Castello Murat

Una storia intensa quella passata fra le mura del Castello Murat a Pizzo Calabro, in provincia di Vibo Valentia e a un centinaio di chilometri da Reggio di Calabria. A cominciare dalla fine del ‘300, quando gli Angioini ordinano la realizzazione di una serie di torri di avvistamento e difensive lungo tutta la costa calabra e oltre, erigendo fra le altre la Torre Mastia situata sul promontorio di Pizzo, a ridosso del mare.

Un prodromo di ciò che accade nel 1480, quando tale costruzione viene ampliata fino a diventare il castello che oggi vediamo. Il capitolo più avvincente è però quello dedicato alla morte di Gioacchino Murat, Re di Napoli, che nel 1815 trascorre qui gli ultimi giorni della sua esistenza, fino alla morte per fucilazione. La visita al maniero ripercorre quei tragici momenti, partendo dalle celle nei sotterranei dove viene rinchiuso, al primo piano dove è sottoposto a un processo sommario, salendo poi al secondo piano dove Murat si confessa prima di essere giustiziato. Eroici sono i suoi ultimi attimi, quando guardando negli occhi gli uomini del plotone di esecuzione, pronuncia parole rimaste negli annali, “mirate al petto, non al viso”. Una storia umana che ha in parte anche deciso le sorti di un popolo, quello del Regno di Napoli, e di un luogo, dichiarato già nel 1892 Monumento Nazionale.

Sagra di San Nicola

La Festa di San Nicola di Bari si articola in vari momenti, da quello solenne del ricordo della Traslazione da Myra a Bari mediante un Corteo Storico, al pellegrinaggio lungo le vie di Bari vecchia, fino alla Sagra del 10 maggio. Per comprendere lo spirito che anima la città e i suoi cittadini in questa solenne occasione, bisogna andarci fra il 7 e il 10 maggio, quattro giorni in cui tutto si ferma, in nome del patrono San Nicola di Bari.

In realtà, San Nicola era nativo di Myra – che nel 270 d.C. era greca, mentre oggi è in territorio turco – dove trascorse gran parte della sua esistenza, diventandone vescovo e morendovi il 6 dicembre 343. Circa sette secoli più tardi, e precisamente fra il 7 e il 10 maggio 1087, parte delle sue reliquie furono portate a Bari da una flotta di 62 marinai nel tentativo di metterle in salvo dai saccheggi dei musulmani, e le restanti ossa presero invece la direzione di Venezia. In entrambe le città, fu eretto un luogo di culto dedicato al santo, e in particolare, la Basilica di San Nicola a Bari fu consacrata da Papa Urbano II in persona. Da allora, a maggio e a dicembre si ricordano la sua figura e le suo opere benevole, legate a numerose leggende.

Museo della Certosa di Serra San Bruno

Bussare alla porta del Museo della Certosa di Serra San Bruno è come chiedere l’accesso a un mondo per secoli tenuto volutamente nascosto, ma che qui, in questo paesino sulle montagne nell’entroterra di Vibo Valentia, lascia uno spiraglio di apertura verso chi vuole guardare con occhio attento a una delle comunità religiose più importanti della storia della Chiesa.

La Certosa è la più antica e una delle tre ancora attive in Italia, la seconda in assoluto per longevità dopo quella di Chartreuse, e una delle 23 nel mondo, tutte fondate o generate dall’opera del monaco cristiano tedesco Bruno da Colonia, “padre” dell’Ordine certosino.

Se la Certosa in sé è custode dei numerosi capolavori d’arte prodotti in nove secoli dai monaci certosini, le ventidue sale del percorso museale ricavato attorno al chiostro illustrano la vita del Santo, la nascita e l’evoluzione del suo Ordine monastico, la storia della Certosa e del vicino Eremo di Santa Maria della Torre, la Regola e le consuetudini che da quasi mille anni scandiscono le giornate dei monaci, giungendo all’ultima “tappa”, una piccola cappella ricavata nella torre del ‘500 accanto all’ingresso, perfetto rifugio per un momento di riflessione e preghiera.

Menzione e visita a parte merita la biblioteca, dove ci si immerge fra centinaia di incunaboli e documenti manoscritti che raccontano l’arte e la passione con cui i certosini hanno sempre guardato alla produzione dei libri. Infatti, appena inventata la stampa, molti adepti dell’Ordine divennero stampatori e si distinsero, oltre che come tipografi, editori e traduttori, anche come scrittori. Fra costoro, anche Guigo I, monaco dell’inizio del XII secolo, che scriveva: “non potendo predicare la Parola di Dio con le labbra, noi la predichiamo con le mani”.

Riserva Naturale Regionale “Valli Cupe”

Cascate, canyon, gole, monoliti, paesaggi incontaminati. Non c’è che dire, la Riserva Naturale Regionale delle Valli Cupe ha i numeri per essere una destinazione amata dagli appassionati di outdoor e natura allo stato puro, come attestato da Legambiente che l’ha definita una delle aree più interessanti del Sud Italia. Dunque, si punta sulla zona della Presila catanzarese, ai piedi dell’altopiano silano, là dove le Valli Cupe concentrano alcuni dei siti naturalistici più affascinanti e suggestivi dell’intera Calabria. La biodiversità, il ricco patrimonio floro-faunistico, le viste mozzafiato su dirupi e rilievi, i panorami a perdita d’occhio e i numerosi alberi monumentali fanno di questa Riserva nelle vicinanze del Monte Gariglione un locus amoenus da esplorare in libertà, ma il consiglio è quello di farlo al seguito di visite esperte che conoscono bene il territorio e soprattutto l’andamento delle piene dei vari corsi d’acqua.

Palazzo Arezzo

Dalle macerie del terremoto del 1693, Ragusa e le città della Sicilia Orientale sono poco a poco risorte, con una nuova veste che le ha trasformate in veri e propri gioielli architettonici, che nella sola “Isola Barocca” di Ragusa conta ben 18 monumenti inseriti nel listing del Patrimonio dell’Unesco.

Fra le emergenze da non perdere del Centro Storico c’è Palazzo Arezzo di Trifiletti, completato a metà dell’800, tra Piazza Duomo e Corso XXV Aprile, di fronte al Circolo di Conversazione e al Teatro Donnafugata annesso all’omonimo Palazzo.

La visita regala il privilegio di ritrovarsi immersi in atmosfere autentiche, vissute ma intatte, che trasmettono l’orgoglio di chi custodisce 900 anni di storia di una delle più nobili famiglie siciliane e due secoli di arte racchiusa in queste stanze.

Ambienti ricchi di opere d’arte, arredi e memorabilia di varie epoche, che oggi fanno da sfondo a set di servizi fotografici, eventi, matrimoni, cene di gala dal sapore “gattopardesco”.

Sacro Monte di Oropa

Guardando la spianata su cui sorge il Santuario di Oropa, circondato dalla corona delle Alpi Biellesi, non resta che pensare che è semplicemente grandioso. Il più importante e vasto santuario delle Alpi, dal 2003 dichiarato Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco insieme al sistema di Sacri Monti di Piemonte e Lombardia, richiederebbe una giornata intera per essere visitato a dovere: si compone infatti di una serie di edifici, costruiti nel corso di secoli a partire probabilmente dal IV d.C. per volere di Sant’Eusebio, primo vescovo di Vercelli e del Piemonte. Le prime notizie certe si hanno invece nel 1207, quando in una Bolla papale si fa riferimento a due chiese in quei di Oropa, risalenti all’VIII secolo. Fu poi dal Quattrocento che le famiglie biellesi iniziarono a costruire case private per ospitare i numerosi pellegrini che giungevano qui per venerare la Madonna Nera. La maggior parte di ciò che vediamo oggi è invece frutto della devozione di Casa Savoia, che a partire dalla metà del XVII secolo mise a disposizione i suoi più grandi architetti – l’Arduzzi, lo Juvarra e il Guarini – per rendere spettacolare il Santuario. E ci riuscirono di certo. Nel complesso si distinguono pertanto la Basilica Antica del Seicento, che al suo interno custodisce il sacello eusebiano decorato da preziosi affreschi del Trecento e la statua della Madonna Nera, realizzata nel Duecento in legno di cirmolo da uno scultore valdostano; la Basilica Superiore (o Chiesa Nuova), la cui realizzazione richiese più di un secolo di lavori. Iniziata nel 1885, fu portata avanti nonostante le due guerre, per essere infine consacrata nel 1960. Di questo edificio, si notano soprattutto le dimensioni mastodontiche della cupola che dominano tutta la valle: 33 metri di diametro per 80 metri di altezza. Ma non è finita. Il Santuario comprende anche le 12 cappelle del Sacro Monte di Oropa, popolate di statue di terracotta policroma dedicate alla storia della vita di Maria. Costruito tra il 1620 e il 1720, richiese la collaborazione di alcuni dei più grandi artisti dell’epoca, che insieme realizzarono un vero e proprio paesaggio sacralizzato.

Museo Archeologico Nazionale di Taranto

Basterebbe la cosiddetta collezione degli Ori di Taranto per giustificare il viaggio nella “città dei due mari” e la visita al Museo Archeologico Nazionale di Taranto. Si tratta infatti di una copiosa raccolta di gioielli comprendente anelli, orecchini, bracciali e corona di epoca ellenistica e romana, che contribuisce a fare del MArTa uno dei più importanti d’Italia, dal 2014 annoverato fra i 20 del Paese con autonomia speciale.

Anno di fondazione del museo, il 1887, data che segna per il capoluogo pugliese la realizzazione del Borgo Umbertino, conseguente all’urbanizzazione della zona a est del Canale Navigabile. Lunga e articolata la storia dell’edificio risalente alla fine del Settecento, poi rimaneggiato nel 1903 per il rifacimento della facciata, e ancora fra il 1935 e il 1941 per l’aggiunta di una nuova ala. Ultimo restyling, fra il 1998 e il 2016, anno in cui prende forma il percorso museale attuale, che in una sequenza cronologica progressiva conduce dalla Preistoria all’Alto Medioevo.

Villa Romana di Casignana

Fino al 1963, la località di Casignana, a circa 85 km da Reggio di Calabria, era pressoché sconosciuta. A portarla agli onori delle cronache è stato il fortunoso ritrovamento di una sontuosa Villa Romana, risalente al I secolo a.C. Le caratteristiche architettoniche, il fasto degli ambienti e, soprattutto, i raffinati mosaici dei pavimenti hanno fatto pensare alla residenza di una famiglia patrizia molto importante nella zona, con ogni probabilità legata all’attività vinicola. Fra le parti riemerse, oltre a una cisterna e a una fontana monumentale, c’è anche un impianto termale, composto come da regola aurea da frigidarium, tepidarium, caldarium.

Meritano un cenno in più i mosaici, che evocano tecniche e soggetti musivi tipici del Nord Africa, fra cui spicca quello della “sala delle Nereidi” (datato al III secolo d.C.), in cui si distinguono un corteo marino composta da quattro Nereidi in groppa ad altrettanti mostri con fattezze di leone, tigre, cavallo e toro.

Parco Naturale Regionale Costa Otranto – Santa Maria di Leuca e Bosco di Tricase

Fra gli obiettivi del Parco Naturale Regionale Costa Otranto – Santa Maria di Leuca – Bosco Tricase, ci sono lo sviluppo eco-sostenibile e la tutela della biodiversità di un’area che comprende ben 12 comuni del Salento (Alessano, Andrano, Castrignano del Capo, Castro, Corsano, Diso, Gagliano del Capo, Ortelle, Otranto, Santa Cesarea Terme, Tiggiano e Tricase). Un percorso che, correndo lungo la litoranea per 57 km, conduce da Santa Maria di Leuca, limite meridionale della penisola, al punto più orientale d’Italia, il faro di Punta Palascìa a Otranto, con un’estensione totale che raggiunge i 3227 ettari e fa tappa anche in siti di interesse culturale e architettonico oltre che naturalistico.

Camminando su sentieri a strapiombo su un mare cristallino, dove i fenomeni carsici ed erosivi hanno aperto un gran numero di grotte e anfratti più o meno sommersi ed esplorabili, si incontrano le antiche “vie del sale” e ci si imbatte in specie botaniche endemiche di rara bellezza, quali il Garofanino Salentino, il Fiordaliso di Leuca, il Fiordaliso Nobile e il Veccia di Giacomini. Quanto alla fauna, con un po’ di attenzione si avvistano gheppi, poiane e falchi pellegrini. Molte anche le emergenze antropiche da notare: nella grotta Zinzulusa e nella grotta dei Cervi sono state rinvenute tracce di resti paleolitici e neolitici, mentre lungo i sentieri si può scorrere tutto il multiforme “campionario” di architetture rurali pugliesi, dalle semplici pajare, realizzate con la tecnica del muretto a secco, alle masserie fortificate di impronta medievale o barocca, a un’infinità di torri di guarda rimaste a memoria del passaggio di invasori di ogni provenienza.

Parco Nazionale del Pollino

Lo chiamano “Giardino degli Dei”, in quanto “santuario” di una specie arborea rara e preziosa, il Pino Loricato. Siamo sulla cima di Serra di Crispo, in provincia di Potenza, nel Parco Nazionale del Pollino, la più grande area protetta d’Italia, di cui questa particolarissima specie di pino è simbolo e vita.

Istituito nel 1993, il Parco si sviluppa tra le vette del Dolcedorme e di Cozzo del Pellegrino, lungo il massiccio montuoso calabro-lucano del Pollino e dell’Orsomarso, ed è stato di recente inserito nel listing dei Geoparchi dell’Unesco come Patrimonio dell’Umanità, in virtù proprio di flora e fauna endemiche da tutelare. Dalle sue vette alte fino a 2.200 metri si possono vedere non uno ma ben due mari: da una parte la costa tirrenica di Maratea, Praia a Mare e Belvedere Marittimo e a est il litorale ionico da Sibari a Metaponto.

Benché sia la natura a fare da padrona da queste parti, non mancano gli spunti storico-archeologici, e persino preistorici, come per esempio nella Grotta-Riparo del Romito, o in quella di Sant’Angelo, con una graziosa chiesa ipogea del V-VI sec. d.C., o ancora nei borghi di Mormanno e Civita, fermi al Medioevo. Per non farsi mancare nulla, c’è anche il tocco di “esotico” in più, dato dalle comunità di cultura Arbëreshe, presenti sul territorio dal 1470.

Alcuni nuclei provenienti dall’Albania si rifugiarono qui per sfuggire alle milizie turche, rimanendo fedeli alle loro tradizioni e alla loro lingua, parlata ancora oggi, e fondando paesi come Acquaformosa, Civita, S. Basile, Lungro, Plataci, Frascineto, S. Costantino Albanese e S. Paolo Albanese.

La comunità albanese presente nel Pollino è fra le più radicate d’Italia: a Civita e a S. Paolo Albanese, si trovano i Musei della Civiltà Arbëreshe dove sono conservati numerosi oggetti, attrezzi e costumi tipici. Di grande interesse religioso sono le funzioni di rito greco-bizantino e le Vallje, le particolari danze che gli Arbëreshë intrecciano uniti l’un l’altro attraverso un fazzoletto.

Il Parco Nazionale del Pollino è anche habitat di numerose specie faunistiche, che con un po’ di fortuna si possono incontrare praticando escursionismo: lupo appenninico, cinghiali e caprioli, scoiattoli, istrici e lontre, ma anche picchi, gufi e aquile reali, falchi pellegrini e gheppi. In epoche remotissime, su queste distese si aggiravano anche pachidermi, come testimoniato da fossili risalenti a decine di migliaia di anni fa, vedi lo scheletro di “Elepfhans antiquus italicus”, alto quattro metri e vissuto circa settecentomila anni fa, rinvenuto nelle Valli del Mercure e attualmente custodito nel Museo Naturalistico e Paleontologico di Rotonda, sede del Parco.

 

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