Golf Montecatini Terme S.S.D.

Ostacoli d’acqua naturali, filari di alberi secolari e dolci colline creano fairways ideali e un percorso complesso e impegnativo quel tanto da fare del Golf Montecatini Terme uno dei tracciati più belli della Toscana e non solo. Situato a 40 minuti d’auto dalla nota e omonima destinazione termale, a 60 km da Firenze e a mezz’ora da Pistoia, ha un tracciato di quasi 6.000 metri, 18 buche par 72 molto mosso, con valloni, vegetazione d’alto fusto e qualche fuori limite non proprio alla portata di tutti.

Le buche più difficili e sfidanti sono la 3, un par 4 dog-leg a sinistra con acqua subito a destra e tre bunker in centro sul primo colpo; la 5, par 3 in discesa con lago a sinistra e fossato a destra; la 10, par 4 con impegnativa partenza sopra un lago. A disegnare questo percorso che piace ai player già con una certa esperienza è stato l’architetto Marco Croze, Senior Member dell’EIGCA (European Institute of Golf Corse Architects) e socio fondatore dell’ AIACG (Associazione Italiana Architetti di Campi di Golf).

Per chi vuole migliorare lo swing o approcciare per la prima volta questo sport può approfittare della Scuola di Golf – Head Pro Luca Flori e del Corso Club dei Giovani Golf Montecatini Terme riservato ai ragazzi fra i 6 e i 14 anni. Molto affascinante la Club House, ricavata in un edificio del X secolo, cui si aggiungono Pro shop, ristorante, piscina e area fitness e benessere a uso esclusivo di soci e ospiti della foresteria, con 9 camere allestite all’interno della storica Villa Galeotti con vista sul colle di Montevettolini e sulla Villa Medicea, Patrimonio Unesco. Servizi che fanno del Golf Montecatini Terme una meta per appassionati del green ma anche dei viaggiatori in cerca di relax e di una full immersion nella natura.

Parco Sommerso di Baia

Atlantide esiste e si trova a nord del Golfo di Napoli. Si tratta del Parco Sommerso di Baia, istituito nel 2002, che insieme a quello di Gaiola costituisce un sito archeologico-ambientale unico nel suo genere. Entrambi sono oggi inseriti nel più vasto contesto del Parco dei Campi Flegrei, caratterizzato dal fenomeno del bradisismo, che nel corso dei secoli ha più volte modificato il volto di tutta l’area facendo emergere o sprofondare di parecchi metri alcuni tratti di costa.

E’ il caso del sito di Baia, dove cinque metri sotto il livello del mare si nascondono i resti di una delle residenze antiche più ricche e prestigiose di tutta la “riviera” campana, luogo di villeggiatura per eccellenza nel periodo imperiale. Il Pausilypon, questo il nome della dimora da cui deriva anche quello del Promontorio di Posillipo, fu costruito dal ricco liberto Publio Vedio Pollione, che nel 15 a.C. lo lasciò in eredità niente meno che ad Augusto.

Il ninfeo di Punta Epitaffio, una sorta di sala banchetti, è uno degli ambienti meglio conservati, un tempo decorato da statue oggi conservate nel Museo Archeologico dei Campi Flegrei, dove l’ambiente è stato ricostruito. Lungo questo breve tratto di costa si trovano anche i resti di ben tre porti commerciali – Lacus Baianus, Portus Julius e Capo Miseno – testimonianza di uno stile di vita florido e vivace, così come la presenza in questi siti sommersi di mosaici, tracce di affreschi e sculture a decoro di residenze importanti.

Oltre al valore storico-archeologico di tali reperti, a rendere prezioso il Parco Sommerso di Baia è anche la presenza di ecosistemi sommersi di valore naturalistico rilevante, grazie a un fondale precoralligeno popolato da Posidonia oceanica, anemoni, stelle marine e branchi di castagnole.

Santuario di Montevergine

Nel cuore della provincia di Avellino, a Mercogliano, si erge il celebre complesso monastico mariano, un autentico simbolo dell’Italia meridionale: il Santuario Montevergine. Questo monumento nazionale rappresenta un’esperienza unica, includendo il Santuario, un’abbazia millenaria, una ricca biblioteca e un affascinante museo.
La storia del Santuario è intrecciata con la figura di San Guglielmo, un pellegrino dalla vita avventurosa che, dopo un periodo di riflessione, si ritirò in solitudine sul monte ora noto come Partenio. A oltre mille metri d’altitudine, costruì una modesta cella e visse un anno intero in contemplazione profonda, in armonia con la natura circostante, persino in compagnia di orsi e lupi, che parevano rispettare la sua presenza.
Sebbene la salita di San Guglielmo al monte Partenio risalga al 1118, la costruzione del Santuario ha inizio con la consacrazione della prima chiesa nel 1126. Questa chiesa, con dedicata alla Madonna, visse il suo massimo splendore tra il XII e il XIV secolo. Durante questo periodo, il Santuario si arricchì di numerose opere d’arte e divenne custode del dipinto della Madonna, venerato anche oggi nella cattedrale, insieme a numerose reliquie.
Un altro momento importante della storia della chiesa fu nel 1956 quando venne aperta una funicolare che collega il centro di Mercogliano al Santuario in soli 7 minuti, offrendo ai pellegrini una comoda alternativa alla strada, ripida e tortuosa.

L’architettura del Santuario si compone in Nuova e Antica Basilica. La Nuova Basilica, in stile romanico, presenta una pianta a tre navate, con un coro ligneo dietro l’altare principale e un soffitto a cassettoni decorato in oro zecchino. Il campanile, imponente e rivestito di granito bianco e grigio raggiunge un’altezza di circa 80 metri.

L’Antica Basilica si caratterizza per l’arte barocca, con decorazioni a stucco. All’interno si trovano la Cappella del Crocefisso e la Sala San Guglielmo, che ospita testimonianze di grazie e ex voto. Un altare del XVII secolo, con tarsi della scuola napoletana e influssi dell’arte araba, domina la Basilica, circondato da opere d’arte di notevole pregio.
La cripta di San Guglielmo accoglie il sarcofago contenente le spoglie del santo, impreziosito da raffigurazioni salienti della sua vita terrena e alcune reliquie raccolte nel corso degli anni.

Alla devozione della Madonna è legata la “Juta a Montevergine” che si svolge due volte all’anno e ha come protagonista la Madonna Nera di Montevergine, anche detta Mamma Schiavona. La “Juta” è il percorso in montagna per raggiungere il Santuario, all’interno del quale è custodita l’icona della Mamma Schiavona, oggetto di culto che richiama pellegrini da ogni parte d’Italia. La leggenda che si confonde con la realtà, in uno dei culti più seguiti nel sud Italia, ruota proprio attorno al misterioso quadro inserito nel complesso monastico realizzato da Montano D’Arezzo. La leggenda narra che la Madonna di Montevergine, unica nera di 7 sorelle (da qui l’appellativo Schiavona, cioè “straniera”), per il colore della sua pelle era considerata la più “brutta” e che per tale motivo, offesa, si rifugiò sul Monte Partenio. Nel tempo la Mamma Schiavona è diventata il simbolo di protezione degli ultimi, dei deboli, dei poveri e degli emarginati, diventando così la più bella delle sorelle, tanto da essere festeggiata due volte all’anno: il 2 febbraio, giorno della Candelora, e il 12 settembre, giorno di Santa Maria. Queste due date segnano rispettivamente l’apertura e la chiusura della festa delle sette Madonne che, come gran parte dei culti mariani, affonda le sue radici in arcaici riti precristiani legati al culto della Madre Terra e volti a propiziare un buon raccolto.
Nel giorno della Candelora, come già accennato, si compie anche uno degli eventi più suggestivi e caratteristici della tradizione campana: la juta a Montevergine dei femminielli.

Museo Civico di Summonte

Il pittoresco Comune di Summonte, inquadrato tra i gioielli italiani riconosciuti dall’associazione “I Borghi più belli d’Italia”, si posiziona con orgoglio come una gemma nascosta in mezzo a paesaggi mozzafiato.
Summonte vanta radici che si perdono nel tempo, testimoniando la sua storia attraverso i ruderi millenari del castello e la maestosa Torre Angioina. Da questa torre, lo sguardo si perde nell’ampio panorama del Parco Regionale del Partenio e persino del Golfo di Napoli, abbracciando una vista unica sul Santuario di Montevergine.

All’interno della Torre Angioina il Museo Civico di Summonte. Una serie di rilievi aerofotogrammetrici a raggi infrarossi, effettuati da esperti nel giugno del 1980, ha permesso di scoprire più informazioni sulla struttura preesistente al castello. Questa era dominata da una maestosa torre che, in passato, sovrintendeva all’intera zona. Elevata sui resti del castello originario, la torre ha preservato tracce della famiglia Malerba, che gestì il feudo normanno.
Recenti restauri hanno restituito l’antica gloria alla Torre Angioina, che in passato appariva come un rudere. Attualmente, la torre si eleva con eleganza su cinque piani, con pareti murarie restaurate e solai di legno ricostruiti, rispettando scrupolosamente le tecniche costruttive originali.
Lo spazio ospita una mostra permanente, con documenti che narrano la storia del territorio e le sue risorse naturali. Il Museo Civico di Summonte, suddiviso in due sezioni, affascina i visitatori con reperti archeologici e armamenti medievali. La sezione dedicata agli armamenti presenta riproduzioni di attrezzi utilizzati tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo, mentre la Torre stessa ospita reperti archeologici risalenti al XIII-XVII secolo.

All’esterno del castello, la “platea” è stata trasformata in una suggestiva cavea, un teatro all’aperto in cui si svolgono spettacoli teatrali, concerti di musica classica e presentazioni letterarie. Inoltre, un sentiero turistico attraverso l’antica cinta muraria offre una vista panoramica sulla montagna e il centro urbano, regalando un’esperienza visiva unica.

L’ingresso al complesso è possibile dal cancello di via Gelsi, alle spalle della Chiesa Madre San Nicola di Bari, nella suggestiva Piazza Gelsi.

Anfiteatro di Avella

L’anfiteatro di Avella costituisce uno dei siti archeologici di maggior rilevanza all’interno della città, accanto all’area archeologica della necropoli monumentale e al maestoso Castello di Avella, conosciuto anche come Castello di San Michele.

Il nome antico di questa città, Abella, sembra derivare dal termine “nux abellana”, in riferimento alle noci presenti in abbondanza nella zona, menzionate anche da Plinio il Vecchio. Situata lungo la via che collegava e collega ancora oggi la pianura campana con la valle del Sabato e il Sannio Irpino, Avella, pur essendo su una strada meno agevole rispetto alla celebre Via Appia, è stata da sempre un punto di passaggio importante. Le attività economiche erano varie, spaziando dalla coltivazione delle preziose noci Abellana alla sfruttamento delle risorse boschive e all’allevamento nelle zone collinari circostanti.

L’anfiteatro, costruito in opus reticulatum di tufo, richiama le maestose rovine di Pompei. Questo struttura, di ampie dimensioni, svolgeva anche il ruolo di sede per vari eventi culturali e poteva accogliere fino a 3000 persone. La sezione meridionale dell’anfiteatro poggia su robuste costruzioni a volta, mentre l’arena si trova al di sotto del livello circostante. Notevolmente conservati sono i due vomitorii principali lungo l’asse maggiore dell’ellisse (itinera magna), che presentano ambienti laterali. Inoltre, il podio che separava la curva dall’arena è stato restaurato e preserva intatta la sua struttura. I sedili in tufo dell’ima cavea sono interrotti da podii (tribunali) lungo l’asse minore. Nel periodo tardo imperiale, furono avviate costruzioni di stalle all’interno del podio, ma queste furono abbandonate a seguito degli eventi che portarono al collasso dell’Impero Romano d’Occidente.

L’ufficio turistico di Avella gestisce gli ingressi al sito archeologico e offre la possibilità di prenotare visite guidate con guide turistiche ufficiali della regione. Un biglietto unico consente l’accesso all’anfiteatro, ai monumenti funerari della necropoli e al Castello di Avella. Inoltre, il Comune mette a disposizione un servizio di navetta che collega questi tre importanti siti archeologici. Chi preferisce immergersi nella storia passeggiando, può esplorare il centro storico di Avella lungo il decumanus maximus, l’antica strada principale, dove si possono ammirare diverse chiese e antichi palazzi.

Avella è facilmente raggiungibile tramite la S.S. 7/bis e l’autostrada Napoli – Bari, grazie alla presenza dei caselli Nola – Baiano, oltre che dai treni e mezzi pubblici gestiti dalla circumvesuviana.

Castello di Avella

Il maestoso Castello di Avella, che si erge imponente su una collina lungo la parte orientale della pianura campana e affacciato sul fiume Clanio, racchiude in sé la storia di una roccaforte longobarda. Costruito nel VII secolo e dedicato all’arcangelo Michele, aveva il compito di sorvegliare il confine. Nel corso dei secoli, il castello subì vari attacchi, tra cui l’assalto saraceno nel 883.

Situato a un’altitudine di 320 metri sul livello del mare, il Castello di Avella fu edificato dai Longobardi nel VII secolo d.C. sui resti del tempio di Ercole. Questo primo insediamento potrebbe aver svolto la funzione di avamposto militare, contribuendo al controllo della strada tra Avellino e Benevento e alla difesa dal Ducato bizantino di Napoli. Nel corso dei secoli, il castello passò di mano tra diverse dinastie, tra cui i baroni di Avella di origine normanna, i Del Balzo, gli Orsini e i Doria del Carretto, fino a giungere nelle proprietà della famiglia Spinelli che nel 1533 restaurò la fortezza. La struttura fortificata presenta una forma trapezoidale con tre aree distinte disposte in modo quasi concentrico. La prima comprende il palatium Mastio, le cui murature interne realizzate con tufo e rari pezzi di calcare sagomato conservano tracce delle modifiche subite nel corso dei secoli. Un elemento caratteristico è la torre circolare situata nell’angolo sud-est del palatium, tipica dell’architettura angioina. Questa torre alta e slanciata serviva alla difesa dell’accesso principale. All’interno della torre, si trovano ambienti per la residenza e servizi, mentre la cisterna è al piano inferiore. Le seconde e terze aree sono costituite da due cinte murarie.

Nonostante la sua importanza come complesso medievale, solo recentemente il Castello di Avella è stato oggetto di esplorazioni sistematiche, grazie a finanziamenti destinati a creare un parco archeologico. Le indagini condotte tra il 2000 e il 2001 dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici delle province di Salerno, Avellino e Benevento si sono concentrate sulla rocca per definirne lo sviluppo planimetrico e stabilire una periodizzazione basata su stratigrafia delle fasi di occupazione.

Il Castello di Avella, gestito dal Comune di Avella, insieme all’Anfiteatro di Avella e ai Monumenti funebri della necropoli romana, rappresenta una delle principali attrazioni della città. È possibile acquistare un biglietto unico che consente l’accesso a questi tre siti archeologici, e richiedere una guida ufficiale della regione per una visita guidata. Inoltre, il comune mette a disposizione un servizio di navette che collega i siti principali. Il sito web del comune dispone di una guida ai siti archeologici in Lingua Italiana dei Segni (LIS).

L’ufficio turistico di Avella regola gli ingressi al sito archeologico e offre la possibilità di prenotare visite guidate con guide turistiche ufficiali della regione. Durante i mesi estivi, dall’inizio di giugno a settembre, è attivato il format “TRAMONTO ED APERITIVO AL CASTELLO”, che comprende incontri, visite guidate all’anfiteatro romano, al centro storico (Convento e Palazzo Baronale) e al Castello di Avella, seguite da un aperitivo con vista panoramica sul Vesuvio e sul tramonto.

Avella è facilmente raggiungibile attraverso la S.S. 7/bis e l’autostrada Napoli – Bari, grazie alla presenza dei caselli autostradali Nola – Baiano, oltre che dai treni e mezzi pubblici gestiti dalla circumvesuviana.

Necropoli Monumentale di Avella

L’antica città di Abella, il cui nome potrebbe derivare da “nux abellana,” la noce abbondante nella zona menzionata anche da Plinio il Vecchio, sorge lungo una strada che collega la pianura Campana con la valle del Sabato e il Sannio Irpino. Nonostante sia una via meno agevole rispetto alla Via Appia, questa strada è sempre trafficata fin da sempre. La coltivazione della preziosa nux Abellana, unita allo sfruttamento dei boschi e all’allevamento nelle zone collinari, costituiva una vera e propria fonte di ricchezza economica.
Lungo le strade che collegano l’antica Abella alle località circostanti, si ergono imponenti monumenti funerari romani. Questi mausolei, costruiti in opus incertum o reticolatum con inserti di laterizio, appartengono a tipologie architettoniche ben conosciute in altri centri della Campania antica. La necropoli monumentale, sviluppatasi tra la tarda età ellenistica e i primi anni dell’Impero Romano, si dispiega lungo una strada extra-urbana che si estendeva dalla città di Abella verso ovest, dirigendosi verso la pianura campana.
Il complesso, ora aperto al pubblico, include quattro mausolei funerari delimitati da recinti, costruiti con laterizio e pietra calcarea. Questi mausolei presentano una pianta quadrata con parti superiori cilindriche che terminano con cuspide o edicola. All’interno dei mausolei erano presenti letti tricliniari per i banchetti funebri. Particolarmente degna di nota è la tomba contrassegnata dal numero 88, la cui camera ipogea è stata rinvenuta ancora sigillata. Le tipologie architettoniche dei monumenti funebri di Avella si riscontrano in altre parti della Campania e costituiscono esempi preminenti di architettura funeraria romana.
La Necropoli Monumentale di Avella è gestita dal Comune di Avella e, unitamente all’Anfiteatro di Avella e al Castello di Avella, rappresenta uno dei principali siti archeologici della città. È possibile acquistare un unico biglietto per l’accesso a questi tre siti e richiedere l’assistenza di guide turistiche ufficiali della regione. Inoltre, il comune fornisce un servizio di navetta per collegare i principali siti archeologici. Nel sito web del comune, nella sezione “Avellartelis,” è disponibile una guida ai siti archeologici in Lingua Italiana dei Segni (LIS).
L’ufficio turistico di Avella regola gli ingressi alla Necropoli Monumentale e offre la possibilità di organizzare visite guidate con guide turistiche ufficiali della regione. Avella è facilmente raggiungibile attraverso la S.S. 7/bis e l’autostrada Napoli – Bari, grazie ai caselli autostradali Nola – Baiano, oltre che dai treni e mezzi pubblici gestiti dalla circumvesuviana.

Ponte “San Francesco di Paola” – Ponte di Calatrava

Con il nome di Ponte San Francesco di Paola si identificano due strutture sul Sud Italia: il celebre “ponte girevole” che dal 1887 è simbolo di Taranto, e dal 26 gennaio 2018 , il cosiddetto Ponte di Calatrava a Cosenza. Un’opera, quest’ultima, che ha contribuito a riqualificare il quartiere di Gergeri, una delle “porte” di accesso al centro storico cittadino, ridisegnandone il profilo grazie alla presenza degli immancabili stralli bianco candido che sono ormai il marchio di fabbrica dell’architetto spagnolo naturalizzato svizzero Santiago Calatrava.

Un progetto complesso, durato quasi una ventina d’anni, che però oggi regala a Cosenza un podio, poiché con i suoi 104 metri di altezza rappresenta il secondo ponte strallato più alto d’Europa. Quanto ai numeri, ecco gli altri che identificano quest’imponente opera ingegneristica in acciaio e cemento: 103 metri di lunghezza, 24 di larghezza, 800 tonnellate di peso per il pilone centrale, 52 metri di lunghezza per l’antenna inclinata di 52 gradi da cui si dipartono gli stralli.

Terme Sibarite

Con 2500 anni di attività alle spalle, le Terme Sibarite possono dire di godere di ottima salute. Fra le varie peculiarità vanto di questo complesso termale situato nei pressi del centro storico di Cassano allo Ionio, nel cosentino, c’è quella di accostare gli impianti moderni a quelli antichi, che si possono ammirare durante la visita del Parco e Museo Archeologico Nazionale della Sibaritide. Un’esperienza unica nel suo genere, che permette di immergersi totalmente in quella che doveva essere l’atmosfera edonistica ai tempi della Magna Grecia, quando la grande e florida Sibari era frequentata da personaggi di spicco, come Protagora, Erodoto e Ippodamo di Mileto.

Motore di questa industria del benessere è, oggi come ieri, un complesso di cinque sorgenti naturali, dette Appicello, Caldane, Stufe, Clocco e Trabucco, le cui acquee, con una temperatura costante a 25°C, si differenziano dalle altre per la presenza di idrogeno solforato di origine biologica. In altre parole, sono ipotermali, sulfuree, mediominerali, caratteristiche che permangono anche nei fanghi, ottenuti da particolari processi fitobiologici di maturazione delle vegetazioni di alghe.

Santuario Santa Maria delle Armi

Il 25 aprile, a Cerchiara di Calabria, borgo alle pendici del monte Sellaro, a 1015 metri di quota, oltre alla “Liberazione” si festeggia la Madonna delle Armi, figura legata alla presenza del Santuario di Santa Maria delle Armi, complesso monumentale di origine medievale con vista sulla pianura di Sibari e sul golfo di Taranto. La processione in onore della Madonna delle Armi, detta anche “Dei vinticinche”, si snoda lungo i sentieri montuosi tenendo come punto di partenza e ritorno proprio il Santuario. Il 25 aprile, numerosi devoti sostano nei boschi che circondano l’edificio, danzando al suono di caratteristici strumenti.

La nascita del Santuario in questo luogo è connessa all’antica leggenda della Sacra Pietra. Si narra che nel 1450 alcuni cacciatori di Rossano videro una cerva infilarsi in una piccola grotta del monte Sellaro. Nel tentativo di catturarla, i cacciatori la seguirono nella grotta ma al suo posto trovarono due icone lignee raffiguranti i Santi evangelisti. Prese le tavolette, le portarono in paese, ma qui le tavolette sparirono ripetutamente per essere poi ritrovate nella grotta. Si decise quindi di edificare una piccola cappella che le custodisse. Durante i lavori, un fabbro ruppe una pietra ovale che a suo parere disturbava la costruzione della cappella. La pietra si aprì in due, e da un lato apparve l’immagine della Madonna con il Bambino e dall’altra San Giovanni Battista. La prima è custodita gelosamente ancora in una cappella con marmi policromi all’interno della chiesa, l’altra fu trafugata e, secondo una tradizione, trasportata a Malta.

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