Museo Civico di Paleontologia e Scienze Naturali dell’Aspromonte

Con 15.000 esemplari di fossili di fauna e flora locali datate fra i 100.000 e i 120.000 anni fa, il Museo Civico di Paleontologia e Scienze Naturali dell’Aspromonte di Bova, a circa 70 km da Reggio di Calabria, è uno dei più importanti nel suo genere di tutto il Sud Italia. Una serie di carte geografiche del Parco Nazionale dell’Aspromonte accolgono all’ingresso i visitatori, che possono così familiarizzare da subito con la particolare realtà naturalistica della zona. Per una migliore comprensione di quanto raccontato da tali reperti, la collezione è di recente stata arricchita di pezzi provenienti da diverse parti del mondo, creando un iter evolutivo attraverso le varie ere geologiche.

Il Museo, creato nel 2012, organizza anche numerose attività divulgative pensate soprattutto per i ragazzi, come per esempio “Un giorno da paleontologo”, laboratorio didattico che integra il percorso museale con momenti pratici quali il ritrovamento di fossili e la loro ripulitura.

Museo Civico del Mare di Tropea – MuMaT

Tropea al centro del mondo, paleontologico e scientifico. Per un borgo di poco più di 6.000 abitanti riconosciuto nel mondo per le sue bellezze architettoniche e artistiche non è una cosa scontata. E invece proprio qui, su un promontorio a picco sul mare Tirreno, ecco il MuMat, il Civico Museo del Mare allestito dentro al Palazzo Santa Chiara di Tropea, recuperato di recente insieme all’annesso Convento delle Clarisse.

Assai articolata e meritevole di menzione la storia dell’edificio originario: fondato nel 1261 per ospitare uno dei primi conventi dell’Ordine delle Clarisse in Calabria, fu riconvertito in residenza privata dopo il terremoto del 1783, e poi nel XX secolo in ospedale. Con l’apertura del museo, la chiesa è diventata l’auditorium, il refettorio e la cucina le sale espositive oggi custodi di reperti fossili e materiali provenienti dal territorio circostante e dalla costa.
Gestito dal Gruppo Paleontologico Tropeano, attivo da più di trent’anni nella zona, il MuMat ha avviato un programma di analisi dei reperti recuperati in collaborazione con istituti e studiosi di livello nazionale e internazionale, quali Daryl Paul Domning della Howard University di Washington, Nikos Solounias della American Museum of Natural History di New York, Lorenzo Rook dell’Università di Firenze, James Brink del National Museum Bloemfontein di Johannesburg.

Museo Diocesano di Tropea

Sotto il portico del palazzo svevo che ospita il Museo Diocesano di Tropea ci sono cinque sculture marmoree provenienti da due situazioni distinte, San Pietro e San Paolo originariamente esposte nella vecchia Cattedrale barocca, e tre copie delle statue realizzate per il Duomo di Messina. Un’accoglienza solenne che ben introduce alle sale espositive dove si passano in rassegna cinque secoli di storia della Chiesa e dell’arte, grazie a una collezione di opere e suppellettili sacre in argento che coprono dal XIV al XIX secolo. Oltre che dalla Cattedrale, esse provengono anche dalle altre chiese ormai schiuse, creando una collettanea di grande varietà. Fra i pezzi più antichi e preziosi spiccano un pastorale in argento dorato e smalti del ‘400, un’icona del ‘500 raffigurante la Madre della Consolazione e un gruppo di opere settecentesche di cultura napoletana.

Museo Antichi Mestieri di Calabria

Immaginate un teatro con un’ottantina di figuranti intenti ognuno a compiere il proprio mestiere. Chi il pastore, chi la tessitrice, il vasaio, il calzolaio, il fabbro, il maniscalco, lo scalpellino e così via. Ecco, c’è un luogo dove questo spettacolo va in scena ogni giorno dal 1999, grazie all’opera del Professor Benito Badolato, artefice del Museo Antichi Mestieri di Calabria, fra le attrazioni di Tropea da non perdere. Le 85 statuine si muovono ognuna con il proprio ritmo, riproducendo gesti spesso ormai desueti o dimenticati, ma che all’inizio del Novecento erano la quotidianità.

L’esposizione è arricchita da una documentazione fotografica d’epoca relativa alle diverse attività artigianali, supporto prezioso soprattutto per le nuove generazioni, che quel mondo non lo hanno mai neanche sentito raccontare. Nello stesso edificio si trova anche un’interessante sezione dedicata alle importanti invenzioni e scoperte che hanno contribuito al progresso tecnico scientifico del secolo scorso. Telefax, televisore, telegrafo, frigorifero, macchina per cucire, ed altri oggetti ormai da museo sono il fulcro della Mostra della scienza e della tecnica.

Convento Francescano di Santa Maria degli Angeli

Borgo degli Angeli, Paese degli Artisti e degli Stranieri, Paese delle Chiese. Le molte definizioni con cui è noto Badolato raccontano un po’ del passato ma anche del presente di questo crogiuolo di culture, a circa 30 km dalla costa ionica, nel catanzarese, che verso l’entroterra guarda alle Serre Calabresi. Limitandoci all’ultima, l’origine dell’epiteto deriva dal gran numero di edifici sacri che affollano il piccolo centro storico, tredici in tutto, frutto di una sovrapposizione di ordini religiosi e confraternite che nei secoli scorsi hanno visto transitare da qui monaci Basiliani, Francescani e Domenicani. Fra quelli più interessanti, su una collinetta di fronte al borgo c’è il Convento Francescano di Santa Maria degli Angeli, il cui impianto principale risale al 1606. Un rifugio dello spirito che è anche un perfetto belvedere sulla Riviera degli Angeli.

Castello Normanno di Squillace

Il Castello di Squillace è un affascinante maniero normanno costruito nel 1044, ma a fargli guadagnare fama internazionale non è stata la sua architettura non comune, dovuta a un continuo sovrapporsi di stili e rimaneggiamenti, bensì il ritrovamento di due scheletri agli inizi degli anni Novanta. Un evento che ha generato la leggenda del “mistero dei due amanti”, anche se non è sicuro si tratti proprio di amanti. C’è chi dice che fossero due fratelli, e chi due soldati, uno svevo e uno angioino, morti durante una delle numerose battaglie avvenute fra queste mura. Ciò che rimane una certezza è la piacevolezza di una visita che in pochi passi transita dall’epoca gloriosa di Federico II di Svevia, ai lasciti degli Angioini fino all’ultima dominazione dei Borgia, il cui stemma campeggia ancora sul portale a bugnato d’ingresso. Il tutto in un contesto quasi mitologico, che fa risalire le origini di Squillace a Odisseo, Ulisse, che qui si fermò durante il suo interminabile viaggio verso Itaca.

Ceramiche di Squillace

Il Museo di Capodimonte di Napoli, il Museo Civico di Rovereto, il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, il Victoria and Albert Museum di Londra e il Metropolitan di New York hanno un minimo comun denominatore: reperti di varie epoche realizzati in ceramica graffita di Squillace, lavorazione così particolare da aver ricevuto il riconoscimento di Ceramica Italiana DOC. Un “veicolo” sui generis che ha fatto sì che la fama di questa cittadina a circa 25 km dal capoluogo Catanzaro viaggiasse letteralmente nel mondo, oggi come ieri, risalendo indietro nei secoli.

Le prime testimonianze di quest’antica arte sono riferite al 1654, data riportata sul fondo di un grande piatto da parata, ingobbiato, con intrecci e figurazioni in giallo oro, graffiti sul fondo rosso scuro del biscotto. Un lavoro di ispirazione araba con tanto di marchio sul retro che non lascia dubbi, “Sqllci”, e che evidenzia una chiara continuità con la similare ceramica bizantina.

Nata probabilmente in Magna Grecia, era una tecnica già ampiamente conosciuta nel mondo romano, che continuò a essere praticata a Bisanzio anche dopo la decadenza di Roma e si diffuse poi in tutta l’Italia meridionale e soprattutto in Calabria grazie all’espansione politica bizantina, iniziata nel VI secolo e consolidata nel IX secolo anche sul piano religioso-culturale grazie alla diffusione del monachesimo basiliano. Risalgono invece all’inizio dell’XI secolo alcuni documenti riportanti i nomi di figuli locali, artisti quali un certo “Giovanni” detto “Cannata” e Sergio detto “Scutelli”, entrambi nativi di Squillace e presenti all’assedio di Capua del 1098.

Secoli d’oro della produzione locale furono in particolare il XVI e il XVII, di cui rimangono anfore, grandi piatta di parata, bottiglie, idrie farmaceutiche e crateri tutti di notevolissima fattura e attualmente conservati negli importanti musei sopra citati, da Napoli a New York. Per cogliere la bellezza di certi manufatti e la ragione di una fama così diffusa e duratura basta fare due passi lungo il Viale fuori le Porte, nel centro storico di Squillace, dove è un susseguirsi di botteghe artigiane che con orgoglio tramandano questa raffinata cultura atavica.

Borgo di Curinga

Il distretto è quello della Valle dell’Amato. La zona quella della Costa degli dei o Riviera dei tramonti. Nel mezzo c’è Curinga, comune di circa 7.000 abitanti arroccato su un promontorio a 380 metri di altezza, affacciato sul Mar Tirreno e la Piana di Lamezia ma già in provincia di Catanzaro. Fra i “meriti” di questo paese, che nelle giornate terse permette anche di scorgere in lontananza le Isole Eolie, c’è quella di custodire due esemplari di piante da record: in località Vrisi, appena fuori il centro, si trova infatti il Gigante Buono, un platano orientale monumentale che una recente datazione ha definito ultra millennario, annoverandolo fra i più grandi d’Europa, mentre poco più a valle c’è il pioppo nero più grande d’Italia. Due presenze ingombranti che sono valsi a Curinga il titolo de “il paese dei due giganti”. Anche per questo motivo, per tutelare cioè la preziosa natura della zona, Curinga è stato il primo comune calabrese ad essere diventato sostenitore del Fondo Ambiente Italiano e fra i primi a essere inserito fra i Borghi di Eccellenza della Regione Calabria.

Castello di Santa Severina

Il Castello di Santa Severina a Crotone è un perfetto esempio del concetto di stratificazione cronologica. Recenti scavi hanno infatti riportato alla luce resti d’età greca, di una chiesa e di una necropoli di epoca bizantina, il che farebbe pensare che qui, al posto della fortificazione voluta nell’XI secolo dal duca normanno Roberto Il Guiscardo, ci sarebbe stata l’acropoli dell’antica Siberene.

Unica certezza è che a oggi il Castello, detto anche Carafa, è una delle fortezze militari meglio conservate del Sud Italia, anche grazie al minuzioso restauro che fra il 1994 e il 1998 ne ha ripristinato l’antico aspetto: quattro torri cilindriche agli angoli di quattro bastioni sporgenti, il tutto innestato su un mastio quadrato. Simmetrie perfette e austere, da ammirare prima da fuori e poi dall’interno, dove hanno sede il Centro Documentazione Studi Castelli e Fortificazioni e l’Enoteca Valle del Neto, perfetta per degustare i vini della zona, magari durante un vernissage o dopo un concerto in una delle sale adibite a location di eventi.

Santuario Santa Maria dell’Isola

Tropea, Santuario di Santa Maria dell’Isola. In effetti, a guardarlo bene, il promontorio su cui sorge il monumento simbolo del borgo e ormai della Calabria intera, sembra proprio un lembo di terra a se stante, congiunto al centro abitato da un tratto del litorale tirrenico fra i più belli. Con ogni probabilità, questa “isola che non c’è” era già abitata nel VII-VIII secolo da alcuni eremiti, che apprezzavano la serenità del luogo, ideale per una vita contemplativa e ascetica.

Certo è che nell’XI secolo qui approdarono dei monaci basiliani, soppiantati poco dopo dai Benedettini. Questo avvenne attorno al 1060, quando il duca normanno Roberto Il Guiscardo sancì che dal rito greco si passava a quello latino, e con esso, che il possedimento del Santuario, secondo la formula “Sancta Maria de Tropea cum omnibus pertinentiis suis”, entrava nell’orbita dell’Abbazia di Montecassino, nel Lazio, che tuttora ne detiene la proprietà.

Fra leggenda e verità si colloca invece il racconto di una statua della Vergine portata qui dall’Oriente che avrebbe compiuto miracoli, ingenerando una sorta di pellegrinaggio al Santuario. Un fenomeno giunto ai giorni nostri, che, soprattutto in primavera ed estate, vede ancora migliaia di fedeli approdare all’”isola” per chiedere una grazia.

Skip to content