Santuario Santa Maria dell’Isola

Tropea, Santuario di Santa Maria dell’Isola. In effetti, a guardarlo bene, il promontorio su cui sorge il monumento simbolo del borgo e ormai della Calabria intera, sembra proprio un lembo di terra a se stante, congiunto al centro abitato da un tratto del litorale tirrenico fra i più belli. Con ogni probabilità, questa “isola che non c’è” era già abitata nel VII-VIII secolo da alcuni eremiti, che apprezzavano la serenità del luogo, ideale per una vita contemplativa e ascetica.

Certo è che nell’XI secolo qui approdarono dei monaci basiliani, soppiantati poco dopo dai Benedettini. Questo avvenne attorno al 1060, quando il duca normanno Roberto Il Guiscardo sancì che dal rito greco si passava a quello latino, e con esso, che il possedimento del Santuario, secondo la formula “Sancta Maria de Tropea cum omnibus pertinentiis suis”, entrava nell’orbita dell’Abbazia di Montecassino, nel Lazio, che tuttora ne detiene la proprietà.

Fra leggenda e verità si colloca invece il racconto di una statua della Vergine portata qui dall’Oriente che avrebbe compiuto miracoli, ingenerando una sorta di pellegrinaggio al Santuario. Un fenomeno giunto ai giorni nostri, che, soprattutto in primavera ed estate, vede ancora migliaia di fedeli approdare all’”isola” per chiedere una grazia.

Museo della Certosa di Serra San Bruno

Bussare alla porta del Museo della Certosa di Serra San Bruno è come chiedere l’accesso a un mondo per secoli tenuto volutamente nascosto, ma che qui, in questo paesino sulle montagne nell’entroterra di Vibo Valentia, lascia uno spiraglio di apertura verso chi vuole guardare con occhio attento a una delle comunità religiose più importanti della storia della Chiesa.

La Certosa è la più antica e una delle tre ancora attive in Italia, la seconda in assoluto per longevità dopo quella di Chartreuse, e una delle 23 nel mondo, tutte fondate o generate dall’opera del monaco cristiano tedesco Bruno da Colonia, “padre” dell’Ordine certosino.

Se la Certosa in sé è custode dei numerosi capolavori d’arte prodotti in nove secoli dai monaci certosini, le ventidue sale del percorso museale ricavato attorno al chiostro illustrano la vita del Santo, la nascita e l’evoluzione del suo Ordine monastico, la storia della Certosa e del vicino Eremo di Santa Maria della Torre, la Regola e le consuetudini che da quasi mille anni scandiscono le giornate dei monaci, giungendo all’ultima “tappa”, una piccola cappella ricavata nella torre del ‘500 accanto all’ingresso, perfetto rifugio per un momento di riflessione e preghiera.

Menzione e visita a parte merita la biblioteca, dove ci si immerge fra centinaia di incunaboli e documenti manoscritti che raccontano l’arte e la passione con cui i certosini hanno sempre guardato alla produzione dei libri. Infatti, appena inventata la stampa, molti adepti dell’Ordine divennero stampatori e si distinsero, oltre che come tipografi, editori e traduttori, anche come scrittori. Fra costoro, anche Guigo I, monaco dell’inizio del XII secolo, che scriveva: “non potendo predicare la Parola di Dio con le labbra, noi la predichiamo con le mani”.

Castello Murat

Una storia intensa quella passata fra le mura del Castello Murat a Pizzo Calabro, in provincia di Vibo Valentia e a un centinaio di chilometri da Reggio di Calabria. A cominciare dalla fine del ‘300, quando gli Angioini ordinano la realizzazione di una serie di torri di avvistamento e difensive lungo tutta la costa calabra e oltre, erigendo fra le altre la Torre Mastia situata sul promontorio di Pizzo, a ridosso del mare.

Un prodromo di ciò che accade nel 1480, quando tale costruzione viene ampliata fino a diventare il castello che oggi vediamo. Il capitolo più avvincente è però quello dedicato alla morte di Gioacchino Murat, Re di Napoli, che nel 1815 trascorre qui gli ultimi giorni della sua esistenza, fino alla morte per fucilazione. La visita al maniero ripercorre quei tragici momenti, partendo dalle celle nei sotterranei dove viene rinchiuso, al primo piano dove è sottoposto a un processo sommario, salendo poi al secondo piano dove Murat si confessa prima di essere giustiziato. Eroici sono i suoi ultimi attimi, quando guardando negli occhi gli uomini del plotone di esecuzione, pronuncia parole rimaste negli annali, “mirate al petto, non al viso”. Una storia umana che ha in parte anche deciso le sorti di un popolo, quello del Regno di Napoli, e di un luogo, dichiarato già nel 1892 Monumento Nazionale.

Serra San Bruno

Quando si arriva a Serra San Bruno si capisce subito che non è un semplice borgo di montagna, bensì un borgo con una storia speciale. La ricchezza di monumenti e opere d’arte racconta quel periodo illuminato che derivò dall’arrivo sulle montagne delle Serre calabresi di un personaggio straordinario, il monaco cristiano tedesco Bruno da Colonia. Giunto in questo angolo selvaggio di Calabria, fondò una certosa e una chiesa, prodromo dell’attuale Santuario, entrambe a pochi minuti da qui.

L’attuale Santuario regionale di Santa Maria nel Bosco è ciò che deriva dalla ricostruzione fatta dopo il terremoto del 1783 dell’antica chiesa voluta da San Bruno per dare ai suoi monaci un luogo adatto alla contemplazione. A 2 km dal Santuario si trova invece la Certosa di Serra San Bruno, la più antica e una delle tre ancora attive in Italia, la seconda in assoluto per longevità dopo quella di Chartreuse e una delle 23 nel mondo.

A differenza di quanto accade al Santuario, di stretta clausura, in paese tutte le chiese sono accessibili, offrendo anch’esse il giusto raccoglimento per la preghiera ma anche per la contemplazione di tanta ricchezza. Per costruire Santuario e Certosa, il piccolo centro di Serra San Bruno divenne per lungo tempo una fucina di artisti, scalpellini, architetti, falegnami, orafi, fabbri, artigiani di ogni genere chiamati a mettere letteralmente mano a un impressionante cantiere. Ed ecco che ne nacquero così molti altri in paese di cantieri, tanto da creare una sfumatura di architettura barocca del tutto “endemica” e circoscritta a questa zona, definita appunto “serrese”. Una caratteristica che si ritrova nella facciata semiellittica della Chiesa dell’Addolorata, del 1721, nella Chiesa dell’Assunta il cui prospetto barocco proviene dalla Certosa distretta dal terremoto, poi rimontato qui all’inizio dell’Ottocento.

Il momento migliore per cogliere il forte sentimento che lega ancora la gente del posto al Santo è il 6 ottobre, giorno della festa patronale, che vede la partecipazione di fedeli provenienti persino dall’Australia, dal Nord e Sudamerica e dal Canada.

Costa degli Dei

Con un nome così, Costa degli Dei, le aspettative sono tante, e tutte ben riposte. Il tratto di litorale calabrese che va da Nicotera a Pizzo Calabro è un po’ l’orgoglio della provincia di Vibo Valentia, per il susseguirsi di lunghe spiagge bianche e scogliere frastagliate con piccole cale raggiungibili solo a piedi o in barca. Un vero paradiso per chi ama vivere il mare in versione wild, sia fuori che dentro l’acqua: sotto la superficie si nascondono infatti fondali meravigliosi, popolati da colonie di pesci e gorgonie.

L’espressione “dedalo di viuzze” trova una perfetta concretizzazione fra gli stretti vicoletti di Pizzo Calabro, arroccato su un promontorio a picco sul mare. Sul punto più alto sorge il Castello di Gioacchino Murat, dove il sovrano trascorse gli ultimi giorni prima di essere fucilato, mentre in una grotta a livello del mare c’è la Chiesetta di Piedigrotta, popolata di statue realizzate da un artista locale di cui vale la pena scoprire la storia.

Anche Tropea si divide fra la parte antica arroccata su uno sperone di roccia e quella inferiore, La Marina, a ridosso del piccolo porto. Basterebbe questo per farne uno dei “Borghi più belli d’Italia”, ma poi ecco quel quid in più, la suggestiva Chiesetta dell’Isola, scrigno di splendide opere messe al sicuro in cima a un promontorio circondato dal mare.

Nel Comune di Ricàdi, la località di riferimento è di certo Capo Vaticano, nota per le belle spiagge e il mare cristallino con fondali ricchi di fauna ittica, un anticipo di ciò che si ritrova a Zambrone, soprannominato il “paradiso dei sub”. La magia della Costa degli Dei continua così in un alternarsi di scogliere a strapiombo, riviere sabbiose, grotte e spiaggette isolate, sempre e comunque immerse in una natura rigogliosa e selvaggia.

Una sintesi perfetta di queste caratteristiche la offre Parghelia, località balneare fra le più gettonate di questa zona del Tirreno diventata famosa per la spiaggia della “Pizzuta”, con curiosi pinnacoli di roccia granitica che si innalzano dal fondale. Dettagli “pungenti” come alcuni prodotti locali, vedi la Cipolla Rossa di Tropea, la ‘Nudja di Spilìnga e il Pecorino del Monte Poro.

La Calabria dei Borghi

Borghi più belli d’Italia, Borghi Autentici, Bandiere Arancioni, Città Slow, Borghi Storici Marinari, Gioielli d’Italia e Paesaggi d’Autore. Non c’è tipologia di classificazione di eccellenze che non comprenda qualche “spot” calabrese.

Micro realtà che spesso sono annoverate fra le immagini iconiche e da cartolina della Calabria stessa: le guardi e sembra di poter sentire il vociare e l’eco dei passi in certi centri storici rivestiti di pietra color dell’ocra, dove antiche leggende rimandano a personaggi della mitologia o della storia, che hanno cambiato le sorti di un’epoca e che, sia sulla costa sia nell’entroterra, hanno dato vita a modelli di architettura mai tramontati. Fra mito e realtà, a seconda delle zone si passa da scavi archeologici datati all’età magno-greca a palazzi nobiliari del Medioevo, poi del Rinascimento e del Settecento, in un’alternanza di sobria eleganza e rigore da una parte e un’estasi di forme e volute dall’altra che riportano ciascuna a un’età d’oro e che sorprende lo sguardo, soprattutto se messe a contrasto con le modeste case di pescatori o pastori che fanno da contorno. Un insieme di grande atmosfera e impatto che è un po’ il paradigma di ciò che offre la Regione, disseminata di borghi dai promontori a picco sul mare fino alle irte vette di Sila, Aspromonte e Pollino. Nessuna zona esclusa.

Paesi di poche centinaia di anime che restano “arroccati”, è il caso di dirlo, alle loro tradizioni storiche, folcloristiche, artigianali ed enogastronomiche, popolando in ogni stagione il calendario di eventi capaci di trasmettere la cultura locale. Che sia attraverso una sagra all’insegna dei sapori più ruspanti, una solenne processione religiosa o una rievocazione in costume colma di eleganza e passione per quei tasselli di storia che rendono tanto orgogliosi anziani e giovani generazioni, la Calabria dimostra di essere viva e autentica. Si passa così da monumenti e celebrazioni ispirate alla Magna Grecia o alla civiltà dell’Antica Roma a testimonianze bizantine o normanne, fino ad arrivare alla trionfante ricchezza del tardo Barocco, in un excursus spazio-temporale sempre attento alla valorizzazione delle singole identità locali.

Per tutte queste ragioni e per la sua rilevanza regionale, La Calabria dei Borghi è stata selezionata da Unioncamere Calabria, in collaborazione con le Camere di Commercio di Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia, come prima destinazione regionale oggetto delle attività del Programma Sostegno al Turismo previsto dal Fondo di Perequazione di Unioncamere Nazionale, per aumentare la conoscenza dell’offerta regionale e dell’impegno del Sistema camerale a favore dello sviluppo turistico.

La Calabria dei Borghi

Non servono classifiche ufficiali per asserire che molti dei borghi di cui è costellata la Calabria meritano di essere visitati, ma inquadrarli nell’ambito di un “listing” ufficiale, rende giustizia alla loro bellezza e mette l’accento su quanto il turismo deve guardare anche e soprattutto fuori dalle rotte consuete.
La natura selvaggia e prorompente del Parco Nazionale del Pollino per esempio, fa da contorno a paesi fondati fra il 1470 e il 1540 da alcune comunità albanesi giunte qui per sfuggire alle milizie turche, e che ancora oggi conservano lingua, cultura e usanze arbëreshe, rimaste intatte come i loro centro storici e le usanze agro-pastorali. Parliamo di Acquaformosa, Civita, San Basile, Lungro, Plataci, Frascineto, San Costantino Albanese e San Paolo Albanese. Per approfondire la conoscenza di questo popolo, a Civita e a San Paolo Albanese si trovano i musei della Civiltà Arbëreshe, dove sono conservati numerosi oggetti, attrezzi e costumi della tradizione. Di grande interesse religioso sono le funzioni di rito greco-bizantino e le Vallje, le particolari danze in cui ci si muove a ritmo uniti da un fazzoletto. Il forzato isolamento dovuto alle montagne ha fatto sì che nella zona del Pollino rimanessero intatti anche antichi riti come il carnevale con le maschere apotropaiche di Alessandria del Carretto o la Festa della Pita, i riti e i canti di devozione alla Madonna eco di una terra arcaica e autentica che ancora sopravvive, in parte proprio perché protetta dalle alte vette.

Si incentra invece sull’arte di strada il festival Il Borgo Incantato, che dal 1999 anima le serate di fine luglio di Gerace, medievale nell’imprinting architettonico quanto nella cultura che ancora sa esprimere: musicisti, giocolieri, funamboli, mangiafuoco, mimi, clown e maghi si esibiscono per strada, mentre nelle cantine dei palazzi nobili si degustano le specialità del posto. L’evento di richiamo di Altomonte è invece la Gran Festa del Pane, che nel mese di maggio prevede stand di produttori locali e provenienti dalle località aderenti all’Associazione Città del Pane, ma anche di altre realtà annoverate fra i “Borghi più Belli d’Italia” o inserite fra le Città Slow. A coniugare camminate esplorative nel centro storico e degustazioni di prodotti sono i percorsi guidati denominati “Forni Accesi” e “Catui Aperti”, da prenotare presso la Pro Loco.
Se Tiriolo è il paese reso celebre dalle sue botteghe artigiane di lavorazione al telaio e al tombolo, Fiumefreddo, Rocca Imperiale e Pizzo Calabro sono quelli indissolubilmente legati alla presenza del loro castello, in rovina, come nel primo caso, ma sempre pieno di fascino e mistero, o perfettamente intatto come nel caso di Rocca e Pizzo, dove a ogni passo si ripercorrono emozioni e ricordi che attingono a un lontano passato spesso a tinte forti. Come nel caso dell’episodio narrato durante la visita del maniero di Pizzo, luogo degli ultimi giorni e della fucilazione di Gioacchino Murat, Re di Napoli e delle Due Sicilie.

La Calabria dei Borghi

Cunfrunta, Cumprunta, ‘Ncrinata, Svelata. Questi termini popolari si riferiscono tutti allo stesso rito pagano diffuso nelle province di Reggio Calabria, Vibo Valentia e Catanzaro. Una manifestazione dalle origini millenarie, in cui si ritrovano elementi della cristianità bizantina mescolati con quelli di epoca romana: il giorno di Pasqua, per le vie dei borghi calabresi, le statue di Gesù Cristo, della Madonna e di San Giovanni portate a spalla dagli adepti delle confraternite si incontrano – da qui “cunfrunta” – dando il via a lunghi festeggiamenti, balli e canti di gioia. Celebrazioni religiose che si tingono delle tinte forti del folklore, tramandando nei secoli il fascino di culture lontane, nel tempo e nello spazio. Leit motiv che si ritrova anche nelle feste patronali, in cui riti spirituali e popolari invitano a onorare il santo protettore di un borgo, non senza trascurare l’aspetto luculliano di una festa, il cibo, con momenti dedicati alla degustazione di piatti e prodotti tipici.

Mistico oltre che rigenerativo è invece il viaggio dei cosiddetti luoghi bruniani, legati cioè alla figura di San Bruno di Colonia, monaco cristiano tedesco, fondatore attorno alla fine dell’XI secolo dell’Ordine certosino. Si parte da Serra San Bruno, piccolo borgo sorto a quel tempo proprio per accogliere le confraternite di ben nove chiese locali e gli artigiani intenti alla costruzione della monumentale Certosa dei Santi Stefano e Bruno. Un inaspettato crogiuolo di maestranze di lapicidi, pittori, artisti del legno intagliato e scolpito, fabbri, decoratori e altri artigiani che giunsero qui da ogni dove, creando una realtà unica, soprattutto in provincia di Vibo Valentia. Ci si immerge poi nel silenzio dei fitti boschi di faggio e abete bianco che circondano il paese, dove passo dopo passo si incontrano Il Calvario, il Dormitorio, il laghetto e l’Eremo di Santa Maria del Bosco, che oggi come allora rievocano i momenti più intensi della vita del Santo e della comunità religiosa che tanto ha contribuito alla storia della Chiesa e non solo. Per apprezzarne fino in fondo il valore, c’è il Museo della Certosa, custode dei numerosi capolavori d’arte prodotti in nove secoli dai monaci certosini.

La Calabria dei Borghi

I nomi che identificano i principali piatti o prodotti calabresi suonano spesso criptici ai forestieri, celando tradizioni antiche e poliglotte. Greci, Romani, Normanni e Arabi oltre che nell’architettura hanno lasciato il segno anche a tavola, soprattutto nella cucina delle piane più prossime al mare. Richiama la francese andouille la ‘Nduja, salsiccia di carne, lardo, fegato e polmone di maiale, originaria di Spilinga e dei comuni limitrofi dell’altopiano del Monte Poro, area nota anche per la produzione di un Pecorino, detto appunto di Monte Poro o “casu”, ottimo al naturale o alla griglia o come condimento di piatti filanti. La devozione locale per il suino è testimoniata anche dalla Sopressata Dop e da un piatto tradizionale come il murseddo, striscioline di trippe, fegato di vitello e maiale con l’aggiunta di pomodoro e peperoncino, racchiuse nella pitta, disco di pasta di pane che richiama la greca pita. Carne di porco pure nelle opulente sagne chine, lasagne imbottite con macinato di maiale, piselli, cacio, funghi, carciofi e uova sode. Altrettanto iconica come la ‘Nduja è la Cipolla rossa di Tropea IGP, vessillo della zona di Vibo Valentia. Particolarmente utilizzata per la preparazione di insalate fresche, è impiegata anche come ingrediente base di specialità gastronomiche tra le più varie, quali conserve, condimenti, salse, paté e confetture, e persino un gelato a dir poco sui generis. Il dolce calabro per eccellenza è originario della stessa provincia: è il Tartufo di Pizzo, nato qui in virtù dell’usanza di utilizzare la neve delle Serre e della Sila per realizzare granite e sorbetti con le fragole di bosco locali, o con le mandorle e i limoni della vicina Sicilia.
Il borgo di Buonvicino, nel cosentino, è invece legato a un altro agrume, il cedro, mentre il Bergamotto di Reggio Calabria è una DOP che dà i suoi frutti anche con l’olio essenziale, utilizzato nella cosmetica e nella profumeria di lusso.

Quanto ai vini, rapidi passi da gigante sono stati fatti negli ultimi anni in fatto di qualità, permettendo alle aziende locali di arrivare alla classificazione di ben 8 Doc e 6 IGP. A fare da portabandiera dell’Enotria, “terra del vino” – così l’avevano ribattezzata i coloni greci – è oggi il Cirò Doc, prodotto a Cirò e Cirò Marina, nel crotonese, come rosso, rosato e bianco. Nella stessa provincia si coltivano altre due Doc, il Santa Anna di Isola di Capo Rizzuto e il Melissa, con blend di uve che comprendono Gaglioppo, Nocera, Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio, Malvasia nera, Malvasia bianca e Greco bianco.

Si va in provincia di Cosenza per degustare invece i Doc Savuto e Terre di Cosenza, dove sono state identificate sette sottozone, caratterizzate dalla produzione di vini particolarmente pregiati, quali Condoleo, Donnici, Esaro, Pollino, San Vito di Luzzi, Colline del Crati e Verbicaro. Nel catanzarese si beve invece con lo Scavigna Doc, bianco e rosso. Se la zona è quella di Reggio, si pasteggia con Bivongi e Greco di Bianco Doc. Gli IGP riportano invece i nomi di borghi come Scilla e Palizzi, di zone quali Locride, Costa Viola e Val di Neto e persino di un fiume, il Lipuda, IGP che nel suo Dna comprende un blend di Aglianico, Ansonica, Cabernet Franc, Greco Bianco e altri vitigni autoctoni e non.

Costa degli Dei

Gli anni che dimostra oggi la facciata del Duomo di Vibo Valentia, consacrato come Basilica di Santa Maria Maggiore, sono circa trecento, a guardare lo stile barocco che la caratterizza, ma in realtà, sotto l’aspetto di un edificio datato fra il 1680 e il 1723, si nascondono elementi risalenti al IX secolo, a quella prima chiesa danneggiata nel corso dei secoli da più terremoti, e in particolare da quelli del 1638 e del 1659. Una volta entrati, da guardare sono il gruppo marmoreo cinquecentesco raffigurante la Madonna della Neve, un altare ricomposto nel 1811 con marmi rari provenienti dal ciborio di Serra San Bruno e un bel Crocifisso cinquecentesco.

Qui accanto, affacciato sulla medesima Piazza San Leoluca, si trova il Valentianum, ex convento domenicano del 1455, restaurato nel 1982 per accogliere il Tesoro del Duomo. Un scrigno prezioso ricolmo di paramenti, quadri, statue, suppellettili preziose, libri, stampe e cimeli di vario genere. La sorte del convento mutò dopo la soppressione degli enti ecclesiastici voluta da Napoleone, in seguito alla quale il convento venne trasformato in un ospedale militare, e dal 1852 fino al 1944 in Orfanotrofio provinciale e Istituto Agrario. Dagli anni Cinquanta in poi divenne sede della scuola d’istruzione secondaria di tipo industriale, fino appunto a essere riconvertito in museo.

Basta spostarsi di una ventina di km in direzione Nord, ed ecco in Località Madonnella, vicino a Pizzo, una delle mete che rientra sempre nella “top ten” delle più visitate della Calabria. Si tratta infatti di un unicum assoluto: è la chiesetta rupestre di Piedigrotta, creazione del genio umano unita a uno scenario naturalistico che già di per sé è uno spettacolo. Il tutto nasce in seguito a una leggenda dei Seicento, secondo la quale, durante una tempesta, i marinai tutti napoletani a bordo di un veliero a rischio di naufragio fecero il voto che, in caso di salvezza, una volta giunti a terra avrebbero costruito una cappella dedicata alla Madonna. Il voto venne fatto davanti a un quadro della Madonna di Piedigrotta poco prima che il veliero si inabissasse, ma miracolosamente sia i marinai che il quadro arrivarono a terra sani e salvi, sospinti dalle onde insieme alla campana di bordo datata 1632. Così, i naufraghi mantennero la promessa, scavando una piccola cappella nella roccia.

Il luogo fu da subito oggetto di culto, ma fu solo verso il 1880 che iniziò a prendere l’aspetto attuale. Ci sono voluti circa 80 anni di lavoro, prima da parte di Angelo Barone e poi del figlio Alfonso, artisti locali che dedicarono ciascuno circa 40 anni della propria esistenza a scolpire, allargare, plasmare e dipingere la roccia, dando vita a uno dei tanti gioielli d’arte popolare scaturiti dal genio creativo dei calabresi. A oggi, Piedigrotta è una delle mete più visitate dell’intera Calabria.

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