso, di cui la zona è patria rinomata a livello internazionale. Nautica da esportazione che va di pari passo a quella locale, grazie a numerosi centri nautici riforniti di tutto punto per la pratica di sport come vela, windsurf, kite, canoa. Fino alla crocieristica, che fa scalo nel vicino porto di Carrara.
Business area: Produzioni IGP
Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria
I celebri Bronzi di Riace sono sicuramente il vessillo del Museo Archeologico di Reggio Calabria, tappa obbligata per gli appassionati di archeologia e non solo. L’idea del MArRC nasce all’indomani del terribile terremoto che nel 1908 distrusse gran parte della città sicula, su impulso dell’archeologo Paolo Orsi, ma bisognò attendere fino al 1954 perché divenisse realtà, grazie alla fusione delle collezioni civiche e statali. La materia prima davvero non mancava, poiché le numerose campane di scavo condotte dalla Soprintendenza calabrese e dallo stesso Orsi avevano riportato ovunque alla luce migliaia di reperti degni di nota.
Dal 2009, il MArRC ha anche un nuovo allestimento permanente, disposto su quattro livelli che permettono di ricostruire la perfetta “fotografia” della Calabria dalla preistoria alla romanizzazione.
La visita inizia al secondo piano, detto Livello A, dove sono collocati reperti risalenti a preistoria, protostoria ed Età dei Metalli Bronzi. Il Livello B è dedicato alle Città e Santuari della Magna Grecia, il Livello C a Necropoli e Vita Quotidiana nella Magna Grecia. Infine, il Livello D a Reggio Calabria, dove sono collocati i Bronzi di Riace e quelli di Porticello, denominazione quest’ultima data alla Testa del Filosofo e alla Testa di Basilea, sculture bronzee rinvenute in mare nello Stretto di Messina, a Porticello appunto.
Alta Via dei Monti Liguri
Quarantaquattro tappe per 400 km di lunghezza. L’Alta Via dei Monti Liguri (AVML), nota anche più semplicemente come Alta Via, partendo da Ventimiglia arriva fino a Ceparana, nella piana di Bolano, al confine con la Toscana. Correndo lungo la costa, attraversa tutta la Regione e una serie di Parchi naturali regionali: quello del Beigua, delle Alpi Liguri, delle Capanne di Marcarolo, dell’Aveto e dell’Antola, toccando il suo punto più alto sul Monte Saccarello, a 2201 metri s.l.m.
Diverse le lunghezze e le difficoltà delle tappe, percorribili interamente a piedi e per lunghi tratti a cavallo e in mountain bike, e talvolta anche in auto e moto.
Creata nel 1983, l’Alta Via fa parte del progetto escursionistico chiamato Sentiero Italia, itinerario lungo oltre 6000 km che, partendo da Trieste, transita lungo l’intero arco alpino, gli Appennini, la Sicilia e la Sardegna fino a Santa Teresa di Gallura utilizzando anche le Alte Vie Valdostane, la rete piemontese GTA, la rete toscana GEA e i sentieri umbri. In questo peregrinare fra territori di diversa natura, cultura e tradizione, l’Alta Via è un’occasione unica per conoscere e apprezzare
prodotti locali e specialità gastronomiche locali e per visitare affascinanti complessi monumentali e micro realtà fuori dalle solite rotte.
Pampepato
Il pranzo della domenica in una casa ternana ha il profumo del Pampepato, dolce tipico che ritrova le sue radici in tempi antichissimi. Cioccolato fondente, frutta secca, miele, caffè e spezie sono gli ingredienti principali, amalgamati per formare un panetto di forma tonda, dal 23 ottobre 2020 riconosciuto prodotto IGP. A questi si aggiunga anche il mosto cotto, l’antica sapa, di derivazione etrusca e romana.
Il nome trae spunto dalla tradizione umbra, diffusa anche nella provincia ternana, secondo la quale per ottenere il piccante si utilizzava solo il pepe, e non il peperoncino rosso. Questo faceva virare il sapore di un piatto verso il dolce/piccante/odoroso e l’amaro/piccante/odoroso, che è anche la nota più accesa del Pampepato.
Ricetto di Candelo
Ricetto, da “receptum”, rifugio. Tale l’origine del nome, che sta a indicare un rifugio fortificato protetto da mura a difesa di beni quali cereali, cibo in generale, acqua e vino. Diffuso in passato in Piemonte, dove ne sono presenti ancora oltre duecento, e in alcune zone dell’Europa centrale, il Ricetto trova uno dei suoi esempi meglio conservati a Candelo, in provincia di Biella, dal 2002 inserito fra i Borghi più belli d’Italia.
Vi si accede tramite un’unica torre-porta, protetta da due ponti levatoi, uno pedonale e uno per i carri, e da un fossato (interrato nell’800), che correva lungo tutti i 467 metri di lunghezza della cinta muraria. Quattro le torri angolari – di forma circolare, aperte verso l’interno, eccetto una di forma quadrangolare a rinforzo. Il Ricetto di Candelo presenta cinque rue, dal francese “vie”, disposte a formare altrettanti isolati, divisi in lunghezza da strettissime riane di circa 70 cm di larghezza, con la funzione di barriere anti propagazione degli incendi. Gli edifici sono invece detti cellule, sono privi di fondamenta e sono costituiti da vani sovrapposti, non comunicanti tra loro: il vino al piano terra, le granaglie al piano superiore.
Caratteristica unica del Ricetto è la presenza di circa 200 cantine tutte simili tra loro per struttura e dimensioni. Chi volesse immergersi nell’atmosfera di un tempo, può optare per il ristorante ricavato in una di queste cantine, dove si può anche ammirare un gigantesco torchio a vite del Settecento, un tempo cuore di una sorta di grande cooperativa vitivinicola.
La particolarità di Candelo è che nei secoli è stato sfruttato nei modi più disparati, passando da borgo dedito alla produzione tessile a teatro fino a set di produzioni televisive. A testimoniare questo suo ricco passato ci sono oggi alcune botteghe d’arte, il Centro documentazione dei Ricetti in Europa, il Piccolo Museo delle cose di Cucina e Pasticceria, e l’Ecomuseo della Vitivinicoltura.
Chi sceglie Candelo come meta per una gita fuori porta non potrà fare a meno di notare lo splendido contesto naturalistico in cui si trova calato, con le Prealpi biellesi da un lato e la Riserva Naturale della Baraggia dall’altro. Ricco anche il calendario delle manifestazioni ed eventi, fra cui Candelo in Fiore.
Cous Cous Fest
Passione per il cibo, buona musica, scambio culturale e dialogo a favore della pace. Quando è nato nel 1998, di certo il Cous Cous Fest non aveva tutte queste ambizioni, eppure, a distanza di 25 anni, sono questi i plus della manifestazione, diventata ormai di portata internazionale. Il Cous Cous Fest si svolge ogni anno a settembre, a San Vito Lo Capo, nel trapanese, che per 10 giorni diventa epicentro dell’interesse dei media nazionali e non solo. E questo grazie alla partecipazione di grandi chef provenienti da vari Paesi, che giungono in questo splendido angolo di Sicilia per vivere, col pretesto della cucina, un’esperienza unica, preparando il cous cous in versioni inedite e alternandosi sul palco a esperti di cultura e politica focalizzati sulle questioni di geopolitica del momento.
Il tutto avviene in un’atmosfera multietnica rilassata, carica dei profumi del cosiddetto “piatto della pace” realizzato nelle 6 “Case del Cous Cous” che si trovano lungo le vie del centro oppure sulla spiaggia in una tenda berbera o presso il WAHA, dove basta chiudere gli occhi e ci si sente fra le dune del deserto. Ogni sera poi, spazio alla musica con i concerti in Piazza Santuario e in spiaggia, con la partecipazione di artisti di fama internazionale.
Mandorlo in Fiore
Ogni anno, a primavera, Agrigento si tinge di rosa. Quel rosa tenue stemperato di bianco dei mandorli in fiore che invade la zona compresa fra la Città Nuova e la Valle dei Templi. Specie arborea giunta qui ai tempi dei Fenici, e che dal 1934 è simbolo di Agrigento, grazie alla festa popolare detta “Mandorlo in Fiore”. A idearla è il Conte Alfonso Gaetani, nella piccola città di Naro, a circa 20 km da qui. Tre anni più tardi però, la sagra si trasferisce nel capoluogo di provincia, crescendo edizione dopo edizione e diventando modello del dialogo fra i popoli e le culture. Soprattutto da quando nel 1954 l’evento si è arricchito del Festival Internazionale del Folklore, cui partecipano gruppi folkloristici provenienti da varie parti del mondo, e poi ancora del “Festival Internazionale dei Bambini del Mondo” e del “Corteo Storico d’Italia”. Il tutto per una settimana di celebrazioni che culminano con l’accensione del tripode dell’amicizia nella Valle dei Templi, davanti al Tempio della Concordia.
Abbazia di Vezzolano
La scena sarebbe stata questa: nel 773, durante una battuta di caccia nella selva di Vezzolano, l’imperatore Carlo Magno si imbatte in tre scheletri, tre “zombie” usciti da una tomba che lo spaventano a morte. Su consiglio di un eremita, l’imperatore decide di edificare un’abbazia sul luogo dell’apparizione. Sorge così l’Ecclesia di Santa Maria di Vezzolano. Leggenda a parte, il primo documento che ne attesta l’esistenza è datato “solo” al 1095, il che fa comunque di questo maestoso edificio situato ad Albugnano, nell’astigiano, uno dei monumenti medievali più importanti del Piemonte. A identificarlo è uno spiccato stile romanico-gotico, che per giungere intatto ai giorni nostri ha dovuto resistere a momenti di grande declino. Se infatti fra Duecento e Trecento la Canonica astigiana ha raggiunto il suo massimo splendore quanto a importanza e prestigio delle opere d’arte, nel corso dell’800 l’Ecclesia, nota impropriamente come Abbazia, a causa dell’amministrazione napoleonica è stata espropriata dei suoi beni, trasformata in cappella campestre della parrocchia di Albugnano e il chiostro utilizzato addirittura come granaio. Ciononostante, la Canonica di Santa Maria di Vezzolano conserva pregevoli elementi artistici e un fascino senza tempo che ne fanno una tappa imprescindibile in un viaggio fra Langhe, Roero e Monferrato.
Palio di Asti
Milleduecento è il secolo di origine come milleduecento sono i figuranti del corteo storico. Il Palio di Asti, la più antica corsa di cavalli montati “a pelo” d’Italia, si apre così, con una sfilata di oltre 1.200 personaggi in costume a tramandare memoria e momenti della storia medioevale di Asti. Uno spettacolo che ha inizio già nei giorni precedenti, con il “Palio degli Sbandieratori”, il “Palio degli Scudieri”, le cene propiziatorie, il mercatino del Palio e le prove dei cavalli su Piazza Alfieri, che in occasione di questo evento si trasforma in pista. Da 8 secoli gli astigiani festeggiano dunque così il loro patrono, San Secondo, in un crescendo di accadimenti che culminano in una spettacolare corsa equestre, preceduta dalla benedizione dei cavalli e dei fantini, salutati dalla folla con la formula rituale di «Va’ e torna vincitore!» e dal corteo storico. Punto di partenza di questa colossale messa in scena è la Cattedrale di Santa Maria Assunta. Da qui, a passo lento e ritmato dal rullo dei tamburi, il corteo si snoda per le vie del centro fino ad arrivare a Piazza Alfieri, “arena” per un giorno di questa “tenzone” che ha saputo conservare spirito e atmosfera medievale. Il Capitano del Palio con i magistrati in testa, e all’altro capo, il Carroccio, antico simbolo dei Liberi Comuni, che reca con sé il Sendallo raffigurante San Secondo a cavallo e le insegne del Comune di Asti. Se fino al 2017 il Palio di Asti si disputava la terza domenica di settembre, ora il fine settimana da segnare in calendario è quello della prima domenica di settembre.
Giro di Viso e Buco di Viso
Il Giro di Viso è un emozionante itinerario escursionistico a forma di anello che circonda maestosamente il Monviso all’interno dell’omonimo Parco. Questo percorso, recentemente elevato allo status di Riserva Transfrontaliera insieme al Parco Regionale del Queyras, è un autentico tesoro riconosciuto dall’UNESCO all’interno del prestigioso programma “Man and Biosphere” (MaB).
Il Monviso, conosciuto come il “Re di Pietra”, è una delle vette più celebri dell’intero arco alpino, prevalentemente costituita da rocce che si sono formate sul fondale oceanico ben ottanta milioni di anni fa. L’acqua proveniente dai nevai e dai ghiacciai dà origine a ruscelli impetuosi che alimentano pittoreschi laghetti alpini. Inoltre, un lago poco profondo ha dato vita alla torbiera di Pian del Re, un’area in cui sopravvivono numerose piante rare dell’era glaciale e che ospita le sorgenti del fiume Po.
La magia del Giro di Viso si svela partendo dalla Valle Po o dalla Valle Varaita. Queste valli abbracciano il gruppo del Monviso e l’osco dell’Alevé. Dall’altro lato c’è la suggestiva Valle del Guil in Francia. Il percorso ad anello può essere completato in un periodo che varia da un minimo di due giorni fino a un massimo di sei giorni. Per i più avventurosi l’esperienza può completarsi con l’ascesa alla cima del Monviso.
L’itinerario del Giro di Viso incrocia importanti percorsi escursionistici come la Gran Traversata delle Alpi (GTA) e la Via Alpina, arricchendo l’esperienza di chi attraversa questo magnifico territorio.
L’escursione al Giro di Viso offre non solo paesaggi mozzafiato ma anche l’opportunità di conoscere i rifugi storici lungo il percorso. Uno di questi è il Rifugio Quintino Sella, costruito tra il 1904 e il 1905 in onore di Quintino Sella, fondatore del Club Alpino Italiano nonché organizzatore della prima spedizione italiana a raggiungere la vetta del Monviso. Un altro luogo è il Rifugio Vitale Giacoletti, che trova spazio in una ex caserma della Guardia di Finanza (Ricovero del Coulour del Porco), che fu inaugurato nel 1939 ed abbandonato nel 1943.
Una tappa imprescindibile per gli appassionati della montagna è il Buco di Viso, conosciuto anche come Buco delle Traversette. Questa galleria scolpita nella roccia si estende per circa 75 metri a un’altitudine di 2882 metri, collegando l’Italia alla Francia e mettendo in comunicazione i territori di Crissolo e Ristolas. Con i suoi 2,5 metri di altezza media e 2 metri di larghezza, offre un’esperienza unica ma fattibile solo durante i mesi estivi, poiché la neve può ostruire l’accesso negli altri periodi dell’anno.
Il Buco di Viso è il primo traforo alpino mai realizzato. Voluto dal marchese di Saluzzo Ludovico II Del Vasto nel 1479, questo tunnel fu concepito per favorire i traffici commerciali con la Provenza. Prima della sua costruzione, l’unico passaggio disponibile era il colle delle Traversette, a un’altitudine maggiore e quindi accessibile per un periodo limitato a causa delle nevicate. L’apertura del traforo avvenne nel 1480, aprendo le porte a scambi commerciali vitali. Il Buco di Viso divenne un punto cruciale per l’esportazione di vico, riso e canapa, oltre che per l’importazione di tessuti, cavalli e soprattutto sale.
Nel corso degli anni, il Buco di Viso ha vissuto varie fasi di chiusura e riapertura. Nel 2014, il tunnel ha subito importanti lavori di restauro che hanno aumentato significativamente l’afflusso di turisti ed escursionisti nella Riserva della Biosfera Transfrontaliera del Monviso. Oggi rappresenta un tratto cruciale del Giro del Monviso, testimoniando il suo ruolo di collegamento tra passato e presente.
Incorporando una naturale bellezza e una storia affascinante, il Giro di Viso e il Buco di Viso offrono un’esperienza unica nel cuore delle Alpi.