Gli inglesi dicono che somiglia al Culmberland, gli austriaci al Salzkammergut, gli scozzesi alle Highlands. Tutti confrontano l’Abruzzo con i loro “angoli” più belli e selvaggi. Una terra dove la qualità della vita la raccontano i numeri: meno di 1.200.000 abitanti distribuiti su 10.700 kmq di superficie e in 305 comuni suddivisi in quattro province – con una densità che oscilla dai 57 abitanti del capoluogo L’Aquila, ai 255 della costiera Pescara – e coperta al 70% da parchi e aree protette.
L’arrivo in Abruzzo si avverte tramite un senso di spazio che si spalanca all’improvviso, dilatato e sorprendente. Si assottiglia il flusso del traffico, deflagra il silenzio davanti a un amplissimo sipario di monti, valli e altopiani lunari che digradano fino al litorale, che fila liscio per decine e decine di chilometri, ininterrottamente dalla foce del Tronto a quella del Sangro, avvalorando l’idea di una terra che va a incontrare il suo mare in forma piana, sabbiosa. Anche quando, lungo la Costa dei Trabocchi, fa convergere lo sguardo sui profili “aerei” e sottili dei tradizionali pontili per la pesca. Sennonché, alle spalle, ecco appunto che svettano all’orizzonte le cime più alte dell’Appennino, tra cui giganteggiano aspri il Gran Sasso, la Majella e le tante vette oltre i 2.000 metri del Parco Nazionale d’Abruzzo, habitat dell’orso marsicano, del lupo e dell’aquila reale. Veri paradisi per gli appassionati di trekking e ogni forma di outdoor, sci compreso, perché qui l’inverno imbianca tutto facendo da richiamo come fossero né più né meno che le Dolomiti, o quasi, ma a un’altra latitudine.
Anche i nomi delle città rispecchiano tra loro questo contrasto mare/monti, ognuna fiera del suo carattere. Accanto alle località in cui si cita il mare – Francavilla a Mare, Silvi Marina, Vasto Marina e così via – accanto a nomi salmastri come la pulsante Pescara, si ergono le tante rocche nell’entroterra montuoso: Roccaraso, Roccapia, Roccacaramanico… Fino a Rocca Calascio, onirico set di tanti film.
Per la sua posizione mediana, nel cuore dell’Italia, l’Abruzzo è sempre stato un crogiuolo di gentes: terra picena, vestina, marrucina, peligna, marsa, sannitica al tempo dell’impero romano, ma dopo il crollo di questo imbevutasi del teutonismo dei Longobardi. Di cui rimane traccia negli occhi e nei capelli chiarissimi dei montanari, nei nomi gutturali incisi sugli antichi sarcofagi e soprattutto, ancora una volta, nella toponomastica. Patria di grandi abati, d’espansione per ordini e congregazioni monastiche, dai benedettini ai francescani, la zona più a nord del vicereame di Napoli (poi Regno delle Due Sicilie), e al confine con la Marca Pontificia.
Ci sono vestigia romane, musei pieni di tesori ancora sconosciuti, imponenti cicli di affreschi medievali, un’irripetibile tradizione orafa del Tre-Quattrocento, una magnifica architettura medievale e rinascimentale. Cultura ce n’è tanta, ovunque, sedimentatasi nel corso dei secoli. Qui si trova Amiternum, antica città italica fondata dai Sabini, dove nacque lo storico Sallustio, Qui si trova la Sulmo patria del poeta Ovidio. Qui nacquero giuristi e filosofi da Marino da Caramanico a Benedetto Croce, oltre a papi, santi, condottieri e umanisti, e a personalità politiche e storiche delle quali sarebbe arduo dar conto. Ci limiteremo a tre nomi su tutti: Gabriele d’Annunzio. Ignazio Silone ed Ennio Flaiano, ciascuno a suo modo Maestro nell’interpretare lo spirito indomito e mai fiaccato della versione moderna di quelle antiche gentes, autoctone o di passaggio che fossero.