Basilica di San Valentino

Attorno alla figura di San Valentino sono nate e fiorite numerose leggende, alcune legate a guarigioni miracolose, altre connesse a riappacificamenti di coppie di fidanzati in lite. Nato a Terni nel IV secolo d.C., Valentino fu il primo vescovo della città umbra, martirizzato per decapitazione la notte del 14 febbraio 347 sul luogo dove, poco dopo, sorse la Basilica a lui dedicata.

Da lì, in memoria delle sue opere benefiche verso malati e fidanzati, il suo “dies natalis” è stato consacrato a Festa degli Innamorati, celebrato in tutto il mondo con il gesto simbolico di un dono floreale. Tale usanza avrebbe un’origine precisa: si dice che Valentino avrebbe infatti offerto un fiore a una coppia, che grazie alla Rosa della Riconciliazione sarebbe tornata serena.

All’interno della Basilica, rivista più volte nel corso dei secoli fino ad assumere l’attuale aspetto in stile barocco, sono conservate le reliquie del Vescovo Martire. Molti i visitatori illustri che vi hanno fatto tappa nel corso dei secoli: nel 742 l’edificio fu scelto come sede dello storico incontro fra il re longobardo Liutprando e Papa Zaccaria, proprio in virtù della presenza della salma del santo che si diceva avesse proprietà taumaturgiche.

Nel 1626 vi fece invece sosta Leopoldo V d’Austria, che in seguito fece costruire un nuovo altare maggiore in marmo, dietro al quale si trova il coro con la cosiddetta Confessione di San Valentino, ovvero un secondo altare eretto sulla tomba originaria di sepoltura di San Valentino.

Abbazia di Vezzolano

La scena sarebbe stata questa: nel 773, durante una battuta di caccia nella selva di Vezzolano, l’imperatore Carlo Magno si imbatte in tre scheletri, tre “zombie” usciti da una tomba che lo spaventano a morte. Su consiglio di un eremita, l’imperatore decide di edificare un’abbazia sul luogo dell’apparizione. Sorge così l’Ecclesia di Santa Maria di Vezzolano. Leggenda a parte, il primo documento che ne attesta l’esistenza è datato “solo” al 1095, il che fa comunque di questo maestoso edificio situato ad Albugnano, nell’astigiano, uno dei monumenti medievali più importanti del Piemonte. A identificarlo è uno spiccato stile romanico-gotico, che per giungere intatto ai giorni nostri ha dovuto resistere a momenti di grande declino. Se infatti fra Duecento e Trecento la Canonica astigiana ha raggiunto il suo massimo splendore quanto a importanza e prestigio delle opere d’arte, nel corso dell’800 l’Ecclesia, nota impropriamente come Abbazia, a causa dell’amministrazione napoleonica è stata espropriata dei suoi beni, trasformata in cappella campestre della parrocchia di Albugnano e il chiostro utilizzato addirittura come granaio. Ciononostante, la Canonica di Santa Maria di Vezzolano conserva pregevoli elementi artistici e un fascino senza tempo che ne fanno una tappa imprescindibile in un viaggio fra Langhe, Roero e Monferrato.

Palazzo Mazzetti

Con ospiti come Napoleone I e Carlo Emanuele III re di Sardegna, si può dire che Palazzo Mazzetti ad Asti è da sempre un punto di riferimento e di rappresentanza del Piemonte. Considerata una delle dimore nobiliari dell’astigiano più belle del Settecento, è frutto degli ottimi investimenti immobiliari della casata dei marchesi Mazzetti, arricchitasi nel corso dei secoli grazie a una proficua attività di Zecca. Già nel Seicento, nel quartiere di Corso Alfieri è documentata una prima grande abitazione di Giulio Cesare Mazzetti, formata dall’accorpamento di alcuni edifici medievali, attorno alla quale si vanno poi ad aggiungere altri corpi di fabbrica fino a comporre la situazione attuale, che nell’ultimo secolo ha visto mutare la sua funzione da abitazione privata a luogo consacrato all’arte. Acquistato nel 1937 dalla Cassa di Risparmio di Asti, poco dopo viene dato in concessione al Comune per ospitare il Museo e la Pinacoteca Civica. Nel 2001, Palazzo Mazzetti torna a essere di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Asti e dieci anni più tardi viene riaperto al pubblico, restaurato e riallestito nel suo percorso museale. Oggi, la Sala dello Zodiaco, la Sala dell’Alcova, il Salone d’Onore e lo Scalone ospitano le collezioni civiche astensi, in un excursus temporale che va dal periodo archeologico all’arte contemporanea.

Palio di Asti

Milleduecento è il secolo di origine come milleduecento sono i figuranti del corteo storico. Il Palio di Asti, la più antica corsa di cavalli montati “a pelo” d’Italia, si apre così, con una sfilata di oltre 1.200 personaggi in costume a tramandare memoria e momenti della storia medioevale di Asti. Uno spettacolo che ha inizio già nei giorni precedenti, con il “Palio degli Sbandieratori”, il “Palio degli Scudieri”, le cene propiziatorie, il mercatino del Palio e le prove dei cavalli su Piazza Alfieri, che in occasione di questo evento si trasforma in pista. Da 8 secoli gli astigiani festeggiano dunque così il loro patrono, San Secondo, in un crescendo di accadimenti che culminano in una spettacolare corsa equestre, preceduta dalla benedizione dei cavalli e dei fantini, salutati dalla folla con la formula rituale di «Va’ e torna vincitore!» e dal corteo storico. Punto di partenza di questa colossale messa in scena è la Cattedrale di Santa Maria Assunta. Da qui, a passo lento e ritmato dal rullo dei tamburi, il corteo si snoda per le vie del centro fino ad arrivare a Piazza Alfieri, “arena” per un giorno di questa “tenzone” che ha saputo conservare spirito e atmosfera medievale. Il Capitano del Palio con i magistrati in testa, e all’altro capo, il Carroccio, antico simbolo dei Liberi Comuni, che reca con sé il Sendallo raffigurante San Secondo a cavallo e le insegne del Comune di Asti. Se fino al 2017 il Palio di Asti si disputava la terza domenica di settembre, ora il fine settimana da segnare in calendario è quello della prima domenica di settembre.

Giro di Viso e Buco di Viso

Il Giro di Viso è un emozionante itinerario escursionistico a forma di anello che circonda maestosamente il Monviso all’interno dell’omonimo Parco. Questo percorso, recentemente elevato allo status di Riserva Transfrontaliera insieme al Parco Regionale del Queyras, è un autentico tesoro riconosciuto dall’UNESCO all’interno del prestigioso programma “Man and Biosphere” (MaB).

Il Monviso, conosciuto come il “Re di Pietra”, è una delle vette più celebri dell’intero arco alpino, prevalentemente costituita da rocce che si sono formate sul fondale oceanico ben ottanta milioni di anni fa. L’acqua proveniente dai nevai e dai ghiacciai dà origine a ruscelli impetuosi che alimentano pittoreschi laghetti alpini. Inoltre, un lago poco profondo ha dato vita alla torbiera di Pian del Re, un’area in cui sopravvivono numerose piante rare dell’era glaciale e che ospita le sorgenti del fiume Po.

La magia del Giro di Viso si svela partendo dalla Valle Po o dalla Valle Varaita. Queste valli abbracciano il gruppo del Monviso e l’osco dell’Alevé. Dall’altro lato c’è la suggestiva Valle del Guil in Francia. Il percorso ad anello può essere completato in un periodo che varia da un minimo di due giorni fino a un massimo di sei giorni. Per i più avventurosi l’esperienza può completarsi con l’ascesa alla cima del Monviso.

L’itinerario del Giro di Viso incrocia importanti percorsi escursionistici come la Gran Traversata delle Alpi (GTA) e la Via Alpina, arricchendo l’esperienza di chi attraversa questo magnifico territorio.

L’escursione al Giro di Viso offre non solo paesaggi mozzafiato ma anche l’opportunità di conoscere i rifugi storici lungo il percorso. Uno di questi è il Rifugio Quintino Sella, costruito tra il 1904 e il 1905 in onore di Quintino Sella, fondatore del Club Alpino Italiano nonché organizzatore della prima spedizione italiana a raggiungere la vetta del Monviso. Un altro luogo è il Rifugio Vitale Giacoletti, che trova spazio in una ex caserma della Guardia di Finanza (Ricovero del Coulour del Porco), che fu inaugurato nel 1939 ed abbandonato nel 1943.

Una tappa imprescindibile per gli appassionati della montagna è il Buco di Viso, conosciuto anche come Buco delle Traversette. Questa galleria scolpita nella roccia si estende per circa 75 metri a un’altitudine di 2882 metri, collegando l’Italia alla Francia e mettendo in comunicazione i territori di Crissolo e Ristolas. Con i suoi 2,5 metri di altezza media e 2 metri di larghezza, offre un’esperienza unica ma fattibile solo durante i mesi estivi, poiché la neve può ostruire l’accesso negli altri periodi dell’anno.
Il Buco di Viso è il primo traforo alpino mai realizzato. Voluto dal marchese di Saluzzo Ludovico II Del Vasto nel 1479, questo tunnel fu concepito per favorire i traffici commerciali con la Provenza. Prima della sua costruzione, l’unico passaggio disponibile era il colle delle Traversette, a un’altitudine maggiore e quindi accessibile per un periodo limitato a causa delle nevicate. L’apertura del traforo avvenne nel 1480, aprendo le porte a scambi commerciali vitali. Il Buco di Viso divenne un punto cruciale per l’esportazione di vico, riso e canapa, oltre che per l’importazione di tessuti, cavalli e soprattutto sale.
Nel corso degli anni, il Buco di Viso ha vissuto varie fasi di chiusura e riapertura. Nel 2014, il tunnel ha subito importanti lavori di restauro che hanno aumentato significativamente l’afflusso di turisti ed escursionisti nella Riserva della Biosfera Transfrontaliera del Monviso. Oggi rappresenta un tratto cruciale del Giro del Monviso, testimoniando il suo ruolo di collegamento tra passato e presente.

Incorporando una naturale bellezza e una storia affascinante, il Giro di Viso e il Buco di Viso offrono un’esperienza unica nel cuore delle Alpi.

Teatro Andromeda

Lorenzo Reina è una persona fuori dal comune. Che nella sua vita ha fatto cose fuori dal comune, in un luogo ai confini del mondo. Precisamente in Contrada Rocca, sui monti di Santo Stefano Quisquina, piccolo borgo d’origine medievale in provincia di Agrigento. Destinato a seguire le orme del padre pastore, Lorenzo non smette di coltivare i suoi sogni, e per anni, di notte, dopo aver ricoverato il gregge, inizia a intagliare alabastro, a scrivere poesie, a immaginare di realizzare un luogo dell’anima dove dare sfogo e voce all’arte. I suoi sogni un giorno prendono forma e nasce così il Teatro Andromeda, visionaria creazione di questo siciliano decisamente caparbio. Etica ed estetica si fondono in questo spazio all’aperto in cui il paesaggio è tutto, in cui i sedili sono pietre appena sbozzate che sembrano pecore in un recinto, la platea. E dietro la “skenè”, eco di quella degli anfiteatri greco-romani, un panorama emozionante, di sola natura, che spazia fino al mare, al Canale di Sicilia e al profilo di Pantelleria all’orizzonte.
Oggi, il Teatro Andromeda, che nel suo mondo richiama una galassia con miliardi di stelle, ospita spettacoli teatrali e concerti, ma vale la pena anche solo la visita, per immergersi in un silenzio assoluto e guardare al di là della scena aperta su un nulla molto significante, fino a scrutare l’orizzonte dove secondo gli antichi c’erano le Colonne d’Ercole.

Mandorlo in Fiore

Ogni anno, a primavera, Agrigento si tinge di rosa. Quel rosa tenue stemperato di bianco dei mandorli in fiore che invade la zona compresa fra la Città Nuova e la Valle dei Templi. Specie arborea giunta qui ai tempi dei Fenici, e che dal 1934 è simbolo di Agrigento, grazie alla festa popolare detta “Mandorlo in Fiore”. A idearla è il Conte Alfonso Gaetani, nella piccola città di Naro, a circa 20 km da qui. Tre anni più tardi però, la sagra si trasferisce nel capoluogo di provincia, crescendo edizione dopo edizione e diventando modello del dialogo fra i popoli e le culture. Soprattutto da quando nel 1954 l’evento si è arricchito del Festival Internazionale del Folklore, cui partecipano gruppi folkloristici provenienti da varie parti del mondo, e poi ancora del “Festival Internazionale dei Bambini del Mondo” e del “Corteo Storico d’Italia”. Il tutto per una settimana di celebrazioni che culminano con l’accensione del tripode dell’amicizia nella Valle dei Templi, davanti al Tempio della Concordia.

Farm Cultural Park

Parco Turistico Culturale. Se non ne avete mai visitato uno e vi trovate in provincia di Agrigento, siete fortunati, perché qui si trova il primo esempio in Sicilia. Si tratta del Farm Cultural Park, galleria d’arte e residenza per artisti situata nel Centro Storico di Favara. Fondato il 25 giugno 2010 dal notaio Andrea Bartoli e dalla moglie l’avvocato Florinda Saieva, sorge all’interno del Cortile Bentivegna, che si compone a sua volta di sette piccoli cortili che ospitano palazzi di matrice araba. Una realtà unica nel suo genere in terra di Sicilia, che si propone come museo, centro culturale e turistico e spazio espositivo per mostre pittoriche temporanee e installazioni permanenti di arte contemporanea.

Quanto alla parte di hospitality, è rivolta a chi ha fatto della creatività il suo mestiere, vale a dire artisti, scultori e pittori ma anche scrittori, architetti e designer in cerca di spazi per presentazioni di libri e corsi di aggiornamento. Mission ultima del progetto di questi due professionisti vocati al bello è anche il recupero del Centro Storico di Favara al fine di farne una meta culturale di primo piano nella provincia di Agrigento.

Ottobrata Zafferanese

L’appuntamento con l’Ottobrata Zafferanese è tutte le domeniche del mese di ottobre nel Centro Storico di Zafferana Etnea, borgo medievale in provincia di Catania, situato alle pendici del vulcano più attivo e spettacolare d’Europa. L’evento è nato negli anni Settanta come una semplice mostra-mercato, evolvendosi poi nel tempo in una kermesse di carattere fieristico e culturale insieme.

A scandire il calendario è il numero delle domeniche di ottobre: se sono 4, si svolgeranno 4 sagre, se sono 5 saranno 5, concepite ciascuna come un evento a se stante ma con il filo conduttore dei prodotti tipici della terra e dei loro derivati. L’uva, il vino, la mostarda, il miele, le mele e la frutta di stagione, che in Sicilia significano fichi d’India, melograni, noci, nocciole, castagne, pistacchi, oltre ai funghi porcini dell’Etna, l’olio, le olive e le conserve sott’olio. La rassegna contempla anche i prodotti artigianali derivati da antichi mestieri ormai in via di estinzione: scultori del legno e della pietra lavica, pittori di sponde di carretti siciliani, ricamatrici, lavoratori del ferro battuto, pupari. Camminando lungo il corso principale fino a Piazza Umberto I si ha l’occasione di fermarsi presso gli stand di questi Maestri, cultori di arti desuete ma che sanno trasmettere passione e conoscenza ormai rare. Nell’aria si colgono i profumi intensi della cucina tipica siciliana, fra fritti di pesce e dolci tradizionali quali le zeppole, le paste di mandorla, le foglie da tè, i torroni e la frutta secca caramellata.

L’Ottobrata Zafferanese è però anche promozione della cultura locale, con convegni e dibattiti sui temi inerenti alla tutela e al riconoscimento delle qualità dei prodotti locali, proiezione di documentari sull’Etna e sul suo territorio, escursioni alla scoperta dei dintorni, esibizione di gruppi musicali e di ballo, mostre fotografiche e tanto altro.

La manifestazione è organizzata ogni anno da un apposito Comitato, con il patrocinio e la collaborazione del Comune di Zafferana Etnea, della Provincia Regionale di Catania, della Regione Siciliana, dell’Ente Parco dell’Etna, della Camera di Commercio di Catania, delle Associazioni Terre dell’Etna e dell’Alcantara, Città del Vulcano, Città del Vino, Città del Miele, Produttori Mele dell’Etna, Strada del vino dell’Etna e Ferrovia Circumetnea.

Taormina Film Fest

Federico Fellini, Woody Allen, Francis Ford Coppola, Sydney Pollack… L’elenco dei registi di fama che hanno calcato il palcoscenico del Taormina Film Fest è interminabile, così come quello degli attori che hanno fatto la storia della “Settima Arte” premiati nel Teatro Greco di Taormina dal 1955 a oggi. Si va dalle star di Hollywood di ieri e di oggi quali Elizabeth Taylor, Cary Grant, Marlon Brando, Charlton Heston, Audrey Hepburn, Gregory Peck, Tom Cruise e Melanie Griffith, a quelle “nostrane”, volti che negli ultimi settant’anni hanno esportato il cinema Made in Italy nel mondo. Un nome su tutti, Sophia Loren.

Il Taormina Film Fest nasce appunto nel 1955 a Messina, e due anni più tardi diventa la “Rassegna cinematografica internazionale di Messina e Taormina” con l’istituzione del premio “Cariddi d’argento”. Dal 1957 al 1980, la kermesse sicula ospita quasi consecutivamente anche la premiazione dei premi David di Donatello. Solo nel 1970, la rassegna si sdoppia, e viene creato il “Festival internazionale del cinema di Taormina” – poi Taormina Film Fest – a carattere competitivo con il Gran Premio delle Nazioni. A fare da sfondo il Teatro Antico, con le sue magiche vedute sul mare e sull’Etna.

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