Le attività del turista Culturale
cultura immateriale (eventi, spettacoli dal vivo, festival)
Non servono classifiche ufficiali per asserire che molti dei borghi di cui è costellata la Calabria meritano di essere visitati, ma inquadrarli nell’ambito di un “listing” ufficiale, rende giustizia alla loro bellezza e mette l’accento su quanto il turismo deve guardare anche e soprattutto fuori dalle rotte consuete.
La natura selvaggia e prorompente del Parco Nazionale del Pollino per esempio, fa da contorno a paesi fondati fra il 1470 e il 1540 da alcune comunità albanesi giunte qui per sfuggire alle milizie turche, e che ancora oggi conservano lingua, cultura e usanze arbëreshe, rimaste intatte come i loro centro storici e le usanze agro-pastorali. Parliamo di Acquaformosa, Civita, San Basile, Lungro, Plataci, Frascineto, San Costantino Albanese e San Paolo Albanese. Per approfondire la conoscenza di questo popolo, a Civita e a San Paolo Albanese si trovano i musei della Civiltà Arbëreshe, dove sono conservati numerosi oggetti, attrezzi e costumi della tradizione. Di grande interesse religioso sono le funzioni di rito greco-bizantino e le Vallje, le particolari danze in cui ci si muove a ritmo uniti da un fazzoletto. Il forzato isolamento dovuto alle montagne ha fatto sì che nella zona del Pollino rimanessero intatti anche antichi riti come il carnevale con le maschere apotropaiche di Alessandria del Carretto o la Festa della Pita, i riti e i canti di devozione alla Madonna eco di una terra arcaica e autentica che ancora sopravvive, in parte proprio perché protetta dalle alte vette.
Si incentra invece sull’arte di strada il festival Il Borgo Incantato, che dal 1999 anima le serate di fine luglio di Gerace, medievale nell’imprinting architettonico quanto nella cultura che ancora sa esprimere: musicisti, giocolieri, funamboli, mangiafuoco, mimi, clown e maghi si esibiscono per strada, mentre nelle cantine dei palazzi nobili si degustano le specialità del posto. L’evento di richiamo di Altomonte è invece la Gran Festa del Pane, che nel mese di maggio prevede stand di produttori locali e provenienti dalle località aderenti all’Associazione Città del Pane, ma anche di altre realtà annoverate fra i “Borghi più Belli d’Italia” o inserite fra le Città Slow. A coniugare camminate esplorative nel centro storico e degustazioni di prodotti sono i percorsi guidati denominati “Forni Accesi” e “Catui Aperti”, da prenotare presso la Pro Loco.
Se Tiriolo è il paese reso celebre dalle sue botteghe artigiane di lavorazione al telaio e al tombolo, Fiumefreddo, Rocca Imperiale e Pizzo Calabro sono quelli indissolubilmente legati alla presenza del loro castello, in rovina, come nel primo caso, ma sempre pieno di fascino e mistero, o perfettamente intatto come nel caso di Rocca e Pizzo, dove a ogni passo si ripercorrono emozioni e ricordi che attingono a un lontano passato spesso a tinte forti. Come nel caso dell’episodio narrato durante la visita del maniero di Pizzo, luogo degli ultimi giorni e della fucilazione di Gioacchino Murat, Re di Napoli e delle Due Sicilie.
Le attività del turista Enogastronomico
Enogastronomia
I nomi che identificano i principali piatti o prodotti calabresi suonano spesso criptici ai forestieri, celando tradizioni antiche e poliglotte. Greci, Romani, Normanni e Arabi oltre che nell’architettura hanno lasciato il segno anche a tavola, soprattutto nella cucina delle piane più prossime al mare. Richiama la francese andouille la ‘Nduja, salsiccia di carne, lardo, fegato e polmone di maiale, originaria di Spilinga e dei comuni limitrofi dell’altopiano del Monte Poro, area nota anche per la produzione di un Pecorino, detto appunto di Monte Poro o “casu”, ottimo al naturale o alla griglia o come condimento di piatti filanti. La devozione locale per il suino è testimoniata anche dalla Sopressata Dop e da un piatto tradizionale come il murseddo, striscioline di trippe, fegato di vitello e maiale con l’aggiunta di pomodoro e peperoncino, racchiuse nella pitta, disco di pasta di pane che richiama la greca pita. Carne di porco pure nelle opulente sagne chine, lasagne imbottite con macinato di maiale, piselli, cacio, funghi, carciofi e uova sode. Altrettanto iconica come la ‘Nduja è la Cipolla rossa di Tropea IGP, vessillo della zona di Vibo Valentia. Particolarmente utilizzata per la preparazione di insalate fresche, è impiegata anche come ingrediente base di specialità gastronomiche tra le più varie, quali conserve, condimenti, salse, paté e confetture, e persino un gelato a dir poco sui generis. Il dolce calabro per eccellenza è originario della stessa provincia: è il Tartufo di Pizzo, nato qui in virtù dell’usanza di utilizzare la neve delle Serre e della Sila per realizzare granite e sorbetti con le fragole di bosco locali, o con le mandorle e i limoni della vicina Sicilia.
Il borgo di Buonvicino, nel cosentino, è invece legato a un altro agrume, il cedro, mentre il Bergamotto di Reggio Calabria è una DOP che dà i suoi frutti anche con l’olio essenziale, utilizzato nella cosmetica e nella profumeria di lusso.
Quanto ai vini, rapidi passi da gigante sono stati fatti negli ultimi anni in fatto di qualità, permettendo alle aziende locali di arrivare alla classificazione di ben 8 Doc e 6 IGP. A fare da portabandiera dell’Enotria, “terra del vino” – così l’avevano ribattezzata i coloni greci – è oggi il Cirò Doc, prodotto a Cirò e Cirò Marina, nel crotonese, come rosso, rosato e bianco. Nella stessa provincia si coltivano altre due Doc, il Santa Anna di Isola di Capo Rizzuto e il Melissa, con blend di uve che comprendono Gaglioppo, Nocera, Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio, Malvasia nera, Malvasia bianca e Greco bianco.
Si va in provincia di Cosenza per degustare invece i Doc Savuto e Terre di Cosenza, dove sono state identificate sette sottozone, caratterizzate dalla produzione di vini particolarmente pregiati, quali Condoleo, Donnici, Esaro, Pollino, San Vito di Luzzi, Colline del Crati e Verbicaro. Nel catanzarese si beve invece con lo Scavigna Doc, bianco e rosso. Se la zona è quella di Reggio, si pasteggia con Bivongi e Greco di Bianco Doc. Gli IGP riportano invece i nomi di borghi come Scilla e Palizzi, di zone quali Locride, Costa Viola e Val di Neto e persino di un fiume, il Lipuda, IGP che nel suo Dna comprende un blend di Aglianico, Ansonica, Cabernet Franc, Greco Bianco e altri vitigni autoctoni e non.
Le attività del turista Spirituale
religioso
Cunfrunta, Cumprunta, ‘Ncrinata, Svelata. Questi termini popolari si riferiscono tutti allo stesso rito pagano diffuso nelle province di Reggio Calabria, Vibo Valentia e Catanzaro. Una manifestazione dalle origini millenarie, in cui si ritrovano elementi della cristianità bizantina mescolati con quelli di epoca romana: il giorno di Pasqua, per le vie dei borghi calabresi, le statue di Gesù Cristo, della Madonna e di San Giovanni portate a spalla dagli adepti delle confraternite si incontrano – da qui “cunfrunta” – dando il via a lunghi festeggiamenti, balli e canti di gioia. Celebrazioni religiose che si tingono delle tinte forti del folklore, tramandando nei secoli il fascino di culture lontane, nel tempo e nello spazio. Leit motiv che si ritrova anche nelle feste patronali, in cui riti spirituali e popolari invitano a onorare il santo protettore di un borgo, non senza trascurare l’aspetto luculliano di una festa, il cibo, con momenti dedicati alla degustazione di piatti e prodotti tipici.
Mistico oltre che rigenerativo è invece il viaggio dei cosiddetti luoghi bruniani, legati cioè alla figura di San Bruno di Colonia, monaco cristiano tedesco, fondatore attorno alla fine dell’XI secolo dell’Ordine certosino. Si parte da Serra San Bruno, piccolo borgo sorto a quel tempo proprio per accogliere le confraternite di ben nove chiese locali e gli artigiani intenti alla costruzione della monumentale Certosa dei Santi Stefano e Bruno. Un inaspettato crogiuolo di maestranze di lapicidi, pittori, artisti del legno intagliato e scolpito, fabbri, decoratori e altri artigiani che giunsero qui da ogni dove, creando una realtà unica, soprattutto in provincia di Vibo Valentia. Ci si immerge poi nel silenzio dei fitti boschi di faggio e abete bianco che circondano il paese, dove passo dopo passo si incontrano Il Calvario, il Dormitorio, il laghetto e l’Eremo di Santa Maria del Bosco, che oggi come allora rievocano i momenti più intensi della vita del Santo e della comunità religiosa che tanto ha contribuito alla storia della Chiesa e non solo. Per apprezzarne fino in fondo il valore, c’è il Museo della Certosa, custode dei numerosi capolavori d’arte prodotti in nove secoli dai monaci certosini.