La valle dell’Esaro

Lungo le vie consolari dell’Antica Roma si faceva la storia. Letteralmente. Accadde anche nella Valle dell’Esaro, strategica via di collegamento tra la costa ionica e tirrenica della Calabria, dove si incrociavano l’antica Via ab Regio ad Capuam (poi da metà del II sec. a.C. Via Annia-Popilia) e le Vie Istmiche, di collegamento fra costa orientale e occidentale della Regione. Al centro della Valle, non potevano quindi che sorgere luoghi di importanza altrettanto strategica, primo tra tutti San Marco Argentano. Antica colonia della potente Sibari, fu base di Roberto il Guiscardo, che la trasformò in un’autentica “città normanna” ricca di monumenti che ancora oggi testimoniano il suo passaggio. A questo peso politico-militare, si aggiunse poi quello religioso, con la costruzione, sempre per volere del Guiscardo, dell’Abbazia di Santa Maria della Matina, monastero benedettino e poi cistercense da cui partì l’abate Ursus, ispiratore dell’Ordine dei Cavalieri Templari. Un’altra leggenda narra anche che gli stessi monaci di Matina, giunti a Gerusalemme per la prima crociata, fondarono niente meno che l’Ordine di Sion. E se ancora non basta, l’Abbazia calabrese ha molte analogie architettoniche e artistiche con quella di Orval in Lussemburgo. Inutile dire che studiosi e scrittori stile Dan Brown troverebbero in questi luoghi pane per i loro denti…

Poco più a est, la Valle dell’Esaro custodisce il borgo considerato la “culla del Rinascimento” calabrese, Altomonte, fra i “Borghi più belli d’Italia”, con la Chiesa della Consolazione, vero modello di arte gotico-angioina, e il Castello, normanno come la Casa-torre dei Pallotta. Il tutto con scorci che aprono sul Pollino, sulla piana di Sibari e il Mar Ionio. Nei pochi chilometri che separano San Marco da Altomonte, vicino a Roggiano, si possono visitare gli scavi archeologici che mostrano i resti di antiche ville romane, ulteriore segno di quanto per queste valli si facessero affari, politica, arte.
Oggi, a portare avanti il nome di Roggiano c’è qualcosa di più prosaico, il peperone roggianese, proposto essiccato – i pipazzi cruschi – e la pregiatissima qualità di olive, la roggianella.

La Calabria dei Borghi

Borghi più belli d’Italia, Borghi Autentici, Bandiere Arancioni, Città Slow, Borghi Storici Marinari, Gioielli d’Italia e Paesaggi d’Autore. Non c’è tipologia di classificazione di eccellenze che non comprenda qualche “spot” calabrese.

Micro realtà che spesso sono annoverate fra le immagini iconiche e da cartolina della Calabria stessa: le guardi e sembra di poter sentire il vociare e l’eco dei passi in certi centri storici rivestiti di pietra color dell’ocra, dove antiche leggende rimandano a personaggi della mitologia o della storia, che hanno cambiato le sorti di un’epoca e che, sia sulla costa sia nell’entroterra, hanno dato vita a modelli di architettura mai tramontati. Fra mito e realtà, a seconda delle zone si passa da scavi archeologici datati all’età magno-greca a palazzi nobiliari del Medioevo, poi del Rinascimento e del Settecento, in un’alternanza di sobria eleganza e rigore da una parte e un’estasi di forme e volute dall’altra che riportano ciascuna a un’età d’oro e che sorprende lo sguardo, soprattutto se messe a contrasto con le modeste case di pescatori o pastori che fanno da contorno. Un insieme di grande atmosfera e impatto che è un po’ il paradigma di ciò che offre la Regione, disseminata di borghi dai promontori a picco sul mare fino alle irte vette di Sila, Aspromonte e Pollino. Nessuna zona esclusa.

Paesi di poche centinaia di anime che restano “arroccati”, è il caso di dirlo, alle loro tradizioni storiche, folcloristiche, artigianali ed enogastronomiche, popolando in ogni stagione il calendario di eventi capaci di trasmettere la cultura locale. Che sia attraverso una sagra all’insegna dei sapori più ruspanti, una solenne processione religiosa o una rievocazione in costume colma di eleganza e passione per quei tasselli di storia che rendono tanto orgogliosi anziani e giovani generazioni, la Calabria dimostra di essere viva e autentica. Si passa così da monumenti e celebrazioni ispirate alla Magna Grecia o alla civiltà dell’Antica Roma a testimonianze bizantine o normanne, fino ad arrivare alla trionfante ricchezza del tardo Barocco, in un excursus spazio-temporale sempre attento alla valorizzazione delle singole identità locali.

Per tutte queste ragioni e per la sua rilevanza regionale, La Calabria dei Borghi è stata selezionata da Unioncamere Calabria, in collaborazione con le Camere di Commercio di Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia, come prima destinazione regionale oggetto delle attività del Programma Sostegno al Turismo previsto dal Fondo di Perequazione di Unioncamere Nazionale, per aumentare la conoscenza dell’offerta regionale e dell’impegno del Sistema camerale a favore dello sviluppo turistico.

Itinerario degli antichi commerci. La riviera dei cedri e gli antichi vini

Saraceni, Normanni e Angioini hanno lasciato tracce importanti lungo la costa cosentina della Calabria, non solo in architetture e culture, ma anche in tradizioni gastronomiche. Già all’epoca e prima ancora dai tempi dei Greci, in queste terre a tratti irte e a tratti più dolci e collinari, fino a diventare pianeggianti verso i litorali marini, si coltivava infatti la vite. Terre interessate da un microclima mite, ideale per l’acclimatazione di alcuni vitigni, che in questa zona assunsero già in passato caratteristiche di particolare pregio. Si pensi, uno fra tutti, al vino di Cirella, il Chiarello, che gli annali tramandano essere stato il preferito da Re Ferdinando di Borbone e da Papa Paolo III Farnese. La presenza lungo la costa di fiorenti porti commerciali, insieme all’uso della pregiata pece silana all’interno delle anfore di terracotta, facilitava poi la diffusione del prodotto in tutto il Mediterraneo, fino ad arrivare in Francia e Spagna, senza subire grandi perdite organolettiche, il che rendeva già allora il vino calabrese un’eccellenza ricercata sul mercato.

Il particolare microclima dell’area costiera cosentina agevola anche la coltivazione di frutti unici come il pregiatissimo Cedro di Santa Maria del Cedro – borgo al centro della cosiddetta Riviera dei Cedri – o di verdure come il Pomodoro di Belmonte Calabro, l’unico pomodoro italiano a fregiarsi del marchio “Denominazone Comune d’Origine”. Fra le lavorazioni, spiccano quelle della Sardella di Amantea e delle Alici di Fuscaldo. Per i palati robusti, a Diamante, a nord della costa tirrenica, si tiene il Festival del peperoncino, che ogni anno raccoglie migliaia di visitatori e la cui Accademia ha ormai seguaci in tutto il mondo.

Il massiccio del Pollino e popolazione arbresche

La zona a nord della provincia di Cosenza è occupata da una porzione del Parco Nazionale del Pollino, terra dell’endemico pino loricato e delle vette più alte del Sud Italia, che sfiorano i a 2.200 metri e guardano su Ionico e Tirreno insieme. Benché sia la natura a fare da padrona da queste parti, non mancano gli spunti storico-archeologici, e persino preistorici, come per esempio nella Grotta-Riparo del Romito, o in quella di Sant’Angelo, con una graziosa chiesa ipogea del V-VI sec. d.C., o ancora nei borghi di Mormanno e Civita, fermi al Medioevo.

Per non farsi mancare nulla, c’è anche il tocco di “esotico” in più, dato dalle comunità di cultura Arbëreshe, presenti sul territorio dal 1470. Alcuni nuclei provenienti dall’Albania si rifugiarono qui per sfuggire alle milizie turche, rimanendo fedeli alle loro tradizioni e alla loro lingua, parlata ancora oggi, e fondando paesi come Acquaformosa, Civita, S. Basile, Lungro, Plataci, Frascineto, S. Costantino Albanese e S. Paolo Albanese.
La comunità albanese presente nel Pollino è fra le più radicate d’Italia: a Civita e a S. Paolo Albanese, si trovano i Musei della Civiltà Arbëreshe dove sono conservati numerosi oggetti, attrezzi e costumi tipici. Di grande interesse religioso sono le funzioni di rito greco-bizantino e le Vallje, le particolari danze che gli Arbëreshë intrecciano uniti l’un l’altro attraverso un fazzoletto.

Golfo di Corigliano

Calabria, Cosenza, Golfo di Corigliano. Siamo lungo quel tratto di costa della Calabria compreso tra i capi Spulico a nord e Trionto a sud, parte del golfo di Taranto. Due le infrastrutture marine nella zona: a nord il Porto di Sibari, conosciuto anche come “laghi di Sibari”, a carattere puramente turistico, e a sud il Porto di Corigliano, frequentato da imbarcazioni dedite alla pesca e al commercio.

Cosenza est: la costa Ionica e i fasti della Grande Sibari

Dall’VIII secolo fino al 510 a.C., anno della distruzione da parte della rivale Crotone, Sibaris-Copia fu la polis della Magna Grecia che dominò la pianura più estesa di tutta l’odierna Calabria, a sud dell’altopiano della Sila e bagnata dal fiume Crati. Una zona florida e ricca, come rivelano i tre siti archeologici, dai nomi piuttosto bizzarri: Parco del cavallo, Prolungamento Strada e Casabianca.

Oggi quest’area comprende importanti Comuni al suo interno. Rossano, per esempio, dove cultura e sapori risentono ancora dell’antica influenza magno greca, definita “la bizantina” per i suoi molti tesori, primo fra tutti il Codex Purpureus Rossanensis, l’antico evangeliario dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco e conservato nel locale Museo Diocesano. La sua fama è alimentata però anche dalla produzione di pregiati agrumi, come la clementina I.G.P., e di liquirizia DOP, ritenuta la migliore al mondo. Anche la pesca dà i suoi frutti, in particolare con il novellame, la sardella calabrese, detta anche il caviale calabrese.

Cosenza e la Sila Grande

Il tesoro perduto più ricco della storia sarebbe pari a venticinque tonnellate d’oro e centocinquanta d’argento. E dal 410 d.C. lo si cercherebbe nei dintorni e nel letto del fiume Busento, là dove Alarico, re dei Visigoti, diretto in Africa con questo prezioso carico, morì e fu sepolto. La leggenda vuole che ci abbiano provato in tanti a scovarlo, ma il mistero rimane, anche perché si narra che gli schiavi deputati allo scavo e alla deviazione temporanea del fiume, siano stati uccisi al termine dei lavori.

Il Busento nasce sul versante ovest del Monte Serratore, e una volta disceso a valle attraversa Cosenza, legata alla figura dello “stupor mundi”, Federico II di Svevia, che ne ampliò il castello normanno, ancora oggi simbolo del capoluogo calabrese, e città di nascita di uomini illustri come Tommaso Campanella e Bernardino Telesio, esponenti dell’Accademia Cosentina. Il centro storico è carico di storia e denso di edifici religiosi, fra cui spiccano il Duomo e il Convento di San Francesco d’Assisi, ma una volta giunti qui, vale la pena dedicarsi alla scoperta del vicino Parco Nazionale della Sila, 150.000 ettari di ricchezze naturali uniche nel loro genere.

La Calabria dei Borghi

Non servono classifiche ufficiali per asserire che molti dei borghi di cui è costellata la Calabria meritano di essere visitati, ma inquadrarli nell’ambito di un “listing” ufficiale, rende giustizia alla loro bellezza e mette l’accento su quanto il turismo deve guardare anche e soprattutto fuori dalle rotte consuete.
La natura selvaggia e prorompente del Parco Nazionale del Pollino per esempio, fa da contorno a paesi fondati fra il 1470 e il 1540 da alcune comunità albanesi giunte qui per sfuggire alle milizie turche, e che ancora oggi conservano lingua, cultura e usanze arbëreshe, rimaste intatte come i loro centro storici e le usanze agro-pastorali. Parliamo di Acquaformosa, Civita, San Basile, Lungro, Plataci, Frascineto, San Costantino Albanese e San Paolo Albanese. Per approfondire la conoscenza di questo popolo, a Civita e a San Paolo Albanese si trovano i musei della Civiltà Arbëreshe, dove sono conservati numerosi oggetti, attrezzi e costumi della tradizione. Di grande interesse religioso sono le funzioni di rito greco-bizantino e le Vallje, le particolari danze in cui ci si muove a ritmo uniti da un fazzoletto. Il forzato isolamento dovuto alle montagne ha fatto sì che nella zona del Pollino rimanessero intatti anche antichi riti come il carnevale con le maschere apotropaiche di Alessandria del Carretto o la Festa della Pita, i riti e i canti di devozione alla Madonna eco di una terra arcaica e autentica che ancora sopravvive, in parte proprio perché protetta dalle alte vette.

Si incentra invece sull’arte di strada il festival Il Borgo Incantato, che dal 1999 anima le serate di fine luglio di Gerace, medievale nell’imprinting architettonico quanto nella cultura che ancora sa esprimere: musicisti, giocolieri, funamboli, mangiafuoco, mimi, clown e maghi si esibiscono per strada, mentre nelle cantine dei palazzi nobili si degustano le specialità del posto. L’evento di richiamo di Altomonte è invece la Gran Festa del Pane, che nel mese di maggio prevede stand di produttori locali e provenienti dalle località aderenti all’Associazione Città del Pane, ma anche di altre realtà annoverate fra i “Borghi più Belli d’Italia” o inserite fra le Città Slow. A coniugare camminate esplorative nel centro storico e degustazioni di prodotti sono i percorsi guidati denominati “Forni Accesi” e “Catui Aperti”, da prenotare presso la Pro Loco.
Se Tiriolo è il paese reso celebre dalle sue botteghe artigiane di lavorazione al telaio e al tombolo, Fiumefreddo, Rocca Imperiale e Pizzo Calabro sono quelli indissolubilmente legati alla presenza del loro castello, in rovina, come nel primo caso, ma sempre pieno di fascino e mistero, o perfettamente intatto come nel caso di Rocca e Pizzo, dove a ogni passo si ripercorrono emozioni e ricordi che attingono a un lontano passato spesso a tinte forti. Come nel caso dell’episodio narrato durante la visita del maniero di Pizzo, luogo degli ultimi giorni e della fucilazione di Gioacchino Murat, Re di Napoli e delle Due Sicilie.

La Calabria dei Borghi

Cunfrunta, Cumprunta, ‘Ncrinata, Svelata. Questi termini popolari si riferiscono tutti allo stesso rito pagano diffuso nelle province di Reggio Calabria, Vibo Valentia e Catanzaro. Una manifestazione dalle origini millenarie, in cui si ritrovano elementi della cristianità bizantina mescolati con quelli di epoca romana: il giorno di Pasqua, per le vie dei borghi calabresi, le statue di Gesù Cristo, della Madonna e di San Giovanni portate a spalla dagli adepti delle confraternite si incontrano – da qui “cunfrunta” – dando il via a lunghi festeggiamenti, balli e canti di gioia. Celebrazioni religiose che si tingono delle tinte forti del folklore, tramandando nei secoli il fascino di culture lontane, nel tempo e nello spazio. Leit motiv che si ritrova anche nelle feste patronali, in cui riti spirituali e popolari invitano a onorare il santo protettore di un borgo, non senza trascurare l’aspetto luculliano di una festa, il cibo, con momenti dedicati alla degustazione di piatti e prodotti tipici.

Mistico oltre che rigenerativo è invece il viaggio dei cosiddetti luoghi bruniani, legati cioè alla figura di San Bruno di Colonia, monaco cristiano tedesco, fondatore attorno alla fine dell’XI secolo dell’Ordine certosino. Si parte da Serra San Bruno, piccolo borgo sorto a quel tempo proprio per accogliere le confraternite di ben nove chiese locali e gli artigiani intenti alla costruzione della monumentale Certosa dei Santi Stefano e Bruno. Un inaspettato crogiuolo di maestranze di lapicidi, pittori, artisti del legno intagliato e scolpito, fabbri, decoratori e altri artigiani che giunsero qui da ogni dove, creando una realtà unica, soprattutto in provincia di Vibo Valentia. Ci si immerge poi nel silenzio dei fitti boschi di faggio e abete bianco che circondano il paese, dove passo dopo passo si incontrano Il Calvario, il Dormitorio, il laghetto e l’Eremo di Santa Maria del Bosco, che oggi come allora rievocano i momenti più intensi della vita del Santo e della comunità religiosa che tanto ha contribuito alla storia della Chiesa e non solo. Per apprezzarne fino in fondo il valore, c’è il Museo della Certosa, custode dei numerosi capolavori d’arte prodotti in nove secoli dai monaci certosini.

La Calabria dei Borghi

I nomi che identificano i principali piatti o prodotti calabresi suonano spesso criptici ai forestieri, celando tradizioni antiche e poliglotte. Greci, Romani, Normanni e Arabi oltre che nell’architettura hanno lasciato il segno anche a tavola, soprattutto nella cucina delle piane più prossime al mare. Richiama la francese andouille la ‘Nduja, salsiccia di carne, lardo, fegato e polmone di maiale, originaria di Spilinga e dei comuni limitrofi dell’altopiano del Monte Poro, area nota anche per la produzione di un Pecorino, detto appunto di Monte Poro o “casu”, ottimo al naturale o alla griglia o come condimento di piatti filanti. La devozione locale per il suino è testimoniata anche dalla Sopressata Dop e da un piatto tradizionale come il murseddo, striscioline di trippe, fegato di vitello e maiale con l’aggiunta di pomodoro e peperoncino, racchiuse nella pitta, disco di pasta di pane che richiama la greca pita. Carne di porco pure nelle opulente sagne chine, lasagne imbottite con macinato di maiale, piselli, cacio, funghi, carciofi e uova sode. Altrettanto iconica come la ‘Nduja è la Cipolla rossa di Tropea IGP, vessillo della zona di Vibo Valentia. Particolarmente utilizzata per la preparazione di insalate fresche, è impiegata anche come ingrediente base di specialità gastronomiche tra le più varie, quali conserve, condimenti, salse, paté e confetture, e persino un gelato a dir poco sui generis. Il dolce calabro per eccellenza è originario della stessa provincia: è il Tartufo di Pizzo, nato qui in virtù dell’usanza di utilizzare la neve delle Serre e della Sila per realizzare granite e sorbetti con le fragole di bosco locali, o con le mandorle e i limoni della vicina Sicilia.
Il borgo di Buonvicino, nel cosentino, è invece legato a un altro agrume, il cedro, mentre il Bergamotto di Reggio Calabria è una DOP che dà i suoi frutti anche con l’olio essenziale, utilizzato nella cosmetica e nella profumeria di lusso.

Quanto ai vini, rapidi passi da gigante sono stati fatti negli ultimi anni in fatto di qualità, permettendo alle aziende locali di arrivare alla classificazione di ben 8 Doc e 6 IGP. A fare da portabandiera dell’Enotria, “terra del vino” – così l’avevano ribattezzata i coloni greci – è oggi il Cirò Doc, prodotto a Cirò e Cirò Marina, nel crotonese, come rosso, rosato e bianco. Nella stessa provincia si coltivano altre due Doc, il Santa Anna di Isola di Capo Rizzuto e il Melissa, con blend di uve che comprendono Gaglioppo, Nocera, Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio, Malvasia nera, Malvasia bianca e Greco bianco.

Si va in provincia di Cosenza per degustare invece i Doc Savuto e Terre di Cosenza, dove sono state identificate sette sottozone, caratterizzate dalla produzione di vini particolarmente pregiati, quali Condoleo, Donnici, Esaro, Pollino, San Vito di Luzzi, Colline del Crati e Verbicaro. Nel catanzarese si beve invece con lo Scavigna Doc, bianco e rosso. Se la zona è quella di Reggio, si pasteggia con Bivongi e Greco di Bianco Doc. Gli IGP riportano invece i nomi di borghi come Scilla e Palizzi, di zone quali Locride, Costa Viola e Val di Neto e persino di un fiume, il Lipuda, IGP che nel suo Dna comprende un blend di Aglianico, Ansonica, Cabernet Franc, Greco Bianco e altri vitigni autoctoni e non.

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