Museo delle Cere

Otto musei in uno. Questa è la sintesi di ciò che si trova all’interno dell’Antico Monastero Comunale di Rocca Imperiale, che raduna sotto lo stesso tetto otto diverse esposizioni museali. L’edificio è già di per sé motivo di visita: eretto nel 1562 dai Frati Minori Francescani, ha una struttura piuttosto complessa, che si articola in chiostro con cisterna, porticato, celle, chiesa.

Degli otto temi sviluppati ciascuno con un allestimento specifico, il Museo delle Cere rappresenta forse il più inaspettato in un contesto come quello di un borgo medievale. La rassegna di personaggi storici e dello spettacolo è quanto mai varia: Madre Teresa di Calcutta, De Gasperi, Mussolini, Che Guevara, Gianni Agnelli, Totò, Alberto Sordi, Giuseppe Verdi, Pablo Picasso, Charlie Chaplin, Federico II di Svevia e persino un paio di scene corali come l’ultima cena di Gesù con i dodici apostoli e la Sacra Famiglia. Ciascuna figura umana ha grandezza naturale, capelli veri e occhi di vetro, il che rende tutto molto verosimile.

Nel monastero si trovano poi anche il Museo Scientifico del Mare, il Museo Mineralogico, il Museo del Sapone, il Museo Mitologico, il Museo Medievale, il Museo Araldico e il Museo Misto, che altri non è che una raccolta di presepi, documenti e oggetti di ambito religioso.

Museo Parrocchiale San Biagio

Fra le reliquie conservate nel Museo Parrocchiale della Chiesa di San Biagio a Serra San Bruno, Vibo Valentia, c’è anche un pezzo della Croce di Gesù. Pensare che una reliquia così importante per la storia della Cristianità sia conservata in un borgo abbarbicato sulle Serre calabre fa riflettere, ma soprattutto fa capire l’importanza avuta in passato da quella particolare realtà che fu la Certosa di Serra San Bruno e ciò che ne derivò.
La Chiesa di San Biagio, detta anche Chiesa Matrice perché considerata “madre” di tutte le chiese, fu costruita nel 1795 su progetto proprio di un architetto serrese, Biagio Sacarmuzzino, così come uno degli elementi decorativi fra i più belli e importanti, il pergamo ligneo, fu intagliato dall’ebanista serrese passato agli annali come “Patacchella”. Solo due dell’esercito di artigiani-artisti coinvolti nel grande cantiere certosino.

Antiquarium Civico

Il territorio del borgo di Tiriolo, in provincia di Catanzaro, vanta un così ricco patrimonio storico-archeologico che per la sua giusta e necessaria valorizzazione è stato creato un progetto ad hoc, Tiriolo Antica, basato sul coinvolgimento della Comunità nella sua ideazione e progettazione. A farne parte sono il Parco Fortezza-Monte Tiriolo, il Parco Archeologico Urbano di Gianmartino e l’Antiquarium Civico. Istituito nel 1995, quest’ultimo ha ottenuto nel 2018 il riconoscimento di Museo Archeologico Regionale, in virtù dell’importanza dei suoi reperti. Il periodo compreso nell’iter espositivo va dal Neolitico alla preistoria, dall’età del bronzo all’età brettia, dal periodo greco-italico a quello romano. Fra le migliaia di reperti, merita una menzione la tomba monumentale brettia, datata al IV secolo a.C. e a forma di tempietto, un vero unicum nel suo genere.

Nuraghe Paddaggiu

Chi è pratico della costa della Sardegna via mare sa che fra Castelsardo e Valledoria, nel nord dell’isola, c’è un punto dove si può ammirare la famosa roccia dell’elefante, curiosa conformazione plasmata dal vento. Viaggiando via terra, sempre in questa zona, si fa tappa anche in un altro luogo iconico, il Nuraghe Passaggiu, fra i siti più significativi dell’età nuragica di tutta la provincia di Sassari. La struttura originaria del nuraghe era a tholos, con un bastione, due torri laterali e uno spesso muro di cinta slto 27 metri che includeva il villaggio di capanne, realizzate in pietra e con tetto in paglia.

Nuraghe Ruju

Con la sua imponente forma a tronco di cono, il Nuraghe Ruju è un punto di riferimento nel territorio di Chiaramonti, nel sassarese, tappa obbligata lungo la strada Sassari-Tempio Pausania. Lo si nota subito in mezzo alla macchia mediterranea, con i suoi grossi massi squadrati di trachite rossa (da cui “ruju”, rosso), che gli conferiscono una caratteristica colorazione bruna. L’architettura è semplice ma d’impatto: venti filari di pietre disposte, partendo dal basso con le più grandi e salendo verso quelle più piccole, che racchiudono una camera centrale e tre laterali, più una superiore raggiungibile con una scala a spirale.

Nuraghe Corvos

Lungo le sponde del fiume Mannu si possono scorgere alcune costruzioni antichissime risalenti alla prima età del Ferro. Nuraghi come il cosiddetto Corvos, situato a pochi minuti dal borgo di Florinas. La sua conformazione è quella classica di un nuraghe complesso:
una torre principale di pianta circolare alta circa 8 metri, e un bastione con due torri secondarie. La sua particolarità è quella di presentare tracce di restauri effettuati già in epoca remota, per via di alcuni cedimenti strutturali. Per esempio, la torre principale, costruita con grossi blocchi di calcare, è stata rimaneggiata con conci di trachite scura ben lavorati.

Per raggiungere il sito, si percorre la SS 131 e all’altezza di Sassari, in direzione Oristano-Cagliari, si prende il bivio di Florinas e si svolta a sinistra, sulla Provinciale 3. Giunti a Florina, si prosegue verso Cargeghe e, dopo la Chiesa di Sant’Antonio, si svolta a sinistra e si prosegue per alcuni chilometri.

Nuraghe Oes

La “Valle dei Nuraghi”. La definizione della piana di Campu Giavesu, vicino a Giave, nel sassarese, anticipa ciò che si può trovare in prossimità del fiume riu Mannu: qui, fra il IX e il VI secolo a.C., con grossi massi di basalto fu realizzato il Nuraghe Oes, il cui edificio principale è costituito da una torre a tre piani con 29 filari di pietre, alta 16 metri e con un diametro di 11 e mezzo. Il bastione bilobato che si diparte dalla torre ha 50 metri di perimetro e racchiude un cortile e due torri secondarie. Il complesso nuragico di Oes si sviluppa su una superficie di 450 metri quadrati e include un’area sacra con un recinto a forma esagonale, un tempietto a megaron, un vasto insediamento abitativo di capanne circolari ed ellittiche e i resti di una tomba di Giganti.

Nuraghe Funtana

Fra il 1400 e il 1000 a.C., vicino a Ittireddu, nel sassarese, veniva eretto il Nuraghe Funtana, di tipo complesso, costruito in blocchi irregolari di trachite, composto da una torre centrale e da due torri a chiudere un cortile centrale. Il sito archeologico trova però la sua rilevanza e peculiarità nei molti reperti rinvenuti durante le campagne di scavo, l’ultima delle quali risalente al 2012: materiali ceramici e bronzei, ma soprattutto un vero e proprio “tesoretto” composto da una serie di lingotti di rame di tipo egeo custoditi all’interno di un vaso. Un ritrovamento eccezionale per il valore in sé delle materie prime ma anche per il significato di quanto riportato alla luce: tali lingotti erano infatti la moneta di scambio di importanti traffici commerciali ma anche il risultato di un’intensa attività metallurgica cui era dedito questo villaggio. Tesoretto e reperti sono oggi il vanto del Museo Civico di Ittireddu.

Borgo di Rocca San Giovanni

Su una missiva del 1047 inviata dall’imperatore Enrico III al Monastero di San Giovanni in Venere si parla per la prima volta del borgo chietino di Rocca San Giovanni. Dapprima feudo di nobili famiglie longobardo-franche interessate alla colonizzazione monastica benedettina a partire dal VIII secolo, dall’XI al XVI secolo è rocca-rifugio della vicina abbazia benedettina, per poi diventare proprietà della congregazione di Filippo Neri di Roma e infine, nel XVIII secolo, del Regio Demanio. Inserito a buon diritto fra i “Borghi più belli d’Italia”, regala atmosfere d’altri tempi, in monumenti come la Chiesa di San Matteo Apostolo, in stile romanico e a tre navate, e il Palazzo Municipale del XIX secolo, di ispirazione classica, sede di un’interessante raccolta di opere d’arte. La passeggiata per le vie del centro non può mancare la sosta sulla terrazza panoramica, da cui lo sguardo spazia sulla verde vallata percorsa dal fiume Sandro e dal torrente Feltrino, fino a giungere alla costa adriatica. Qui, in località la “Foce”, tra l’antico borgo di Vallevò e Punta Torre, si stende un’ampia spiaggia, che insieme a quella del “Cavalluccio” è cuore della Costa dei Trabocchi. Entrambe vantano infatti un trabocco, attrattiva da non perdere, soprattutto nel caso in cui sia stato adattato a ristorante. Molti sono infatti i trabocchi che oggi offrono la possibilità di fare l’esperienza di un pranzo a base di pesce locale, con piatti della tradizione come la “palazzole”, composto da acciughe o sardine, mollica di pane, aglio, prezzemolo e olio extravergine di oliva.

In materia di buona tavola, Rocca San Giovanni è Città del Vino: due le cantine che producono vini Doc Montepulciano d’Abruzzo e Trebbiano d’Abruzzo. Non solo. Dalle distese di olivi della zona, a varietà “Gentile” di Chieti, deriva l’olio Dop Colline Teatine, un fruttato dai sentori erbacei e di colore verde oro. Ottima anche la varietà di arance locali, identificata con una denominazione inconfondibile, Costa dei Trabocchi.

Palazzo Rinascimentale

Il Palazzo Rinascimentale Martirano – Spinelli di Aieta è uno dei pochi edifici civili del Cinquecento rimasti perfettamente intatti in tutta la Calabria. La sua mole domina il piccolo centro abitato in provincia di Cosenza, tanto che si avvista il suo profilo già da lontano. Per inciso, Aieta, 800 abitanti appena, è fra i “Borghi più belli d’Italia” ed è inserito dentro il Parco Nazionale del Pollino.

Costruito dai Marchesi Cosentino e poco dopo passato in mano agli Spinelli di Scalea, nel 1913 il Palazzo viene dichiarato Monumento Nazionale e perciò adeguatamente tutelato. A stupire è, oltre alle sue dimensioni, anche la disposizione degli spazi interni, che prevedevano una serie infinita di ambienti, fra cui corpo di guardia, sale di vigilanza, sala di ricevimento, Cappella, ufficio del Marchese, sale di soggiorno, di musica e di gioco, camere da letto, cucine, dispense, cantine, sala delle armi, prigioni e cisterne per l’acqua.

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