Castello di Stilo

Le leggende valgono per quello che sono, dei bellissimi racconti infarciti di colpi di scena e personaggi fantastici ma che a volte trovano riscontro nella realtà. Come nel caso della località Vinciguerra, presso il Castello di Stilo: secondo un racconto datato a più di dodici secoli fa, fu esattamente in questo punto che cadde una ricotta speciale scagliata dagli abitanti di Stilo asserragliati dentro le mura contro gli arabi invasori per far credere loro che nella cittadella c’era così tanto cibo da poterlo sprecare e da protrarre la battaglia ancora per mesi. In realtà, tale ricotta sarebbe stata fatta con il latte delle donne che avevano partorito da poco, ma l’inganno servì, tanto che gli arabi si ritirarono e il castello fu salvo. Vero o non vero, questo episodio, ambientato nel 982 d.C., narra in realtà di un maniero che ancora non esisteva, perché il Castello di Stilo, o semplicemente Castello Normanno, fu fatto costruire quasi un secolo più tardi da Ruggero II di Sicilia.

Delle varie opere di difesa che lo rendevano assolutamente inespugnabile se ne possono identificare ancora parecchie lungo il crinale del monte Consolino: a guardarle da lontano ricordano un po’ la Muraglia Cinese, da cui però si gode una superba vista fino a mare. Da Cattolica e nei pressi del cimitero di Stilo partono due sentieri di trekking che intersecano a tratti le mura e conducono fino al Castello.

Antiquarium Civico

Il territorio del borgo di Tiriolo, in provincia di Catanzaro, vanta un così ricco patrimonio storico-archeologico che per la sua giusta e necessaria valorizzazione è stato creato un progetto ad hoc, Tiriolo Antica, basato sul coinvolgimento della Comunità nella sua ideazione e progettazione. A farne parte sono il Parco Fortezza-Monte Tiriolo, il Parco Archeologico Urbano di Gianmartino e l’Antiquarium Civico. Istituito nel 1995, quest’ultimo ha ottenuto nel 2018 il riconoscimento di Museo Archeologico Regionale, in virtù dell’importanza dei suoi reperti. Il periodo compreso nell’iter espositivo va dal Neolitico alla preistoria, dall’età del bronzo all’età brettia, dal periodo greco-italico a quello romano. Fra le migliaia di reperti, merita una menzione la tomba monumentale brettia, datata al IV secolo a.C. e a forma di tempietto, un vero unicum nel suo genere.

Santuario di Santa Maria Nel Bosco

Nel 1984, Papa Giovanni Paolo II percorse la lunga scalinata in granito che attraversa la foresta secolare di abeti bianchi e faggi di Serra San Bruno fino ad arrivare sul piazzale del Santuario di San Maria del bosco. Qui celebrò la Santa Messa davanti a una folla di fedeli e pellegrini giunti da ogni dove per assistere all’evento e venerare San Bruno. Un fenomeno iniziato circa mille anni fa, quando il monaco cristiano tedesco Bruno da Colonia giunse in questo angolo selvaggio di Calabria e fondò la seconda Certosa dell’Ordine certosino, a pochi minuti da qui.

L’attuale Santuario è ciò che deriva dalla ricostruzione fatta dopo il terremoto del 1783 dell’antica chiesa voluta da San Bruno affinché i suoi monaci, in questo luogo mistico permeato di silenzio, trovassero la giusta serenità per preghiera e contemplazione.

Sul lato opposto del piazzale si trova quello che la tradizione racconta essere il “dormitorio”, la nicchia scavata nella roccia dove il Santo si isolava in meditazione, ma che per certo è il suo luogo di sepoltura dal 6 ottobre 1101.

Museo Parrocchiale San Biagio

Fra le reliquie conservate nel Museo Parrocchiale della Chiesa di San Biagio a Serra San Bruno, Vibo Valentia, c’è anche un pezzo della Croce di Gesù. Pensare che una reliquia così importante per la storia della Cristianità sia conservata in un borgo abbarbicato sulle Serre calabre fa riflettere, ma soprattutto fa capire l’importanza avuta in passato da quella particolare realtà che fu la Certosa di Serra San Bruno e ciò che ne derivò.
La Chiesa di San Biagio, detta anche Chiesa Matrice perché considerata “madre” di tutte le chiese, fu costruita nel 1795 su progetto proprio di un architetto serrese, Biagio Sacarmuzzino, così come uno degli elementi decorativi fra i più belli e importanti, il pergamo ligneo, fu intagliato dall’ebanista serrese passato agli annali come “Patacchella”. Solo due dell’esercito di artigiani-artisti coinvolti nel grande cantiere certosino.

Castello Ruffo di Scilla

Nell’immaginario epico e letterario, da più di duemila anni Scilla è un mostro marino generato dalla gelosia della maga Circe. Secondo la mitologia greca, sarebbe stata lei a trasformare la ninfa Scilla in una terribile creatura con sei teste di cane e lunghe code di serpente, pronta a catturare tutte le imbarcazioni che transitavano davanti al promontorio dove oggi sorge l’omonimo borgo. Anzi, per la precisione, la “tana” del mostro sarebbe stata l’area del Castello Ruffo di Calabria, uno dei luoghi che oggi meglio identificano quel particolare tratto di mare che è lo Stretto di Messina.

Dal V secolo a.C. in poi, si può dire che qui siano transitati tutti i dominatori che la Calabria abbia mai conosciuto, nessuno escluso, fino ad arrivare al 1578, anno in cui Paolo Ruffo decise di acquistarlo e di trasformare in una residenza sontuosa quello che era già un palazzo baronale di tutto rispetto.

Dopo le devastazioni dei terremoti del 1783 e del 1908, il castello ha subito vari restauri e adattamenti, ospitando uffici pubblici durante il periodo fascista, e persino un ostello della gioventù, fino a essere di recente adibito a Centro regionale per il recupero dei centri storici calabresi.
Dal 1913, una parte dell’edificio ospita il faro della Marina Militare.

Chianalea di Scilla

Chianalea, frazione di Scilla, 25 km da Reggio di Calabria. Basterebbe il tratto di splendido mare su cui affaccia questo borgo di appena 350 abitanti per rendere la destinazione imperdibile. Ma poi, si distoglie lo sguardo dal blu dell’acqua e si punta verso il promontorio, verde di macchia mediterranea, per cogliere l’insieme variopinto delle casette di pescatori costruite direttamente sugli scogli e la magia si compie. Ci si inerpica fra i vicoli, che visti dall’alto sembrano quasi dei canali, e la mente va alla laguna veneta. Da qui, l’appellativo di “Venezia del Sud” e l’inserimento nel listing dei “Borghi più belli d’Italia”.

Museo delle Cere

Otto musei in uno. Questa è la sintesi di ciò che si trova all’interno dell’Antico Monastero Comunale di Rocca Imperiale, che raduna sotto lo stesso tetto otto diverse esposizioni museali. L’edificio è già di per sé motivo di visita: eretto nel 1562 dai Frati Minori Francescani, ha una struttura piuttosto complessa, che si articola in chiostro con cisterna, porticato, celle, chiesa.

Degli otto temi sviluppati ciascuno con un allestimento specifico, il Museo delle Cere rappresenta forse il più inaspettato in un contesto come quello di un borgo medievale. La rassegna di personaggi storici e dello spettacolo è quanto mai varia: Madre Teresa di Calcutta, De Gasperi, Mussolini, Che Guevara, Gianni Agnelli, Totò, Alberto Sordi, Giuseppe Verdi, Pablo Picasso, Charlie Chaplin, Federico II di Svevia e persino un paio di scene corali come l’ultima cena di Gesù con i dodici apostoli e la Sacra Famiglia. Ciascuna figura umana ha grandezza naturale, capelli veri e occhi di vetro, il che rende tutto molto verosimile.

Nel monastero si trovano poi anche il Museo Scientifico del Mare, il Museo Mineralogico, il Museo del Sapone, il Museo Mitologico, il Museo Medievale, il Museo Araldico e il Museo Misto, che altri non è che una raccolta di presepi, documenti e oggetti di ambito religioso.

Castello di Rocca Imperiale

Il borgo di Rocca Imperiale è il suo Castello e viceversa. Il nome e l’origine stessa del paese derivano dalla presenza della roccaforte, costruita fra il 1225 e il 1240 per volere dell’Imperatore Federico II di Svevia. Della struttura originaria rimangono pochi ma significativi dettagli, come il portale d’ingresso, una torre e una finestra ogivale, mentre le dimensioni e l’aspetto attuale si rifanno a quanto richiesto nel 1487 da Alfonso II d’Aragona duca di Calabria. A questa fase risalgono in particolare il maschio poligonale, le numerose torri e il cassero, che permisero a gran parte della popolazione di Rocca Imperiale di salvarsi quando nel 1644 quattromila soldati turchi misero sotto assedio il borgo. Ciò avvenne anche grazie alle “dotazioni di bordo” della fortezza, ideate per resistere a lunghi periodi di isolamento, fra cui ampi depositi di olio e grano e ben cinque cisterne d’acqua.

Visitare oggi il castello, dalle sale di rappresentanza alle cucine fino ai sotterranei, così come perdersi fra la Piazza d’Armi e i camminamenti che collegano la Torre Polveriera e la Torre di Federico, significa ripercorrere sette secoli di storia, in un continuo rimando a fatti e rivoluzioni che la storia della Calabria hanno contribuito a mutarla. Da qui fino al Golfo di Taranto, sulla linea dell’orizzonte che si scorge dalla Terrazza Panoramica della rocca.

I Vicoli di Pizzo

Il “tartufo” di cioccolato sta a Pizzo Calabro come il tiramisù a Treviso Già, perché questo borgo in provincia di Vibo Valentia arroccato su un promontorio di tufo a picco sul mare vanta la “paternità” di questo dessert realizzato con una ricetta segreta ma con un numero infinito di tentativi di imitazione. Da qui i suoi due epiteti più celebri, quello di “città del gelato” e di “città del tartufo”.

Di recente però, se ne è aggiunto un altro, “città dell’amore”, grazie all’iniziativa di un privato, Massimo Pacifico, presidente dell’Associazione Carta Canta, che ha ribattezzato la scalinata in Corso San Francesco con il nome di “Vicolo del Bacio”. Il contesto è romantico di per sé, tanto da invitare chiunque a fermarsi per ammirare l’atmosfera sospesa del borgo. Il resto lo si lascia all’iniziativa dei visitatori, tant’è che questo è diventato uno degli “angoli dei selfie” più gettonato del posto. Poco distante da qui, c’è anche il Vicolo degli Abbracci, ma non c’è dubbio che, oltre a queste iniziative personali, Pizzo offre molti scorsi da immortalare con una foto: per esempio i vicoli attorno al Castello del ‘400, voluto da Ferdinando I d’Aragona e luogo della fucilazione di Giacchino Murat, e la famosa Chiesetta di Piedigrotta, su una spiaggia a circa 1 km dal centro.

Museo della Civiltà Contadina di Oriolo

Un restauro esemplare quello che ha avuto come oggetto Palazzo Giannettasio, nel centro storico di Oriolo. I muri esterni in pietra a vista e i saloni che dal 2008 ospitano il Museo della civiltà contadina hanno recuperato tutta la loro allure gentilizia, quel fascino settecentesco che si respira ancora nel salone delle feste, la cui soffittatura affrescata, con al centro il dipinto di San Giorgio che uccide il drago, è lì per essere ammirata.

Nelle quattro sale adibite a Museo sono esposti oggetti d’uso quotidiano in legno e terracotta e persino una cucina del Settecento napoletano, a memoria dell’origine partenopea degli antichi proprietari del palazzo. La visita regala così uno spaccato di autentica vita rurale, come si svolgeva a Oriolo e più in generale in Calabria circa trecento anni fa.

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