Spoletino

L’Umbria e l’olivo. Una storia che dura da millenni e che trova nel Comprensorio Spoletino, in provincia di Perugia, la sua area di massima concentrazione. Ha addirittura un nome: si chiama Fascia Olivata ed è un territorio prezioso, sia per la quantità e la qualità dell’olio prodotto, sia per aver ottenuto tre importanti riconoscimenti: è stata dichiarata dall’Unesco Paesaggio culturale evolutivo-vivente, è parte dei Sistemi del Patrimonio agricolo di rilevanza mondiale della Fao, ed è il primo territorio italiano ad essere inserito nel programma GIAHS (Globally Important Agricultural Heritage Systems.

Al centro del Comprensorio e della Fascia Olivata sorge Spoleto, la città che dal 1956 ospita il celebre Festival dei Due Mondi. Già da lontano si coglie l’atmosfera d’insieme, ferma all’epoca medievale, anche per la mole della trecentesca Rocca Albornoziana che incombe dalla cima del Colle Sant’Elia. Oggi la fortezza è sede del Museo nazionale del Ducato di Spoleto, e a collegarla alla città da quasi duemila anni c’è Il Ponte delle Torri, 230 metri di lunghezza e 82 di altezza, parte dell’altrettanto spettacolare Acquedotto di Cortaccione. Entrambi risalgono infatti al periodo romano, ed entrambi hanno suscitato nei secoli grande sorpresa – persino in Goethe che li cita nel suo Viaggio in Italia – per la qualità ingegneristica applicata a un’opera civile. Altra architettura spoletina che sorprende per le sue dimensioni è la Torre dell’Olio, che con i suoi 45,5 metri è le più alta della città. Curiosa la storia legata al nome: sarebbe chiamata così perché da qui veniva gettato olio bollente sui nemici che cercavano di entrare dalla sottostante Porta Fuga. La leggenda vuole che fra i nemici più durante colpiti da questa “tortura” ci siano stati Federico Barbarossa e Annibale. Moltissime, dunque, anche nel Centro Storico, le tracce che rimandano alla dominazione romana. Sotto il manto stradale di Piazza della Vittoria c’è per esempio il Ponte Sanguinario, formato da blocchi di travertino e in buono stato di conservazione, mentre l’Arco di Druso si trova sul sito dove un tempo transitava il tratto urbano della Via Flaminia. Dei moltissimi edifici religiosi, la Cattedrale di Santa Maria Assunta è sicuramente il più importante, nonché Monumento Nazionale: costruito nel XII secolo, il Duomo è decorato da un ciclo di affreschi di Filippo Lippi, e conserva un’opera del Pinturicchio e una scultura bronzea del Bernini. Nel Complesso monumentale di Sant’Agata, articolato in una serie di edifici, si possono scorgere anche i resti del Teatro Romano. Risalgono invece al periodo Rinascimentale o Barocco alcuni degli edifici aristocratici più belli: fra tutti, spicca il settecentesco Palazzo Collicola, dal 2000 location della Galleria d’Arte Moderna “G. Carandente”, punto di riferimento per l’arte contemporanea a livello nazionale.

Alle spalle di Spoleto si sviluppa il Bosco sacro di Monteluco, dove nel 1218, attorno alla cappellina-oratorio che spesso ospitò il “poverello di Assisi”, è stato innalzato il Santuario di San Francesco. Qui si ha la summa di ciò che significa vivere nel Comprensorio Spoletino: arte, spiritualità e natura fuse insieme. Un altro esempio è il Tempietto del Clitunno, nei pressi di Campello sul Citunno, eretto nel V secolo d.C. e riconosciuto Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco come parte del sito seriale “I Longobardi in Italia: i luoghi del potere”. Come sul Monteluco, sono i lecci la pianta “madre” di fitte foreste da esplorare lungo i percorsi tracciati. Altra meta adatta al trekking, a piedi e in MTB, è il Monte Martano, massiccio montuoso dell’Appennino umbro-marchigiano.

Trasimeno

Duemila e più anni di storia, in un’incredibile alternanza di culture ed epoche diverse, si riflettono nelle acque del Parco Regionale del Lago Trasimeno, il più grande dell’Umbria. Il primo capitolo di questo immenso libro di storia en plein air è Castiglione del Lago, le cui origini etrusche si leggono ancora nonostante le molte stratificazioni su cui mise il suo sigillo anche Federico II di Svevia, che nel XIII secolo riedificò la fortezza del borgo ribattezzandola Castello del Leone, in seguito sede del marchesato e del ducato dei Della Corgna. Sorte movimentata anche quella di Città della Pieve, la potente Castrum Plebis che nel suo Centro Storico alterna elementi di ogni gusto ed età, dai resti di epoca etrusca fino a risalire i secoli e ad approdare alle architetture di gusto barocco, rococò e neoclassico.

Il Castello dei Cavalieri di Malta di Magione ha una storia a dir poco unica nel suo genere che vale la pena raccontare. Costruito nel XII secolo come ospedale per i pellegrini in viaggio da Roma a Gerusalemme, divenne poi una fortezza che nei secoli ospitò papi e personalità. Il Machiavelli ambienta qui la celebre congiura ai danni di Cesare Borgia, e nelle sue cantine in mattoni rossi c’è sempre qualcuno che ne rievoca i fatti. Oggi, sotto quelle volte riposano e si degustano i vini di un’azienda agricola dedita alla produzione di un rosso etichettato Colli del Trasimeno Doc e di olio extravergine. Magione è il punto di riferimento anche per chi vuole praticare birdwatching e conoscere meglio l’ambiente lacustre: qui si trovano il Centro visite del Parco e dell’Oasi naturalistica “La Valle”, il Centro di documentazione del Trasimeno, una stazione di inanellamento degli uccelli, alcuni osservatori e il Museo della Pesca di San Feliciano.

Paciano, che con meno di mille abitanti è uno dei Comuni più piccoli d’Italia, grazie alle sue tre porte e alla cinta muraria è riuscito a difendere per secoli la sua microrealtà, come pure Panicale, che deve la sua inespugnabilità alla pianta a cerchi concentrici stretti attorno al castello. Sono così arrivati intatti a noi la bella Collegiata di San Michele, il Palazzo del Podestà, il Complesso del San Sebastiano, immerso nella tranquillità di un parco e con due splendidi affreschi del Perugino. Vero unicum è il Museo del Tulle, allestito nell’ex chiesa di Sant’Agostino, dedicato alla memoria di una panicalese molto più che operosa, Anita Belleschi Grifoni, cui si deve il recupero di un tipo di ricamo su tulle denominato “Ars Panicalensis”, mentre in un’ex fabbrica di vetro di Piegaro è il Museo del Vetro a raccontare storie di tradizioni antichissime, di viaggi e commerci accaduti ai tempi dei Fenici.

Qualche ricordo scolastico lo suscitano pure Passignano e Tuoro sul Trasimeno, là dove nel 217 a.C. avvenne la famosa battaglia fra le truppe romane e cartaginesi di Annibale. In particolare, nei dintorni di Tuoro si sviluppa un percorso archeologico che tocca i luoghi dello scontro. Nonostante i successivi passaggi di Goti, Longobardi, Bizantini e di vari Signori e vassalli, entrambi i borghi hanno mantenuto un aspetto medievale, che si apprezza ancora di più in barca, a bordo dei battelli che fanno la spola verso due delle tre isole del Lago Trasimeno. L’Isola Maggiore, con il suo borgo di pescatori, e l’Isola Polvese, dal 1973 Parco Scientifico-Didattico per la ricca flora e fauna.

Tuderte

Lungo la Strada Provinciale Tuderte la mano dell’uomo è ovunque, nella natura, lavorata e addomesticata con viti e ulivi disposti ordinatamente sui crinali dei colli, e nei borghi, appollaiati sui promontori per scrutare la valle. Al centro di questo “sistema”, Todi, l’antica Colonia Julia Fida Tuder, che all’interno delle tre cerchia di mura concentriche mostra tutto ciò che ha saputo difendere: il volto umbro-romano delle origini, e medievale poi, corrugato di viuzze strette e irte che si arrampicano fino a Piazza del Popolo. Ci vogliono fiato e buone gambe per arrivarci, ma ne vale la pena, perché ad attenderci ci sono il Palazzo del Popolo, detto anche Palazzo Vecchio, il Palazzo del Capitano, o Palazzo Nuovo, e in cima a una ripida scalinata, il Tempio di San Fortunato, notevole esempio di stile gotico umbro. Nella cripta trovano spazio le spoglie del frate-poeta Jacopone da Todi e quelle dei santi protettori della città, ben cinque: Fortunato, Callisto, Cassiano, Degna e Romana. Ai margini del borgo sorge invece la Chiesa di Santa Maria della Consolazione, Rinascimento puro nelle linee, grazie al tocco del Bramante che diede avvio al progetto nel 1508.

Bisogna andare invece a Collazzone per leggere di quella notte di Natale del 1306 in cui Jacopone da Todi sarebbe morto nella cripta del Convento di San Lorenzo, dal 1227 benedettino, e poi dal 1236 francescano. Tutto attorno al Convento si sviluppa il borgo, con un’architettura militare tipica dell’epoca longobarda, fra terrapieni, contrafforti, torrioni e strette vie in cui ci si ritrova ad osservare piccoli dettagli, vasi di fiori a decorare terrazzini e davanzali, portali in pietra scolpita, lacerti di affreschi su palazzi un tempo nobiliari.

Per le strade di Fratta Todina, il restauro di edifici antichi ha preso piede, ed ecco allora rinata una parte delle mura castellane, il Palazzo Vescovile del Seicento e la Chiesa Parrocchiale edificata nel 1654 dal cardinale Altieri di fronte al palazzo di famiglia,
l’opera architettonica più imponente e fastosa del paese, con una galleria affrescata e una deliziosa loggia. A Massa Martana e a Marsciano non c’è una pietra fuori posto. Qui, monumenti, palazzi, edifici religiosi e civili sono tornati come una volta. A Marsciano in particolare si notino la Chiesa Parrocchiale di San Giovanni Battista, patrono della città, con un bel dipinto della scuola del Perugino, il Palazzo Comunale, costruito nel 1871, il Teatro della Concordia, gli edifici in stile liberty e lo splendido Palazzo Battaglia, e la porta d’accesso chiamata Porta Vecchia, interamente ricostruita. Il Museo Dinamico del Laterizio e delle Terrecotte, con varie sedi nel territorio fra siti di produzione e laboratori, permette poi di ripercorrere lo sviluppo di questa antica tradizione locale. Una delle sedi è nel Centro Storico, a Palazzo Pietromarchi, residenza trecentesca della famiglia dei Conti Bulgarelli di Marsciano, dove sono esposti oggetti e opere di varie epoche.

Chiude questo itinerario tuderte Monte Castello di Vibio, che a dispetto del suo nome e del gran numero di manieri della zona, non ha un castello vero e proprio, ma solo una torre sopra la Porta di Maggio. Per chi ama collezionare luoghi da Guinness, qui si trova il teatro più piccolo del mondo, con solo 99 posti suddivisi fra palchi e platea. E’ il Teatro della Concordia, realizzato nel 1808 per iniziativa di alcune famiglie abbienti che volevano creare un luogo di divertimento in paese.

Turismo dell’Olio

Umbria polmone verde. Una definizione diventata nel tempo anche un claim pubblicitario capace di sintetizzare l’essenza di un intero paesaggio. A un’osservazione più attenta però, quel colore onnipresente ha le sfumature dell’argento, perché la splendida campagna umbra altro non è che una distesa di piantagioni di olivo, attività che dai tempi degli Etruschi a oggi non ha fatto che diffondersi sempre di più, come testimoniano le 28 mila aziende produttrici e gli oltre duecento frantoi. Un “motore” importante dell’economia, agricola ma anche turistica, che crea fra le varie parti in causa un sistema sinergico per la conoscenza del territorio e la sua promozione come destinazione.

Dopo gli Etruschi furono gli Antichi Romani a incrementarne la coltivazione, fino al I secolo d.C., quando sul mercato “globale” del Mediterraneo arrivarono da Spagna e Nord Africa prodotti a basso costo che fecero crollare produzione e vendita. Solo nel Medioevo, sulla spinta delle congregazioni religiose si ebbe un forte ritorno all’olivicoltura, che poi nel Quattrocento esplose in seguito a un decreto che obbligava gli agricoltori a impiantare ogni anno un certo numero di piante. Pratica ripresa nell’Ottocento su incentivo dello Stato Pontificio che aveva compreso le potenzialità di sviluppo dell’ ”oro biondo”.

Questo rapido “rewind” di oltre venti secoli di storia fa capire la grande importanza che questo prezioso frutto ha avuto nel plasmare paesaggio e tradizioni, che com’è ovvio immaginare, si riverberano nella cucina locale. Crudo o cotto, l’olio è un ingrediente basilare della dieta regionale, nella sua versione “mediterranea di campagna” di altissima qualità, grazie a metodi di coltivazione e trasformazione naturali e senza l’uso di sostanze chimiche che hanno portato al primo riconoscimento DOP d’Italia. Cinque le zone della DOP umbra: Colli Assisi-Spoleto, Colli Martani, Colli Amerini, Colli Orvietani e Colli del Trasimeno, ognuna con le proprie caratteristiche peculiari, in alcuni casi adatte anche alla produzione di cosmetici e unguenti.

L’indiscussa bellezza del paesaggio umbro, plasmato dall’ulivicoltura ma non solo, è un invito alla scoperta di un altro genere di ricchezza, quella accumulata in numerosi borghi e città meta di pellegrinaggi religiosi ma anche di appassionati d’arte, che in entrambi i casi trovano qui ampia soddisfazione. Rilassanti trekking da fare a piedi, a cavallo o su due ruote, inframezzati da soste in agriturismi o affascinanti dimore storiche dove il relax ha il sapore di piatti antichi, esaltati da un sapere contadino di tutto rispetto. Magari da fare proprio con corsi di degustazione dedicati all’olio e a come sfruttarlo al meglio una volta tornati a casa.

Eugubino Alto Chiascio

In una terra dove l’espressione “bottega artigiana” ha ancora un senso vivo e autentico legato al volto di fabbri, intagliatori del legno, ceramisti, ricamatrici, librai, orafi e così via, il contesto storico-architettonico non potrebbe che essere quello intatto del Comprensorio Gubbio e Altochiascio. Qui, in provincia di Perugia, fra la catena appenninica e la Valle del Tevere, nella realtà floro-faunistica unica del Parco Regionale del Monte Cucco, ecco Gubbio, ricordata già nel III secolo a.C., in lingua umbra, nelle preziose Tavole Eugubine, oggi conservate nel Museo Civico di Palazzo dei Consoli. La visita all’edificio è d’obbligo, sia per la vista che si gode sulla vallata dalla Piazza Grande, sia per la bellezza degli interni, perfetto punto di partenza per prepararsi a ciò che ci attende nel Centro Storico, arrivato a noi intatto dal Medioevo, quasi come fosse rimasto sotto una campana di vetro.
Si inizia dal punto più alto, dove si trova la Basilica di Sant’Ubaldo. La salita a piedi richiede fiato e gambe, ma in alternativa c’è la funivia Colle Eletto che si inerpica sul Monte Ingino, fino a 827 metri. Qui sono custodite le spoglie del Santo Patrono eugubino, e da qui ogni anno il 15 maggio prende il via la famosa Festa dei Ceri di Gubbio. Un rito cristiano cattolico ma con “inflessioni” pagane, in corso dal XII secolo e perciò considerata uno dei più antichi eventi folcloristici d’Italia. Fra un vicolo e l’altro, senza correre come i “ceraioli”, si scoprono poi Palazzo Beni, Palazzo del Bargello con la famosa fontana detta “dei Matti”, e Palazzo del Capitano del Popolo, fino alla solennità rinascimentale di Palazzo Ducale, con ogni probabilità progettato da Francesco di Giorgio Martini, architetto di fiducia dei Montefeltro. Una costante lungo il percorso sono le chiese, tante, tantissimi, fra cui spicca la Cattedrale dei Santi Mariano e Giacomo. Arrivati nella parte bassa dell’abitato, si arriva in Piazza Quaranta Martiri, ex mercato, su cui affaccia la Chiesa di San Francesco, legata alla famiglia degli Spadalonga, che secondo le cronache del Duecento “vestirono” San Francesco dopo la spoliazione dai beni terreni e l’abbandono della casa paterna. Fuori dalle mura, altri edifici sacri – la Chiesa di San Secondo, la Chiesa della Madonna del Prato e la Chiesa della Vittorina – e i resti dell’antica Ikuvium, teatro e mausoleo romano.

Sono solo probabili invece le origini romane di Costacciaro, sorto lungo la Via Flaminia, sempre nel Comprensorio Gubbio e Altochiascio. Oltre al Centro Storico con emergenze importanti quali i resti della Rocca del Càssero e della cinta muraria con la Torre Civica del XIII secolo, meritano una visita il “Borgo didattico” e il Centro escursionistico naturalistico e speleologico, ricavato nell’ex monastero delle Benedettine, e il Museo-laboratorio del Parco di Monte Cucco, nell’ex chiesa di San Marco evangelista. Due intelligenti esempi di riuso di luoghi devozionali, a favore della comunità e della natura. Proseguendo lungo la Via Flaminia, sorge Fossato di Vico, che pur nelle sue ridotte dimensioni – 2.600 circa gli abitanti – è diviso fra parte pianeggiante e Fossato Alto, quest’ultimo rimasto come nel Medioevo: bellissime le “rughe”, le vie coperte da volte a tutto sesto, il vecchio Palazzo comunale, la Torre dell’Orologio, la Torre merlata d’ingresso, la Chiesa di San Pietro di stampo cistercense, la trecentesca Chiesa di San Benedetto e il Monastero di Santa Maria del Fonte, dimora delle monache benedettine di clausura.

Gualdo Tadino, ex prefettura e colonia romana, nel corso della sua lunga storia si scontro con due delle più importanti figure dell’antichità: Annibale, che nel 217 a.C. la mise a ferro e fuoco, Cesare, nel 48 a.C., e Totila, re dei Goti, che proprio qui fu ucciso da Narsete, re dei Longobardi. Da questi fatti si capisce l’originaria funzione militaresca della Rocca Flea, eretta nel XII secolo e poi rivista da Federico II di Svevia, nel 1247. Senza alcuna esagerazione, è ancora oggi magnifica, perfetta nella sua nuova veste da sede del Museo Civico e della Pinacoteca, così come il resto del borgo, fra Duomo, Palazzo del Podestà, Torre Civica e Museo Opificio Rubboli, ricavato nell’ex manifattura ottocentesca di maioliche a lustro. Salendo poi sul monte Valsorda, prende quota la voglia di escursionismo e contatto con la natura, così come a Scheggia, Pascelupo e Sigillo, centri antichi sorti lungo la Flaminia, più volte distrutti e ricostruiti, che oggi trovano la loro dimensione più apprezzabile nel silenzio delle belle e romite abbazie benedettine e camaldolesi, e lungo i sentieri del Monte Cucco e del Monte Catria.

Infine, Valfabbrica, le cui origini si devono ai monaci benedettini che nel lontano 820 fondarono l’Abbazia di Santa Maria in Vado Fabricae. Il sito prescelto fu lungo il corso del Chiascio, mentre quello per il Castello, oggi completamente restaurato, la sommità di un colle che domina la vallata fra Gubbio, Perugia e Assisi.

Folignate Nocera Umbra

La provincia di Perugia, e in particolare il comprensorio turistico Folignate-Nocera Umbra, è una carrellata di piccoli borghi che sembrano usciti da un compendio di architettura medievale, dove il calendario è scandito da eventi e tradizioni che riportano a secoli fa.
Se ne ha un primo assaggio nel cuore del Centro Storico di Foligno, dove c’è un luogo che ha segnato la storia della letteratura italiana: Palazzo Orfini, nel 1472 sede della stamperia della prima edizione della Divina Commedia. Il viaggio dell’opera di Dante, che ha travalicato otto secoli, prese avvio da qui e ancora non è finito. L’edificio è facilmente individuabile: si trova in Piazza della Repubblica, davanti al Duomo e al Palazzo delle Canoniche e accanto a quello del Comune. Qui attorno sono numerosi gli edifici degni di nota: vedi i Palazzi Cantagalli, Deli, Alleori Ubaldi, Bartocci e Candiotti, quest’ultimo sede dell’Ente Giostra della Quintana. Già, la Quintana, una delle rievocazioni storiche più belle e sentite del Centro Italia, ispirato a un fatto di cronaca del 1613 e riproposta in tempi moderni a partire dal 1946, a giugno e settembre.

La Cavalcata di Satriano è invece l’evento che dal 1926 identifica Nocera Umbra: Un gruppo di cavalieri in costume d’epoca ripercorre l’ultimo viaggio fatto nel 1226 da San Francesco, da Nocera Umbra ad Assisi. Ideato dal podestà dell’epoca, coinvolse personaggi del calibro di Gabriele D’Annunzio e Guglielmo Marconi, cavalieri per un giorno in nome del “poverello di Assisi” poi Patrono d’Italia. Appena fuori dal Centro Storico si trova Bagni di Nocera, nota sin dai tempi antichi per le proprietà curative della sorgente Angelica.

Bevagna, fra i “Borghi più belli d’Italia”, si lascia scoprire con una rilassante passeggiata fra resti di epoca romana – templi, mosaici, mura, cisterne, colonnati e persino un teatro – e piazze e vie contornate di palazzi medievali suddivisi fra i quattro quartieri, detti Gaite: San Giorgio e San Giovanni, Santa Maria e San Pietro. La forbice temporale fra ciò che era alle origini e ciò che si vede oggi, risalente per lo più al Medioevo, ritaglia oltre mille e cinquecento anni di storia tutta lì da vedere. Accade la stessa cosa a Gualdo Cattaneo, conservato in modo impeccabile dai suoi cinquemila cittadini, orgogliosi di custodire vestigia preziose, fra cui spiccano la poderosa Rocca, eretta in soli quattro anni fra il 1494 e il 1498, e una serie di altri manieri appartenuti alle nobili famiglie del passato: Castello di Barattano, di Grutti, di San Terenziano, di Speltara e il Forte di Gregorio XIII, commissionata nel 1415 dal Papa in persona nella frazione Pomonte.

Il paesaggio del comprensorio del Folignate si identifica in due piante, vite e ulivo, che trovano il loro “portavoce” in Montefalco, borgo cui è legata la produzione di Sagrantino di Montefalco Docg e Montefalco rosso Doc. Inserito fra i “Borghi più belli d’Italia”, è considerato un vero punto di riferimento nel mondo dell’arte per la ricchezza e varietà di opere e monumenti conservati. Ne è simbolo il Complesso museale di San Francesco, articolato in tre spazi espositivi: l’ex chiesa, nota per il ciclo di affreschi di Benozzo Gozzoli, la Pinacoteca con dipinti di scuola umbra, e la cripta, scrigno di centinaia di reperti archeologici. Il resto del paese non è da meno, fra edifici religiosi e palazzi nobiliari impreziositi da affreschi di Maestri del Medioevo e del Rinascimento.

Terme, teatro, anfiteatro e mura di Spello sono invece di epoca romana, solida base su cui sono sorte nei secoli semplici case in pietra e palazzi aristocratici, committenti di molti tesori locali. Nella Chiesa di Santa Maria Maggiore si può per esempio ammirare la splendida cappella Baglioni decorata con affreschi del Pinturicchio, dipinti del Perugino e impreziosita da un pavimento in maiolica di Deruta. Il Palazzo che ricorda l’epopea della famiglia Baglioni è qui vicino, ed è da visitare insieme alla Biblioteca e all’Archivio storico del Palazzo Comunale.

Tra Foligno e Spoleto, ecco infine Trevi, altro luogo inserito fra i “Borghi più belli d’Italia”, arroccato su un colle che domina la Via Flaminia. Se il paesaggio ammantato di ulivi attorno incanta, lo fa anche ciò che si trova dentro le poderose mura, risalenti come molti resti di edifici al I secolo a.C. A fare da congiunzione fra “in & out” le mura è un magnifico viale alberato lungo 800 metri, che mette d’accordo tutti, appassionati di natura e arte. Pochi passi e si entra poi nel Complesso Museale di San Francesco, con la Raccolta d’arte di San Francesco e due distinte sezioni: la Pinacoteca con preziose tavole due-trecentesche di scuola umbra, e la sezione archeologica. Opere del Maestro del Rinascimento Federico Zuccari si ammirano invece nel Collegio Etiopico Pontificio, per poi passare ai giorni nostri nel Palazzo Lucarini Contemporary, centro per la produzione e promozione dell’arte contemporanea, nel cuore antico dell’Umbria.

Alta Valle del Tevere

Siamo in Umbria, nella provincia di Perugia, ma in passato, il territorio dell’Alta Valle del Tevere, o Valle Tifernate, fu oggetto di interessi politico-economici anche da parte di Arezzo e Montefeltro. Fattore che ha giocato a favore del territorio, arricchitosi nel tempo di influenze culturali e artistiche di notevole pregio. Basti pensare che nell’area gravitavano personaggi quali Piero della Francesca, Raffaello Sanzio, Giorgio Vasari e Bernardino di Betto Betti, alias il Pinturicchio, tanto da far ribattezzare la zona “Valle Museo”.

L’arte era ed è quindi un leit motiv di questo viaggio, che porta alla scoperta di borghi antichi affacciati su distese di campi coltivati a olio e vite sin dai tempi del popolo degli Umbri, e dal 1575 in poi di piantagioni di tabacco, o ancora immersi in foreste che scendono fino al fondovalle, lungo le anse del Tevere, che verso la Toscana lasciano spazio a castagneti. I marroni che ne derivano sono fra i prodotti locali più rinomati, base di una cucina “povera” e schietta, ma dai sapori intensi, che raggiunge il suo apice con il pregiato tartufo bianco.

Fra le tappe imprescindibili della “Valle Museo” c’è sicuramente Città di Castello, che dal Rinascimento a oggi non ha smesso di attingere risorse dai talenti artistici locali e non, offrendo ad oggi una bella Pinacoteca comunale, edifici eleganti come Palazzo Vitelli, fino al Centro documentazione delle arti grafiche Grifani – Donati, punto di riferimento nella valorizzazione della tradizione tipografica cittadina.

Palazzo Albizzini e gli ex Seccatoi del Tabacco sono invece sede della raccolta delle opere di Alberto Burri, grande maestro dell’arte contemporanea internazionale nativo proprio di Città di Castello.

Dal dominio della casata dei Vitelli, a Montone si passa a quella dei Fortebraccio, Signori della zona dal IX secolo in poi, avendo nel loro albero genealogico anche il celebre Andrea detto poi Braccio da Montone, uno dei più celebri capitani di ventura del Quattrocento. Nel borgo, imperdibile è la Collegiata di Santa Maria e San Gregorio Magno, dove ogni lunedì di Pasqua, dal 1310, si espone la reliquia della Sacra Spina.

Da una “reliquia” preistorica, un osso di tibia umana, è invece ricavato il cosiddetto “flauto di Pietralunga”, rinvenuto nei pressi del borgo di Pietralunga, oggi conservato nel Museo Archeologico di Perugia, che attesta come la zona fosse già abitata ben prima degli Umbri. Nel centro storico, si trova invece il Museo ornitologico-naturalistico, curioso non solo per gli appassionati birdwatching o naturalisti in erba.

Di raffinata arte topiaria si parla invece a San Giustino, grazie al Castello Bufalini, circondato da un meraviglioso giardino all’italiana con tanto di labirinto, e con sale decorate da affreschi attribuiti a Cristoforo Ghepardi e da capolavori pittorici di Luca Signorelli e Guido Reni. Nel centro storico ci si imbatte in un altro luogo significativo, il Museo della Storia e della Scienza del Tabacco, fra i pochi in Italia, dove si può ripercorrere la nascita e lo sviluppo di questa particolare coltura che tanta parte ha avuto nella storia dell’Alta Valle del Tevere e nella vicina Toscana.

Infine, Umbertide, in cui nome evoca la rigogliosità della verde vallata in cui si trova, percorsa per 50 km dal fiume che da qui prosegue il suo corso fino al cuore di Roma.

Assisano

Il termine Comprensorio Assisano potrebbe essere sinonimo di bellezza e spiritualità. Due caratteristiche di cui la città di Assisi è pervasa in ogni sua pietra, di quel tenue rosa che la sera si fa più intenso. Dal 2000, il suo Centro Storico e la quasi totalità del territorio comunale sono stati dichiarati Patrimonio dell’Umanità, in virtù dei molti monumenti che qui, nella parte settentrionale della valle umbra, si concentrano. La lista delle tappe d’obbligo è pressoché infinita: a cominciare dalla Basilica di San Francesco, celebre per il ciclo di affreschi di Giotto e Cimabue, cui seguono gli altri siti francescani, la Cattedrale di San Rufino, la Basilica di Santa Chiara, il Convento della Chiesa Nuova, il Tempio di Minerva, la Chiesa di Santa Maria Maggiore, l’Abbazia di San Pietro, la Basilica di Santa Maria degli Angeli con la Porziuncola, il Santuario di Rivotorto, l’Eremo delle Carceri e il Monastero di San Damiano, oltre alla Rocca Maggiore e alla Rocca Minore.

L’importanza di questa culla della spiritualità sta anche nel messaggio di pura bellezza trasmesso dall’Ordine Francescano, che partendo da qui si è diffuso ovunque influenzando la storia dell’arte stessa. Assisi è un esempio unico di integrazione fra epoche, stili e mondi diversi, quello terreno e quello spirituale, giunto ai nostri giorni perfettamente in continuità e sinergia con il contemporaneo.

Nei dintorni di Assisi si può fare sosta a Cannara, dove dai tempi del “poverello” si coltiva un prodotto dalle proprietà benefiche, la cipolla, cui sono legate tradizioni e ricette ancora oggi in uso. Per apprezzarle, nel mese di settembre, c’è l’annuale Sagra della Cipolla, periodo in cui le strade del borgo sono invase dalle caratteristiche “trecce” che facilitano la conservazione del prodotto.

Una volta giunti fin qui, si può deviare verso il piccolo borgo etrusco di Bettona, sulla sinistra del Tevere, che ha in serbo una sorpresa: una passeggiata di circa 1 km lungo la cinta muraria che un tempo proteggeva il centro abitato, oggi straordinario belvedere sulla valle e sul fiume Tiber.

Turismo dell’Olio

Se l’ulivo è la pianta simbolo della pace, non c’è contesto più indicato che l’Umbria, la terra di San Francesco, che trova il suo fulcro nella Basilica a lui dedicata in Assisi, davanti alla quale campeggia un’enorme siepe di bosso sagomata a forma di tre lettere, PAX. E in effetti, questa coltivazione ha storicamente sempre fatto parte del paesaggio umbro, sin dai tempi degli Etruschi, connotandone in modo forte campagna e boschi, là dove a ricordare il forte legame con il Santo Patrono d’Italia transitano numerosi itinerari religiosi.

La Via di Francesco per esempio collega tra loro alcune “tappe” della sua vita, in terra e spirituale. Il cammino si suddivide in due tronconi, la via nord e la via sud, in cui Assisi fa da arrivo per la prima tappa e da partenza per la seconda, con destinazione Roma. Ottocento anni dopo il suo passaggio, l’Umbria è ancora oggi la terra di Francesco, nutrita di una spiritualità che parla di amore per le piccole cose, di rispetto e gratitudine per il creato, di accoglienza generosa dell’altro.

La campagna umbra fa da sfondo anche a parte della “Route 66” del Bel Paese, vale a dire l’itinerario noto come “Italia Coast to Coast”, 410 km suddivisi in 18 tappe di circa 20/25 km al giorno – 50 se si è in MTB, per un totale di 450 km su due ruote – tracciate su carrarecce, sterrati e sentieri segnalati che collegano fra loro quattro Regioni.

Quanto alla Via Romea Germanica, la prima volta che fu percorsa dall’Abate Alberto dei Frati Minori di San Giovanni era il 1236. Fu lui a volere una “retta via” che dalla Germania arrivava in Italia passando per l’Austria, che solo dalle Alpi a Roma conta 1000 km in 46 tappe. Quasi un Grand Tour ante litteram, in anticipo di mezzo millennio.

Perfette per chi viaggia in MTB sono anche le molte ciclovie che sfruttano i pendii dell’Appennino Umbro. Due delle più belle sono nella zona del Lago Trasimeno: la prima si chiama proprio così, Ciclovia del Trasimeno e transita nell’omonimo Parco Regionale, mentre la Perugia-Trasimeno esplora le inaspettate oasi urbane del capoluogo fino ai Monti del Trasimeno. Altre due piacevoli ciclovie sono quelle fra Assisi e Spoleto e da Spoleto a Norcia, quest’ultima ricavata dal tracciato della vecchia ferrovia che dalla città del Festival dei Due Mondi transita per Sant’Anatolia di Narco e raggiunge Norcia. Nel mezzo, gole, gallerie, ponti e colline verdi da “scalare” a piedi o in bici.

Scorre invece nella Valnerina la Ciclovia del Nera, che fra Sant’Anatolia di Narco e la Cascata delle Marmore si riunisce alla Greenway del Nera. Riservata alle gambe più esperte, la Greenway incrocia itinerari benedettini, la Via Francigena e l’ex ferrovia spoletana, creando un anello di 180 km diviso in 16 tratti. Il risultato è uno straordinario connubio fra natura selvaggia, spiritualità profonda e l’arte di piccoli borghi e santuari. In una parola, Umbria.

Turismo dell’Olio

Ruspante e schietta, la cucina umbra affonda le radici nella cultura Etrusca e Romana, e può contare su prodotti generati da una terra fertile e da un clima mite: in primis, i suoi superbi tartufi, seguiti da pregiati legumi, caci e caciotte, salumi e insaccati da intenditori, e per innaffiare il tutto vini di qualità in quantità e un olio extra vergine d’oliva fra i migliori d’Italia, compreso in un’unica denominazione “Umbria DOP”.

Il tour dell’Umbria dai sapori nobili non può non prendere abbrivio che dal tartufo nero. Raccolto da marzo a novembre nelle terre che fiancheggiano il corso del fiume Nera e nei boschi fra Spoleto e Norcia, si gusta grattugiato, con acciughe, olio e prezzemolo, nonché come base della salsa per gli spaghetti alla Nursina, o con la trota, o ancora tagliato in sottili scaglie con uova al tegamino o sotto forma di frittata. Il tubero più ricercato comprende anche lo scorzone e il raro tartufo bianco tipico dell’alta valle del Tevere, tra Orvieto e Gubbio. Norcia, che deve il nome alla dea etrusca della fortuna, Nortia, è anche la perla del Parco Nazionale dei Monti Sibillini ma soprattutto la patria di straordinari salumi, tanto da dare il suo nome all’arte di confezionarli, la norcineria.

Tra i cereali primeggia il farro di Monteleone protagonista della zuppa di San Nicola, con cipolla e sedano, olio e pecorino. Dalla Piana di Castelluccio di Norcia provengono le celebri lenticchie, da gustare in purea o da fare in minestra di riso con un battuto di lardo, mentre dal Lago del Trasimeno giunge la Fagiolina, Presidio Slow Food che si consuma cotta e condita con un filo d’olio a crudo. Ventresca e guanciale di maiale prendono il posto dell’olio in molti piatti, come gli spaghetti col rancetto, salsa di pomodoro, cipolla, guanciale e maggiorana. Dalle zone lacustri si attinge la materia prima per piatti a base di pesce. Si pescano la tinca, il persico reale, il luccio, l’anguilla e il latterino. La carpa regina, ottima cucinata in porchetta, è il pesce più conosciuto e consumato nel Trasimeno e le sue uova pregiate vengono utilizzate per le zuppe. Fra queste, squisito è il “tegamaccio”.

Le carni bovine, ovine e suine – un tempo cotte alla brace nei grandi camini dei castelli che dall’alto di promontori rocciosi dominano le verdi vallate umbre – sono destinate per la maggior parte alla graticola o allo spiedo, dove di solito gira l’agnello, tagliato a tocchi e steccato con grasso di prosciutto, aglio e rosmarino. Marzo è tempo di palombacci, piccioni selvatici che a Foligno e Todi sono cotti nei tegami di coccio o gustati “alla ghiotta”, aromatizzati con chiodi di garofano, vino, aglio e olive nere. Protagonista di molte sagre è la torta al testo, o crescia, di pasta non lievitata e cucinata sul testo, il tradizionale disco di pietra arroventato. Crescia da accompagnare con salsicce, rucola e prosciutto di Norcia.

E poi…poi ci sono i vini, già decantati da Plinio il Vecchio e Marziale, e che oggi possono vantare ben 11 DOC, 2 DOCG e 6 IGT, da scoprire lungo quattro Strade del Vino, dette del Cantico, Etrusco Romano, del Sagrantino e dei Colli del Trasimeno. Qualche numero può sintetizzare la forza straordinaria di questo settore sempre più trainante dell’economia locale: con una superficie vitata pari a 17.000 ettari, di cui il 30% in montagna e il restante 70% in collina, l’Umbria ha decisamente un elevato rapporto fra superficie coltivata a vite e disponibile. Ed entrando nello specifico, produce per il 53% vini rossi e rosati, e per il 47% bianchi, di cui 45% DOP e 44% IGP. La prima DOC, quella del Torgiano, risale al 1968, cui sono seguite nel 1990 la DOCG del Torgiano Rosso Riserva e nel 1992 quella del Montefalco Sagrantino.

Dulcis in fundo, non si può che chiudere con un rapido excursus di dessert tipici: la Ciaramicola, un ciambellone meringato e ricoperto di confettini tipico del periodo pasquale; il Torcolo di San Costanzo, dedicato al Santo Patrono di Perugia; le Pinoccate e il Torciglione preparati nel periodo natalizio; la Attorta o serpentone, un dolce di pasta sfoglia ripiena di mele, cacao e noci a forma di spirale, e la Crescionda, dolce dalla consistenza morbida costituito da tre strati, entrambi originari di Spoleto e dintorni; il Pampepato di Terni, dolce dalle origini antichissime, riccamente natalizio con i suoi 16 ingredienti, tra noci, mandorle, pinoli, cioccolato, canditi, sui quali spicca, ovviamente, il pepe.

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