Isola di Dino

Bastano poche bracciate a nuoto, o in alternativa pochi minuti di barca per circumnavigare l’Isola di Dino, quel lembo di roccia rivestito di macchia mediterranea adagiato di fronte all’abitato di Praia a Mare in Calabria, più precisamente davanti a Capo dell’Arena a sud del paese. Pochi minuti per scoprire che in una superficie così piccola si concentrano tesori meravigliosi. Lì, a pelo d’acqua, ecco affiorare le imboccature di anfratti dai nomi molto più che evocativi: grotta del monaco, delle sardine, del frontone, delle cascate, del leone e persino grotta azzurra.

Partendo da quest’ultima, il riferimento alla più nota grotta caprese non è un caso, anzi. Anche qui, cullati dalle onde, si entra nel fianco dell’isola avvolti dai riflessi verde-blu dell’acqua, mentre in quella delle cascate si rimane ipnotizzati dallo scroscio costante dell’acqua che precipita in una piccola gola. In quella del leone ci si diverte a riconoscere la scultura “felina” plasmata dal mare, in quella delle sardine si inseguono i banchi di pesci che vi si affollano, in quella del frontone si ascoltano le leggende di naviganti che qui hanno trovato tempesta, e in quella del monaco l’eco di racconti di un passato lontano sull’isola rifugio di eremiti. Ad avallare questa tesi, una delle due ipotesi fatte sul tiponimo: Dino deriverebbe da “Aedina”, il tempio dedicato a Venere che un tempo sorgeva sull’isola, oppure dall’etimo greco “dina”, ovvero vortice, tempesta, per via del costante mare mosso alla punta sud del Frontone.

Note di Fuoco

Il paese di Belvedere Marittimo, in provincia di Cosenza, trova la sua ragion d’essere nel suo toponimo. Quale nome potrebbe rendere di più l’idea di un luogo che diventa palcoscenico di uno straordinario spettacolo sull’acqua? Parliamo di Note di Fuoco, il Festival dell’Arte Pirotecnica per eccellenza, uno dei più celebri del Sud Italia, che ogni anno attira in questa località di mare della costa tirrenica i più grandi maestri italiani del settore.

A loro spetta il compito di stupire con performance piromusicali in un perfetto sync fra fuochi e musica, un insieme che regala emozioni perfettamente godibili anche da numerosi paesi limitrofi. Dalle zattere galleggianti poste a 400 metri dalla costa, i fuochi si innalzano in cielo aprendosi per oltre 200 metri d’ampiezza, in un’escalation di colori, ritmo, forme piene e voluminose che lentamente si diradano nel cielo fino a sparire.

Intanto, a terra, sul lungomare e per le vie del paese, nei cinque giorni di manifestazione si può assistere a proiezioni su palazzi, visite guidate, concerti, sfilate di moda, spettacoli di artisti di strada e gare sportive, oppure si può visitare il planetario o salire sulla ruota panoramica per ammirare lo shop di fuochi e musica da una postazione privilegiata.

Fiume Lao

Rocce dolomitiche, pareti calcaree, dirupi, gole profonde, grotte carsiche, pianori, pascoli ad alta quota, circhi glaciali e massi erratici. Tutto questo sulle vette più alte del Sud Italia, i Massicci del Pollino e dell’Orsomarso, che arrivano a sfiorare i 2200 metri. Siamo nel Parco Nazionale del Pollino, sull’Appennino Meridionale, a cavallo fra Basilicata e Calabria, fra Jonio e Tirreno.

Un contesto naturalistico di grande pregio, con specie arboree endemiche quali il pino loricato, animato da corsi d’acqua che diventano anche spunto per escursioni e attività sportive di vario genere. Per esempio, il fiume Lao, nei tratti che attraversano i comuni di Papasidero, Laino Borgo fino a Scalea, in provincia di Cosenza, è un perfetto “campo di gioco” per la pratica di rafting, kayak, acqua trekking ed escursioni lungo i suoi 55 km di lunghezza che partono dalla Serra del Prete, nella zona di Viggianello, in Basilicata, e transitando nella Valle del Mercure, arrivando in quella che dal 1987 è denominata e protetta come Riserva Naturale Valle del Fiume Lao.

Diamante Peperoncino Festival

Ha il sapore del rito di iniziazione, e in effetti, un po’ lo è. In Calabria, mangiare peperoncino piccante è quasi un obbligo, ma al quale si è ammessi solo dopo i 14 anni. Diamante, in provincia di Cosenza, può essere considerata la “capitale”, la hot destination, è il caso di dirlo, degli appassionati del genere, che qui, oltre a poterlo gustare nel corso dell’anno in tutte le varianti e gradazioni di piccantezza possibili, possono prendere parte anche alla finale del “Campionato Italiano Mangiatori di Peperoncino”.

Un evento cui si giunge dopo accurate fasi di selezione provinciali e regionali, realizzate con l’aiuto di una sessantina di delegazioni dell’Accademia del peperoncino. Concorrenti uomini e donne hanno quindi 30 minuti di tempo per mangiare 50 gr di peperoncino super piccante accompagnato solo da pane e olio. Chi resiste senza mai allontanarsi dalla postazione, vince il titolo in palio. Tutt’attorno, nei cinque giorni di Campionato si svolgono spettacoli, mostre, convegni medici, degustazioni, in un clima di festa diffusa.

Teatro dei Ruderi di Cirella

Nel 2003, nei dintorni di Cirella, unica frazione del comune di Diamante, nel cosentino, venne girato il film Per sempre di Alessandro Di Robillant, con Giancarlo Giannini. Sullo sfondo, si vedevano i ruderi del borgo medievale di Cerillae, fiorente colonia della Magna Grecia, poi rimodellata sull’impronta bizantino-normanna, che ancora oggi mostra la struttura di un Pantheon di epoca romana.

Fra questo sito archeologico e il cinquecentesco Monastero dei Minimi di San Francesco di Paola si trova il Teatro dei Ruderi di Cirella, in stile greco antico ma realizzato in realtà fra il 1994 e il 1997 con la finalità di ospitare spettacoli e concerti. Vario il calendario degli eventi proposti, che possono così godere di una location unica nel suo genere, particolarmente suggestiva per la vista sul mare e la singolarità della storia del luogo.

Terme Luigiane

Nell’entroterra di Acquappesa, nel cosentino, si trova la Rupe del Diavolo, nome suggestivo quanto quelli delle quattro sorgenti che sgorgano da qui: tre calde, Caronte, Minosse e Galleria Calda, e una a 22 °C, la Galleria Fredda. Qui vicino si trovano anche i bacini di maturazione del fango termale e i letti di coltivazione delle alghe sulfuree, mete comprese nei tre sentieri che permettono di esplorare l’area naturalistica nei dintorni delle Terme Luigiane, costituite dallo stabilimento Thermae Novae, dal Parco Termale con il Centro Benessere e dal Grand Hotel delle Terme.

Scientificamente classificate come “sulfuree salso bromojodiche ipertermali” per l’abbondanza dello zolfo, le acque e i fanghi che ne derivano sono famosi per la loro efficacia terapeutica, dovuta alla composizione fisico-chimica e al “processo di maturazione” cui sono sottoposti. La parte argillosa (humus e sali minerali), imbevuta di acqua termale, viene arricchita con “alghe vive” – microrganismi che vegetano spontaneamente – esposta all’aria e al sole per una naturale ossidazione e nuovamente immersa in acqua termale fluente. Le alghe sono inoltre impiegate per le applicazioni di ionoforesi, le cure estetiche e la produzione dei prodotti cosmetici.

Vicino alle sorgenti si trova invece il complesso termale San Francesco, composto da reparto di balneofangoterapia, centro di pneumologia e reparto inalatorio. Un secondo reparto inalatorio si trova anche nello stabilimento Thermae Novae, con un’area specifica per i bambini.

Spiaggia dell’Arcomagno

Una scultura naturale, ma con un’architettura tanto perfetta da sembrare fatta dalla mano dell’uomo. L’Arcomagno di San Nicola Arcella, o “spiaggia di Enea”, è uno dei lidi più belli e selvaggi del cosentino e della Calabria, preservato da una posizione non proprio accessibile, essendo raggiungibile solo tramite una scalinata che arriva in prossimità dell’arco. Qui, uno sperone di roccia alto 20 metri fa da ingresso alla grotta, nota anche come “Grotta del Saraceno”, perché un tempo questo era il passaggio utilizzato dai Saraceni per approdare in Italia. Il suo essere così wild rende la piccola laguna che si apre qui davanti, lunga circa 25 metri, un vero angolo di paradiso che merita la sosta.

Il Cammino di San Francesco di Paola

Paola, provincia di Cosenza. Una cittadina che deve la sua fama internazionale al fatto di aver dato i natali a San Francesco da Paola (1416-1507), religioso eremita, fondatore dell’Ordine dei Minimi, detto anche dei “paolotti”, canonizzato già nel 1519 a soli dodici anni dalla sua scomparsa per scelta di Papa Leone X, cui proprio Francesco aveva predetto l’elezione al soglio pontificio quando ancora era un bambino.

In memoria della sua opera pia, a Paola sono stati eretti nel tempo ben due luoghi di culto: la Basilica detta Antica, costruita nel XVI secolo in stile gotico e barocco, e la Basilica Nuova, postmoderna, terminata nel 2000, elevate insieme nel 2020 a Santuario Regionale in occasione dei 500 anni dalla canonizzazione. Qui è conservata parte delle sue reliquie, oggetto di culto e meta di pellegrinaggio da più di cinquecento anni, soprattutto fra l’1 e il 4 maggio, giorni in cui si ricorda la sua santificazione, nonché tappa finale di un itinerario di fede che prende il nome di Cammino di San Francesco di Paola.

Il Cammino, ideato per unire gli interessi naturalistici a quelli storici, culturali e religiosi, è una forma di turismo esperienziale completa, da affrontare con la giusta calma e il giusto spirito. Tre le varianti proposte, in un crescendo di durata che va dai 49 km suddivisi in tre tappe della cosiddetta Via del Giovane, che conduce da San Marco Argentano al Santuario di Paola, ai 62,7 km frazionati sempre in tre tappe della Via dell’Eremita, dal Santuario di Paterno Calabro al Santuario di Paola o viceversa, fino ai 111,7 km in sei tappe dell’Intero Cammino, che porta da San Marco Argentano al Santuario di Paternò Calabro.

I Giganti di Pietra di Campana

L’”Elefante” e il “Ciclope”. Sono questi i due nomi di fantasia dati alle misteriose formazioni rocciose note come “Giganti di Pietra di Campana”, o “Pietre dell’Incavallicata”, situate nei pressi di Campana, nel Parco Nazionale della Sila, in provincia di Cosenza. In realtà si tratterebbe di sculture megalitiche, alte la prima 5,5 metri e la seconda ben 7,5 metri, pur essendo mutilata nella parte alta, tanto da essere ribattezzata “Guerriero Seduto”.

Tre le ipotesi fatte circa la loro realizzazione, tutte generate dalla presenza della figura dell’elefante. La prima si rifà alla spedizione di Pirro, avvenuta nel III secolo a.C., la seconda a quella di Annibale in occasione della seconda guerra punica, la terza all’idea che si tratti di una riproduzione di un esemplare di Palaeoloxodon Antiquus, una specie di elefante estintasi nel Pleistocene ma nota ai primi abitanti della Calabria, che avrebbero poi realizzato la scultura. In effetti, quest’ultima tesi sarebbe avvalorata dal ritrovamento di un fossile di tale specie nel vicino Lago Cecita.

I Giganti della Sila

I “Giganti della Sila” sono in tutto 60. Un numero esiguo ma che rende ancor più prezioso il patrimonio rappresentato da questo bosco ultracentenario dell’Appennino Calabrese, tutelato come parte del Parco Nazionale della Sila, e dal 2016 gestito dal FAI Fondo per l’Ambiente Italiano. Sessanta esemplari di pini larici e aceri montani dalle caratteristiche uniche nel loro genere, tali da renderli appunto dei “giganti”: 45 metri di altezza media, 2 metri di diametro, e un’età che si aggira sui 350 anni, certificata da documenti che riportano negli annali di quando nel Seicento i Baroni Mollo piantumarono tutta la zona.

Leggendo fra le righe della storia, si potrebbe quasi dire che si trattò di un primo esempio di salvaguardia ambientale, dovuto alla necessità di fermare l’abbattimento indiscriminato di piante. Fra Sei e Settecento, i pastori della zona erano infatti soliti estrarre dai tronchi una resina infiammabile, risorsa preziosa usata come combustibile, ma che causò gravi problemi di disboscamento. Per contrastare questo fenomeno dilagante, si impegnò anche il governo di Napoli, emettendo numerosi provvedimenti a riguardo. Con la Seconda Guerra Mondiale, i terreni furono espropriati e reintegrati poi nel patrimonio dell’Ex Azienda di Stato per le Foreste Demaniali che, insieme alla famiglia Mollo, promosse l’istituzione dell’attuale Riserva Naturale Guidata Biogenetica allo scopo di studiare, conservare geneticamente e tutelare questo patrimonio storico-naturale di enorme valore.

La presenza in loco del FAI garantisce oggi l’apertura dell’area al pubblico, con attività di promozione e conoscenza di un lembo di paesaggio rurale calabro rimasto fermo a 350 anni fa.

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