La Via Francigena del Nord

I 120 km della Via Francigena del Nord non sono che una minuscola porzione dei 1800 km dell’intero cammino, quello che da Canterbury, nel cuore dell’Inghilterra, conduce fino a Roma. Ma attraversare la Tuscia Viterbese, da Proceno a Monterosi, dà già un assaggio di ciò che significa questa esperienza, di vita prima ancora che di fede. Intraprendere ogni giorno un pezzo di quell’antico itinerario vuol dire meditare, fermarsi a contemplare, dentro e fuori se stessi, ripartire con più consapevolezza. Anche grazie alle molte bellezze naturalistiche e storico-artistiche che si ammirano lungo la “Via delle Vie”. Da Viterbo, si dipartono due direttive della Via Francigena della Tuscia, verso Vetralla e verso la Variante Cimina. Quest’ultima è senz’altro la più suggestiva, poiché ripercorre il profilo del cratere vulcanico del Lago di Vico, per poi immergersi in boschi incontaminati.

A fare da collante a tutte le varie alternative possibili, dal 2001 è stata creata l’Associazione Europea delle Vie Francigene (AEVF), che ha anche il prezioso compito di tessere relazioni fra le realtà locali nei Paesi attraversati (Inghilterra, Francia, Svizzera e Italia), e promuovere i valori dei pellegrinaggi, partendo dallo sviluppo sostenibile dei territori attraverso un approccio culturale, identitario, turistico.

Civita di Bagnoregio

Torbido da una parte e dall’altro Chiaro. Si chiamano così i due torrenti che scorrono ai piedi della collina al centro della Valle dei Calanchi su cui sorge Civita di Bagnoregio, detta “la città che muore”. Questo triste soprannome si deve alla natura argillosa del terreno, eroso oltre che dai due corsi d’acqua anche dai fenomeni atmosferici. Il paese è oggi quasi totalmente disabitato e vi si può accedere solamente per mezzo di una strada, realizzata in cemento, che fa da ponte verso il resto del mondo.

La vista sulla Valle dei Calanchi dal belvedere è di quelle che non si scordano. Da qui, il borgo sembra essere sospeso, magico e mistico, con i suoi vicoli stretti fra case antiche che sorgono attorno alla piazza principale, su cui affaccia la Chiesa di San Donato. Qua e là, la vista si apre sulla vallata sottostante e allora la sensazione è di essere nel vuoto, sorretti da una qualche misteriosa forza che ancora oggi custodisce questo borgo. Il borgo di Civita di Bagnoregio ha una storia che affonda le radici in epoca etrusca ed è segnata da diverse dominazioni, come quella dei Goti, poi dei Longobardi e infine dello Stato della Chiesa.

La Città dei Papi

Dal 1257 al 1281. Ventiquattro anni appena, ma tanto è bastato per far guadagnare a Viterbo l’appellativo eterno di “Città dei Papi“. In quel lasso di tempo brevissimo nell’arco della sua storia ultra millenaria, iniziata già con gli Etruschi, Viterbo fu in buona sostanza il nuovo “Vaticano”, e il Palazzo dei Papi e la sua loggia furono la “piazza San Pietro” dove i fedeli attendevano la benedizione del Pontifex Maximus. Anche dopo il ritorno a Roma della sede ufficiale, il Palazzo continuò a ospitare per periodi più o meno lunghi i Papi, in tutto una quarantina, accompagnati dal loro nutrito entourage. Ciò permise alla città di continuare ad arricchirsi di sontuosi edifici, chiese, chiostri, torri, fontane e monumenti di ogni sorta, un immenso patrimonio d’arte custodito da possenti mura medievali cui si accedeva da otto porte.

Molte le curiosità legate a questo pezzo importante di storia locale, fra cui quella che vuole nascere proprio qui il termine conclave. Questi i fatti: durante l’elezione del successore di Clemente IV, i cittadini, esasperati dal procrastinare della nuova nomina, segregarono i cardinali all’interno del palazzo, dichiarandoli “clausi cum clave” e arrivando persino a scoperchiare il tetto e a razionare gli alimenti.

Con o senza l’incursione papale nella sua storia, Viterbo si sarebbe comunque guadagnata un posto fisso negli annali per la ricchezza del suo sottosuolo. Dal III secolo a.C., qui vicino transitava l’importante Via Cassia, arteria consolare lungo la quale sorgevano già allora ben 14 stabilimenti termali alimentati da acque benefiche. In località Palliano c’erano per esempio le Terme del Masso o Massi di S. Sisto, i cui ruderi ben conservati fanno immaginare si trattasse di un impianto ricco e di dimensioni notevoli. Delle Terme delle Zitelle rimangono in particolare alcuni frammenti di meravigliosi pavimenti a mosaico, mentre le Terme della Lettighetta si connotano per la tipica pianta quadrata dalla forma a lettiga, da cui il nome. Le più sontuose e imponenti, come si può leggere dai resti, erano invece le Terme del Bacucco, talmente belle da incantare Michelangelo che le ritrasse in due schizzi. Ad oggi, questa antica tradizione di vacanze benessere prosegue con le Terme dei Papi.

Il Lazio e i luoghi della cultura monastica

Il tour del LAZIO legato ai luoghi della spiritualità non può non prendere avvio dalla “VALLE SANTA”, soprannome con cui è nota la Valle Reatina, destinazione ben nota a pellegrini e turisti desiderosi di intraprendere itinerari fra natura e misticismo, che qui possono affrontare il “Cammino di San Francesco”. Sono infatti quattro i santuari francescani in questa splendida conca verde, tappe di un viaggio immersivo nello spirito e nella bellezza artistica e green.

Prima sosta è il SANTUARIO DI GRECCIO, noto come la “Betlemme Francescana” perché fu qui che il “poverello” di Assisi, nella notte di Natale del 1223 mise in scena la prima rappresentazione della natività, ossia il primo Presepe della storia. Al di là di questo “dettaglio” che lo rende una meta speciale e unica, il Santuario appare da lontano incastonato nella pietra, come sospeso a mezza costa, tanto da sembrare un miracolo di ingegneria, oltre che per la spiritualità che emana.

Un miracolo vero avvenne invece al SANTUARIO DI SANTA MARIA DELLA FORESTA a Castelfranco: durante una sua sosta, Francesco notò che di uva in vigna ce n’era poca, tanto che i pellegrini non volevano neanche raccoglierla per pigiarla. Francesco insistette e, contrariamente a quanto immaginavano, da quei pochi grappoli raccolti, ottennero il doppio del vino dell’anno precedente.

Da ricordare anche l’episodio legato al SANTUARIO DI FONTE COLOMBO, soprannominato il “Sinai francescano”, in virtù del fatto che fu qui, in una grotta ribattezzata “Sacro Speco”, che Francesco stilò la regola definitiva del suo Ordine. Chiude idealmente questo iter il SANTUARIO DI SA GIACOMO, a Poggio Bustone, dove un angelo gli apparve in un momento di meditazione annunciandogli la remissione dei peccati e il glorioso futuro del suo Ordine.

E questo non è che l’incipit di un’esperienza concreta di connessione fra storia, arte, natura e fede. Il Lazio è infatti una delle regioni d’Italia più ricche di luoghi sacri e di culto, e questo senza contare la miriade di chiese e chiesine sparse ovunque e le oltre 900 presenti nella sola Roma. Tralasciando per un istante l’aspetto religioso, si tratta di decine di edifici e complessi architettonici più o meno articolati in grado di soddisfare ogni genere di gusto estetico e di coprire ogni epoca, creando un circuito attraverso il quale si può ripercorrere la storia della Chiesa dai suoi albori.

Talvolta, Monasteri, Abbazie e Santuari sono stati luoghi di accadimenti storici che hanno anche cambiato i destini dell’Italia. Basti citare la celebre battaglia che per quattro mesi, da gennaio a maggio 1944, ebbe come fulcro l’ABBAZIA DI MONTECASSINO. Di quell’evento drammatico che vide la perdita di 55.000 uomini delle truppe alleate e di 20.000 soldati tedeschi, vale qui la pena ricordare l’aspetto più “virtuoso”, se così si può dire: nei mesi precedenti all’inizio delle ostilità, l’esercito tedesco ebbe l’accortezza di mettere in salvo opere d’arte, archivi e documenti portandoli al sicuro in Vaticano. Operazione durata mesi e costata non poca fatica a frati e uomini di scorta al prezioso tesoro in cammino verso Roma, ma che poi, terminato il conflitto, permise di riportare tutto là dov’era.

Viterbo, la “Città dei Papi”, meriterebbe da sola un viaggio per esplorare con attenzione il centro storico, fermo all’epoca medievale e con emergenze di notevole interesse, religioso e architettonico, come il Palazzo dei Papi, la CATTEDRALE DI SAN LORENZO e la BASILICA DI SAN FRANCESCO ALLA ROCCA. Nella sua provincia poi, si scoprono piccoli gioielli d’arte come il MONASTERO DI SAN VINCENZO a Bassano Romano, che dietro alla facciata in stile rinascimentale-barocco nasconde un capolavoro michelangiolesco sconosciuto ai più ma che merita un cenno. Si tratta della statua del Cristo Portacroce, che il Buonarroti realizzò fra il 1514 e il 1516 e che lasciò incompiuta per una “vena nera” emersa nel blocco di marmo a scultura praticamente quasi terminata. Non solo. All’interno del Santuario si può anche ammirare una copia a grandezza naturale della Sacra Sindone conservata a Torino, il che fa di questo luogo una meta di pellegrinaggi. A Cura di Vetralla si trova invece il MONASTERO REGINA PACIS, destinato alla clausura delle benedettine, collocato ai piedi dei Monti Cimini ma soprattutto propri lungo la Via Francigena. Ai monaci cistercensi dell’Abbazia primigenia di Pontigny si deve invece la realizzazione, nel corso del XIII secolo, dell’ABBAZIA DI SAN MARTINO DI CIMINO, nell’omonimo borgo nel viterbese, in conseguenza della donazione di alcune terre da parte di Papa Innocento III, che voleva trasformare quest’area del Lazio in un polo di sviluppo agricolo.

Di grande importanza è anche l’ABBAZIA DI FOSSANOVA, a Priverno, Latina, il più antico esempio di gotico-cistercense, Monumento Nazionale dal 1874, che sotto le sue fondamenta nasconde addirittura una villa romana del I secolo a.C. Prima di ripartire, quasi d’obbligo acquistare vini e liquori dai frati minori conventuali devoti a San Francesco. Altro Monumento Nazionale, ma abitato da monaci benedettini, è l’ABBAZIA DI FARFA, gioiello della terra Sabina che nei suoi quindici secoli di vita, oltre a migliaia di pellegrini in cerca di pace e meditazione, ha attratto re, imperatori e papi, fra cui nel 1993 Giovanni Paolo II, frequentatore anche del bellissimo SANTUARIO MADONNA DELLA MENTORELLA a Capranica Prenestina.

Il viaggio prosegue nell’Agro Pontino visitando l’ABBAZIA DI VALVISCIOLO, straordinario mix di linee romanico-gotico-cistercensi, ma soprattutto luogo ricco di fascino e di “segni” che la legano al mondo dei Templari. Rimanendo in quel limbo fra leggenda e realtà, ora gli appassionati del mistero sanno dove andare. Un pezzo di storia e molto ben documentato è invece quello accaduto al MONASTERO DI SANTA SCOLASTICA a Subiaco, diventata nel 1465 la prima stamperia d’Italia grazie a due monaci tedeschi allievi di Gutenberg, mentre nel vicino MONASTERO DI SAN BENEDETTO, avvolti dal silenzio mistico e dalla natura incontaminata del PARCO NATURALE DEI MONTI SIMBUINI, si può contemplare il “Sacro Speco” dove il Santo di Norcia era solito ritirarsi in preghiera. Qui vicino, in una posizione da vertigine, si trova il SANTUARIO DELLA SANTISSIMA TRINITA’  di Vallepietra, piccolo da sembrare poco più di una cappella, ma meta di devoti che in questa sorta di “nicchia” scavata nella roccia trovano ispirazione e preghiera.

Tutto il contrario di come appare la CERTOSA DI TRISULTI, imponente e gigantesca da avere internamente alle mura, oltre alla chiesa, addirittura una “piazzetta”, un vasto giardino e una farmacia, edifici dove da linee e decorazioni di gusto gotico si passa a trompe –l’oeil di ispirazione pompeiana e arredi settecenteschi.

Il Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise fa poi da contorno al SANTUARIO DI CANNETO, elevato nel 2015 a Basilica pontificia minore. La ragione di questo “upgrade” fuori dal comune è presto detto: Silvana era una pastorella della zona che, come accadde a Bernadette di Lourdes, vide la Madonna che poi con un gesto fece sgorgare una sorgente da una roccia. Inutile dire che berne l’acqua è d’obbligo.

L’ultima tappa di questo ricchissimo itinerario riporta verso Roma. A strapiombo sul Lago Albano, nei Castelli Romani, si trova il CONVENTO DI PALAZZOLO, dalla storia singolare e parecchio ingarbugliata. L’edificio esisteva già dall’XI secolo, ma acquisì una certa importanza solo nel Settecento, quando divenne protettorato del regno del Portogallo, fino a essere adibito a sede dell’Ambasciata, salvo poi essere venduto a privati. Dal 1920, si può dire che fra le sue mura si parla un’altra lingua, ospitando i soggiorni estivi per i seminaristi del Venerable English College.

Il Lazio e i luoghi della cultura monastica

Come una volta, a passo lento, meditando e contemplando una natura ancora incontaminata e luoghi fulcro di spiritualità. Oggi come ieri, chi sceglie come meta un eremo o un’abbazia, ha in mente un tipo di viaggio ben preciso, dove il silenzio si veste di significati profondi, un bosco diventa un rifugio dell’anima, un edificio religioso un punto di riconciliazione con se stessi. E oggi come ieri, il Lazio è quella terra di mezzo fra il resto del mondo e il cuore della Cristianità, Roma, che tanta parte ha avuto nella storia, e in quanto tale ha raccolto le molte testimonianze lasciate da Santi e fedeli di passaggio da o per la Terra Santa, da o verso il “caput mundi”.

Santuari, cattedrali, chiese e “città dei papi” extra moenia riassumono così secoli di accadimenti, ma anche di arte, architettura e di vite vissute letteralmente in nome di Dio. Viterbo, Anagni, Rieti, Civita Castellana, Subiaco, Casamari, Trisulti, Fossanova… Infinita la lista dei luoghi dove ogni passo ricalca le tracce lasciate da monaci, frati e pellegrini, da rileggere con la consapevolezza di duemila anni di storia in più e il piacere di poter apprezzare una bellezza senza tempo.

Il Lazio e i luoghi della cultura monastica

Il Lazio sta alla Terra Santa come Roma a Gerusalemme. In questa semplice equazione si coglie il motivo per cui non c’è zona di questa Regione che non sia disseminata di luoghi consacrati alla spiritualità, ma soprattutto in cui non transiti un itinerario di fede. I Cammini sono in tutto quattro, e sono i quattro più importanti d’Europa.

Tenendo come punto di arrivo e ripartenza la Capitale, il più classico degli itinerari di fede si divide in due tronconi: Via Francigena del Nord, partendo dal confine della Toscana, e Via Francigena del Sud, scendendo verso Minturno e Cassino, al confine con la Campania e il Molise, per proseguire poi fino in Puglia. Questa antica Via, che nella sua completezza tocca anche Regno Unito, Francia e Svizzera, attraversa tutta la provincia di Viterbo, da Proceno a Monterosi passando per Acquapendente, San Lorenzo Nuovo, Bolsena, Montefiascone, Viterbo, Vetralla, Capranica e Sutri. C’è anche una possibile variante, la Cimina, che ha l’unicità di correre intorno al cratere vulcanico oggi occupato dal Lago di Vico.

Gli altri due Cammini laziali ripercorrono le tracce in vita di San Francesco e San Benedetto, transitando il primo nella “Valle Santa” reatina, e la seconda nella parte interna del Lazio, fra Leonessa e Montecassino, verso l’Umbria.

Vie nate sulla scia della fede, ma che nei secoli sono diventate anche di conquista e di commercio, percorsi di arte e di storia, raccogliendo input culturali dall’Occidente e dall’Oriente. Vie che oggi sono tornate a rivestire un ruolo di “culla” della Cristianità, e allo stesso tempo di strumento prezioso per una conoscenza capillare delle micro realtà territoriali.

Il Lazio e i luoghi della cultura monastica

Si chiamano Marroni Antrodocani e sono l’orgoglio di Antrodoco, paese in provincia di Rieti, e dei vicini Borgovelino, Castel S. Angelo e Micigliano. A importare la pianta nel Lazio, che qui attecchì dando origine a un importante indotto su tutto il territorio, fu la ricca famiglia dei feudatari Bandini di Toscana a cavallo fra il ‘500 e il ‘600.
La sua particolarità è di avere un frutto più grande e zuccherino rispetto alla castagna, più chiaro e striato e con una buccia interna molto sottile e facile da togliere. L’alto contenuto di idrati di carbonio ne fa inoltre un alimento prezioso, dal buon apporto energetico, oltre ad avere una concentrazione di vitamina “C” pari a quella di agrumi quali arancia e limone. Qualità uniche che hanno portato a due “marchi, nel 2017 la De.C.O., Denominazione Comunale d’Origine, e prima ancora lGP, l’Indicazione Geografica Protetta.
A portare avanti la tradizione del Marrone sono ancora oggi i castanicoltori di questi quattro borghi, che dal 1974 sono riuniti nella Cooperativa “Velinia” con sede a Borgovelino, mentre è ad Antrodoco che durante la Festa d’Autunno si possono gustare e acquistare insieme ad altre prelibatezze quali nocciole, noci e miele.

La Città dei Papi

Per arrivare direttamente nel cuore medievale di Viterbo, vale a dire Piazza San Lorenzo, serve l’ascensore. Si prende dal parcheggio Valle Faul e si arriva dlà dove inizia la sfilata di edifici storici: il Palazzo dei Papi, la Cattedrale di San Lorenzo con il Museo del Colle del Duomo, il Palazzetto di Valentino della Pagnotta, lo stupefacente Palazzo Farnese.
In Piazza della Morte c’è una delle fontane più belle e antiche, la Fontana della Morte, databile alla metà del 1200. Percorrendo Corso Italia, si arriva in Piazza Verdi, dove sorge il Teatro dell’Unione, punto di riferimento per salire verso il Santuario di Santa Rosa, patrona della città.

Su Piazza della Rocca affaccia invece il Museo Nazionale Etrusco – Rocca Albornoz,
tappa fissa per ammirare i molti reperti rinvenuti nei siti di San Giovenale e di Acquarossa, nel centro etrusco-romano di Ferento e in quello di Musarna. All’ultimo piano del museo sono esposti i corredi funerari dei più importanti centri dell’Etruria meridionale interna e nell’ultima sala un reperto tanto raro quanto bello, un’autentica biga etrusca.
Di ben altro genere sono i tesori conservati nel Museo del Colle del Duomo, inaugurato nell’anno giubilare del 2000 e al centro del nuovo polo monumentale che comprende la Cattedrale ed il Palazzo dei Papi. Le tre sezioni – archeologica, storico-artistica e di arte sacra – ne fanno una importante realtà culturale del capoluogo della Tuscia. Subito fuori le mura cittadine e nei pressi di Porta della Verità, c’è poi il Museo Civico di Viterbo, con una vasta raccolta di opere d’arte e reperti di grande valore, che spazia dalle ceramiche da farmacia dei secoli XVII e XVIII a collezioni di numismatica, da bozzetti seicenteschi del perduto ciclo pittorico della chiesa di Santa Rosa ai dipinti di pittori viterbesi del periodo compreso fra il 400 e 800, da iscrizioni antiche e medievali fino a pregevoli opere scultoree rinascimentali. Da non perdere il tesoretto papale cinquecentesco e il corredo di ceramiche da farmacia del XVIII secolo proveniente dall’Ospedale Grande degli Infermi.

Per rimanere in argomento, ospitato al piano terra del cinquecentesco Palazzo Brugiotti, splendido esempio di architettura post rinascimentale, c’è il Museo della Ceramica della Tuscia, con circa 200 reperti medioevali e rinascimentali, che provengono prevalentemente dall’area dell’Alto Lazio. Nel quartiere medievale di San Pellegrino, si trova invece il Muso del Sodalizio Facchini di Santa Rosa, che raccoglie e custodisce la storia dei Facchini e della Macchina di Santa Rosa. La prima “macchina”, di cui si può vedere anche il modellino originario, risale al 1690, cui sono seguite una serie di evoluzioni fino a quelle più recenti. Per comprendere davvero di cosa si tratta bisogna però trovarsi a Viterbo il 3 settembre, per assistere al Trasporto della Macchina di Santa Rosa: attualmente, raggiunge i 30 metri di altezza per un peso di oltre 50 quintali, e nonostante questo ingente “fardello” viene portata a spalla per le strette e ripide vie del centro storico da poco più di 100 uomini, detti “Facchini di Santa Rosa”. Dal 2013 la Macchina di Santa Rosa è stata riconosciuta dall’Unesco Patrimonio Immateriale dell’Umanità.

La Città dei Papi

Un tempo, da novembre a marzo, in provincia di Viterbo ci si dedicava alla produzione di un insaccato tipico dal nome curioso, Susianella. Ad oggi sono rimasti pochi i norcini in grado di realizzarlo, ma lo fanno anche in altri periodi dell’anno. La ricetta originaria sarebbe addirittura etrusca, ma solo attorno all’anno Mille, si diffuse per via di una maggiore lavorazione delle frattaglie. Gli ingredienti base della Susianella sono infatti cuore, fegato, pancreas, pancetta, guanciale e altre rifilature di carne provenienti da suini che raggiungono un peso di 130-160 kg. Macinate non troppo finemente e condite con sale, pepe, peperoncino, finocchio selvatico e altre spezie variabili, le carni sono poi insaccate in budello naturale di suino legato a mano cui viene data la forma a ferro di cavallo o a ciambella. La stagionatura va da un minimo 20 giorni fino ai sei mesi. Da qualche anno, per tutelare la produzione di questo squisito salame è stato costituito un Presidio Slow Food ma anche per diffonderne la cultura ad altri norcini.

La Città dei Papi

Nel suo lungo cammino, la Via Francigena, cosiddetta perché un tempo univa Francia e Roma, da cui anche Romea, attraversa pure la Tuscia, offrendo un modo alternativo e slow di godere delle molte bellezze naturalistiche, dei borghi suggestivi e delle prelibatezze enogastronomiche di questa florida terra in provincia di Viterbo.

Il tratto nel viterbese va da Proceno a Monterosi, passando per Acquapendente, San Lorenzo Nuovo, Bolsena, Montefiascone, Viterbo, Vetralla, Capranica e Sutri, tutte tappe in grado di soddisfare curiosità su cibo, cultura, arte e tradizioni locali. Da Viterbo, il pellegrino può lasciare la Via Tradizionale per intraprendere la Variante Cimina della Via Francigena, percorso che segue il profilo del cratere vulcanico del Lago di Vico.

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