Cimitero-Museo “Le Mummie di Ferentillo”

Fra i borghi medievali della provincia di Terni c’è Ferentillo, che nella cripta della Chiesa di Santo Stefano nasconde qualcosa di unico in Umbria, noto come il Cimitero-Museo “Le Mummie di Ferentillo”. L’edificio sorge nel XV secolo sui resti di una struttura precedente di epoca romanica, divenuta appunto la cripta, dove sono conservate alcune mummie di cui è stata resa nota l’esistenza solo nel 1805, quando un editto napoleonico ordinò di riesumare tutte le salme sepolte all’interno delle chiese. Ciò che si vede scendendo nella cripta è impressionante: all’interno di teche sono custoditi una ventina di corpi mummificati – il più antico dei quali ha oltre quattro secoli – la cui conservazione è dovuta alla ventilazione costante e alla presenza di particolari microrganismi nella terra. Santo Stefano mostra anche alcune interessanti opere d’arte: due piccole logge con balaustre in legno di gusto rococò, una grande tela del 1759 raffigurante il Martirio di Santo Stefano, opera di Giuseppe Rosi, l’affresco del Presepe di Pierino Cesarei del 1595, lo splendido fonte battesimale e un tabernacolo per gli oli sacri datato al XVI secolo.

Cascata delle Marmore

Rafting, soft rafting, torrentismo, hydrospeed, kayak, river walking e, ovviamente, trekking.

Nel Parco Regionale Fluviale del Nera si può praticare ogni genere di attività all’aperto, cui si aggiungono le escursioni speleologiche nelle grotte e formazioni carsiche scavate nei dintorni della Cascata delle Marmore.

Sei gli itinerari segnalati e ben tracciati che si dipanano nei boschi, lungo i quali spesso e volentieri ci si può fermare per ammirare da diversi punti di osservazione il salto di 165 metri della cascata, annoverata fra le più alte d’Europa.

Duomo di Orvieto

In una delle cappelle del Duomo di Orvieto è conservato il Corporale di Bolsena, la tovaglia dell’altare su cui nel 1263 caddero alcune gocce di sangue al momento della consacrazione dell’ostia. Il fatto sarebbe avvenuto nella Grotta di Santa Cristina, vicino Bolsena, fra le mani di una sacerdote che non credeva più alla transustanziazione, cioè alla presenza del Cristo nell’eucarestia. Da allora, si narra che il Duomo di Orvieto sarebbe stato eretto per onorare e tramandare nei secoli questo miracolo, ma la storia riporta invece che a volerne la realizzazione fu Papa Niccolò IV nel 1290.

La reliquia, o presunta tale, è ancora lì, custodita sotto le volte in stile gotico della cattedrale, fra gli esempi più eccelsi di questo stile in Italia e perciò dichiarata Monumento Nazionale. Bellissime le decorazioni architettoniche della facciata che vanno dal XIV al XX secolo, fra cui spiccano il grande rosone, i mosaici dorati e le tre maestose porte bronzee, e le cappelle affrescate da alcuni dei più grandi pittori italiani del periodo, tra le quali si può ammirare il famoso Giudizio Universale di Luca Signorelli.

Pampepato

Il pranzo della domenica in una casa ternana ha il profumo del Pampepato, dolce tipico che ritrova le sue radici in tempi antichissimi. Cioccolato fondente, frutta secca, miele, caffè e spezie sono gli ingredienti principali, amalgamati per formare un panetto di forma tonda, dal 23 ottobre 2020 riconosciuto prodotto IGP. A questi si aggiunga anche il mosto cotto, l’antica sapa, di derivazione etrusca e romana.

Il nome trae spunto dalla tradizione umbra, diffusa anche nella provincia ternana, secondo la quale per ottenere il piccante si utilizzava solo il pepe, e non il peperoncino rosso. Questo faceva virare il sapore di un piatto verso il dolce/piccante/odoroso e l’amaro/piccante/odoroso, che è anche la nota più accesa del Pampepato.

Basilica di San Valentino

Attorno alla figura di San Valentino sono nate e fiorite numerose leggende, alcune legate a guarigioni miracolose, altre connesse a riappacificamenti di coppie di fidanzati in lite. Nato a Terni nel IV secolo d.C., Valentino fu il primo vescovo della città umbra, martirizzato per decapitazione la notte del 14 febbraio 347 sul luogo dove, poco dopo, sorse la Basilica a lui dedicata.

Da lì, in memoria delle sue opere benefiche verso malati e fidanzati, il suo “dies natalis” è stato consacrato a Festa degli Innamorati, celebrato in tutto il mondo con il gesto simbolico di un dono floreale. Tale usanza avrebbe un’origine precisa: si dice che Valentino avrebbe infatti offerto un fiore a una coppia, che grazie alla Rosa della Riconciliazione sarebbe tornata serena.

All’interno della Basilica, rivista più volte nel corso dei secoli fino ad assumere l’attuale aspetto in stile barocco, sono conservate le reliquie del Vescovo Martire. Molti i visitatori illustri che vi hanno fatto tappa nel corso dei secoli: nel 742 l’edificio fu scelto come sede dello storico incontro fra il re longobardo Liutprando e Papa Zaccaria, proprio in virtù della presenza della salma del santo che si diceva avesse proprietà taumaturgiche.

Nel 1626 vi fece invece sosta Leopoldo V d’Austria, che in seguito fece costruire un nuovo altare maggiore in marmo, dietro al quale si trova il coro con la cosiddetta Confessione di San Valentino, ovvero un secondo altare eretto sulla tomba originaria di sepoltura di San Valentino.

Turismo dell’Olio

Umbria polmone verde. Una definizione diventata nel tempo anche un claim pubblicitario capace di sintetizzare l’essenza di un intero paesaggio. A un’osservazione più attenta però, quel colore onnipresente ha le sfumature dell’argento, perché la splendida campagna umbra altro non è che una distesa di piantagioni di olivo, attività che dai tempi degli Etruschi a oggi non ha fatto che diffondersi sempre di più, come testimoniano le 28 mila aziende produttrici e gli oltre duecento frantoi. Un “motore” importante dell’economia, agricola ma anche turistica, che crea fra le varie parti in causa un sistema sinergico per la conoscenza del territorio e la sua promozione come destinazione.

Dopo gli Etruschi furono gli Antichi Romani a incrementarne la coltivazione, fino al I secolo d.C., quando sul mercato “globale” del Mediterraneo arrivarono da Spagna e Nord Africa prodotti a basso costo che fecero crollare produzione e vendita. Solo nel Medioevo, sulla spinta delle congregazioni religiose si ebbe un forte ritorno all’olivicoltura, che poi nel Quattrocento esplose in seguito a un decreto che obbligava gli agricoltori a impiantare ogni anno un certo numero di piante. Pratica ripresa nell’Ottocento su incentivo dello Stato Pontificio che aveva compreso le potenzialità di sviluppo dell’ ”oro biondo”.

Questo rapido “rewind” di oltre venti secoli di storia fa capire la grande importanza che questo prezioso frutto ha avuto nel plasmare paesaggio e tradizioni, che com’è ovvio immaginare, si riverberano nella cucina locale. Crudo o cotto, l’olio è un ingrediente basilare della dieta regionale, nella sua versione “mediterranea di campagna” di altissima qualità, grazie a metodi di coltivazione e trasformazione naturali e senza l’uso di sostanze chimiche che hanno portato al primo riconoscimento DOP d’Italia. Cinque le zone della DOP umbra: Colli Assisi-Spoleto, Colli Martani, Colli Amerini, Colli Orvietani e Colli del Trasimeno, ognuna con le proprie caratteristiche peculiari, in alcuni casi adatte anche alla produzione di cosmetici e unguenti.

L’indiscussa bellezza del paesaggio umbro, plasmato dall’ulivicoltura ma non solo, è un invito alla scoperta di un altro genere di ricchezza, quella accumulata in numerosi borghi e città meta di pellegrinaggi religiosi ma anche di appassionati d’arte, che in entrambi i casi trovano qui ampia soddisfazione. Rilassanti trekking da fare a piedi, a cavallo o su due ruote, inframezzati da soste in agriturismi o affascinanti dimore storiche dove il relax ha il sapore di piatti antichi, esaltati da un sapere contadino di tutto rispetto. Magari da fare proprio con corsi di degustazione dedicati all’olio e a come sfruttarlo al meglio una volta tornati a casa.

Turismo dell’Olio

Se l’ulivo è la pianta simbolo della pace, non c’è contesto più indicato che l’Umbria, la terra di San Francesco, che trova il suo fulcro nella Basilica a lui dedicata in Assisi, davanti alla quale campeggia un’enorme siepe di bosso sagomata a forma di tre lettere, PAX. E in effetti, questa coltivazione ha storicamente sempre fatto parte del paesaggio umbro, sin dai tempi degli Etruschi, connotandone in modo forte campagna e boschi, là dove a ricordare il forte legame con il Santo Patrono d’Italia transitano numerosi itinerari religiosi.

La Via di Francesco per esempio collega tra loro alcune “tappe” della sua vita, in terra e spirituale. Il cammino si suddivide in due tronconi, la via nord e la via sud, in cui Assisi fa da arrivo per la prima tappa e da partenza per la seconda, con destinazione Roma. Ottocento anni dopo il suo passaggio, l’Umbria è ancora oggi la terra di Francesco, nutrita di una spiritualità che parla di amore per le piccole cose, di rispetto e gratitudine per il creato, di accoglienza generosa dell’altro.

La campagna umbra fa da sfondo anche a parte della “Route 66” del Bel Paese, vale a dire l’itinerario noto come “Italia Coast to Coast”, 410 km suddivisi in 18 tappe di circa 20/25 km al giorno – 50 se si è in MTB, per un totale di 450 km su due ruote – tracciate su carrarecce, sterrati e sentieri segnalati che collegano fra loro quattro Regioni.

Quanto alla Via Romea Germanica, la prima volta che fu percorsa dall’Abate Alberto dei Frati Minori di San Giovanni era il 1236. Fu lui a volere una “retta via” che dalla Germania arrivava in Italia passando per l’Austria, che solo dalle Alpi a Roma conta 1000 km in 46 tappe. Quasi un Grand Tour ante litteram, in anticipo di mezzo millennio.

Perfette per chi viaggia in MTB sono anche le molte ciclovie che sfruttano i pendii dell’Appennino Umbro. Due delle più belle sono nella zona del Lago Trasimeno: la prima si chiama proprio così, Ciclovia del Trasimeno e transita nell’omonimo Parco Regionale, mentre la Perugia-Trasimeno esplora le inaspettate oasi urbane del capoluogo fino ai Monti del Trasimeno. Altre due piacevoli ciclovie sono quelle fra Assisi e Spoleto e da Spoleto a Norcia, quest’ultima ricavata dal tracciato della vecchia ferrovia che dalla città del Festival dei Due Mondi transita per Sant’Anatolia di Narco e raggiunge Norcia. Nel mezzo, gole, gallerie, ponti e colline verdi da “scalare” a piedi o in bici.

Scorre invece nella Valnerina la Ciclovia del Nera, che fra Sant’Anatolia di Narco e la Cascata delle Marmore si riunisce alla Greenway del Nera. Riservata alle gambe più esperte, la Greenway incrocia itinerari benedettini, la Via Francigena e l’ex ferrovia spoletana, creando un anello di 180 km diviso in 16 tratti. Il risultato è uno straordinario connubio fra natura selvaggia, spiritualità profonda e l’arte di piccoli borghi e santuari. In una parola, Umbria.

Turismo dell’Olio

Ruspante e schietta, la cucina umbra affonda le radici nella cultura Etrusca e Romana, e può contare su prodotti generati da una terra fertile e da un clima mite: in primis, i suoi superbi tartufi, seguiti da pregiati legumi, caci e caciotte, salumi e insaccati da intenditori, e per innaffiare il tutto vini di qualità in quantità e un olio extra vergine d’oliva fra i migliori d’Italia, compreso in un’unica denominazione “Umbria DOP”.

Il tour dell’Umbria dai sapori nobili non può non prendere abbrivio che dal tartufo nero. Raccolto da marzo a novembre nelle terre che fiancheggiano il corso del fiume Nera e nei boschi fra Spoleto e Norcia, si gusta grattugiato, con acciughe, olio e prezzemolo, nonché come base della salsa per gli spaghetti alla Nursina, o con la trota, o ancora tagliato in sottili scaglie con uova al tegamino o sotto forma di frittata. Il tubero più ricercato comprende anche lo scorzone e il raro tartufo bianco tipico dell’alta valle del Tevere, tra Orvieto e Gubbio. Norcia, che deve il nome alla dea etrusca della fortuna, Nortia, è anche la perla del Parco Nazionale dei Monti Sibillini ma soprattutto la patria di straordinari salumi, tanto da dare il suo nome all’arte di confezionarli, la norcineria.

Tra i cereali primeggia il farro di Monteleone protagonista della zuppa di San Nicola, con cipolla e sedano, olio e pecorino. Dalla Piana di Castelluccio di Norcia provengono le celebri lenticchie, da gustare in purea o da fare in minestra di riso con un battuto di lardo, mentre dal Lago del Trasimeno giunge la Fagiolina, Presidio Slow Food che si consuma cotta e condita con un filo d’olio a crudo. Ventresca e guanciale di maiale prendono il posto dell’olio in molti piatti, come gli spaghetti col rancetto, salsa di pomodoro, cipolla, guanciale e maggiorana. Dalle zone lacustri si attinge la materia prima per piatti a base di pesce. Si pescano la tinca, il persico reale, il luccio, l’anguilla e il latterino. La carpa regina, ottima cucinata in porchetta, è il pesce più conosciuto e consumato nel Trasimeno e le sue uova pregiate vengono utilizzate per le zuppe. Fra queste, squisito è il “tegamaccio”.

Le carni bovine, ovine e suine – un tempo cotte alla brace nei grandi camini dei castelli che dall’alto di promontori rocciosi dominano le verdi vallate umbre – sono destinate per la maggior parte alla graticola o allo spiedo, dove di solito gira l’agnello, tagliato a tocchi e steccato con grasso di prosciutto, aglio e rosmarino. Marzo è tempo di palombacci, piccioni selvatici che a Foligno e Todi sono cotti nei tegami di coccio o gustati “alla ghiotta”, aromatizzati con chiodi di garofano, vino, aglio e olive nere. Protagonista di molte sagre è la torta al testo, o crescia, di pasta non lievitata e cucinata sul testo, il tradizionale disco di pietra arroventato. Crescia da accompagnare con salsicce, rucola e prosciutto di Norcia.

E poi…poi ci sono i vini, già decantati da Plinio il Vecchio e Marziale, e che oggi possono vantare ben 11 DOC, 2 DOCG e 6 IGT, da scoprire lungo quattro Strade del Vino, dette del Cantico, Etrusco Romano, del Sagrantino e dei Colli del Trasimeno. Qualche numero può sintetizzare la forza straordinaria di questo settore sempre più trainante dell’economia locale: con una superficie vitata pari a 17.000 ettari, di cui il 30% in montagna e il restante 70% in collina, l’Umbria ha decisamente un elevato rapporto fra superficie coltivata a vite e disponibile. Ed entrando nello specifico, produce per il 53% vini rossi e rosati, e per il 47% bianchi, di cui 45% DOP e 44% IGP. La prima DOC, quella del Torgiano, risale al 1968, cui sono seguite nel 1990 la DOCG del Torgiano Rosso Riserva e nel 1992 quella del Montefalco Sagrantino.

Dulcis in fundo, non si può che chiudere con un rapido excursus di dessert tipici: la Ciaramicola, un ciambellone meringato e ricoperto di confettini tipico del periodo pasquale; il Torcolo di San Costanzo, dedicato al Santo Patrono di Perugia; le Pinoccate e il Torciglione preparati nel periodo natalizio; la Attorta o serpentone, un dolce di pasta sfoglia ripiena di mele, cacao e noci a forma di spirale, e la Crescionda, dolce dalla consistenza morbida costituito da tre strati, entrambi originari di Spoleto e dintorni; il Pampepato di Terni, dolce dalle origini antichissime, riccamente natalizio con i suoi 16 ingredienti, tra noci, mandorle, pinoli, cioccolato, canditi, sui quali spicca, ovviamente, il pepe.

Terre di San Valentino

Piediluco è un toponimo che rimanda all’essenza del paesaggio in cui è collocato: “ai piedi del bosco sacro”. In effetti, questo bacino lacustre naturale dell’Umbria, secondo per grandezza solo al Trasimeno, è immerso in un’area verdissima, situata alle propaggini sud-orientali dell’Umbria e sconfinante nel Lazio. Il Lago di Piediluco, insieme ai laghi Lungo, di Ripasottile e di Ventina situati in provincia di Rieti, rappresenta uno dei resti dell’antico Lacus Velinus, grande bacino di origine alluvionale formatosi nel Quaternario.

Il bacino ha periplo irregolare e lungo 13 km, un’altitudine di 375 metri e una profondità massima attorno ai 19 metri. Il suo immissario naturale è il rio Fuscello, mentre gli altri due immissari sono artificiali e uno di questi lo collega al fiume Velino. Afflusso e deflusso delle acque sono regolati in base al fabbisogno energetico delle industrie della vicina Terni, e, altra curiosità, il fiume Velino è invece deviato verso Marmore, andando a formare insieme al fiume Nera la Cascata delle Marmore.

Sullo specchio d’acqua affaccia solo il borgo di Piediluco, di origine medievale ma con un’area di scavi archeologici che fanno risalire il primo abitato alla tarda età del bronzo. Altra emergenza significativa sono la Rocca e la Chiesa di San Francesco, entrambe datate al XIII secolo.

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