Tropea, Santuario di Santa Maria dell’Isola. In effetti, a guardarlo bene, il promontorio su cui sorge il monumento simbolo del borgo e ormai della Calabria intera, sembra proprio un lembo di terra a se stante, congiunto al centro abitato da un tratto del litorale tirrenico fra i più belli. Con ogni probabilità, questa “isola che non c’è” era già abitata nel VII-VIII secolo da alcuni eremiti, che apprezzavano la serenità del luogo, ideale per una vita contemplativa e ascetica.
Certo è che nell’XI secolo qui approdarono dei monaci basiliani, soppiantati poco dopo dai Benedettini. Questo avvenne attorno al 1060, quando il duca normanno Roberto Il Guiscardo sancì che dal rito greco si passava a quello latino, e con esso, che il possedimento del Santuario, secondo la formula “Sancta Maria de Tropea cum omnibus pertinentiis suis”, entrava nell’orbita dell’Abbazia di Montecassino, nel Lazio, che tuttora ne detiene la proprietà.
Fra leggenda e verità si colloca invece il racconto di una statua della Vergine portata qui dall’Oriente che avrebbe compiuto miracoli, ingenerando una sorta di pellegrinaggio al Santuario. Un fenomeno giunto ai giorni nostri, che, soprattutto in primavera ed estate, vede ancora migliaia di fedeli approdare all’”isola” per chiedere una grazia.
L’ultimo capitolo della quasi millenaria storia dell’Abbazia del Goleto, ossia del complesso della cittadella monastica del Santissimo Salvatore al Goleto, risale al 2021, anno in cui in questo rifugio dello spirito situato tra S. Angelo dei Lombardi e Rocca San Felice, in provincia di Avellino, si è insediata una fraternità presbiterale diocesana, che ogni giorno apre le porte a visitatori e pellegrini.
A fondarla fu nel 1133 Guglielmo da Vercelli, su un terreno ricevuto in dono da Ruggero, signore normanno della vicina Monticchio, il quale espresse il desiderio di creare una comunità mista di monaci e monache guidata da una badessa. E così fu. Il complesso comprendeva il monastero grande delle monache, a fianco dell’abside, e quello più piccolo dei monaci, davanti alla facciata. Grazie all’operato di abbadesse determinate come Febronia, Marina I e II, Agnese e Scolastica, la comunità crebbe e si arricchì di terreni e di opere d’arte. La torre Febronia, per esempio, è un vero capolavoro di arte romanica costruita con blocchi lapidei recuperati da un mausoleo romano, mentre la Cappella di San Luca, edificata nel 1255 per accogliere le reliquie del santo evangelista, è il gioiello dell’abbazia.
Già nel 1968, c’era qualcuno che parlava di relazione equilibrata fra umanità e biosfera. Lo si faceva all’Unesco, che in quell’anno istituì il programma MaB, incentrato sulle aree di ecosistemi marini e/o terrestri create appunto per promuovere la conservazione della diversità biologica e la salvaguardia dei valori culturali ed essa associati. In altre parole, per stimolare l’individuazione e la relativa protezione delle cosiddette Riserve della Biosfera. Per capire di cosa si tratta si può andare a Bientina, in provincia di Pisa, dove si trova la Riserva della Biosfera “Selva Pisana”.
Cuore di questa vasta area in provincia di Pisa, ampia circa 23.000 ettari, è la Tenuta di San Rossore, ex proprietà della Presidenza della Repubblica, di cui si può ancora ammirare la Villa del Gombo. Oltre a questa chicca dall’allure altisonante, il Parco comprende numerose altre zone intatte e splendidamente selvagge: la Macchia Lucchese, il Lago di Massaciuccoli e l’area lacustre oggi Oasi Lipu, le foreste di Tombolo e di Migliarino e le foci dell’Arno e del Serchio. Ci sono anche tre “enclave” extra parco, vale a dire le Secche della Meloria e gli scogli compresi tra Livorno e l’isola di Gorgona. Nell’insieme, si tratta quindi di un mosaico di paesaggi assai diversificati fra loro, che vanno dalle dune di sabbia litoranee alle grandi e verdissime pinete dell’entroterra, dagli acquitrini ai boschi rigogliosi di macchia mediterranea profumata, il tutto fra i Comuni di Pisa, Viareggio, San Giuliano Terme, Vecchiano, Massarosa e Livorno.
Il Castello di Santa Severina a Crotone è un perfetto esempio del concetto di stratificazione cronologica. Recenti scavi hanno infatti riportato alla luce resti d’età greca, di una chiesa e di una necropoli di epoca bizantina, il che farebbe pensare che qui, al posto della fortificazione voluta nell’XI secolo dal duca normanno Roberto Il Guiscardo, ci sarebbe stata l’acropoli dell’antica Siberene.
Unica certezza è che a oggi il Castello, detto anche Carafa, è una delle fortezze militari meglio conservate del Sud Italia, anche grazie al minuzioso restauro che fra il 1994 e il 1998 ne ha ripristinato l’antico aspetto: quattro torri cilindriche agli angoli di quattro bastioni sporgenti, il tutto innestato su un mastio quadrato. Simmetrie perfette e austere, da ammirare prima da fuori e poi dall’interno, dove hanno sede il Centro Documentazione Studi Castelli e Fortificazioni e l’Enoteca Valle del Neto, perfetta per degustare i vini della zona, magari durante un vernissage o dopo un concerto in una delle sale adibite a location di eventi.
Sveglia all’alba a Matera. E’ il 2 luglio ed è il giorno tanto atteso: che abbia inizio la Festa della Madonna della Bruna. La processione “dei pastori” sciama per le strade dei quartieri del Centro Storico per arrivare al cospetto del Quadro della Vergine. I “cavalieri”, in sella a cavalli bardati di fiori di carta e velluti, si radunano lungo le vie e intanto nella chiesa di Piccianello la statua di Maria Santissima viene issata sul carro trionfale e portata in processione per tutto il pomeriggio lungo le strade principali gremite di gente, fino ad arrivare in serata nel piazzale del Duomo dove si compiono i “tre giri”, allusione alla “presa” della città da parte della Santissima patrona. La statua, accompagnata dalla Curia Arcivescovile, è infine deposta in Cattedrale.
In questo caotico rito fra sacro e profano, l’opera da ammirare è il carro, frutto di un lavoro artigianale di mesi, che nonostante ciò, alla fine è assaltato e distrutto, per poi rinascere sotto una foggia diversa l’anno dopo.
La giornata prosegue in un susseguirsi di riti e tradizioni fino a tarda serata, quando a decretare la fine della festa è una gara di fuochi pirotecnici che creano uno scenario unico sugli antichi rioni dei Sassi, Patrimonio Mondiale dell’Umanità.
Nell’antichità, dove c’era un corso d’acqua, sorgeva una città destinata in genere alla prosperità. Nel suo piccolo, Metapontum – il cui toponimo significa “fra due fiumi” – non ha fatto eccezione. Anzi. Sorta fra i corsi del Bradano e del Basento, fu una delle “poleis” più floride della Magna Grecia e della costa ionica dell’odierna Basilicata.
Oggi, Metaponto è una frazione del comune di Bernalda, in provincia di Matera, meta turistica dalle numerose attrattive: in primis, il sito archeologico e il museo annesso, il cui simbolo sono le cosiddette Tavole Palatine, dodici colonne in stile dorico resti dell’imponente Tempio di Hera, e le memorie legate alla scuola del matematico Pitagora, che qui visse e morì nel 495 a.C., Poi ci sono le spiagge di sabbia dorata mai troppo affollate, le strade tortuose, i paesaggi brulli che a tratti cedono il passo a vaste aree di macchia mediterranea, a suggestive pinete e a campi di grano. E infine le masserie trasformate in agriturismi o aziende agricole dove fare soste ritempranti a base di prodotti e piatti tipici.
Con 550 posti barca ben attrezzati e distribuiti su due moli, il porto turistico di Maratea è un punto di riferimento per chiunque pratichi nautica da diporto lungo le coste tirreniche, e precisamente l’area del Golfo di Policastro. Fra il promontorio chiamato La Timpa, dove in epoca pre-romana sorse il primo abitato di Maratea, e la costa di Filocaio, si trova la spiaggia di Cala d’i Cent’ammari, caratterizzata da una secca naturale che l’ha resa per secoli un piccolo porto naturale. Poco distante è la volta della spiaggia di Cala Tunnara, detta anche Darsena, in corrispondenza del promontorio La Timpa. Chiude il golfo la spiaggia del Crivo, la più frequentata del Porto e, a causa della vicinanza allo scalo marittimo, oggi non più balneabile.
Architettura romanica e gotica italiana si fondono nella Basilica di Sant’Andrea di Vercelli, simbolo del capoluogo di provincia piemontese. Eretta per volontà del cardinale Guala Bicchieri fra il 1219 e il 1227, ha elementi che si ispirano a modelli architettonici cistercensi. Già la facciata merita la giusta attenzione, nel suo originale mix cormatico che
Accosta la pietra verde di Pralungo, la bionda calcarenite del Monferrato e il serpentino di Oria in Valsolda.
Una volta all’interno si scopre l’impianto a croce latina suddiviso in tre navate scandite da campate con volte a crociera costolonate e archi a sesto acuto. Il resto dell’edificio si presenta piuttosto spoglio, in sintonia con quella sobrietà tipica del romanico. Il chiostro adiacente alla basilica, che un tempo ospitava i canonici vittorini, accoglie il Piccolo Studio e l’Aula Magna dell’Università del Piemonte Orientale, allestiti negli spazi un tempo destinati rispettivamente alla Foresteria e al refettorio. La Sala Capitolare di epoca medievale merita invece una sosta contemplativa della Madonna col Bambino di Bernardino Lanino.
Le Sale del Baldacchino, di Loreto e di San Sebastiano e il Deambulatorio del duecentesco Duomo di Aversa sono i suggestivi ambienti che accolgono la ricca esposizione di oggetti e opere d’arte del Museo Diocesano. Due i nuclei che identificano il percorso: quello nel Deambulatorio, derivato da una mostra allestita nel 1990 dal titolo “La Cattedrale nella storia. Aversa 1090-1990. Nove secoli di arte”, che raccoglie reperti architettonici e scultorei, oltre che arredi liturgici e reliquiari presenti nel Duomo; e il nucleo delle altre tre sale, che vede fra i capolavori un trono per l’esposizione eucaristica in argento, alcune pergamene dell’XI secolo, il reliquiario della Sacra Spina e sette tavole quattrocentesche dell’artista partenopeo Angiolillo Arcuccio. Il percorso offre uno spaccato unico dell’epoca compresa fra l’XI e il XII secolo, quel periodo normanno che tanti sviluppi e mutamenti storici portò nel Sud Italia.
Realtà unica quella dell’Arcipelago delle Isole Tremiti, localizzata a circa 12 miglia a Nord del promontorio del Gargano, frammentata in tre isole maggiori – San Domino, San Nicola e Caprara – un isolotto denominato Cretaccio cui si aggiunge Pianosa, la più romita dalla costa, a 30 miglia dalla Puglia continentale.
Un piccolo paradiso per appena 500 abitanti stanziali, che in estate diventano svariate migliaia grazie a un pubblico internazionale che ha imparato a conoscerne e apprezzarne le molte bellezze naturalistiche, racchiuse dentro 3 kmq di superficie e 20 km di perimetro costiero lambito da un mare fra i più belli e cristallini dell’Adriatico. Un patrimonio floro-faunistico che rimane intatto grazie alla creazione nel 1989 della Riserva Naturale marina Isole Tremiti. In più, una volta a terra, si scoprono tesori architettonici come l’Abbazia di Santa Maria a Mare, sull’Isola di San Nicola, monumento protoromanico datato al 1045 che assomma in sé elementi di cultura bizantina e mediterranea.