I diportisti lo sanno: fra settembre e ottobre, la meta è Genova. Dal 1962, quando oramai è tempo di salutare l’estate, qui si svolge il Salone Nautico Internazionale di Genova, il maggior Salone del Mediterraneo e una delle principali fiere mondiali dedicate alla nautica da diporto.
A riconoscerne il valore è stata anche la Federazione Internazionale degli Organizzatori di Esposizioni di Barche: da quella prima edizione articolata su una superficie espositiva di 30.000 mq, si è andata vieppiù ampliando fino a ricoprire oltre 200 mila mq di spazi a terra, cui si aggiunge uno specchio acqueo di altri 100 mila mq. Dal 1966 il Salone Nautico Internazionale di Genova è organizzato in partnership con UCINA Confindustria Nautica, l’associazione italiana delle industrie nautiche da diporto.
Torbido da una parte e dall’altro Chiaro. Si chiamano così i due torrenti che scorrono ai piedi della collina al centro della Valle dei Calanchi su cui sorge Civita di Bagnoregio, detta “la città che muore”. Questo triste soprannome si deve alla natura argillosa del terreno, eroso oltre che dai due corsi d’acqua anche dai fenomeni atmosferici. Il paese è oggi quasi totalmente disabitato e vi si può accedere solamente per mezzo di una strada, realizzata in cemento, che fa da ponte verso il resto del mondo.
La vista sulla Valle dei Calanchi dal belvedere è di quelle che non si scordano. Da qui, il borgo sembra essere sospeso, magico e mistico, con i suoi vicoli stretti fra case antiche che sorgono attorno alla piazza principale, su cui affaccia la Chiesa di San Donato. Qua e là, la vista si apre sulla vallata sottostante e allora la sensazione è di essere nel vuoto, sorretti da una qualche misteriosa forza che ancora oggi custodisce questo borgo. Il borgo di Civita di Bagnoregio ha una storia che affonda le radici in epoca etrusca ed è segnata da diverse dominazioni, come quella dei Goti, poi dei Longobardi e infine dello Stato della Chiesa.
Le tre tastiere e le 5200 canne dell’organo settecentesco dell’Abbazia di Montecassino funzionano perfettamente, come fossero nuove, tanto quanto le 82 sedute intarsiate del coro ligneo poste attorno all’altare centrale. E questo grazie alla meticolosa opera di restauro che ha interessato tutto l’immenso complesso edilizio, raso al suolo dai bombardamenti degli Alleati nel 1944.
Un luogo che nei suoi 1500 anni di vita è stato duramente colpito più e più volte, per esempio nel 570 dal saccheggio dei Longobardi e nell’883 da quello dei Saraceni. Eppure, ogni volta, la prima abbazia fondata da San Benedetto nel 529 è risorta dalle proprie ceneri, arrivando a noi intatta nella sua bellezza architettonica, oggi custode di un immenso patrimonio di antichissimi manoscritti, codici miniati, incunaboli, paramenti liturgici, oreficerie sacre e persino di opere pittoriche di Sandro Botticelli, Luca Giordano e Pietro Annigoni.
Tesori portati in dono da duchi, principi, re, imperatori e pontefici, poi messi in salvo dalle truppe tedesche poco prima dell’attacco aereo, che per settimane li trasportarono in Vaticano in gran segreto, e infine riportati qui al termine del restauro. Una storia travagliata quanto ricca di colpi di scena, consacrata alla Regola benedettina dell’”Ora et labora”, e poi riconsacrata nel 1964 da Papa Paolo VI con queste parole: “Pace a questa casa e a tutti quelli che ne hanno dimora. Qui la pace troviamo, come invidiato tesoro nella sua più sicura custodia”.