Massa è un toponimo che in passato alludeva semplicemente a un’ “estesa proprietà fondiaria”. Quindi, la città toscana nei secoli mutò il suo nome a seconda di chi deteneva il potere in quel momento: Massa Lunense, quando fu di proprietà del vescovo di Luni, Massa del Marchese quando divenne terra dei Malaspina, e ancora Massa Cyba, dal nome dei loro successori, e infine Massa Ducale, nel momento dell’ammissione al Ducato di Modena.
Simbolo di Massa è il Castello Malaspina, imponente fortezza attualmente in fase di restauro, ma comunque aperto al pubblico, di cui si possono visitare i cortili, il mastino e i saloni del palazzo rinascimentale allestiti con mobili d’epoca parzialmente originali. Il progetto in fieri è quello di Si realizzare al suo interno un museo con reperti archeologici rinvenuti nella zona e datati dal Paleolitico all’età romana, oltre ai calchi delle celebri statue-stele della Lunigiana.
Museo Archeologico – Centro Documentazione e Studi sui Castelli. La dicitura integrale del museo che affaccia su Piazza Campo, cuore del borgo di Santa Severina, nel crotonese, è chiara: chiunque abbia interesse e curiosità su quel complesso sistema di fortilizi e manieri di cui le coste calabre sono disseminate, deve fare tappa qui, per approfondire tutto ciò che riguarda la loro costruzione, funzione e storia, in un arco che copre più di mille anni. Oltre a questa parte sugli “Studi sui Castelli” allestita nel bastione dell’Ospedale, si può poi visitare la sezione archeologica ambientata nelle sale ricavate nei bastioni del Settecento e dedicata ai piccoli e grandi centri abitati che popolarono la Valle del Neto dall’Età del Ferro all’Età Classica.
Un frammento di ceramica punica e un tesoretto di monete in rame e argento di età imperiale sono stati rinvenuti nei pressi del Nuraghe Voes. Ciò lascia intendere che questo monumento icona della civiltà nuragica, eretto fra il Bronzo medio e finale, ossia fra il 1600 e il 1000 a.C., fu abitato ininterrottamente per più di duemila anni. Ad oggi, dell’antica struttura complessa con bastione trilobato, è possibile visitare il piano inferiore della torre principale, ancora integro, e parte del secondo livello. L’agro di Nule, nel sassarese, è però prodigo anche di altre importanti tracce del passato: 18 nuraghi, alcuni circondati dai villaggi, tre Tombe di Giganti e il Villaggio Santu Lesei, luogo di ritrovamento del celebre bronzetto di Nule, una statuetta con corpo di toro e testa d’uomo custodita oggi nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari.
Complesso e bilobato. Si definisce così la struttura del Nuraghe Majore, situato in posizione sopraelevata nei pressi del Comune di Ittiri. Lo si raggiunge percorrendo la strada Monte Untulzu, fino alla località Musellos. Qui, i blocchi di trachite sono disposti in filari irregolari, a comporre due torri, fra cui una centrale alta circa 15 metri, e una secondaria, volta verso Est, di forma leggermente ellittica. Nonostante il passaggio di più di tremila anni di storia si faccia sentire, il Nuraghe Majore di Ittiri è considerato uno dei più importanti della provincia di Sassari, soprattutto per via della struttura in muratura isodoma – realizzata cioè con blocchi di pietra tutti delle stesse dimensioni – e di forma circolare, racchiusa nella torre secondaria, originariamente coperta a falsa cupola e utilizzata per cerimonie e rituali.
Il sito di Ittiri riporta però anche tracce di un’epoca ancora precedente, come evidenzia un
grande menhir in trachite, detto Sa Pedra Fichida, mentre tracce di muri rettilinei, sempre in grossi blocchi trachitici, rimandano al periodo della dominazione romana, lasciando intendere che in realtà l’area non fu mai abbandonata per secoli.
Sa Domu de su Re. La dimora del re. Per essere chiamato così, il Nuraghe Santu Antine di Torralba, in provincia di Sassari, doveva avere forma e dignità da reggia, che in parte conserva ancora. È infatti considerato uno dei gioielli dell’architettura protosarda, ossia di quei secoli cosiddetti dell’Età del Bronzo medio e dell’età del Ferro, compresi fra il XVI e il IX secolo a.C.. Mastio centrale e bastione trilobato con attorno un abitato di 14 capanne circolari e di edifici rettangolari di età romana: questo era un tempo e questo in parte è ancora visibile in loco e nelle sale dedicate del Museo della Valle dei Nuraghi nel Logudoro Meilogu, nel centro urbano di Torralba, dove hanno trovato giusto spazio i reperti delle varie campagne di scavo effettuate negli ultimi anni. Una curiosa serie di pani di bronzo, rinvenuta in una delle 14 capanne, è invece custodita nel Museo Sanna di Sassari.
Cosa ci fa uno ziqqurat mesopotamico in Sardegna? Di primo acchito, quando si arriva di fronte all’altare prenuragico di Monte d’Accoddi, nella campagna della Nurra, nel sassarese, è a questo che si pensa, ai molti rimandi architettonici a un modello lontano nel tempo e nello spazio che fanno di questo monumento un unicum in tutto il bacino del Mediterraneo occidentale. Molte le leggende nate attorno alle sue origini, risalenti a circa 5000 anni fa, fra cui quella che vuole l’edificio costruito da un principe-sacerdote fuggito dal Medio Oriente. Altro enigma quello della sua funzione, probabilmente religiosa: secondo alcuni studiosi si doveva trattare di un “villaggio-santuario” dedito allo svolgimento di riti legati alla fertilità.
Lungo la ‘vecchia’ statale 131, nel tratto tra Porto Torres e Sassari, appare la sua sagoma tronco-piramidale, con una lunga rampa di accesso. L’altare si erge nello stesso luogo di un precedente “Tempio Rosso”, forse distrutto da un incendio, di cui rimangono alcune tracce. Il “nuovo” tempio a gradoni è oggi circondato da un vasto villaggio nel quale si nota la “capanna dello stregone”, 1600 mq per 6 metri di altezza che si fanno scorgono anche a lunga distanza. Un richiamo a questo sito, con alcuni approfondimenti sulle varie teorie del caso, si trova nel Museo Archeologico Sanna di Sassari, dove sono custoditi i molti reperti rinvenuti in loco.
Sughere e lecci monumentali circondano il Parco Archeologico Nuraghe Appiu, situato
nelle campagne di Villanova Monteleone, ai piedi del Monte Cuccu, lungo la fascia costiera di Capo Marargiu e Capo Caccia. Aree naturalistiche protette che fanno da “barriera” al sito, che comprende il Nuraghe Appiu trilobato, in parte crollato ma con tre ampie stanze rimaste intatte, un villaggio di circa 200 capanne, un secondo nuraghe monotorre, una Tomba di Giganti e due dolmen di piccole dimensioni. Chi volesse prolungare la passeggiata, lungo i sentieri tracciati potrà socrgere anche i resti di
un circolo megalitico e di un tempio “a megaron”.
Pietre per affilare, macine, mortai, schegge di selce e ossidiana, falcetti in bronzo, vasellame, tegami, fusi e pesi da telaio sono solo alcuni dei reperti rinvenuti nelle capanne, che hanno permesso di attribuire a ciascun ambiente la sua originaria funzione, di bottega piuttosto che di abitazione privata, e di datare l’insediamento agli inizi dell’Età del Ferro, tra il X e IX secolo a.C.
Dall’alto dei suoi 250 metri, Cabu Abbas era una sorta di vedetta del Golfo e il porto di Olbia. Per questo, fra il 1300 e il 1200 a.C. fu scelto questo luogo per erigere una costruzione fortificata, nota oggi come Nuraghe Riu Mulinu. La torre centrale era circondata da una possente muraglia, peculiare per gli spuntoni rocciosi inglobati lungo il perimetro.
Il nuraghe è monotorre e ha forma circolare, per circa 8 metri di diametro, e presenta una sovrapposizione di blocchi di granito. Le passate campagne di scavo hanno riportato alla luce una fossa sacrificale con frammenti di ossa bruciate e reperti ceramici, e un bronzetto che raffigura una donna con un’anfora sulla testa, tassello prezioso che ha fatto immaginare come il sito di Riu Mulinu fosse un luogo destinato al culto dell’acqua e ai riti sacri.
Era il 1950 quando Amedeo Nazzari e Silvana Mangano girarono in Calabria il film drammatico Il brigante Musolino. Soggetto di Mario Monicelli e Steno, sceneggiatura di Mario Camerini ed Ennio De Comencini, produzione di Dino De Laurentiis e Carlo Ponti. Set, il borgo di Caccuri. Uno dei tanti dell’entroterra crotonese, uno dei quindici della Regione inseriti fra i “Borghi più belli d’Italia”, fra l’altopiano della Sila e il mar Ionio. Un dedalo di vicoli e stradine che sbucano tutti sulle “rughe”, le piazzette da sempre fulcro della vita sociale, e risalgono la china del promontorio fino al Castello, imponente maniero risalente al VI secolo che sovrasta i tetti del centro storico. Lungo il cammino, si fa sosta nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie e si ammira il rosone della Badia di Santa Maria del Soccorso, godendo qua e là di mirabili scorsi sulla vallata argentea di ulivi.
L’imprinting cultura del borgo ha ispirato anche la creazione del Premio Letterario Caccuri, giunto nel 2022 alla sua XI edizione e fondato dall’Accademia Dei Caccuriani, associazione di promozione sociale e culturale molto local ma che guarda oltre confine.
Se Caccuri è annoverato fra i “Borghi più belli d’Italia” presenti in Calabria, lo si deve a emergenze come la Chiesa di S. Maria del Soccorso (Miseris succurrentes) o della Riforma, il cui complesso comprende anche l’ex Convento dei Domenicani e la Cappella della Congregazione del Santissimo Rosario. Edificata nel periodo compreso tra il 1515 ed il 1520, ha una sola navata, con una cappella laterale dove si possono ammirare un meraviglioso altare barocco e la statua di S. Domenico. L’altare maggiore, con anima in gesso e a tutto tondo, divide la chiesa dal coro i cui pregevoli scanni risalgono al Seicento.