In epoca romana le Marche non esistevano. Erano semplicemente quella terra denominata Piceno che ricopriva la maggior parte dei confini odierni, e per il resto appartenente all’Umbria. Dante stesso, nel quinto canto del Purgatorio, fece proferire al marchigiano Jacopo del Cassero le seguenti parole, che suonavano a dir poco lapidarie: “…quel paese / che siede tra Romagna e quel di Carlo”, dove per quest’ultimo si intendeva Carlo II d’Angiò, Re di Napoli. Destino da territorio di transito che proseguì con Carlo Magno, che una volta conquistato il regno longobardo pose sui vari confini una “marca”, allo scopo di contenere l’invasione di Arabi, Slavi e Avari. Ed ecco così la nascita delle Marche, che non furono un limes da poco, anzi, segnando il passaggio fra il mondo latino-germanico a nord e quello bizantino-arabo a sud. Dagli annali, emerge anche una data che ha fatto da spartiacque nella storia, e non solo quella locale: 26 dicembre 1194. In quel giorno vedeva la luce a Jesi Federico II di Svevia, futuro imperatore del Sacro Romano Impero, che onorò la sua “culla” col titolo di Città Regia. Visitandola è un continuo tributo a colui che fu ribattezzato “Stupor Mundi”, a partire dalla piazza centrale a lui dedicata, sorta sul sito dell’antico Foro Romano all’incrocio del Cardo e del Decumano massimi, proprio là dove si affaccia il palazzo nobiliare che lo vide venire al mondo che poi conquistò.
Caratteristica che rende le Marche una realtà pressoché unica fra le Regioni d’Italia è l’omogeneità del territorio, un paesaggio agricolo a perdita d’occhio esteso per il 69% su zona collinare e con ben l’82% dei comuni situati su quelle magnifiche onde tinte di verde e giallo oro come il grano che arrivano a lambire il blu del mare. Sono quindi i rilievi montuosi a occupare il restante 31% del territorio, comprendendo l’Appennino umbro-marchigiano che trova il suo picco nei 2.476 metri del Monte Vettore, nei Monti Sibillini, situati a cavallo fra tre delle cinque province, vale a dire quelle di Fermo, Ascoli Piceno e Macerata e parte dell’omonimo Parco Nazionale. Altra costante è quella che vede quasi tutti i fiumi e torrenti marchigiani nascere dalla catena appenninica e giungere al mare praticamente senza affluenti e formando gole spettacolari oggi meta di appassionati di trekking, MTB, rafting e canyoning: la Gola del Furlo, di Pioraco, dell’Infernaccio, delle Fucicchie, di Arquata e da ultimo quelle della Rossa e di Frasassi, che richiamano subito alla mente le immagini di un luogo straordinario, le Grotte di Frasassi, al centro dell’omonimo Parco naturale regionale. Scoperte casualmente nel 1972, costituiscono uno dei complessi carsici più grandi del mondo, e sono una tappa irrinunciabile in un viaggio di scoperta dell’entroterra.
Un comodo punto di partenza potrebbe essere a nord il Montefeltro, pezzo di terra appenninica un po’ marchigiana, un po’ romagnola, un po’ toscana, irto di rupi e rocche, di chiese romaniche o addirittura precedenti all’anno Mille, di “selve oscure” isolate e popolate da una ricca fauna. Lo si ritrova nelle tele di Giovanni Santi, il padre dell’urbinate Raffaello Sanzio, o nelle rocce che fanno da sfondo alla rossa e sensuale Maddalena di Timoteo Viti, anch’egli nativo di Urbino. Affacciandosi dalla Fortezza Albornoz, ammirando la teoria di dolci colline pennellate e la città che fu quartier generale del Ducato di Federico da Montefeltro, si capisce come e perché Raffaello abbia immaginato proprio qui un mondo di perfezione e armonia, dal 1998 classificata bene Unesco. Raggiungendo il mare, non si può non notare, a fare da spartiacque con la vicina Romagna, il promontorio su cui spicca il borgo di Gradara, altra eco dantesca in quanto “set” dell’amore travolgente di Paolo Malatesta e Francesca da Rimini (Inferno, Canto V). Ridiscendendo da qui lungo i 173 km di costa che orlano l’“Adriatico selvaggio”, come amava definirlo Gabriele D’Annunzio, si passa con una certa repentinità da spiagge lunghe e sabbiose ad alte scogliere, come quella di San Bartolo e della Riviera del Conero, unici rilievi rocciosi prima di raggiungere il Gargano. Nell’ordine, ecco Gabicce Mare, Fano, Senigallia, Sirolo, Numana, Potenza Picena, Civitanova Marche, Lido di Fermo, Porto San Giorgio e Porto Sant’Elpidio, Cupa Marittima, Grottammare e San Benedetto del Tronto, cuore della Riviera delle Palme. Anche chi ama il relax in riva al mare non può però esimersi da quel lento zigzagare sui colli appena alle spalle degli ombrelloni, alla ricerca di uno dei tanti “Borghi più belli d’Italia”, molti dei quali con un toponimo che richiama una geologicalizzazione non proprio pianeggiante: Monte Grimano Terme, Montecassiano, Montecosaro, Montefabbri, Montefiore dell’Aso, Montelupone… A questi se ne aggiungono molti altri, ciascuno con la sua rocca o castello a guardia di antichi possedimenti: Corinaldo, Matelica, Mondavio, Mondolfo, Offagna, Offida, Tolentino, Treia, Visso… Impossibile elencarli tutti. Molti rientrano poi in quell’affascinante categoria architettonica dei borghi murati, che da secoli custodiscono palazzi nobiliari spesso trasformati in musei, come pure un’infinità di abbazie e santuari degni di nota. Fra quest’ultimi, va citata in primis la Basilica della Santa Casa di Loreto, meta di pellegrinaggio mariano, al centro di una città che è essa stessa murata e modello di architettura gotico-rinascimentale, tanto da sembrare un pezzo di Roma cinquecentesca incastonato fra le colline marchigiane. Alla sua costruzione lavorarono alcuni dei maggiori geni del passato: il Bramante, il Sansovino, il Sangallo e più tardi, nel XVIII secolo, il Vanvitelli. Pochi chilometri ancora e ci si ritrova a Recanati, avvolti dalle suggestioni di Giacomo Leopardi. La casa dove vergò poesie indimenticabili è lì, aperta al pubblico di studenti, studiosi e curiosi di guardare là, oltre quella siepe e l’ermo colle, salvo poi scoprire che erano frutto della fantasia di un giovane innamorato e disperato. Altra città che potrebbe essere a buon diritto annoverata fra quelle “ideali”, rinascimentali e non solo, è Ascoli Piceno, il cui centro interamente in travertino è fra le mete più visitate.
Emergenza assai meno evidente è quella dei teatri storici: ben 73 sparsi in ognuna delle cinque province, un vero primato a livello nazionale, che sciorina una lista di capolavori in gran parte dell’800: il Teatro della Rocca a Sassocorvaro, il Teatro delle Muse nel capoluogo Ancona, La Nuova Fenice e Osimo, il Teatro Vaccaj a Tolentino, lo spettacolare Sferisterio di Macerata, assurto a modello di teatro en plein air. A Pesaro e Fabriano, che vanno segnalate anche in quanto “Città creative Unesco”, ecco infine due luoghi che ricordano i loro concittadini più celebri: il Teatro Gioacchino Rossini, scenario dell’annuale Festival Musicale Lirico, e il Teatro Gentile da Fabriano, che nel borgo diventato capitale della produzione di carta pregiata, apprese i primi rudimenti dell’arte pittorica che lo portò fino a Roma.
I Giardini di Villa Seghetti Panighi rappresentano il primo esempio di giardino storico italiano classificato bioenergetico, dove cioè sono stati effettuati per due anni rilevamenti di aree bioenergetiche. In buona sostanza, si è verificato che, camminando nei viali del parco, fra specie autoctone della bassa Valle del Tronto quali faggi rossi e querce, miste a esemplari di piante esotiche come palme, Ginkgo biloba, Prunus rosa del Giappone, Taxodium disticum e Sophora japonica ‘Pendula’, si può godere dei benefici effetti che rilasciano nell’aria. A questi risultati “scientifici”, si aggiunga la piacevolezza di rilassarsi a bordo di un romantico laghetto, habitat di ninfee e fiori di loto, e nel “romitorio” creato a posta per la meditazione da Ludwig Wimter, uno dei più grandi paesaggisti di fine ‘800. Sfogliando gli annali della villa, si scopre che il rifacimento del parco gli fu commissionato da Vincenzo Carfratelli Seghetti, imprenditore che nel 1875 acquistò la dimora eretta nel ‘700 da Odoardo Odoardi lungo il tracciato storico della Via Salaria, vicino a Castel di Lama, in provincia di Ascoli Piceno. Ad oggi, il parco è aperto al pubblico per le visite guidate, mentre la villa è un’elegante luogo d’accoglienza, con camere, suite, appartamenti e persino una Casa d’Artista in cui il soggiorno è personalizzato in base alle richieste.
La potremmo chiamare la “trilogia” della famiglia Paradisi. Come dimostrato da alcuni documenti risalenti a ben prima del XV secolo, quella dei Parasini fu una delle stirpi più antiche di Montalto delle Marche. A memoria della loro lunga permanenza e dominio, oggi si possono visitare Palazzo Paradisi, l’attigua Chiesa di San Pietro – in origine cappella del palazzo, restaurata nel 1606 per ospitare le spoglie del primo vescovo di Montalto, monsignor Paolo Emilio Giovannini – e il Belvedere, terrazza panoramica fra le più spettacolari del borgo. Fino agli anni Sessanta, prima che fosse demolito per problemi strutturali, a tutto ciò si poteva aggiungere anche l’antico teatro della Rocca o Teatro de’ Nobili, di cui i più anziani in paese parlano ancora: era il centro delle attività culturali, ricreative e teatrali, curato in prima persona dalla contessa Fanny, l’ultima della stirpe dei Paradisi. Scomparsa la contessa, Palazzo Paradisi è stato per anni completamente abbandonato, fino a quando nel 1990 il Comune l’ha acquistato e restaurato in gran parte per adibirlo a manifestazioni e mostre.
Nel 2021, i Comuni di Montalto delle Marche e di Grottammare hanno organizzato una serie di eventi per il quinto centenario dalla nascita di papa Sisto V, culminati con la mostra “Sisto V e Pericle Fazzini Gloria e Memoria”. Felice Peretti nasce nel 1521 nel borgo marchigiano di Montalto e viene eletto pontefice nel 1585, diventando il 227° successore di Pietro. Sisto V non è solo il più illustre cittadino montaltese, ma è anche colui che, stabilendo una serie di privilegi economici e di status alla sua “patria carissima” permette a Montalto di svilupparsi e di diventare un piccolo centro di arte e cultura. A sua memoria, quindi, nel 1985 la cittadinanza commissiona un’opera a un altro marchigiano Doc, l’artista Pericle Fazzini, della vicina Grottammare, che il 23 novembre 1986 scopre la scultura bronzea a lui dedicata. Sarà l’ultima sua creazione, installata giusto qualche mese prima di morire. Il monumento si fa notare per la raffinatezza dei dettagli estetici ma soprattutto per la tecnologia che lo caratterizza: la scultura è infatti posta su una struttura che ruota su se stessa, come ad alludere allo sguardo del papa che sorveglia tutta la sua città.
Di Periple Fazzini vale la pena ricordare che il suo nome è legato a un’altra opera in “aria di santità”: la famosissima “Resurrezione“, che troneggia nella Sala Nervi in Vaticano alle spalle dello scranno papale.
A Montalto delle Marche, quando si parla della “Signora” ci si riferisce a Camilla Peretti, sorella di Felice Peretti, eletto Papa nel 1585 con il nome di Sisto V. In questo borgo incluso nel GABA – Il Grande Anello dei Borghi Ascolani, tutto riporta a questa coppia d’eccellenza, che ha segnato un’epoca e la storia di Montalto degli ultimi cinque secoli. Oltre che architettonicamente, perché qui ogni piè sospinto c’è un monumento che rimanda ai Peretti. Sul lato nord della piazza centrale dedicata a Sisto V, si trova il “Palazzo della Signora eccellentissima donna Camilla”, poi sostituito dal Seminario, a sua volta diventato sede del Museo Diocesano Sistino Vescovile di Arte Sacra. Qui si conservano preziosi paramenti sacri, oggetti liturgici, antiche pergamene, reliquiari, dipinti e ritratti dei Vescovi della Diocesi di Montalto.
Nell’osservare l’impianto architettonico del Seminario l’attenzione non può non cadere sulla torretta con l’orologio, dove compaiono le iscrizioni ‘Il tempo è moneta’, aforisma di Thomas Mann, e ‘Prega e lavora’, l’ora et labora di San Benedetto da Norcia e A.M. D.G., Ad maiorem Dei gloriam, frase che si trova per la prima volta nei Dialoghi di San Gregorio Magno e che S. Ignazio di Loyola volle per la Compagnia di Gesù.
Per le strade di Offida, nell’ascolano, capita ancora di incontrare qualche anziana signora seduta davanti alla porta intenta alla lavorazione del tombolo. Sono le ultime ricamatrici dedite a un’arte vecchia di cinque secoli, risalente al XV secolo. Le prime a praticarla furono alcune donne dei ceti popolari, cui seguirono le comunità religiose e poi le famiglie aristocratiche, che incentivarono le famiglie femmine alla pratica di quest’arte. La svolta avvenne nel 1665, grazie all’arrivo delle suore Benedettine, che trasformarono il tombolo nel mestiere di massa a Offida e dintorni. Nei secoli successivi, la produzione di merletti fu così copiosa da guadagnarsi fama in tutta Italia e non solo, giungendo presso le più importanti corti del passato. Esemplari antichi si possono oggi ammirare nel Museo del Merletto a Tombolo situato nel Centro Storico di Offida.
Nella Chiesa di Santa Maria della Rocca a Offida si legge in chiaro la storia di questo borgo dell’ascolano, che in età longobarda aveva il suo cuore in un castello con annessa una piccola chiesa di proprietà di Longino D’Azzone, Signore offidano di origine franco-tedesca. Ciò che resta di quella piccola chiesa è oggi inglobato nella cripta dell’imponente Chiesa di Santa Maria, eretta nel 1330 dopo la demolizione del castello. Santa Maria sorge oggi in una posizione isolata rispetto all’abitato, e invita alla visita anche per il panorama che si gode dal suo sagrato.
Una volta dentro, si scende della cripta e si svelano i volti di Santa Caterina di Alessandria, di Santa Lucia e altri Santi affrescati sette secoli fa dal Maestro di Offida. Poi si risale e si percorre la singola navata della chiesa superiore, con lacerti di affreschi che fanno intuire la bellezza di un tempo. Sono opera del maestro milanese Ugolino di Vanne, mentre sul lato opposto si intravvedono una deposizione, una crocifissione e una Madonna con Bambino e Santo, unico affresco di età rinascimentale, attribuito a Vincenzo Pagani.
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