Dal 17 gennaio, dedicato a Sant’Antonio Abate, al giorno delle Ceneri, nel borgo marchigiano di Offida si fa festa, celebrando il Carnevale in ogni sua forma. Il rituale inizia la “Domenica degli Amici”, che precede di due settimane il Carnevale, con la fanfara della “Congrega del Ciorpento”.
Le Congreghe animano il paese a ritmo di musica sempre più incalzante e la mattina del Giovedì Grasso ricevono in consegna, dal Sindaco, le chiavi della citt, gesto simbolico che sottolinea come, da quel momento, Offida è nelle loro mani. Sabato, domenica e lunedì si svolgono i “veglionissimi” presso Il Teatro Serpente Aureo, la mascherata dei bambini, la caccia a “Lu Bov Fint” (il bove finto), la festa in piazza che si conclude con la fantasmagorica sfilata dei “Vlurd”.
In particolare, il venerdì grasso è il giorno dedicato al bove finto, un rudimentale bove costituito da un’intelaiatura di legno e ferro, coperta da un panno bianco e portato a spalle da un paio di uomini, simulando in mezzo alla folla una sorta di corrida. Dopo il gran caos, con l’uccisione simbolica del bove torna la quiete.
I vlurd sono invece i fasci di canne imbottiti di paglia, accesi e portati a spalla da centinaia di uomini e donne mascherati. Il crepuscolo e l’atmosfera medievale di Offida creano una suggestione unica in tutto il borgo, fino a quando si arriva nella piazza centrale dove viene appiccato un grande falò, attorno al quale si svolgono balli sfrenati. Il Carnevale di Offida è rinomato in tutta la Regione e oltre, attirando turisti da ogni dove, coinvolti in un’autentica festa di popolo.
La storia del Teatro Mercantini di Ripatransone, intitolato al poeta risorgimentale Luigi Mercantini, ha molti elementi in comune con quella di un altro palcoscenico dell’ascolano, quello del Teatro Serpente Aureo di Offida. In primis, l’architetto che ne curò il progetto, che fu per entrambi Pietro Maggi, il secondo è che il Mercantini è ricavato all’interno dell’edificio che nel Trecento ospitava il Palazzo del Podestà, mentre a Offida è collocato nel Palazzo Comunale. Similitudini che si ritrovano anche nei decori, di stucchi e dipinti in stile Barocco. Curiosa la circostanza secondo la quale l’inaugurazione del teatro fu fatta nel 1824, benché fossero ancora incompleti l’ultimo ordine dei palchetti e il sistema di copertura definitivo. Di questa parte si occupò nel 1837 l’architetto Francesco Bassotti, che ne seguì i lavori di completamento fino alla sua apertura definitiva, avvenuta nel 1843 con la Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti.
L’acceso al teatro avviene dal portico del Palazzo del Podestà, noto come degli Anziani, mentre la sala presenta la tipica pianta a ferro di cavallo, che ricalca l’impostazione planimetrica del Teatro Serpente Aureo, così come il plafone decorato con motivi floreali e con una serie di medaglioni, alcuni dei quali raffiguranti i volti di Gioacchino Rossini, di Giuseppe Verdi, di Vittorio Alfieri, di Vincenzo Bellini, di Calco Goldoni, ed infine di Pietro Metastasio. Lunghi lavori di restauro hanno permesso di riaprire il teatro Mercantini di Ripatransone il 14 aprile 2012: alzato il sipario, sono risuonate in platea le note del Canto degli Italiani, di Goffredo Mameli.
Cesare Cellini fu un reverendo di Ripatransone vissuto fra il 1832 e il 1903. Da appassionato studioso di archeologia e storia, nel corso della sua vita ebbe modo di mettere insieme una ricca collezione di reperti, che nel 1877 donò alla cittadinanza per la costituzione di un primo Museo Civico Archeologico, integrato poi nel corso dei decenni successivi dalle donazioni di altre famiglie locali. Riallestito circa un decennio fa nel suo percorso espositivo, il Museo di Ripatransone può contare oggi su circa cinquemila reperti, dei quali soltanto un 10% è stato esposto nelle tre sezioni – preistorica, protostorica e romana. In questo computo si calcolano anche le centinaia di pezzi conservati nel Deposito e quelli di provenienza esterna collocati presso la Biblioteca. In questo mare magnum di memorie di varie epoche, da quelle della civiltà picena a quella romana, è un trionfo di monete, terracotte, lucerne, epigrafi e sculture, fra cui alcune di particolar pregio provenienti da Cupra Marittima, sempre nell’ascolano.
La Chiesa di S. Filippo e dell’Immacolata Concezione, ubicata tra via Consorti e via Margherita, fu edificata tra il 1680 e il 1722 su progetto dell’architetto romano Francesco Massari, allievo e collaboratore del Borromini, e portata a termine dall’architetto-pittore Lucio Bonomi che si occupò di curare la sobria immagine finale del tempio.
L’interno presenta una ricca decorazione architettonica in ori e stucchi, opera del milanese Mastro Tobia e del perugino Lorenzo Vibi. La chiesa fu realizzata a croce latina e ad unica navata con paraste corinzie che scandiscono le cappelle laterali centinate con volte a botte e un transetto particolarmente sporgente rispetto alla maggior parte delle chiese oratoriane marchigiane. L’altare maggiore risale al 1843 ad opera di Gaetano Ferri e presenta una statua dell’Immacolata mentre in precedenza ospitava il prezioso dipinto, probabilmente realizzato da Lazzaro Baldi, su disegno di Pietro da Cortona, oggi collocato sul transetto. Nella parte del transetto è possibile ammirare alcune tele di Ubaldo Ricci da Fermo (prima metà ‘700): la cappella dedicata a San Gaetano da Thiene, il San Francesco di Paola e la Madonna col Bambino e San Filippo, pala del monumentale altare in legno dorato della cappella sinistra del transetto.
Nella terza cappella a sinistra si trova l’unico altare marmoreo della chiesa che racchiude alcune reliquie di S. Filippo contenute in urne e in due busti del Santo; nella seconda cappella, eretta nel 1725 dalla famiglia Recco, è rappresentato il Transito di San Giuseppe. La cripta ospita dal 1996 il Museo della Civiltà Contadina ed Artigiana del medio Piceno.
L’1 maggio 1585, Felice di Peretto da Montalto, poi passato alla storia come Felice Peretti, viene eletto al soglio pontificio come 227° papa e prende il nome di Sisto V. Da quel momento, la storia del suo borgo natio, inserito nel GABA – Il Grande Anello dei Borghi Ascolani, cambia, si evolve, cresce, a partire da quella della sua comunità cristiana che viene elevata dal neo papa a Diocesi, così come la Collegiata di S. Maria intus Civitatem viene dichiarata Cattedrale.
Della Cattedrale di Santa Maria Assunta si potrebbero raccontare le mille vicissitudini che hanno portato alla sua costruzione, a partire dai molti committenti e benefattori giunti qui perfino da altre parti d’Italia, primo fra tutti il modenese Girolamo Codebò, eletto quinto Vescovo di Montalto. Quello che è ben visibile a colpo d’occhio e che non ha bisogno di spiegazioni è l’imponenza dell’edificio, che con i suoi quasi 1.800 mq di superficie è fra i più grandi delle Marche e non solo. Un’importanza, di forma e di sostanza, sempre riconosciuta nei secoli, e che dal 1965 è stata portata alla dignità di basilica minore da Papa Paolo VI. Insomma, una meta d’obbligo per chi è diretto nell’ascolano, sulle tracce del Papa che a Roma lasciò opere importanti – a lui si devono per esempio il nuovo Palazzo Laterano, la Biblioteca Vaticana e il completamento della cupola di San Pietro – ma che non dimenticò mai la sua terra d’origine.
Sulla piazza principale di Offida, nell’ascolano, affaccia il Palazzo Comunale. Al suo interno, si cela uno dei luoghi inclusi nel circuito dei Teatri Storici delle Marche, il Teatro Serpente Aureo. Questa sua curiosa collocazione all’interno di un edificio con una diversa funzione pubblica ne fa già di per sé un unicum, poi una volta entrati, si svela un gioiello architettonico realizzato nel XIX secolo da Pietro Maggi. La sua realizzazione non fu né rapida né semplice. In un documento del 1768 si fa cenno a un palcoscenico a “guida di teatro”, costruito “senza distinzione di ceto”. Per ovviare a questa “mancanza”, il Consiglio Comunale approvò a più riprese la realizzazione di un teatro vero e proprio, con palchi, platea e scena, fino appunto ad arrivare al progetto del Maggi, datato 1820, modificato poi a più riprese nel 1862 e nel Novecento. Lo stile Barocco domina tutto l’ambiente a ferro di cavallo, con 50 palchi disposti su tre ordini, con loggione e platea. A due artisti offidani Doc furono affidate le parti decorative: Giovanni Battista Bernardi curò stucchi e pitture dei palchi, mentre la volta, raffigurante Apollo e le Muse, venne dipinta da Alcide Allevi. A coronamento d’insieme, negli otto medaglioni posti sul soffitto furono ritratti autori illustri di prosa e lirica: Pergolesi, Verdi, Bellini, Donizetti, Rossini, Alfieri, Goldoni, Metastasio. La chicca è però sul palcoscenico: il vecchio sipario con dipinta la leggenda del mitico Serpente d’Oro, dopo oltre un secolo di vicende travagliate e modifiche strutturali, è ancora lì, sul fondo della scena, a fare bella mostra di sé e a ricordare un’epoca aurea.
La visita al Mulino di Sisto V a Valdaso, frazione di Montalto delle Marche, è una scoperta continua. Lungo il cosiddetto “GABA – Il Grande Anello dei Borghi Ascolani” è una di quelle tappe che solleticano la curiosità, perché questo è di sicuro l’unico mulino che è stato anche una zecca. Pontificia per giunta. Dunque, andando con ordine, il mulino sorge prima del 1320, anno in cui è già attestata la sua attività. Nel 1567, la Comunità di Priori locali che da almeno due secoli lo governa lo cede a Papa Sisto V e alla sorella Camilla Peretti, affinché con le rendite dei 5 anni seguenti si ripaghino la somma anticipata in precedenza. Passano altri due secoli e nel 1797, sotto il pontificato di Pio VI, il mulino è adattato a zecca, salvo poi tornare alla precedente attività. Al suo interno si identificano tre piani, ciascuno con la sua funzione: il primo con il seminterrato per la lavorazione del frumento, il secondo a dimora del mugnaio, il terzo per la difesa, con tanto di camminamento di ronda e merlatura.
Oggi, grazie a un attento restauro, il Mulino di Sisto V a Valdaso è un’originale location per eventi e persino per matrimoni. Le visite sono possibili su prenotazione e sono curate dalla Pro Loco Lago ’93.
In dialetto ascolano, il borgo di Colli del Tronto si chiama Li Colle. Sorge su un’area ricca di antichi insediamenti, testimoniati da reperti preistorici, necropoli picene e tombe romane relative al sito di “Castrum Fanum. Secondo alcuni studiosi, sarebbe questo il luogo in cui Pirro sconfisse i romani. Vero o no, le suggestioni rimangono e piacciono agli appassionati di archeologia e storia.
Fare tappa nel borgo consente di scoprire piccoli gioielli d’arte come per esempio Villa Panichi, Villa Ercolani, Villa Mastrangelo, Villa Spreca e Villa Fonzi, e ovviamente la Chiesa Parrocchia Santa Felicita, del Settecento, che al suo interno conserva la tela del pittore ottocentesco Ferdinando Cicconi, nativo proprio di Colli del Tronto, così come il musicista Antonio Lozzi. Da ricordare anche la tradizione più rinomata di Colli, quella dei “carradori”, artigiani che costruivano eleganti e solidi carri agricoli istoriati da pitture e strumenti per la lavorazione dei campi.
Nell’ascolano si trova uno dei centri termali a scopo curativo più all’avanguardia delle Marche: le Terme di Acquasanta, convenzionate con il Servizio Sanitario Nazionale e attrezzate di un lussuoso resort termale per il massimo comfort durante il soggiorno.
Il toponimo richiama da subito i benefici della sorgente di acqua solfureo-salso-solfata che scaturisce in una serie di grotte situate a circa 16 metri sopra il letto del fiume Tronto, alla temperatura di 38,6°C. L’acqua è da qui incanalata e portata nello stabilimento per alimentarne i vari reparti di cura, punto di riferimento per la pratica di fanghi, bagni, cure inalatorie, docce nasali e insufflazioni endotimpaniche.
Nell’archivio della Cattedrale di Ascoli è conservato un documento che riconduce al borgo di Acquasanta, e da qui a Castel di Luco. La data riportata in calce è 1 Luglio 1052, il che fa di questo borgo incastellato dall’originale pianta rotonda un sito millenario. Il terremoto del 2016 ha purtroppo danneggiato parte della struttura architettonica del fortilizio, ma i lavori per il recupero della struttura originaria sono in corso e di certo questo pezzo di storia marchigiana tornerà presto ad accogliere ospiti nelle stanze ricavate nelle case coloniche che cingono il cuore di Castel di Luco. Un castello ferito ma ancora orgogliosamente in piedi, su un poggio in travertino dove, secondo alcuni studi, nell’antichità si trovavano alcuni altari sacrificali.