Autore
Gli anni che dimostra oggi la facciata del Duomo di Vibo Valentia, consacrato come Basilica di Santa Maria Maggiore, sono circa trecento, a guardare lo stile barocco che la caratterizza, ma in realtà, sotto l’aspetto di un edificio datato fra il 1680 e il 1723, si nascondono elementi risalenti al IX secolo, a quella prima chiesa danneggiata nel corso dei secoli da più terremoti, e in particolare da quelli del 1638 e del 1659. Una volta entrati, da guardare sono il gruppo marmoreo cinquecentesco raffigurante la Madonna della Neve, un altare ricomposto nel 1811 con marmi rari provenienti dal ciborio di Serra San Bruno e un bel Crocifisso cinquecentesco.
Qui accanto, affacciato sulla medesima Piazza San Leoluca, si trova il Valentianum, ex convento domenicano del 1455, restaurato nel 1982 per accogliere il Tesoro del Duomo. Un scrigno prezioso ricolmo di paramenti, quadri, statue, suppellettili preziose, libri, stampe e cimeli di vario genere. La sorte del convento mutò dopo la soppressione degli enti ecclesiastici voluta da Napoleone, in seguito alla quale il convento venne trasformato in un ospedale militare, e dal 1852 fino al 1944 in Orfanotrofio provinciale e Istituto Agrario. Dagli anni Cinquanta in poi divenne sede della scuola d’istruzione secondaria di tipo industriale, fino appunto a essere riconvertito in museo.
Basta spostarsi di una ventina di km in direzione Nord, ed ecco in Località Madonnella, vicino a Pizzo, una delle mete che rientra sempre nella “top ten” delle più visitate della Calabria. Si tratta infatti di un unicum assoluto: è la chiesetta rupestre di Piedigrotta, creazione del genio umano unita a uno scenario naturalistico che già di per sé è uno spettacolo. Il tutto nasce in seguito a una leggenda dei Seicento, secondo la quale, durante una tempesta, i marinai tutti napoletani a bordo di un veliero a rischio di naufragio fecero il voto che, in caso di salvezza, una volta giunti a terra avrebbero costruito una cappella dedicata alla Madonna. Il voto venne fatto davanti a un quadro della Madonna di Piedigrotta poco prima che il veliero si inabissasse, ma miracolosamente sia i marinai che il quadro arrivarono a terra sani e salvi, sospinti dalle onde insieme alla campana di bordo datata 1632. Così, i naufraghi mantennero la promessa, scavando una piccola cappella nella roccia.
Il luogo fu da subito oggetto di culto, ma fu solo verso il 1880 che iniziò a prendere l’aspetto attuale. Ci sono voluti circa 80 anni di lavoro, prima da parte di Angelo Barone e poi del figlio Alfonso, artisti locali che dedicarono ciascuno circa 40 anni della propria esistenza a scolpire, allargare, plasmare e dipingere la roccia, dando vita a uno dei tanti gioielli d’arte popolare scaturiti dal genio creativo dei calabresi. A oggi, Piedigrotta è una delle mete più visitate dell’intera Calabria.
Autore
Autore