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Villaggio di S’Urbale

Dal Villaggio di S’Urbale, situato nella regione del Mandrolisai, lo sguardo spazia sulla vallata del Lago Coghinadorza, sul Monte Marghine, il Monte Ballu e sulle colline che portano verso la valle del Tirso. Sono una cinquantina le capanne del sito ancora visibili, tutte con vani a pianta circolare, con filari di blocchi di granito locale appena sbozzati e copertura formata da pali e frasche, come nelle attuali “pinnettas” dei pastori, isolate dall’esterno da argilla e sughero.
Si trovano nella parte più alta del colle gli 11 vani scavati di recente, fra i meglio conservati del Villaggio di S’Urbale per via delle asperità del terreno che l’hanno reso non sfruttabile in agricoltura. Fra questi, spicca il “Vano F”: il diametro esterno misura 7,20 metri, lo spessore delle murature 0,90 metri, l’altezza residua 0,80. Il vano converge su un focolare di forma quadrangolare, attorno al quale, da uno strato di terra sciolta carboniosa ricchissima di argilla staccatasi dall’intonaco delle pareti e dal pavimento, sono emersi un centinaio di reperti e utensili da cucina: olle a collo, fornelli fittili, frammenti di ciotole carenate, pesi da telaio. Quanto ritrovato lascia pensare che la struttura sia risalente al IX sec. a.C.; le altre capanne del villaggio sono invece databili alle fasi iniziali della media età del Bronzo fino alla prima età del Ferro. Per meglio comprendere il contesto, presso il civico museo archeologico di Teti è stata fedelmente ricostruita una capanna con i suoi arredi.

Santuario Nuragico di Abini

Bisogna puntare verso l’entroterra più profondo della Sardegna per raggiungere il Santuario Nuragico di Abini, immerso nella macchia mediterranea, fra lentischi e olivastri che lambiscono il corso del fiume Taloro. Siamo nella regione del Mandrolisai, e questo villaggio-santuario è uno dei più famosi e importanti del periodo nuragico. Un pozzo sacro protetto da un recinto si staglia fra le numerose capanne, prevalentemente a pianta circolare e con copertura dei vani realizzata con pali e frasche. Alcune capanne hanno elementi distintivi come il bancone sedile lungo il perimetro interno e il bacile in posizione centrale; altre hanno restituito scorie di rame, tracce che dimostrano l’antica funzione di bottega del fabbro o fucina. L’assenza nel pozzo di vani tradizionali dell’architettura templare nuragica, come l’atrio e la scala, e la presenza invece di altri ambienti dotati di bancone-sedile, fanno ritenere che ad Abini la funzione sacra (o almeno pubblica) spettasse agli ambienti che lo circondavano.

Dal sottosuolo sono inoltre emersi molti reperti in bronzo che attestano le abilità metallurgiche delle popolazioni locali e il ruolo preponderante nella zona del villaggio-santuario: spade votive, pugnali, braccialetti, anelli, e, soprattutto, statuine modellate come arcieri, guerrieri, sacerdoti colti in preghiera ma anche esseri demoniaci con molti occhi e braccia di ancestrale memoria.

Area di Sa Carcaredda

L’Area di Sa Carcaredda si articola in una serie di monumenti, e precisamente un tempio, un villaggio e quattro tombe dei giganti. Situato in località “Funtana ‘e Binu”, non lontano dal lago dell’alto Flumendosa, il sito archeologico si colloca al confine tra l’Ogliastra e la Barbagia, in un territorio spesso sconosciuto anche agli habitué della Sardegna perché lontano dalle rotte turistiche. Il tempio è un raro esempio di struttura nuragica: una volta, al centro dell’edificio si ergeva il consueto focolare rituale realizzato con piccoli blocchi di calcare rivestiti da uno strato di argilla, cui si sovrapponevano altri blocchi di calcare, legati fra loro da grappe in piombo. Non mancano gli abbellimenti estetici: decorazioni incise che simulano un nuraghe quadrilobato caratterizzano la parte esterna, mentre bronzi votivi e strumenti d’uso quotidiano sono un regalo inaspettato del passato rinvenuto fortuitamente in scavi recenti.

Area di S’Arcu ‘e is Forros

Il culto degli antenati e delle divinità delle acque era l’elemento portante dell’Area sacra di Sa Carcaredda, come testimoniano gli straordinari reperti rinvenuti all’interno del tempietto circolare. Situato in località “Funtana ‘e Binu”, non lontano dal lago dell’alto Flumendosa, il sito archeologico offre la possibilità di scoprire un angolo si Sardegna pressoché sconosciuto, al confine fra Ogliastra e Barbagia. Esso si articola in una serie di monumenti, e precisamente un tempio, un villaggio e quattro tombe dei giganti.

Il tempio è un raro esempio di struttura nuragica: una volta, al centro dell’edificio si ergeva il consueto focolare rituale realizzato con piccoli blocchi di calcare rivestiti da uno strato di argilla, cui si sovrapponevano altri blocchi di calcare, legati fra loro da grappe in piombo. Non mancano gli abbellimenti estetici: decorazioni incise che simulano un nuraghe quadrilobato caratterizzano la parte esterna.

Nuraghe di S’Ortali ‘e Su Monti

La bella spiaggia di Orrì è quanto si può ammirare dal sito archeologico del Nuraghe di S’Ortali e Su Monti, sulla costa ogliastrina, nella Sardegna orientale. Il complesso comprende un nuraghe con mura e annesso villaggio, una tomba di giganti, tre menhir e una seconda cortina muraria. Pur essendo in pessime condizioni di conservazione, il nuraghe ha una torre con ingresso trapezoidale e architrave.
Nei dintorni, oltre il muro del nuraghe, sono state evidenziate numerose capanne, fra cui due circolari, con focolare centrale, attorno al quale sono riemersi materiali d’uso quotidiano, come ceramiche, macine e pestelli. Il sito conserva anche nove “siloi” per la conservazione di derrate alimentari, testimoniate da abbondanti resti di granaglie. A valle del rilievo su cui si trova l’area di S’Ortali e Su Monti c’è la tomba di giganti, datata intorno al 1500 a.C., con sepoltura e stele centinata, il tutto realizzato con blocchi di granito e di porfido poliedrici di medie dimensioni.
Lungo il pendio dell’insellatura si trovano tre menhir: il primo lungo 4,25 metri e largo 0,98, appuntito e fratturato in due tronconi; il secondo lungo 2,65 e largo 1,30, di tipo protoantropomorfo con forma ogivale e sezione piano-convessa; il terzo misura 3,60 metri di lunghezza e 0’98 di larghezza, anch’esso protoantropomorfo, di forma ogivale e con sezione piano-convessa schiacciata.

Complesso Nuragico Adoni

Nei dintorni del Comune di Villanova Tulo, provincia di Sud Sardegna, si trova il Complesso Nuragico di Adoni. La sua pianta complessa è resa in parte inagibile anche per la presenza di alberi secolari che impediscono l’ingresso ad alcuni ambienti, ma visitare l’area ha comunque il sapore di una piccola scoperta. Belle le torri angolari del nuraghe, all’interno di una delle quali sono stati rinvenuti reperti in bronzo e fittili di diversa funzione. Il pezzo più importante è sicuramente la bella brocca “oinochoe” che si rifà al modello etrusco e poi greco dei recipienti impiegati per servire il vino, tipologia assai diffusa in tutta la penisola italiana.

Il Porto di Otranto

La Baia dei Turchi è una delle spiagge più belle di Otranto, e già nel suo nome ricorda un passato tormentato da invasori. In quanto borgo più a est d’Italia, era definito “Porta d’Oriente”, e come tale ha sempre subito influssi culturali di ogni genere. Il centro storico deve il suo perfetto stato di conservazione alle mura e al possente Castello Aragonese, che sono valsi nel 2010 l’inserimento nel listing del Patrimonio dell’Umanità.

Da città di mare qual è, Otranto deve molto al suo porto, ancora oggi affollato di pescherecci e paranze che al mattino fanno rientro con un prezioso carico di pesce che va a rifornire di materia prima i molti ristoranti del centro e della costa. Il porto si presenta come un piccolo golfo, diviso dal molo di San Nicola a tre bracci banchinati e da numerosi pontili, attrezzati di tutto punto con quanto necessita per riprendere poi il mare in sicurezza e con la cambusa rifornita.

Una volta sbarcati, meritano una visita la Cattedrale di Santa Maria Annunziata celebre per il suo mosaico pavimentale con l’albero della vita, la Chiesa della Madonna dell’Altomare, il complesso rupestre di Torre Pinta e Punta Palascia, estrema propaggine della penisola italiana verso est.

 

Museo Archivio Giosue’ Carducci

Per un poeta, non c’è elemento più prezioso che il primo pensiero che ha ispirato una strofa, una rima. Pensieri appuntati spesso di getto, là dove poi sono diventati versi immortali.

Nel Museo Archivio Giosuè Carducci, a Castagneto Carducci, fra i cimeli appartenuti al poeta toscano ci sono anche molte bozze di poesie, soprattutto quelle legate al territorio natio tanto amato e decantato, che nel 1906, pochi mesi prima della sua morte, gli valsero il Premio Nobel per la letteratura, facendolo passare alla storia come il primo italiano in assoluto a vincerlo.

Il museo, inaugurato per il 75° anniversario dalla sua morte e poi rinnovato nel 2007 per il centenario, ripercorre la vita del poeta attraverso libri, riviste, materiale iconografico di persone e luoghi diventati per sempre “carducciani”.

Museo Naturalistico Archeologico “Paolo Barrasso”

Paolo Barrasso era un biologo del Corpo Forestale dello Stato, ma soprattutto un innamorato del suo territorio, l’Abruzzo, e in particolare della Majella. Per questo, nel 1986, il Centro Visitatori del Parco Nazionale della Majella è stato intitolato a lui e alla sua appassionata attività a tutela della natura di quest’oasi nel cuore dell’Italia. Il Centro nasce con lo scopo di illustrare alcuni degli aspetti più significativi del Parco Nazionale e tutti i diversi habitat, dai vasti pianori di alta quota attorno alla vetta del Monte Amaro (2793 metri) alle mughete, dalle estese faggete ai querceti, per un totale di oltre 2100 specie vegetali censite, che insieme rappresentano un terzo di tutta la flora nazionale. Qui a Caramanico, nota stazione termale, si trova dunque il Centro Visitatori, al cui interno è collocato il Museo Naturalistico-Archeologico, anch’esso intitolato a Paolo Barrasso, composto da numerose sezioni, fra cui la sezione geologica, archeologica e quella dedicata al Progetto Lontra. Molte le attività di didattica ambientale proposte, che ne fanno un importante punto di riferimento per la ricerca scientifica.

Borgo di Abbateggio

Si trova sempre un buon motivo per percorrere quei 40 km che da Pescara portano verso l’interno andare, fino ad Abbateggio, insignito della targa dei “Borghi più belli d’Italia”. Ci si va se si è appassionati di arte, archeologia, paleontologia e natura. Nel centro del borgo, per esempio, si visita la Parrocchia di San Lorenzo Martire, che il 10 agosto festeggia il Santo Patrono, prima tappa religiosa di un “tour” che prosegue col Santuario della Madonna dell’Elcina, luogo sacro legato alla leggenda di due pastorelli muti di Abbateggio, che qui videro un quadro che rappresentava la Madonna seduta su un albero con in braccio Gesù Bambino. La Signora avrebbe chiesto ai pastorelli di erigere la Chiesa su quel colle, e così fu, per poi essere riedificata nel 1927 sull’antica costruzione. Oggi il Santuario presenta una facciata in blocchi di pietra con un portale chiuso da una vetrata artistica con motivo in ferro battuto restaurato. Sull’altare maggiore è conservata la statua della Madonna in terracotta dipinta, del Quattrocento, e sotto l’altare un tronco di elce, traccia dell’antico albero sul quale apparve la Vergine. Illustra invece le architetture povere tipiche dell’ambiente agro-pastorale abruzzese l’Ecomuseo del Paleolitico – Villaggio Tholos, museo all’aperto con sei capanne ricostruite in pietra a secco, parte di un percorso didattico e conoscitivo che mette in evidenza come l’uomo e la natura hanno interagito nei secoli, a partire da 500.000 mila anni fa. Imperdibile per tutti la sosta alla celebre Cascata di Cusano, assaggio di ciò che sa regalare il Parco Nazionale della Majella.