Fra le reliquie conservate nel Museo Parrocchiale della Chiesa di San Biagio a Serra San Bruno, Vibo Valentia, c’è anche un pezzo della Croce di Gesù. Pensare che una reliquia così importante per la storia della Cristianità sia conservata in un borgo abbarbicato sulle Serre calabre fa riflettere, ma soprattutto fa capire l’importanza avuta in passato da quella particolare realtà che fu la Certosa di Serra San Bruno e ciò che ne derivò.
La Chiesa di San Biagio, detta anche Chiesa Matrice perché considerata “madre” di tutte le chiese, fu costruita nel 1795 su progetto proprio di un architetto serrese, Biagio Sacarmuzzino, così come uno degli elementi decorativi fra i più belli e importanti, il pergamo ligneo, fu intagliato dall’ebanista serrese passato agli annali come “Patacchella”. Solo due dell’esercito di artigiani-artisti coinvolti nel grande cantiere certosino.
Archivi: Point of interest
A Point of Interest is a tourist attraction, a place of interest that tourists visit. For example: a museum, a park, a monument, a castle etc.
Santuario di Santa Maria Nel Bosco
Nel 1984, Papa Giovanni Paolo II percorse la lunga scalinata in granito che attraversa la foresta secolare di abeti bianchi e faggi di Serra San Bruno fino ad arrivare sul piazzale del Santuario di San Maria del bosco. Qui celebrò la Santa Messa davanti a una folla di fedeli e pellegrini giunti da ogni dove per assistere all’evento e venerare San Bruno. Un fenomeno iniziato circa mille anni fa, quando il monaco cristiano tedesco Bruno da Colonia giunse in questo angolo selvaggio di Calabria e fondò la seconda Certosa dell’Ordine certosino, a pochi minuti da qui.
L’attuale Santuario è ciò che deriva dalla ricostruzione fatta dopo il terremoto del 1783 dell’antica chiesa voluta da San Bruno affinché i suoi monaci, in questo luogo mistico permeato di silenzio, trovassero la giusta serenità per preghiera e contemplazione.
Sul lato opposto del piazzale si trova quello che la tradizione racconta essere il “dormitorio”, la nicchia scavata nella roccia dove il Santo si isolava in meditazione, ma che per certo è il suo luogo di sepoltura dal 6 ottobre 1101.
Castello di Stilo
Le leggende valgono per quello che sono, dei bellissimi racconti infarciti di colpi di scena e personaggi fantastici ma che a volte trovano riscontro nella realtà. Come nel caso della località Vinciguerra, presso il Castello di Stilo: secondo un racconto datato a più di dodici secoli fa, fu esattamente in questo punto che cadde una ricotta speciale scagliata dagli abitanti di Stilo asserragliati dentro le mura contro gli arabi invasori per far credere loro che nella cittadella c’era così tanto cibo da poterlo sprecare e da protrarre la battaglia ancora per mesi. In realtà, tale ricotta sarebbe stata fatta con il latte delle donne che avevano partorito da poco, ma l’inganno servì, tanto che gli arabi si ritirarono e il castello fu salvo. Vero o non vero, questo episodio, ambientato nel 982 d.C., narra in realtà di un maniero che ancora non esisteva, perché il Castello di Stilo, o semplicemente Castello Normanno, fu fatto costruire quasi un secolo più tardi da Ruggero II di Sicilia.
Delle varie opere di difesa che lo rendevano assolutamente inespugnabile se ne possono identificare ancora parecchie lungo il crinale del monte Consolino: a guardarle da lontano ricordano un po’ la Muraglia Cinese, da cui però si gode una superba vista fino a mare. Da Cattolica e nei pressi del cimitero di Stilo partono due sentieri di trekking che intersecano a tratti le mura e conducono fino al Castello.
Antiquarium Civico
Il territorio del borgo di Tiriolo, in provincia di Catanzaro, vanta un così ricco patrimonio storico-archeologico che per la sua giusta e necessaria valorizzazione è stato creato un progetto ad hoc, Tiriolo Antica, basato sul coinvolgimento della Comunità nella sua ideazione e progettazione. A farne parte sono il Parco Fortezza-Monte Tiriolo, il Parco Archeologico Urbano di Gianmartino e l’Antiquarium Civico. Istituito nel 1995, quest’ultimo ha ottenuto nel 2018 il riconoscimento di Museo Archeologico Regionale, in virtù dell’importanza dei suoi reperti. Il periodo compreso nell’iter espositivo va dal Neolitico alla preistoria, dall’età del bronzo all’età brettia, dal periodo greco-italico a quello romano. Fra le migliaia di reperti, merita una menzione la tomba monumentale brettia, datata al IV secolo a.C. e a forma di tempietto, un vero unicum nel suo genere.
Terme Romane di Forum Traiani
Fondorgianus, nell’oristanese, è il più importante sito archeologico termale di epoca romana della Sardegna. Ad attirare qui, sulla riva del fiume Tirso, lungo la costa occidentale dell’isola, i Romani e prima ancora le antiche popolazioni sarde prenuragiche furono le acque surgive benefiche che sgorgano a 54 gradi, come ricorda il toponimo locale Caddas (calde, appunto), definite in latino aquae ypsitanae. Fu lo stesso imperatore Traiano a ordinare la costruzione dello stabilimento ai margini del centro urbano di Forum Traiani, il grande mercato di scambio tra comunità della costa e del resto dell’isola. Il forum divenne così anche luogo di benessere e di aggregazione sociale. Ciò che rimane di quell’epoca d’oro è ancora qui da ammirare: un’architettura imponente, con porticato, sale e vasche che lasciano ben immaginare lo splendore “imperiale”.
Il tepidarium, al centro dell’impianto, aveva un tempo una volta a botte ed era circondato da porticati dove si sostava e riposava tra un bagno e l’altro. Ai lati, si trovavano le vasche di captazione e miscelazione e il Ninfeo, contornato da nicchie per l’esposizione di statue e cippi votivi, spazio sacro dedicato alle aquae calidae. Il circuito dei bagni caldi (calidaria) e il frigidarium con spogliatoi e spazi per il ristoro completavano il percorso.
Tanta ricchezza attirò anche un pubblico di personaggi abbienti, come testimoniano le molte strutture che nacquero attorno: abitazioni patrizie, “strutture ricettive” per visitatori, edifici pubblici civili e per i culti funerari. Oggi, gran parte di questi tesori giacciono ancora nel sottosuolo di Fordongianus, che in tanti punti del suo reticolato urbano mostra i segni delle antiche vestigia. La caduta dell’impero romano e la successiva costruzione di chiese, conventi e luoghi di culto nel Medioevo determinò l’abbandono delle Terme Romane di Forum Traiani.
Nelle vicinanze di Fordongianus c’è da visitare anche la Casa “Aragonese”, un edifico databile tra la fine del ‘500 e gli inizi del ‘600, interessante frutto della sovrapposizione di elementi architettonici e decorativi “internazionali”, importanti nel periodo della dominazione spagnola, come per esempio il portico anteriore, che apre su tredici stanze distribuite in due unità abitative. Sul retro della Casa Aragonese si sviluppano invece l’orto-giardino, la stalla e un ambiente adibito a ricovero dei carri agricoli. La singolarità di questa struttura è dimostrata anche da un accadimento: nel 1911, in Piazza d’Armi a Roma, nell’ambito delle mostre di etnografia italiana organizzate in occasione del cinquantennio dell’Unità d’Italia, fu realizzata l’esatta riproduzione di questa abitazione, considerata un vero unicum in Sardegna.
Area Archeologica di Tharros
A Cabras, nell’oristanese, ci si va per praticare escursionismo naturalistico nel grande stagno dove stanzia una colonia di fenicotteri rosa, ma anche per ammirare uno dei rari siti archeologici affacciati sullo splendido mare della Sardegna. Fondata sulla penisola del Sinis nell’VIII secolo a.C. e abbandonata nell’XI d.C., Tharros è stata nei secoli insediamento nuragico, emporio fenicio, fortezza cartaginese, urbs romana, capoluogo bizantino e capitale arborense. Oggi è un’Area Archeologica di grande fascino, delimitata da un lato dall’istmo di Capo San Marco e dall’altra dai colli della borgata di San Giovanni di Sinis e di su Murru Mannu. Proprio sulla sommità del colle si trovano i resti più antichi, quelli del villaggio nuragico abbandonato già prima dell’arrivo dei fenici. Tracce di nuraghi sono state rinvenute anche sul promontorio di San Marco e nei pressi della Torre di San Giovanni, mentre risalgono all’età punica due necropoli e un tophet, santuario cimiteriale con resti di neonati e animali sacrificati. Se qui i corpi erano incinerati, con l’arrivo dei Cartaginesi si iniziò a praticare l’inumazione, come attestato da alcune sepolture a fossa e tombe ‘”a camera” segnalate da steli con immagini delle divinità Baal Hammon e Tanit. E proprio dalle necropoli derivano la maggior parte dei reperti, quali manufatti dei corredi funebri composti da ceramiche, gioielli, amuleti, scarabei.
Sulla collina di San Giovanni era collocato il quartiere di Tharros cosiddetto di Montiferru, dove si concentravano le botteghe di fabbri e da cui partivano le mura difensive della città fortificata. La città, prima di cadere sotto il dominio romano nel 238 a.C., mostrava numerosi edifici civili e sacri, e fra quest’ultimi c’è il “tempio delle semicolonne doriche”, in parte smantellato in età imperiale per lasciare spazio a un nuovo santuario. Del tempietto K, costituito da portico e altare con cornice a gola egizia, si notino i due blocchi con incise lettere semitiche provenienti da un precedente edificio punico, e di ciò che era un suggestivo tempio tetrastilo affacciato sul mare le uniche due colonne rimaste in piedi, frutto di un passato tentativo di ricostruzione. Il cattivo stato di conservazione di tutti questi monumenti si deve in particolare a un fattore: a un certo punto, divennero la “cava” cui attingere gli elementi e i materiali architettonici per la costruzione della Chiesa di Santa Giusta.
In età imperiale, l’urbs assunse la classica configurazione ortogonale dovuta alla centuriatio, con un articolato sistema fognario e con strade a perpendicolo lastricate e imperniate su cardo e decumano. Nel III d.C., Tharros si arricchì di un acquedotto, il castellum aquae, e di tre impianti termali a ridosso del mare, che nell’alto Medioevo furono utilizzati come sepolture bizantine. Anche le aree funerarie furono modificate secondo l’uso dell’Antica Roma: tombe “alla cappuccina”, inumazione in anfore, mausolei, sarcofagi e così via. I ricchi corredi funebri, così come quanto era rimasto a lungo a decoro dei monumenti, fu depredato prima dai saraceni e poi, dal XVII secolo, dai cercatori di tesori. Per fortuna, parte di questo ingente “bottino” è finito al British Museum di Londra, parte nei musei archeologici di Cabras e Cagliari e nell’Antiquarium arborense di Oristano. Dall’800 in poi sono stati realizzati scavi scientifici, tuttora in corso, che non hanno mai smesso di aprire nuove finestre sul passato lungo e ricco di questa città dalla mille vite e volti.
Parco Archeologico Naturalistico di Santa Cristina
Al km 115 della S.S.131 dell’oristanese, all’altezza di Paulilatino, si fa tappa al Parco Archeologico – Naturalistico di Santa Cristina, 14 ettari di olivi secolari e macchia mediterranea dove si scorgono il pozzo sacro di Santa Cristina, considerato uno dei più importanti monumenti del patrimonio archeologico religioso della Sardegna nuragica, un interessante villaggio nuragico con nuraghe monotorre datato al XVI sec. a.C. e un villaggio di epoca cristiana. La tecnica edilizia del tempio a pozzo risale al XII sec. a.C., e come tale è uno dei più straordinari esempi di opera architettonica di quel periodo, composto da un vestibolo (dromos), un vano scala e una camera ipogeica a “tholos”. Il tutto circoscritto da una cinta muraria perimetrale (themenos), lambita dai resti del villaggio, in cui si emergere la “capanna delle riunioni”, con un sedile in pietra dall’andamento circolare.
Di forma circolare è anche il nuraghe Santa Cristina, alto circa 6 metri e con un breve corridoio che introduce nella camera principale, anch’essa tonda, coperta da una falsa cupola (tholos) perfettamente conservata. Attorno al nuraghe si sviluppa un vasto villaggio, frutto di una serie di sovrapposizioni di epoche diverse: due le capanne principale, una lunga 14 metri, integra, l’altra priva della copertura. La visita del Parco Archeologico – Naturalistico di Paulilatino comprende il santuario cristiano che ospita la piccola chiesa campestre di Santa Cristina, voluta dai Camaldolesi in epoca medioevale, che trova nella seconda domenica di maggio e nella quarta domenica di ottobre i suoi due momenti clou: il primo vede svolgersi le celebrazioni per la festa in onore di Santa Cristina, il secondo quella in onore dell’Arcangelo Raffaele.
Chiesetta di Piedigrotta
A guardarla da fuori sembrerebbe più una sorta di rimessa per barche abbandonata o quasi. Invece, una volta giunti in Località Madonnella, vicino a Pizzo, provincia di Vibo Valentia, ci si trova davanti a uno spettacolo tanto inatteso quanto unico nel suo genere. La chiesetta rupestre di Piedigrotta è indissolubilmente legata a una leggenda del Seicento secondo la quale, durante una tempesta, i marinai tutti napoletani a bordo di un veliero a rischio di naufragio fecero il voto che, in caso di salvezza, una volta giunti a terra avrebbero costruito una cappella dedicata alla Madonna. Il voto venne fatto davanti a un quadro della Madonna di Piedigrotta poco prima che il veliero si inabissasse, ma miracolosamente sia i marinai che il quadro arrivarono a terra sani e salvi, sospinti dalle onde insieme alla campana di bordo datata 1632. Così, i naufraghi mantennero la promessa, scavando una piccola cappella nella roccia.
Il luogo fu da subito oggetto di culto, ma fu solo verso il 1880 che iniziò a prendere l’aspetto attuale. Ci sono voluti circa 80 anni di lavoro, prima da parte di Angelo Barone e poi del figlio Alfonso, artisti locali che dedicarono ciascuno circa 40 anni della propria esistenza a scolpire, allargare, plasmare e dipingere la roccia, dando vita a uno dei tanti gioielli d’arte popolare scaturiti dal genio creativo dei calabresi. A oggi, Piedigrotta è una delle mete più visitate dell’intera Calabria.
Borgo di Rocca San Giovanni
Su una missiva del 1047 inviata dall’imperatore Enrico III al Monastero di San Giovanni in Venere si parla per la prima volta del borgo chietino di Rocca San Giovanni. Dapprima feudo di nobili famiglie longobardo-franche interessate alla colonizzazione monastica benedettina a partire dal VIII secolo, dall’XI al XVI secolo è rocca-rifugio della vicina abbazia benedettina, per poi diventare proprietà della congregazione di Filippo Neri di Roma e infine, nel XVIII secolo, del Regio Demanio. Inserito a buon diritto fra i “Borghi più belli d’Italia”, regala atmosfere d’altri tempi, in monumenti come la Chiesa di San Matteo Apostolo, in stile romanico e a tre navate, e il Palazzo Municipale del XIX secolo, di ispirazione classica, sede di un’interessante raccolta di opere d’arte. La passeggiata per le vie del centro non può mancare la sosta sulla terrazza panoramica, da cui lo sguardo spazia sulla verde vallata percorsa dal fiume Sandro e dal torrente Feltrino, fino a giungere alla costa adriatica. Qui, in località la “Foce”, tra l’antico borgo di Vallevò e Punta Torre, si stende un’ampia spiaggia, che insieme a quella del “Cavalluccio” è cuore della Costa dei Trabocchi. Entrambe vantano infatti un trabocco, attrattiva da non perdere, soprattutto nel caso in cui sia stato adattato a ristorante. Molti sono infatti i trabocchi che oggi offrono la possibilità di fare l’esperienza di un pranzo a base di pesce locale, con piatti della tradizione come la “palazzole”, composto da acciughe o sardine, mollica di pane, aglio, prezzemolo e olio extravergine di oliva.
In materia di buona tavola, Rocca San Giovanni è Città del Vino: due le cantine che producono vini Doc Montepulciano d’Abruzzo e Trebbiano d’Abruzzo. Non solo. Dalle distese di olivi della zona, a varietà “Gentile” di Chieti, deriva l’olio Dop Colline Teatine, un fruttato dai sentori erbacei e di colore verde oro. Ottima anche la varietà di arance locali, identificata con una denominazione inconfondibile, Costa dei Trabocchi.
Santuario di Sos Nurattolos e Nuraghe Boddò
Punta Senalonga, in provincia di Sassari, è una meta dove si concentrano numerosi luoghi di interesse storico-archeologico. In primis, il santuario di Sos Nurattolos, il sito più importante del territorio di Alà dei Sardi: databile tra 1600 e 900 a.C., è un complesso sacro dedicato al culto delle acque che si articola in tempio a megaron circolare ben conservato, e in una grande capanna, anch’essa circolare e dotata di stanza d’ingresso e di una camera. A poca distanza, con una piacevole passeggiata nella macchia mediterranea, si trovano poi il nuraghe Boddò e il villaggio nuragico di su Pedrighinosu.