I borghi delle Marche

Sono trascorsi più di ottocento anni da che San Francesco ha percorso l’ultima volta questa strada, ma oggi, chi vuole seguire i suoi passi può ancora farlo, intraprendendo il Cammino Francescano della Marca, che transita lungo l’Appenino Umbro-Marchigiano, attraversando due regioni, quattro province e diciassette comuni.

Passo dopo passo, il viaggio fisico diventa viaggio nell’anima e nel tempo, risalendo indietro nei secoli, facendo tappa in piccole e grandi città, borghi, pieve, conventi e luoghi che hanno accolto il Santo nei suoi momenti di preghiera e di vicinanza a Dio. Si va da Assisi ad Ascoli Piceno, lentamente, per 167 km, su strade solo per il 40% asfaltate, e che per il resto lasciano spazio a sentieri nel bosco, fiumi e torrenti da guadare, in una modalità che permette di apprezzare le architetture medievali di paesi come Spello, Foligno, Amandola e Comunanza, e gustando piatti locali che di queste terre portano con sé profumi e sapori.

Un tracciato che nella sua prima parte, da Assisi a Pievefavera, coincide con la Via Lauretana, che nel Medioevo portava i pellegrini al Santuario di Loreto, e transita per aree verdi come il il Parco Nazionale dei Sibillini, il Parco Regionale del Monte Subasio e, dopo Foligno, il Parco Naturale dell’Altolina, fino a incontrare nel tratto marchigiano le Gole del Fiastrone.

Marche

In epoca romana le Marche non esistevano. Erano semplicemente quella terra denominata Piceno che ricopriva la maggior parte dei confini odierni, e per il resto appartenente all’Umbria. Dante stesso, nel quinto canto del Purgatorio, fece proferire al marchigiano Jacopo del Cassero le seguenti parole, che suonavano a dir poco lapidarie: “…quel paese / che siede tra Romagna e quel di Carlo”, dove per quest’ultimo si intendeva Carlo II d’Angiò, Re di Napoli. Destino da territorio di transito che proseguì con Carlo Magno, che una volta conquistato il regno longobardo pose sui vari confini una “marca”, allo scopo di contenere l’invasione di Arabi, Slavi e Avari. Ed ecco così la nascita delle Marche, che non furono un limes da poco, anzi, segnando il passaggio fra il mondo latino-germanico a nord e quello bizantino-arabo a sud. Dagli annali, emerge anche una data che ha fatto da spartiacque nella storia, e non solo quella locale: 26 dicembre 1194. In quel giorno vedeva la luce a Jesi Federico II di Svevia, futuro imperatore del Sacro Romano Impero, che onorò la sua “culla” col titolo di Città Regia. Visitandola è un continuo tributo a colui che fu ribattezzato “Stupor Mundi”, a partire dalla piazza centrale a lui dedicata, sorta sul sito dell’antico Foro Romano all’incrocio del Cardo e del Decumano massimi, proprio là dove si affaccia il palazzo nobiliare che lo vide venire al mondo che poi conquistò.

Caratteristica che rende le Marche una realtà pressoché unica fra le Regioni d’Italia è l’omogeneità del territorio, un paesaggio agricolo a perdita d’occhio esteso per il 69% su zona collinare e con ben l’82% dei comuni situati su quelle magnifiche onde tinte di verde e giallo oro come il grano che arrivano a lambire il blu del mare. Sono quindi i rilievi montuosi a occupare il restante 31% del territorio, comprendendo l’Appennino umbro-marchigiano che trova il suo picco nei 2.476 metri del Monte Vettore, nei Monti Sibillini, situati a cavallo fra tre delle cinque province, vale a dire quelle di Fermo, Ascoli Piceno e Macerata e parte dell’omonimo Parco Nazionale. Altra costante è quella che vede quasi tutti i fiumi e torrenti marchigiani nascere dalla catena appenninica e giungere al mare praticamente senza affluenti e formando gole spettacolari oggi meta di appassionati di trekking, MTB, rafting e canyoning: la Gola del Furlo, di Pioraco, dell’Infernaccio, delle Fucicchie, di Arquata e da ultimo quelle della Rossa e di Frasassi, che richiamano subito alla mente le immagini di un luogo straordinario, le Grotte di Frasassi, al centro dell’omonimo Parco naturale regionale. Scoperte casualmente nel 1972, costituiscono uno dei complessi carsici più grandi del mondo, e sono una tappa irrinunciabile in un viaggio di scoperta dell’entroterra.

Un comodo punto di partenza potrebbe essere a nord il Montefeltro, pezzo di terra appenninica un po’ marchigiana, un po’ romagnola, un po’ toscana, irto di rupi e rocche, di chiese romaniche o addirittura precedenti all’anno Mille, di “selve oscure” isolate e popolate da una ricca fauna. Lo si ritrova nelle tele di Giovanni Santi, il padre dell’urbinate Raffaello Sanzio, o nelle rocce che fanno da sfondo alla rossa e sensuale Maddalena di Timoteo Viti, anch’egli nativo di Urbino. Affacciandosi dalla Fortezza Albornoz, ammirando la teoria di dolci colline pennellate e la città che fu quartier generale del Ducato di Federico da Montefeltro, si capisce come e perché Raffaello abbia immaginato proprio qui un mondo di perfezione e armonia, dal 1998 classificata bene Unesco. Raggiungendo il mare, non si può non notare, a fare da spartiacque con la vicina Romagna, il promontorio su cui spicca il borgo di Gradara, altra eco dantesca in quanto “set” dell’amore travolgente di Paolo Malatesta e Francesca da Rimini (Inferno, Canto V). Ridiscendendo da qui lungo i 173 km di costa che orlano l’“Adriatico selvaggio”, come amava definirlo Gabriele D’Annunzio, si passa con una certa repentinità da spiagge lunghe e sabbiose ad alte scogliere, come quella di San Bartolo e della Riviera del Conero, unici rilievi rocciosi prima di raggiungere il Gargano. Nell’ordine, ecco Gabicce Mare, Fano, Senigallia, Sirolo, Numana, Potenza Picena, Civitanova Marche, Lido di Fermo, Porto San Giorgio e Porto Sant’Elpidio, Cupa Marittima, Grottammare e San Benedetto del Tronto, cuore della Riviera delle Palme. Anche chi ama il relax in riva al mare non può però esimersi da quel lento zigzagare sui colli appena alle spalle degli ombrelloni, alla ricerca di uno dei tanti “Borghi più belli d’Italia”, molti dei quali con un toponimo che richiama una geologicalizzazione non proprio pianeggiante: Monte Grimano Terme, Montecassiano, Montecosaro, Montefabbri, Montefiore dell’Aso, Montelupone… A questi se ne aggiungono molti altri, ciascuno con la sua rocca o castello a guardia di antichi possedimenti: Corinaldo, Matelica, Mondavio, Mondolfo, Offagna, Offida, Tolentino, Treia, Visso… Impossibile elencarli tutti. Molti rientrano poi in quell’affascinante categoria architettonica dei borghi murati, che da secoli custodiscono palazzi nobiliari spesso trasformati in musei, come pure un’infinità di abbazie e santuari degni di nota. Fra quest’ultimi, va citata in primis la Basilica della Santa Casa di Loreto, meta di pellegrinaggio mariano, al centro di una città che è essa stessa murata e modello di architettura gotico-rinascimentale, tanto da sembrare un pezzo di Roma cinquecentesca incastonato fra le colline marchigiane. Alla sua costruzione lavorarono alcuni dei maggiori geni del passato: il Bramante, il Sansovino, il Sangallo e più tardi, nel XVIII secolo, il Vanvitelli. Pochi chilometri ancora e ci si ritrova a Recanati, avvolti dalle suggestioni di Giacomo Leopardi. La casa dove vergò poesie indimenticabili è lì, aperta al pubblico di studenti, studiosi e curiosi di guardare là, oltre quella siepe e l’ermo colle, salvo poi scoprire che erano frutto della fantasia di un giovane innamorato e disperato. Altra città che potrebbe essere a buon diritto annoverata fra quelle “ideali”, rinascimentali e non solo, è Ascoli Piceno, il cui centro interamente in travertino è fra le mete più visitate.

Emergenza assai meno evidente è quella dei teatri storici: ben 73 sparsi in ognuna delle cinque province, un vero primato a livello nazionale, che sciorina una lista di capolavori in gran parte dell’800: il Teatro della Rocca a Sassocorvaro, il Teatro delle Muse nel capoluogo Ancona, La Nuova Fenice e Osimo, il Teatro Vaccaj a Tolentino, lo spettacolare Sferisterio di Macerata, assurto a modello di teatro en plein air. A Pesaro e Fabriano, che vanno segnalate anche in quanto “Città creative Unesco”, ecco infine due luoghi che ricordano i loro concittadini più celebri: il Teatro Gioacchino Rossini, scenario dell’annuale Festival Musicale Lirico, e il Teatro Gentile da Fabriano, che nel borgo diventato capitale della produzione di carta pregiata, apprese i primi rudimenti dell’arte pittorica che lo portò fino a Roma.

 

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