I Castelli di Arcevia

Arcevia come Torino, o quasi. Questo piccolo borgo in provincia di Ancona ha la sua “Corona di Delizie”, esattamente come il capoluogo piemontese ha le Residenze Sabaude. Ebbene, Arcevia mostra fiera ancora oggi il suo circuito di 9 castelli medievali circondati da mura ben conservate, racchiusi entro un raggio di 15 chilometri.
Prima tappa, Caudino, cui si accede attraverso un pittoresco portale che introduce a un microcosmo risalente a sette secoli fa e dove fu combattuta una memorabile battaglia tra le forze Guelfe e Ghibelline.
Palazzo si presenta con possenti mura in pietra che sembrano cingere le pendici del Monte Caudino. Loretello è un suggestivo castello sorto intorno all’anno Mille, un tempo parte della Chiesa Ravennate. Vi si accede tramite una spettacolare porta con rampa di accesso, mura e torrioni. Le mura di Piticchio hanno anche un percorso di marciaronda coperto, e nell’insieme, il castello è fra i meglio conservati della zona, come pure San Pietro, più ridotto di dimensioni ma anch’esso pressoché intatto.
Presenta rivellini e torrioni il castello di Montale, rimasto al Medioevo anche all’interno della cerchia muraria, con tracce urbanistiche datate a circa sette-otto secoli fa.
Il castello di Avacelli ha una posizione a strapiombo particolarmente suggestiva, difesa naturale cui, a partire dal XII secolo, si aggiunsero mura e torrioni ancora oggi integri.
Nonostante i molti assedi e le battaglie avvenute ai piedi della Rocca di Castiglioni qui la fortezza risultano ancora possente e autentica, fattore che lo accomuna a Nidastore, castello del circuito di Arcevia situato in un territorio ricco di testimonianze preistoriche e con un centro medievale preservato.

Chiesa Collegiata di San Medardo

La Chiesa Collegiata di San Medardo ad Arcevia, nell’anconetano, sembra l’”appendice” di un museo o di una pinacoteca, perché visitandola, assorti nel silenzio che si conviene all’ambiente, si possono scorrere in fila il grandioso polittico e nella cappella del battistero la tavola centinata di Luca Signorelli, l’altare in maiolica invetriata e un dossale in terracotta smaltata di Giovanni della Robbia, il Giudizio Universale e il Battesimo di Cristo di Ercole Ramazzani, artista locale allievo di Lorenzo Lotto. E ancora, la Madonna del Rosario con i SS. Domenico e Caterina da Siena, capolavoro di Simone Cantarini il Pesarese (1612-1648), allievo prediletto e ribelle di Guido Reni, e la Visita di Re Lotario a S. Medardo di Claudio Ridolfi, discepolo del Barocci, e altre opere di Piergentile da Matelica e Venanzio da Camerino, Fra’ Mattia della Robbia, nonché la Croce processionale in argento del famoso orafo perugino Cesarino del Roscetto, di metà del Cinquecento. Non mancano neanche gli arredi lignei di pregio, qui incisi dagli abiti maestri intagliatori Leonardo Scaglia e Francesco Giglioni. Tutte opere che “vestono” di grazia la struttura poderosa a croce latina, in laterizio, e lo stile barocco, qui proposto in una versione sobria, tipica della metà del Seicento, periodo in cui l’edificio venne terminato. La visita termina nel Museo Parrocchiale, piccolo ma interessante spaccato della vita in un antico borgo marchigiano.

Il Gigante di Curinga

Il Gigante di Curinga. Una definizione che rende giustizia alla maestosità di questo platano orientale dell’Armenia, che nella sua base larga più di 3 metri può accogliere fino a una decina di persone, e con una circonferenza di 14,75 metri e un’altezza di 31,5, risulta il platano più imponente dell’Italia. Un altro dei suoi record è la longevità, poiché un’antica leggenda narra essere stato piantato più di mille anni fa da un monaco basiliano, sulle sponde di un ruscello nelle vicinanze dell’Eremo di Sant’Elia.

Le Terme Romane di Acconia di Curinga

Se non fosse per il contesto naturalistico e il paesaggio in generale, certo si potrebbe pensare di essere nelle vicinanze di Roma, perché le Terme Romane di Acconia a Curinga sono uno degli esempi meglio conservati dei complessi termali dell’Antica Roma. Invece, siamo nella provincia di Catanzaro, e ciò che rimane oggi è parte di una grande villa monumentale della fine del III-IV secolo d.C., nota anche come Tempio di Castore e Polluce. A rendere significativo il sito archeologico è la conservazione della struttura integra fino quasi alla volta, e la presenza di un bel calidarium, un sorta di sauna ante litteram.

Casa Museo Giuseppe Carboni

Campanini-Carboni è un binomio ben noto a chi, nel suo cursus honorum, ha studiato latino. L’abbinamento di questi due cognomi sta a indicare gli autori di un celeberrimo dizionario di Latino che ha accompagnato intere generazioni di studenti, pubblicato ininterrottamente dalla casa editrice torinese Paravia nel 1911: Giuseppe Campanini e Giuseppe Carboni. A realizzarlo furono appunto due dei più grandi latinisti del recente passato, incontratisi a Roma nel loro peregrinare da insegnanti nei licei di mezza Italia. Carboni era nato a Ortezzano, in provincia di Fermo, il 5 agosto del 1856. Nel 2002, in concomitanza con l’ennesima ripubblicazione del dizionario, dal titolo il “Nuovissimo Campanini-Carboni”, nel borgo marchigiano viene organizzata in suo onore la prima edizione del “Certamen”, un concorso di portata internazionale di traduzioni dal Latino per giovani studenti. A oggi, a Ortezzano si può visitare la Casa-Museo Carboni, situata non lontano dalla Biblioteca pubblica ubicata nel Palazzo Comunale, dal 2012 intitolata al grande latinista.

Sagra della Castagna e del Tartufo Nero

Il Tartufo Nero di Bagnoli Irpino PAT e la Castagna di Montella IGP sono due delle eccellenze più rappresentative del territorio dell’Irpinia e del Parco dei Monti Picentini, giustamente celebrate dall’annuale Sagra della Castagna e del Tartufo Nero che si svolge a Bagnoli Irpino nel periodo autunnale.

Tartufo e castagna, accompagnati da funghi e prodotti caseari, fra cui spicca il pecorino bagnolese a base di latte di pecore autoctone, fanno di questa Sagra un appuntamento fra i più attesi, popolato da circa un centinaio di stand distribuiti per le vie del borgo.

Spettacoli, concerti di musica popolare e danze folkloristiche completano il calendario, cui si aggiungono visite guidate ai siti di interesse nella zona. Un’occasione da non perdere per una full immersion in cultura, storia, arte ed enogastronomia dell’Irpinia.

Museo della Lingua Greco-Calabra Gerhard Rohlfs

Gerhard Rohlfs è lo studioso tedesco che, fin dal 1924, sostenne l’origine magnogreca della lingua locale di Bova, in provincia di Reggio Calabria. A lui e alla sua opera di fine ricercatore è dedicato il Museo della Lingua Greco-Calabra Gerhard Rohlfs che oggi fa da principale attrazione nel borgo reggino. Nato grazie alla sinergia fra Parco Nazionale d’Aspromonte ed enti pubblici territoriali per la valorizzazione e la tutela del patrimonio culturale della minoranza storico-linguistica dei Greci di Calabria, il museo porta alla ribalta una realtà poco nota ma di grande spessore culturale, attraverso opere e progetti creati ad hoc.
Nominato dal Ministero per il Turismo “Comune gioiello d’Italia” e parte dei “Borghi più belli d’Italia”, Bova è inoltre animato da numerosi eventi, che in autunno culminano nelle Giornate Fai della “Giudecca di Bova”.

Abbazia di San Vittore delle Chiuse

Uno scheletro di ittiosauro è già una rarità, se in più è esposto all’interno di una chiesa è un unicum assoluto. Il fossile di questo rettile di ambiente marino dell’Era Mesozoica è il pezzo di maggior richiamo del Museo Speleo Paleontologico ed Archeologico allestito nell’Abbazia di San Vittore delle Chiuse. Siamo a Genga, all’imbocco della Gola di Frasassi che conduce alle celebri grotte, attrazione principale dell’entroterra anconetano. L’abbazia, un’imponente costruzione in pietra calcarea fondata fra il 1060 e il 1080, è una delle più importanti chiese in stile romanico delle Marche, dichiarata monumento nazionale nel 1902. Chiesa conventuale di un complesso benedettino noto fin dal 1007, ebbe il suo massimo splendore nel XIII secolo, periodo in cui governava su 42 chiese e su vasti beni e territori. Già duecento anni più tardi però l’abbazia veniva soppressa per poi essere ricostruita nel XIV-XV secolo. La struttura architettonica presenta pianta a croce greca iscritta in un quadrato, quattro colonne che dividono la chiesa in nove campate coperte da volte a crociera, e cinque absidi semicircolari lungo il perimetro.

Convento di Montefiorentino

Frontino è un borgo definito “il salotto del Montefeltro”. Il contesto naturalistico è dunque quello delle belle e dolci colline dell’entroterra di Pesaro e Urbino, dove si va a collocare uno dei luoghi legati alla memoria del passaggio di San Francesco nelle Marche, il Convento di Montefiorentino. Fondato nel 1213 dal “poverello di Assisi”, già qualche anno più tardi, nel 1248, veniva citato in una bolla papale per le indulgenze ai fedeli che avrebbero contribuito al suo restauro. A tutti gli effetti, per il suo generoso sviluppo architettonico articolato in più edifici e per gli oltre 10 ettari di proprietà che lo circondano è uno degli edifici sacri più grandi delle Marche. La Cappella dei Conti Oliva, realizzata nel 1484 su commissione del Conte Carlo Oliva e attribuita a Francesco De Simone Ferrucci da Fiesole, è considerata un vero capolavoro del Rinascimento, grazie alle linee architettoniche, ai pregiati sarcofagi marmorei, ai due inginocchiatoi intarsiati che nulla hanno da invidiare alla raffinatezza del celebre studiolo del Palazzo Ducale di Urbino. Al centro della cappella si può inoltre ammirare la Pala d’altare della Madonna col Bambino firmata Giovanni Santi, padre di Raffaello, di per sé oggetto di culto degli appassionati d’arte. Il Convento di Montefiorentino non smette di stupire, offrendo anche un antico organo, un coro in noce seicentesco, altri dipinti “minori” ma pur degni di nota e testi graduali e antifonari a stampa. Chiude la visita il Chiostro, strutturato in vari ambienti con volte a tutto sesto o a crociera.

Palazzo Ubaldini

La mostra “Albrecht Dürer. Incisioni e fortuna del Ducato di Urbino” è solo una delle preziose esposizioni d’arte realizzate di recente a Palazzo Ubaldini ad Apecchio, borgo medievale della provincia di Pesaro Urbino. Per secoli terra di transito, Apecchio è la summa di culture assai diverse fra loro: Piceni, Umbri e Celti, Etruschi e Romani, forieri di tradizioni rimaste scolpite nella pietra di monumenti antichi e nei costumi delle genti locali. Dal XIII secolo in poi, lo scenario di tutta la Vaccareccia – il territorio percorso dal fiume Biscubio – diventa invece dominio degli Ubaldini di Firenze, che appena fuori Apecchio realizzano
un imponente castello, oggi purtroppo andato perso. E’ nella metà del Quattrocento che invece si trasferiscono in paese, nella dimora del conte Ottaviano II Ubaldini, progettata da uno degli architetti più celebri dell’epoca, il senese Francesco di Giorgio Martini. Identificativo dell’edificio è il bel loggiato d’onore, formato da otto colonne sormontate da raffinati capitelli ionici e con al centro una neviera, e su cui guardano le stanze riccamente adorne del piano nobile.

Al piano terra è invece ricavato il Teatro Comunale “G. Perugini”, il più piccolo delle Marche con appena 42 posti fra platea e palchi, e la Sala di Musica, ambientata in quella che nel Rinascimento era l’aula di giustizia. La visita di Palazzo Ubaldini prosegue nel piano sotterraneo, dove trovano spazio scuderie e cantine, oggi sede del Museo dei Fossili e Minerali del Monte Nerone, che ospita una delle collezioni di ammoniti e materiale paleontologico vario più ricche e interessanti d’Europa. Dal sotterraneo si sale al piano nobile del palazzo, dove l’esposizione vira in ambito archeologico, mettendo in mostra reperti di varie epoche. Di fronte a Palazzo Ubaldini, sorge la pieve di San Martino, oggi santuario del SS. Crocifisso, dove da notare sono il Crocifisso ligneo del XVII secolo, alcuni dipinti del Seicento, tra i quali la “Madonna del Carmelo” attribuita a Giovan Giacomo Pandolfi, e un affresco battesimale attribuito a Giorgio Picchi.

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