Il nome antico della Basilicata, Lucania, deriva da lucus, bosco sacro, e il motivo si deve al fatto che da queste parti non è poi così raro imbattersi in pini e abeti tipici di una foresta nordica. Una specie arborea che non ti aspetteresti mai a questa latitudine, ma in un territorio con solo l’8% di pianura e per il resto equamente diviso fra montagne e colline, non c’è da stupirsi. Anzi, possiamo dire che questa è solo la prima delle molte sorprese che la Basilicata ha in serbo per il visitatore. Se ci si arriva in auto, molto probabilmente lo si fa dalla A3, e una volta lasciata l’autostrada, il paesaggio cambia repentinamente: la statale si insinua fra le montagne dell’Appennino Lucano – Val d’Agri – Lagonegrese, zona dal 2007 istituita a Parco Nazionale. Anche se si è solo di passaggio, merita una sosta Lagonegro, il paese della bella chiesa di San Nicola, dove secondo un’antica...
Il “contenitore” è di per sé motivo di visita. Parliamo del Castello federiciano di Melfi, nella campagna del potentino, e in più, al suo interno ecco un plus che soddisfa gli appassionati di archeologia. All’interno dell’imponente maniero si trova infatti il Museo Archeologico Nazionale del Melfese “Massimo Pallottino”, che custodisce l’importante documentazione archeologica rinvenuta nel comprensorio del Vulture-Melfese. Corredi funerari, raffinate ceramiche daunie a decorazione geometrica, armature in bronzo, preziosi ornamenti in argento, oro e ambra, vasi in bronzo di produzione sia greca che etrusca: sono centinaia solo i reperti preistorici, cui si vanno ad aggiungere quelli della sezione classica, incentrata su materiali datati al IV-III secolo a.C. Qui nelle teche trovano posto ceramiche magno-greche a figure rosse e monumentali vasi a decorazione policroma con figure applicate, per lo più rinvenuti a Lavello nel sito dell’antica Forentum. La sequenza cronologica porta infine al periodo romano, dove spicca un eccezionale sarcofago in marmo del II secolo d.C. con decorazione a rilievo, di probabile manifattura asiatica.
MEC è la sigla del Museo emozionale di Craco, la “città fantasma” che a partire dal 1963, a causa di una frana, ha iniziato a spopolarsi fino a rimanere completamente disabitata. All’ingresso del borgo si trova l’antico Convento di San Pietro dei Frati Minori, dove è appunto allestito il MEC, che ha fatto della tecnologia il mezzo per trasmettere ai visitatori le emozioni, i racconti, le vicende di un luogo cristallizzato a qualche decennio fa.
Lo stesso Convento, fondato nel 1620, è stato sottoposto a un attento restauro avvenuto in due fasi nel 1998-2000 e nel 2014-2015, al fine di rendere agibili gli spazi necessari per il percorso espositivo. Il Museo Emozionale di Craco è un esempio quanto mai contemporaneo di un progetto di tutela e riqualificazione del patrimonio rurale diffuso in tutta la Basilicata.
Prima ci fu il tempio pagano dedicato all’Ercole “Acheruntino”, poi una chiesa paleocristiana, infine la Cattedrale di Santa Maria Assunta e San Canio. Questo l’iter storico ultra millenario della basilica simbolo di Acerenza, fra i “Borghi più belli d’Italia” della provincia di Potenza. Alla sua costruzione contribuirono le migliori maestranze locali e persino alcune “foreste”, in particolare architetti francesi, fattore che, per quell’epoca, fa capire l’importanza e la forza economica che c’era dietro al progetto di costruzione della Cattedrale. L’influsso francese è testimoniato dallo stile romanico-clunyacense, ispirato alle indicazioni dell’abate di Cluny, Arnoldo, che nel 1080 la consacrò a San Canio e a Santa Maria Assunta.
Al cospetto della Cattedrale di Santa Maria Assunta e San Canio non si può non cogliere la mole imponente nel suo insieme e dell’abside in particolare, sovradimensionata e sovrastante i tetti del piccolo borgo che la cinge. La stessa sensazione continua all’interno, in un vasto spazio suddiviso in tre navale, adorne di tavole risalenti al Cinquecento, fra cui spicca il polittico di Antonio Stabile, risalente al 1583. Persino la cripta è impreziosita da uno splendido ciclo di affreschi che merita la visita e la rende una gemma preziosa da non perdere. Da notare anche la sacrestia con il busto dell’imperatore Giuliano l’Apostata e la cupola sulla crociera, ultimata nel XIX secolo.
SIC, ZPS e RAMSAR sono le sigle che identificano un sito d’interesse comunitario, una zona a protezione speciale, soprattutto per l’avifauna – molti gli esemplari di rapaci -, e aree umide d’importanza internazionale per la fauna acquatica. Ecco, per capire di cosa si tratta, a 6 km da Matera, circondata da campi coltivati e masserie antiche tipiche della campagna lucana, c’è l’Oasi WWF di San Giuliano, che con i suoi 2500 ettari è la Riserva Naturale più vasta di tutta la provincia. L’invaso si è formato in modo artificiale e offre l’habitat ideale per la pratica di birdwatching, escursionismo ambientale, trekking, mountain bike, walking map e orienteering.
Sveglia all’alba a Matera. E’ il 2 luglio ed è il giorno tanto atteso: che abbia inizio la Festa della Madonna della Bruna. La processione “dei pastori” sciama per le strade dei quartieri del Centro Storico per arrivare al cospetto del Quadro della Vergine. I “cavalieri”, in sella a cavalli bardati di fiori di carta e velluti, si radunano lungo le vie e intanto nella chiesa di Piccianello la statua di Maria Santissima viene issata sul carro trionfale e portata in processione per tutto il pomeriggio lungo le strade principali gremite di gente, fino ad arrivare in serata nel piazzale del Duomo dove si compiono i “tre giri”, allusione alla “presa” della città da parte della Santissima patrona. La statua, accompagnata dalla Curia Arcivescovile, è infine deposta in Cattedrale.
In questo caotico rito fra sacro e profano, l’opera da ammirare è il carro, frutto di un lavoro artigianale di mesi, che nonostante ciò, alla fine è assaltato e distrutto, per poi rinascere sotto una foggia diversa l’anno dopo.
La giornata prosegue in un susseguirsi di riti e tradizioni fino a tarda serata, quando a decretare la fine della festa è una gara di fuochi pirotecnici che creano uno scenario unico sugli antichi rioni dei Sassi, Patrimonio Mondiale dell’Umanità.
Nell’antichità, dove c’era un corso d’acqua, sorgeva una città destinata in genere alla prosperità. Nel suo piccolo, Metapontum – il cui toponimo significa “fra due fiumi” – non ha fatto eccezione. Anzi. Sorta fra i corsi del Bradano e del Basento, fu una delle “poleis” più floride della Magna Grecia e della costa ionica dell’odierna Basilicata.
Oggi, Metaponto è una frazione del comune di Bernalda, in provincia di Matera, meta turistica dalle numerose attrattive: in primis, il sito archeologico e il museo annesso, il cui simbolo sono le cosiddette Tavole Palatine, dodici colonne in stile dorico resti dell’imponente Tempio di Hera, e le memorie legate alla scuola del matematico Pitagora, che qui visse e morì nel 495 a.C., Poi ci sono le spiagge di sabbia dorata mai troppo affollate, le strade tortuose, i paesaggi brulli che a tratti cedono il passo a vaste aree di macchia mediterranea, a suggestive pinete e a campi di grano. E infine le masserie trasformate in agriturismi o aziende agricole dove fare soste ritempranti a base di prodotti e piatti tipici.
Basilicata
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